Bibliografia

venerdì 24 febbraio 2017

Automazione, robotica e libero mercato





di Francesco Simoncelli


Ogni tanto tornano di moda le chiacchiere concernenti luddismo ed occupazione. Come se secoli di evoluzione tecnologica non abbiano fatto altro che a peggiorare la vita della maggior parte delle persone! Di recente mi sono imbattuto in una vecchia agenda, la quale circa 20 anni fa poteva essere considerata all'avanguardia di ciò che necessitava una qualsiasi persona che doveva prendere appunti o farsi trovare pronta qualora la situazione lo richiedesse. Una volta aperta includeva un quadernino per gli appunti, post-it, calcolatrice, penne, matite, block-notes, ecc. Sicuramente valeva anche tanto all'epoca, malgrado fosse alquanto ingombrante. Ma poi il mercato ha pensato alle esigenza degli individui, sfornando, di recente, una meraviglia dell'avanguardia come lo smartphone. Tutti gli accessori che venivano intelligentemente inglobati in una agenda, e che potevano essere smarriti, nonché finire dopo un utilizzo intenso, sono stati accorpati in un aggeggio tecnologico che permette a coloro che lo utilizzano di avere a disposizione una quantità illimitata di risorse con cui organizzare la propria vita.

Perché nessuno è sceso in piazza per difendere i "diritti" e l'occupazione di coloro nella filiera delle agende? Eppure questo settore ormai è sorpassato grazie alle migliorie sfornate da un'industria telefonica ed informatica sempre sulla cresta dell'onda. Perché nessuno si scandalizza di come la stessa industria stia sottraendo quote crescenti di mercato al settore delle macchinette fotografiche? La verità è che, come diceva Orwell, ci vuole una lotta costante per comprendere ciò che si trova sotto il naso di tutti: la tecnologia rappresenta una delle migliori carte da giocare da parte degli attori di mercato per scampare alla scarsità delle risorse. Quest'ultimo aspetto è stato lo sprone sempiterno che ha spinto gli attori di mercato a specializzare sempre di più le proprie mansioni, in modo da permettere ad una porzione crescente della società di emanciparsi dal lavoro duro ed usurante, e, soprattutto, di convogliare gli sforzi produttivi verso settori che più lo richiedevano.

Popper usò l'esempio della lavatrice per far capire alle persone come quello strumento avesse permesso alle lavandaie di migliorare la propria vita e dedicare il loro tempo (risparmiato) per altri scopi. Allo stesso modo Frederic Bastiat, quando scrisse il suo geniale saggio, La Petizione dei Fabbricanti di Candele, non stava facendo altro che descrivere con arguzia l'insensatezza di coloro che, vedendo minacciato il loro orto e reticenti a re-inventare la propria posizione, cercavano di sfruttare la violenza dello stato per proteggere il loro business e creare una scarsità artificiale. Ma capita spesso che gli economisti che puntualizzano questo concetto fondamentale vengano tacciati di cinismo e insofferenza di fronte ai problemi della società.



SCETTICISMO, NON CINISMO

Prima di affrontare il discorso legato ai robot e all'occupazione, è meglio spiegare come gli economisti considerino l'ambiente economico circostante e traggano determinate conclusioni. Ovviamente, non in base ad un sentimento compassionevole nei confronti di questo o quel settore, ma facendo riferimento ad un ragionamento logico e a ciò che gli attori di mercato segnalano attraverso le loro azioni. Infatti sono queste ultime che contano davvero e non ciò che si pensa. Quando due attori di mercato si impegnano ad affrontare uno scambio volontario, lo fanno perché ritengono più di valore l'oggetto posseduto dall'altro attore di mercato e sono disposti a rinunciare a parte delle loro risorse, considerate quindi meno di valore, per entrarvi in possesso. A parole potrebbe anche dire di non essere interessato a tale scambio, per depistare o non dare nell'occhio o per qualsiasi altra ragione, ma infine conta ciò che le sue azioni dicono.

