Bibliografia

venerdì 20 gennaio 2017

Accordi commerciali: un problema mondiale





di Alasdair Macelod


La conferenza annuale del partito conservatore è iniziata domenica scorsa e l'attenzione dei media s'è focalizzata per lo più sulla posizione del governo in relazione alla Brexit.

Non è una sorpresa, perché la May è risultata reticente ed ha evitato di alimentare un battibecco con l'UE negoziando in pubblico. L'unica notizia rilevante è che il cosiddetto Article 50, quello che darà formalmente notifica dell'uscita della Gran Bretagna dall'UE, dovrebbe entrare in vigore entro la fine di marzo.

La Brexit riguarda per lo più gli accordi commerciali, ed è per questo che le grandi imprese stanno facendo lobby ed i funzionari dell'UE stanno spargendo in giro la loro retorica. Negli Stati Uniti Donald Trump minaccia di strappare il NAFTA e si rifiuta di ratificare il Trans-Pacific Partnership. Ha anche attaccato la Cina, accusandola d'aver rubato la produzione e l'occupazione americana. Non dobbiamo mai credere a qualsiasi cosa dica un politico, ma se non altro Trump sembra aver identificato il risentimento elettorale sulla questione del commercio.

Questo articolo esaminerà la teoria alla base del commercio e dimostrerà che il libero scambio, non la promozione degli interessi costituiti, dovrebbe essere l'obiettivo economico principale. Diversi approcci a questo tema spinoso potrebbero accentuare la scissione del commercio mondiale in due flussi separati: economie emergenti in rapida crescita e un vecchio ordine sempre più lento.



Le Corn Laws e lo Smoot-Hawley

Il libero commercio è diventato una questione politica in Gran Bretagna quando l'Importation Act del 1815, che imponeva dazi sui cereali importati, portò a prezzi artificialmente alti del grano, andando a beneficio dei latifondisti ed a spese dei poveri. Venne abrogato dall'Importation Act del 1846.

Oggi sembra di risentire il dibattito prima della legge del 1815, con i produttori che cercano sempre di intralciare la concorrenza straniera a danno del consumatore. Tuttavia, ci sono tutte le ragioni per credere che l'abolizione delle barriere commerciali e dei dazi sarebbe tanto vantaggioso per le economie contemporanee quanto l'Importation Act del 1846 lo fu per la Gran Bretagna e l'economia globale allora. Allo stesso modo, se questo è vero, allora le restrizioni commerciali e i dazi ostacolano il progresso economico, e tutti i paesi che attuano maggiori restrizioni al commercio perseguono quindi una politica deliberata a favore della disoccupazione. A sostegno di ciò, non dobbiamo far altro che guardare all'introduzione catastrofica dello Smoot-Hawley Act negli Stati Uniti.

Molti politici contemporanei attribuirono il successo degli Stati Uniti negli anni '20 alla legislazione protezionista: il Fordney-McCumber Tariff del 1922. Gli economisti, tenendo a mente che stiamo parlando di tempi pre-keynesiani, avevano una visione molto diversa da quella della classe politica: gli anni venti ruggivano non per il Fordney-McCumber. Quando 1,028 economisti scrissero al presidente Hoover affinché ponesse il veto allo Smoot-Hawley, egli ignorò il consiglio ed approvò la legge, ritenendola coerente con la sua "politica di salari alti" per i lavoratori americani. Oggi gli storici dell'economia tendono a minimizzare lo Smoot-Hawley, concentrandosi sul crollo del mercato e sulla spiegazione di Irving Fisher riguardo la bancarotta di circa 9,000 banche. Col senno di poi, keynesiani come J. K. Galbraith hanno attribuito la depressione al crollo di Wall Street, il risultato inevitabile di un calo della spesa per investimenti e della domanda dei consumatori.

Questi sono errori, poiché spiegano solo una parte della storia. Il protezionismo americano provocò ritorsioni nei confronti dei suoi principali partner commerciali, ed i produttori americani scoprirono che i dazi sulle importazioni di materie prime e prodotti semi-lavorati imposti dal governo rendevano le loro merci insostenibili, ponendoli fuori dal mercato. La conseguenza fu un'ondata di fallimenti industriali e una forte contrazione sia del commercio nazionale sia di quello internazionale. Il risultato finale fu che il commercio mondiale si contrasse da $35.6 miliardi a meno di $12 miliardi tra il 1929 e il 1934.

L'effetto sui prezzi delle commodity fu catastrofico. Invece di proteggere gli agricoltori americani, una promessa del presidente Hoover, il crollo dei prezzi dei cereali nel 1930-1932 (già in calo durante gli anni venti) portò nient'altro che guai a suddetti agricoltori. Non solo in America, ma in tutto il mondo. Il grano, che aveva raggiunto un picco di prezzo a $2,45 per bushel nel 1920, scese ad un minimo di 49 centesimi nel 1932. L'imposizione di restrizioni commerciali attraverso dazi elevati con lo Smoot-Hawley Act del 1930, svolse un ruolo importante nella Grande Depressione, riducendo i prezzi delle materie prime e mandando in bancarotta agricoltori, imprese commerciali e banche.



