Bibliografia

lunedì 16 gennaio 2017

Stimolo fiscale: solo una scusa per uno stato più grande





di David Stockman


Tra il 1870 e il 1913 il PIL reale degli Stati Uniti — al meglio delle nostre stime — è salito da $20 miliardi a $131 miliardi ($1958).

L'aumento composto del 4.3% annuo in 43 anni rappresenta la crescita più alta del PIL reale per un periodo equivalente di tempo. Ma ecco la meraviglia...

Durante quel periodo d'oro di crescita e prosperità, gli Stati Uniti non avevano alcuna banca centrale e non hanno avuto nemmeno un episodio di stimolo fiscale!

Se si presuppone una crescita della popolazione da 39 milioni nel 1870 a 97 milioni nel 1913 e si guarda l'economia degli Stati Uniti su una base pro capite, gli aumenti in quei giorni presumibilmente bui prima dell'invenzione dello "stimolo" erano abbastanza robusti.

Il PIL reale aumentò da $480 a $1,350 pro-capite, o ad un tasso annuo del 2.5%. Nemmeno questo dato è stato mai più superato in un intervallo di quattro decenni. Durante l'ultimo periodo di 43 anni, per esempio, il tasso di crescita del PIL reale pro-capite è stato solo dell'1.6%. E sin dalla vigilia della crisi finanziaria alla fine del 2007, è sceso allo 0.3% annuo.

Se non ingurgitate la sbobba sfornata da Wall Street/Washington, quest'ultimo dato potrebbe causarvi una reazione urticante. Rispetto agli ultimi 9 anni in cui abbiamo avuto uno tsunami di stimolo monetario, come è stata possibile una crescita reale pro-capite del PIL all'8X durante i suddetti 43 anni fino al 1913?

Dopo tutto, l'onnipotente FED non avrebbe aperto i battenti fino alla fine del 1914.

Inoltre quando si presta attenzione alla parte fiscale, la reazione urticante diventa più intensa. Lo Zio Sam ha avuto eccedenze durante 32 di quegli anni, o il 75% del tempo. E le eccedenze cumulative erano di gran lunga superiori ai deficit. In realtà, il debito pubblico era di $2.4 miliardi nel 1870 e solo $1.2 miliardi nel 1913.

E l'inflazione sostenuta era inesistente durante questo periodo d'oro — praticamente la stessa sia nel 1913 che nel 1870.

Inutile dire che l'idea stessa di un taglio del 50% del debito pubblico ai giorni nostri, suona davvero impossibile da contemplare. Quando Donald Trump sfiorò solamente la possibilità di ridurre drasticamente il debito pubblico, gli risero tutti in faccia.

Eppure i numeri citati sopra, tra cui quelli del debito pubblico, provengono dalle statistiche storiche ufficiali del Census Bureau degli Stati Uniti. Quindi presumibilmente è accaduto, ma non è finita qui.

Quando si tengono in conto tutti gli immigrati e la robusta crescita dell'economia americana durante quel periodo, le metriche fiscali risultanti sono ancora più sorprendenti.

Il debito pubblico scese dal 40% del PIL nel 1870 al 3% del PIL nel 1913. Proprio così. Prima che la banca centrale facesse la sua entrata in scena, il debito pubblico degli Stati Uniti in rapporto al PIL era essenzialmente un errore di arrotondamento pari a zero.

Allo stesso modo, rispetto alla popolazione, il debito pubblico scese da $62 pro-capite nel 1870 a soli $12 nel 1913 per ogni uomo, donna e bambino della nazione.

Questi numeri sono così sbalorditivi che sembrano quasi irreali. Un trend di 43 anni durante il quale il carico fiscale del governo centrale sull'economia degli Stati Uniti era praticamente estinto, proprio nel momento in cui il capitalismo americano stava facendo registrare un record di crescita di tutti i tempi.

C'ho pensato dopo la mia apparizione come ospite al Fox News Show di Neil Cavuto. L'argomento in questione era il debito pubblico della nazione a $20,000 miliardi. Ho fatto notare che il debito pubblico era pari a $10,600 miliardi a gennaio 2009 e che con Obama è arrivato ad un totale di $20,000 miliardi. Ciò significa, naturalmente, che Barack Obama ha aggiunto quasi $10,000 miliardi al debito nazionale durante il suo mandato.

Ciò corrisponde quasi alla cifra totale del debito pubblico accumulato durante i primi 220 anni della Repubblica sotto i 43 predecessori di Obama nello Studio Ovale.

Potreste pensare che tale fatto sia sufficiente ad innescare un dibattito travolgente sulla scena mainstream. Nel 1980, per esempio, un attacco implacabile a Jimmy Carter su un debito pubblico "fuori controllo" — circa a $1,000 miliardi — era qualcosa di giornaliero nei discorsi della campagna di Ronald Reagan.

Nel 2016, tuttavia, siamo finiti in un mondo in cui Obama dice d'essere riuscito a domare il deficit federale e nessuno dei candidati alla presidenza diceva di voler aggiungere un solo centesimo al debito nazionale. Almeno Neil Cavuto mi ha dato il tempo di eviscerate queste gigantesche bugie — e non c'è voluto molto.