Gli attori di mercato possono anche negare l'evidenza, ma le azioni rimangono e, in assenza di coercizione, rappresentano l'immutabilità della realtà delle cose. Quindi l'economista si concentra su ciò che le forze di mercato segnalano, depurando le sue conclusioni da eventuali contaminazioni dettate dalla morale e da credenze popolari. Non c'è spazio per la reputazione o altri sentimenti esclusivi e diversi da attore di mercato ad attore di mercato, bensì l'analisi di cosa si sceglie e cosa comporta. Diversamente dalla politica, dove la percezione popolare è tenuta in alta considerazione, il ruolo dell'economista è quello di essere scettico nei confronti di quelle situazioni in cui la realtà dei fatti non è collimata da quello che si dice. Spesso, purtroppo, i motivi altruistici vengono addotti per ingannare gli attori di mercato, e questo accade con una certa frequenza nel mondo della politica. Quando scoperta questa trappola, allora l'economista viene attaccato con una fallacia ad hominem e si vede accusato di "cinismo".

Gli economisti comprendono come l'interesse personale sia un motivatore universale per le scelte individuali, mentre l'altruismo agisce con molta meno costanza. Così quando viene avanzata una spiegazione altruistica per giustificare il sostegno politico, ma esso va anche a migliorare l'interesse personale di colui (o del gruppo) che la propone, gli economisti tendono a scartare la spiegazione altruistica. Ad esempio, i sindacati spingono per l'aumento dei salari minimi al fine di "aiutare i poveri." Tuttavia questa misura va a vantaggio dei sindacati e di coloro che ne fanno parte poiché essi vedono aumentare artificialmente i loro guadagni e la domanda per i loro servizi, senza contare che aumenta anche il costo di coloro che non ne fanno parte. Ciò danneggia quegli stessi poveri che si suppone debbano essere aiutati.

Bisogna comprendere una cosa che gli economisti sono soventi ripetere: la scarsità è parte integrante di questo mondo. L'unico modo che si ha per smorzarne la presa sugli individui è quello di permettere agli attori di mercato di indirizzare la produzione verso quelle necessità ritenute da loro più urgenti da soddisfare, veicolando nell'ambiente economico segnali di mercato genuini. È così che vengono aiutati i poveri, fornendo incentivi ai produttori e non attraverso proclami partoriti dalla mente di un gruppo ristretto di individui.

È impossibile debellare completamente la scarsità, non esiste alcuna El Dorado o Paese di Cuccagna in cui i desideri degli individui sono istantaneamente soddisfatti. Esiste invece la capacità degli individui di portare ad un livello superiore la specializzazione del lavoro in modo da aumentare considerevolmente la disutilità del lavoro. Questo processo è avulso dalle capacità di un gruppo ristretto d'individui e delle loro promesse, poiché concernenti un campo limitato d'indagine. Essi, infatti, cercano d'adeguare le scelte degli attori di mercato alla loro ristretta lungimiranza in modo da far vedere come abbiano mantenuto fede alla parola data. Ma questo meccanismo finisce sempre in conseguenze non intenzionali ed eventi imprevisti che sconvolgono la visione originaria dei pianificatori.

Una legge inviolabile dell'economia, e a cui gli economisti fanno riferimento lasciandosi le chiacchiere buoniste alle spalle, è quella che recita: gli attori di mercato rispondono agli incentivi. Qualunque sia la natura di questi incentivi, gli attori di mercato saranno influenzati da essi e reagiranno di conseguenza. che si tratti di incentivi positivi o di incentivi negativi, gli attori di mercato li seguiranno fino alle loro conclusioni. Prendete, ad esempio, il trend welfaristico legato alle prestazioni sociali. Nonostante i continui interventi dello stato per condurre la società verso il nirvana della "piena occupazione", lo stato sociale sta crollando sotto il peso delle sue stesse contraddizioni. Spacciando l'illusione secondo cui "tutti possono vivere sulle spalle di tutti gli altri", la miopia della pianificazione centrale sta conducendo quest'ultima verso un baratro.





Maggiori saranno le risorse incanalate in questi sistemi, più il bacino dei risparmi reali sarà prosciugato, più si avvicinerà la bancarotta dello stato. Il secondo grafico inchioda al muro le menzogne dello stato: nonostante tutte le promesse e gli stimoli fiscali, i redditi reali medi della maggior parte delle persone non sono migliorati. È cinismo questo? No, è scetticismo nei confronti di una teoria che fa acqua da tutte le parti sia in teoria che in pratica.

Quindi se da un lato abbiamo gli attori di mercato che rispondono ad incentivi negativi, dall'altro abbiamo gli stessi che rispondono ad incentivi positivi. Questi ultimi hanno come alfiere le migliorie fornite dalla tecnologia, nello specifico quelle della cosiddetta cripto-anarchia. Lo stato verrà smantellato pezzo dopo pezzo e al suo posto il mercato sta già lavorando per sostituirlo con qualcosa che gli attori di mercato desiderano. Gli incentivi negativi portano alla consumazione totale di quell'idea che rappresentano, mentre gli incentivi positivi gettano le basi per il nuovo corso degli eventi. Smantellamento e ricostruzione.

Queste due strade si scontreranno alla fine. Nel giro di una generazione vedremo come il futuro ci porterà una società decentrata, e non più accentrata. Lo stato appassirà sotto le forze di mercato che stanno spingendo verso un futuro più indipendente dai vincoli della pianificazione centrale, mentre quest'ultima verrà assaltata anche dalle politiche con cui essa stessa pensava inizialmente di sopravvivere. Gli economisti, in conclusione, vedono oltre le patine altruistiche spacciate da individui che, attraverso la coercizione, tentano di approfittarsi degli altri per soddisfare esclusivamente il loro interesse.



I ROBOT CI RENDERANNO PIÙ RICCHI, NON POVERI

In questo contesto si inseriscono le innovazioni tecnologiche nel campo della robotica che renderanno questo processo meno doloroso dal punto di vista economico. Infatti la presenza di macchine che permettono agli individui di risparmiare una delle componenti più importanti della vita, ovvero, il tempo, rappresenta la quintessenza dell'addomesticamento della scarsità da parte degli esseri umani. È stato questo singolo fatto, impercettibile alla massa, che ha permesso agli esseri umani di scavalcare le avversità della natura e imprimere nella storia la propria impronta. I macchinari hanno funzionato come ariete per sfondare quella povertà che per tanto tempo aveva fatto arrancare il progresso, salvo poi esplodere con magnificenza durante il XIX secolo. Fu proprio in quel periodo che gli attori di mercato si emanciparono enormemente dalla povertà e riuscirono ad avere accesso a lussi che in passato erano considerati ad esclusivo appannaggio delle classi nobiliari.

Infatti la polemica moderna intorno alle migliorie nel settore della robotica e dell'informatica non è niente di nuovo, proprio perché tali polemiche si sono ripresentate nel corso del tempo spacciate da quei gruppi che volevano solo ottenere consensi per interessi personali, avanzando motivazioni altruistiche come scudo e chiamando in loro soccorso lo stato. Prendete, ad esempio, la storia della prima macchina da maglieria inventata nel 1589. Durante la Rivoluzione Industriale seguirono la propaganda di coloro che affermavano che tale macchinario diabolico avrebbe causato disoccupazione di massa tra quei lavoratori che tessevano ancora a mano. Non era insolito addirittura vedere rivolte per le strade e gente che distruggeva tali macchinari.

Nonostante la rabbia dei lavoratori di allora, il principio d'uso di suddetto macchinario ancora è in uso oggi. C'è stata disoccupazione di massa con il ritorno della maggior parte delle persone a salari di sussistenza? No. Sebbene si siano susseguiti tempi duri a tempi sereni, ancora oggi la maggior parte delle persone può dedicare parte del proprio reddito per acquistare oggetti "superflui".

Scrive Gary North nel Capitolo 7 del libro, L'Economia cristiana in una lezione, acquistabile in formato ebook a questo indirizzo:

[...] Negli ultimi 250 anni gli stati occidentali non hanno avuto successo nel limitare l'uso di nuove attrezzature in grado di ridurre il lavoro.