Il deficit è stato di $587 miliardi nell'anno fiscale 2016, il quale s'è concluso a settembre, ed è cresciuto del 35% rispetto ai $439 miliardi dell'anno precedente. Ma in realtà le cose sono di gran lunga peggiori.

Cioè, ogni anno centinaia di miliardi vengono aggiunti al debito pubblico man mano che scompaiono numeri dal conteggio ufficiale del deficit, a causa delle peculiare contabilità statale.

Per esempio, durante gli ultimi due anni lo Zio Sam ha preso in prestito quasi $200 miliardi per finanziare i prestiti agli studenti, ma questi non contano nel deficit ufficiale perché tali esborsi sono considerati "investimenti", non spese. Si potrebbe pensare che Washington stia ancora vendendo la palude sul Potomac, ma questa è già tutta occupata — in particolare dal Pentagono.

In ogni caso, quando si accumulano una dozzina e più di espedienti simili, oltre alla partita doppia di prendere in prestito dai fondi fiduciari della previdenza sociale — che in realtà è già insolvente sia su una base attuariale sia su una base monetaria — l'estensione di questa truffa fiscale diventa evidente.

Il deficit ufficiale combinato per l'anno fiscale 2015 e 2016 è stato di $1,025 miliardi. Ma il debito pubblico è aumentato di $1,700 miliardi, il che significa che $700 miliardi d'inchiostro rosso non sono stati conteggiati nel deficit. Così Obama sembrava che stesse domando il terribile mostro del deficit, quando, in realtà, lo stava alimentando.

Dopo tutto, alla fine dello scorso trimestre abbiamo raggiunto il 90° mese di questa cosiddetta ripresa — rispetto ad una media post-1950 di appena 61 mesi. Così, quando il livello medio dell'inchiostro rosso in questa ultima fase del ciclo economico sarà di $850 miliardi l'anno — come nel corso dell'anno fiscale 2015-16 — nessuno avrà addomesticato alcunché.

Infatti nonostante le ipotesi "ottimiste" del CBO, l'attuale politica di bilancio aggiungerà $10,000 miliardi al debito pubblico nei prossimi dieci anni. E ciò presumendo che avremo 207 mesi senza una recessione, o quasi il doppio di quanto mai registrato!

La verità è che, in base all'economia del mondo reale — cioè, semplicemente un replay della crescita economica e dell'occupazione degli ultimi 10 anni — il deficit federale totalizzerà $15,000 miliardi nel corso dei prossimi 10 anni. Ciò significa che il debito pubblico raggiungerà $35,000 miliardi entro la metà del prossimo decennio, o il 145% del PIL.

Saluti,


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


1 commento:

  1. A proposito di ingrandimento dello stato attraverso la spesa pubblica...

    “Ciò che ci distingue da molti interlocutori è la ricetta per perseguire l’obiettivo: mentre altri pensano che l’austerità sia il modo migliore se non addirittura l’unico per ridurre il debito, noi siamo convinti che l’enfasi debba essere messa sulla crescita e l’occupazione."

    Così dice oggi il Ministro dell'Economia italiano, Pier Carlo Padoan. Quindi, ancora oggi, il fantasma di James Tobin ancora aleggia tra di noi. Non c'è da sorprendersi se tra i posti di comando ci siano economisti di stampo neo-keynesiano che ancora credono alla favoletta della vasca da bagno, rappresentata dalla nazione nel suo complesso, la quale deve essere riempita di domanda aggregata. In questo modo si raggiungerà il nirvana della piena occupazione e della presunta crescita economica. Se non sbaglio in periodo di presunta crescita economica il vate di questi cialtroni ricordava come il deficit dovesse essere ridotto piuttosto che aumentato. Invece ogni santissimo giorno si chiede flessibilità perché il mercato del lavoro è fiacco e bisogna raggiungere il PIL potenziale.

    Secondo questi imbecilli economici ridurre la mole dell'interventismo dello stato nel settore produttivo della società equivale ad una bestemmia accademica. Soprattutto perché la loro misura di crescita preferita, il PIL, contiene la fantomatica G, ovvero, la spesa pubblica. In questo modo si può spacciare la storiella che c'è fiacchezza nei dati in entrata e quindi stimolare la domanda aggregata attraverso la spesa pubblica è un percorso auspicabile. Inutile dire che siamo di fronte ad una tautologia economica. La spesa pubblica sottrae risorse economiche scarse dal settore privato e le alloca in un modo avulso da un calcolo economico genuino, perché lo stato è incapace di rispettare le leggi economiche fondamentali. Non è in grado di operare un calcolo economico in accordo con le forze di mercato perché non deve comportarsi come una impresa per incamerare le proprie entrate, ad esempio.

    Questo significa, a sua volta, che all'aumentare della distruzione delle risorse economiche scarse, finirà sotto pressione il bacino della ricchezza reale, impedendo ulteriormente l'emersione di una crescita economica genuina. Quindi, no, caro Padoan, una "vera" austerità (cosa mai vista finora), una diminuzione della spesa pubblica e delle tasse, è l'unico modo per permettere ai mercati di pulirsi e far emergere quelle realtà più in linea con le forze di mercato. Ma attenzione, perché l'Italia è sotto lo sguardo vigile di quei bond vigilantes che sembrava la BCE avesse azzittito.

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