È per questo che l'occidente ha sperimentato un notevole sviluppo economico, decennio dopo decennio. I dipendenti sono preoccupati per l'uso di tali attrezzature, ma a meno che non siano membri di sindacati, probabilmente non avranno successo nel persuadere lo stato a limitare l'introduzione di un macchinario specifico, in un settore specifico, in una società specifica. I politici non rispondono a meno che i lavoratori non riescano a convincere un sacco di elettori alle elezioni successive. Le aziende in un settore specifico hanno maggiori probabilità di mobilitare grandi quantità di denaro per le campagne elettorali rispetto ai lavoratori.

C'è un altro fattore economico importante che ostacola l'introduzione di grandi restrizioni all'uso di nuovi macchinari: la maggior parte degli aumenti di produzione non deriva dall'uso di nuovi macchinari; proviene dall'aumento dell'efficienza di computer e software. È molto più economico migliorare i software piuttosto che inventare, brevettare, produrre, vendere e distribuire un macchinario. Al distanziarsi della produzione dalla manifattura e all'avvicinarsi ai servizi, le restrizioni all'uso dei macchinari diventano sempre meno rilevanti. Non esiste quasi più resistenza politica contro l'introduzione di un software specifico in un'attività imprenditoriale specifica. Questa è una buona notizia.

Ci viene detto che l'uso della robotica computerizzata porterà ad una disoccupazione di massa. Finora non ci sono prove a sostegno di quest'affermazione. In ogni caso, che cosa può fare lo stato a questo proposito? Come può limitare l'implementazione di aggiornamenti dei software?

Ancora una volta, non si tratta di cinismo ma di scetticismo. Soprattutto perché, sebbene all'inizio le nuove invenzioni abbiano rotto equilibri precedentemente stabiliti, il mercato in assenza di ostacoli centrali avrebbe assorbito tutti quegli squilibri e avrebbe creato una situazione potenzialmente migliore. Infatti, nel caso particolare del macchinario da maglieria, all'inizio molti lavoratori rimasero senza lavoro, questo è vero, ma non fu affatto una situazione permanente perché verso la fine del diciannovesimo secolo l'industria tessile dava occupazione a 100 uomini per ogni uomo che impiegava prima. Come sosteneva anche Schumpeter, l'imprenditore è colui il quale spezza equilibri precedentemente stabiliti ed introduce nell'economia nuove variabili con cui raggiungere nuovi equilibri.

È una questione di opportunità che nel breve termine non sono visibili a tutti, bensì sono inizialmente visibili ad un piccolo bacino d'individui che, anticipandole correttamente, ne trae profitto e permette alla maggior parte delle persone di beneficiarne in un momento futuro nel tempo. Infatti ciò porta la produzione di quel particolare settore industriale ad un nuovo livello, facilitandone la specializzazione e quindi l'introduzione di nuovi prodotti in grado di soddisfare desideri di ordine superiore insiti nelle menti dei consumatori. Assicurando un flusso costante di beni di base in una particolare industria, l'inventiva umana creerà l'humus ideale da cui far fiorire prodotti nuovi e più complessi. Aumenterà quindi il tempo risparmiato e la raffinatezza dei beni sfornati.

Di conseguenza non dobbiamo temere le innovazioni tecnologiche che il futuro ci presenterà. Pensate a lavori usuranti, come il camionista, che potranno essere svolti da mezzi di trasporto senza guidatore. Pensate a lavori socialmente "umilianti", come lavorare nei fast food, che potranno essere svolti da chioschi automatizzati. Uber, per esempio, potrebbe presto diminuire significativamente la sua necessità di guidatori umani, ma questo non significa che queste persone saranno lasciate a morire di fame o senza lavoro. Infatti Uber sta espandendo i suoi servizi di consegna: farmaci, pasti e anche animali. Uber offrirà una varietà di servizi che richiederanno ancora dipendenti umani. Se, in futuro, i droni saranno in grado di sostituire i servizi di consegna, sarà solo una questione di tempo prima che nuove opportunità appaiano sul mercato.

Ma una critica comune a questo punto di vista recita che tali innovazioni sono principalmente ad appannaggio di quei lavoratori con abilità specializzate, come gli ingegneri che costruiscono macchine simili, gli scienziati informatici che sviluppano i software e quei lavoratori specializzati in grado di effettuare manutenzioni per i nuovi macchinari. E chi penserà ai lavoratori con abilità scarsamente specializzate? Sicuramente non tutti hanno il privilegio di studiare materie simili e svolgere tali lavori. Tale considerazione non tiene conto del fatto che il flusso di beni di base nei vari settori industriali permetterà alla maggior parte delle persone di accedervi ad uno sconto rispetto al passato.

Indirittemanente, tutti gli attori di mercato guadagneranno dai miglioramenti tecnologici attraverso un costo della vita in diminuzione. Infatti questo è quello accaduto durante l'intero ventesimo secolo, quando le ore di lavoro sono diminuite mentre gli standard di vita sono parallelamente aumentati. Dobbiamo considerare i fatti: l'innovazione rimuoverà dal mercato posti di lavoro obsoleti, ma aumenterà l'efficienza, ed il costo di beni e servizi diminuirà di prezzo.

Torniamo all'esempio precedente fatto con Uber. Mentre è un peccato che la macchine senza guidatore porteranno disoccupazione temporanea, il calo dei prezzi per il trasporto sarà un vantaggio per molti altri. Ciò potrebbe essere particolarmente utile per molte famiglie a basso reddito che spendono gran parte dei loro soldi per assicurare e mantenere in ottime condizioni un veicolo. Infatti molte famiglie non potrebbero affrontare una spesa imprevista di €1,000 e un'automobile da riparare è un rischio economico incombente, e l'aumento del trasporto automatizzato potrebbe ridurre notevolmente questi rischi per i bilanci familiari. Si renderebbero conto che non è più economico avere un veicolo ed optare invece per il trasporto automatizzato più conveniente. Poi si accorgerebbero anche che tale scelta lascerebbe nelle loro tasche più soldi da spendere per altre cose, o da risparmiare.

Mentre l'innovazione tecnologica può eliminare posti di lavoro di alcune persone, altre possono vedere molti benefici. Se i prezzi di abbastanza beni e servizi scenderanno, anche i salari più bassi saranno sufficienti a vivere comodamente. È così che aumenta il "reddito reale", ed è quello che conta di più.



AUTOMAZIONE E CICLO ECONOMICO

Un ultimo aspetto da considerare in questo articolo è la natura della disoccupazione che si viene a creare, soprattutto osservare l'affermazione secondo cui è temporanea. S’afferma che l’economia debba essere guidata verso i lidi della «piena occupazione», dimodoché la società possa dirigersi verso uno stato di beatitudine economica rappresentato da quel numero nirvanico del «PIL potenziale». Una bella promessa: chi non vorrebbe lavorare per guadagnare più soldi e comprare ciò che vuole? È un incentivo più che plausibile affinché qualcuno dia fiducia a qualcun altro che promette di mantenere quest’impegno. Questa fu la giustificazione che, negli anni Sessanta, economisti come James Tobin fornirono allo Stato affinché esso avesse carta bianca per intervenire nell’economia. Per fare che cosa? Solidificare le posizioni di privilegio concesse dal monopolio della violenza.

In un libero mercato, non esiste qualcosa come la piena occupazione, perché ognuno di noi, per un motivo o per un altro, può scegliere di restare senza lavoro e non darsi la pena di cercarlo. Chi siamo noi per interferire con una scelta simile? Non dovremmo. Questo tipo di disoccupazione volontaria fu definito da Ludwig von Mises disoccupazione catallattica. Il suo opposto, invece, fu chiamato disoccupazione istituzionale. L’emersione di questo tipo di disoccupazione è legata a un intervento positivo (attivo) nell’economia.

Infatti, a seguito d’un’espansione artificiale dell’offerta di moneta, si creano attività in bolla che attraggono risorse materiali e umane. Finché l’espansione va avanti, queste bolle continuano a gonfiarsi, e i settori in cui vengono impiegate le suddette risorse scarse sembrano produttivi come qualsiasi altro. Quando l’espansione s’arresta, queste bolle scoppiano, e restano inoccupate quelle risorse ch’esse avevano attratto artificialmente. Affinché la struttura del mercato riallochi tali risorse in accordo con le forze di mercato, c’è bisogno di tempo. Tempo affinché possano sorgere nuove attività in grado d’assorbire le risorse disoccupate. Ma, soprattutto, c’è bisogno che il mercato sia lasciato in pace, affinché esso possa pulire gli errori commessi in precedenza.

Oltre all’espansione artificiale dell’offerta di moneta, esiste un’altra causa della disoccupazione istituzionale: la burocratizzazione. L’eccessiva presenza di cavilli e norme cui conformarsi e il conseguente «ingessamento» del mercato del lavoro scoraggiano gli attori economici, in particolare gl’imprenditori, dal creare nuovi posti di lavoro. In questo contesto, viene sprecato non solo capitale umano, ma anche potenziali imprese che avrebbero potuto nascere a seguito della scomparsa di quelle improduttive e creare un ambiente più consono a una crescita economica in accordo con le forze di mercato.

Il capitalismo, infatti, ha permesso agl’individui d’entrare in possesso di tutti quegli oggetti che in passato erano a esclusivo godimento di coloro con un conto in banca munito di molti zeri. La produzione di massa ha permesso agl’individui comuni di godere del possesso d’oggetti che in precedenza erano fuori dalla loro portata. Il mercato è una benedizione per gl’individui: attraverso le meraviglie della sua produzione, esso permette un costante miglioramento degli standard di vita. Ma questo è potuto accadere solo perché sono stati progressivamente soddisfatti e garantiti nel tempo bisogni considerati primari dalla maggior parte degl’individui: cibo, riparo, vestiario, ecc. La mutevolezza della volontà dell’essere umano permette l’emersione di nuovi bisogni, che possono esser soddisfatti da coloro in grado di prevederli attraverso un calcolo imprenditoriale privo d’ostacoli.

Al persistere d’una crisi economica, vengono progressivamente distrutti quei bisogni che in precedenza erano stati garantiti dalla produzione di massa. La deviazione e lo spreco di risorse in attività improduttive lasciano meno spazio di manovra a quelle attività che, invece, sarebbero state accolte a braccia aperte dagli attori economici. Ciò porta, ad esempio, alla nascita d’attività uguali tra loro e al ritorno d’attività che pensavamo ormai facenti parte del passato. Nonostante ciò, il tasso dei fallimenti aumenta, perché la pianificazione centrale trasferisce ostinatamente (con la violenza) denaro e risorse laddove non sono necessari, condannando il resto della società a una lenta agonia.

La pianificazione centrale distrugge il tessuto economico per tenere vivi i propri interessi e quelli dei propri clienti. Cosi s’intacca il bacino dei risparmi reali, il cui flusso sarà costantemente ingurgitato da entità parassitarie che rappresenteranno solo un peso per la società. Esse risulteranno sempre attività in perdita, perché non assistite da un corretto sistema profitti–perdite. Non importa quante volte esse saranno salvate: il mercato premia con la redditività quelle imprese che soddisfanno i bisogni degl’individui, e punisce con le perdite quelle che non li soddisfanno. Quindi, esse possono essere salvate, ma continueranno a operare in perdita. È una situazione sostenibile nel lungo termine? Non credo proprio. È per questo che, nel lungo termine, esse moriranno.

Nel frattempo, però, crescerà la «misallocation» di risorse umane e strumentali, impedendo alle persone scoraggiate di rientrare nel mercato del lavoro. Questo significa più bocche da sfamare a carico del welfare state, nonché individui più timorosi di perdere il proprio posto di lavoro e disposti ad accettare condizioni lavorative peggiori. Per sbloccare questa situazione, le banche centrali fanno ricorso ad una politica monetaria ulteriormente allentata. La strategia è stata quella di far sopportare un lieve deleveraging al settore privato, gonfiando a dismisura quello pubblico, che è diventato la garanzia delle attività improduttive. Durante una fase di bust, il mercato privo d’ostacoli purga l’ambiente economico dagli errori commessi durante un boom artificiale, sgonfiando i prezzi di quegli asset ch’erano stati distorti dall’intervento esterno della pianificazione centrale, e restituendo un sano e onesto meccanismo di price discovery. Nel nostro caso, al mercato è stato impedito di ripulire totalmente gli errori commessi in passato, permettendo la conservazione d’attività che avrebbero dovuto fallire.

Ciò significa che anche i posti di lavoro al loro interno vengono conservati, mandando fuori mercato i salari di coloro che ne fanno parte. In parole povere, si tenta d’ammortizzare questa situazione svalutando l’unità monetaria; si derubano gl’individui di nascosto aumentando il valore monetario degli stipendi ma abbassandone quello reale.

Le dittature degli anni Trenta, malgrado fossero etichettate come l’onda del futuro, perirono sotto il peso gravoso delle proprie contraddizioni. Le forze di mercato prevalsero allora, e continueranno a prevalere oggi. Sono inarrestabili. Sono inesorabili. Rosicchiano lentamente la struttura dirigistica che intende imbrigliarne la volontà. Più diventa dirigistica la presa, più le forze di mercato sgretolano velocemente tale struttura. Ciò significa che il prossimo sulla lista è il keynesismo. La sua natura non è di stampo socialista: è mercantilista e interventista. Ma questo punto fu già affrontato nel 1776 da Adam Smith. Non c’è modo che una società fondata su tali basi possa prosperare.

Perché? Perché si basa su promesse che non possono esser mantenute. Quando i dirigenti politici vedranno crollare la fiducia nei loro sacerdoti, la gilda accademica keynesiana, essi non potranno più vendere all’elettorato la menzogna d’una salvezza attraverso lo stato. Crescita economica bassa e recessioni inaspettate sono la scintilla che conduce al barilotto di polvere da sparo: passività non finanziate. Ancor una volta, quindi, noi Austriaci potremo sfoderare la frase: «Ve l’avevamo detto, e vi avevamo detto anche perché».



CONCLUSIONE

Il futuro ci porterà lungo un percorso costellato da un maggiore decentramento sociale. Questo vuol dire che le forze di mercato torneranno ad essere le padrone incontrastate del panorama economico in cui siamo immersi, senza intromissioni ingombranti da parte di istituzioni centrali. I cambiamenti tecnologici di cui siamo testimoni sono due passi avanti alla pianificazione centrale. Ci sarà disoccupazione in qui settori industriali che la tecnologia trasformerà, ma sarà temporanea. Ognuno di noi in futuro potrà avere un'industria in miniatura nelle propria casa. Con le stampanti 3D ciò diventerà realtà. Questo vuol dire che gli operai in parecchi settori di mercato saranno "liberati" da lavori usuranti e riallocati in nuovi settori.

Dobbiamo temere questo cambiamento? No. I movimenti del mercato sono temporanei. Ciò che dobbiamo temere sono le interferenze degli istituti centrali che facilitano un'allocazione errata delle risorse scarse. Sono queste interferenze che tendono ad essere protratte nel tempo. Sono queste interferenze che prosciugano lentamente il bacino della ricchezza reale e impediscono ad una nazione di prosperare genuinamente. Dobbiamo temere nel futuro prossimo queste interferenza? No. La pianificazione centrale si sta auto-distruggendo.

Siamo nel bel mezzo di un cambiamento di paradigma. La società occidentale si sta spostando verso un'economia prevalentemente fatta di servizi. La manifattura ha fatto il suo corso. Non c'è progresso senza una rottura degli equilibri di mercato precedenti. Poi il mercato si adatta alle nuove tecnologie, ma questo è un cambiamento che deve essere abbracciato come ci ha insegnato la storia del primo macchinario da maglieria. L'innovazione non deve mai essere scoraggiata, perché con il progresso tecnologico arrivano più opportunità per l'umanità.


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