L'odierna teoria del commercio

Le lezioni di storia sul commercio, dalle Corn Laws della Gran Bretagna allo Smoot-Hawley Act in America, vengono per lo più ignorate dai macroeconomisti di oggi. I politici attribuiscono istintivamente i deficit commerciali alla concorrenza estera sleale, quando i deficit commerciali sono in realtà il risultato di un'espansione del credito, di una contrazione del risparmio e dei disavanzi pubblici. I politici riescono solo a pensare alla tutela del lavoro basandosi esclusivamente sugli effetti superficiali, esibendo un'ignoranza scandalosa su ulteriori conseguenze.

Le cose sono diverse oggi, in quanto vi è un'Organizzazione Mondiale del Commercio che stabilisce le norme; la maggior parte ignorate da... sorpresa delle sorprese... Stati Uniti ed Europa. Questo assetto ha portato il mondo a viaggiare su un doppio binario, in cui l'America e l'Unione Europea tendono a permettere un commercio internazionale su base ristretta, mentre le nazioni emergenti commerciano tra di loro liberamente. Non bisogna sforzarsi per indovinare quale di queste due categorie stia crescendo più rapidamente rispetto agli altri.

Un'altra differenza è che l'economia si è spostata da quella classica a quella neoclassica, il che significa che è cambiato anche il parere degli esperti dato ai politici. Non aspettatevi affatto una banda di 1,028 economisti, come accadde ai tempi del presidente Hoover, che scrive al presidente Trump e gli ricorda gli effetti tossici di quando si pone limiti al commercio. Nella UE i benefici del libero commercio vengono riconosciuti solo tra gli stati membri. Da tutta questa confusione si sta allontanando la Gran Bretagna, che, attraverso la Brexit, ha votato per abbandonare i legacci europei sul commercio.

Purtroppo la classe politica britannica, con poche eccezioni, è ignorante (come lo è anche Donald Trump) quando si tratta di politica commerciale. I politici sono più aperti alle persuasioni da parte delle società di lobbying, interessate solo a proteggere i loro mercati ed i propri margini di profitto. I consulenti dei politici ed i funzionari pubblici tendono ad appartenere al club dei keynesiani, pensando che tutti i problemi economici possano essere risolti con la gestione della domanda nell'economia interna mediante lo stimolo della fiducia dei consumatori.



La posizione britannica

Con tutti i pregiudizi istituzionali sul suo ruolo e le pressioni del settore industriale, la May, il Primo Ministro inglese, dovrà presto stilare negoziati commerciali con l'UE. Per il momento sta giocando una partita sulla difensiva e si rifiuta di sbottonarsi sia davanti la stampa sia tra i suoi deputati senza incarichi di governo. È una strategia ragionevole, se si tratta di resistere alle pressioni di lobby e se si ha un obiettivo chiaro in mente.

È del tutto possibile, ma non abbiamo modo di saperlo e non bisogna dimenticare che la maggior parte del governo britannico è fermamente in linea con l'establishment. Tuttavia possiamo affermare che i suoi due ministri pro-Brexit sono intenzionati a stilare accordi di libero scambio con il Commonwealth, la Cina e una serie di altri candidati che li accoglieranno a braccia aperte.

Ciò è stato in parte confermato da Liam Fox, segretario al commercio internazionale, che nel suo discorso alla conferenza ha affermato che gli accordi commerciali esistenti tra gli altri paesi e l'UE verrebbero semplicemente rinnovati. La Nuova Zelanda si è anche offerta di prestare alla Gran Bretagna i propri negoziatori commerciali per contribuire ad accelerare il processo. Secondo le regole dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, la Gran Bretagna dovrebbe proporre offerte simili anche ai suoi partner commerciali, tra cui l'UE, cosa che potrebbe facilmente trasformare la Gran Bretagna in una zona di libero scambio.

Non sarà nell'interesse commerciale dell'UE rifiutare una proposta di libero scambio da parte del Regno Unito, perché gli altri paesi dell'Unione Europea sono esportatori netti nei confronti della Gran Bretagna. Tuttavia l'UE potrebbe decidere di respingere una proposta commerciale britannica per motivi puramente politici: Bruxelles vorrà scoraggiare altri stati membri a non seguire l'esempio della Gran Bretagna.

Se le cose andranno così, non tutto sarebbe perduto, perché la Gran Bretagna potrebbe facilmente ridurre l'imposta sulle società multinazionali e compensare gli esportatori con sede nel Regno Unito per quelle perdite derivanti dall'intransigenza dell'UE. Con una combinazione tra accordi di libero scambio, che possono essere approvati molto rapidamente, e l'arma fiscale, la Gran Bretagna può effettivamente dire ai suoi partner commerciali europei "prendere o lasciare". Sarebbe molto più efficace e pratico che cercare di negoziare un accordo commerciale complesso, cosa che richiede il sostegno politico di tutti gli altri 27 stati membri dell'UE.

I critici della Brexit e le società di lobbying non capiscono un altro punto cruciale: l'UE è una nave alla deriva e con ogni probabilità sta sprofondando in un buco nero di propria creazione. Sappiamo tutti che il sistema bancario di Eurolandia è nei guai, ma poche persone indagano più a fondo. Le banche sono solo il messaggero. Le economie di Italia, Spagna e Francia sono in grave declino, per non parlare di Portogallo e Grecia. Si possono sostenere le banche per tutto il tempo che si vuole, ma non si risolveranno i problemi di fondo.

Visto che queste verità stanno diventando sempre più evidenti, quelle aziende britanniche ansiose d'entrare nei mercati UE scopriranno d'aver sprecato il loro tempo. Per questo motivo un ritardo nell'approvare l'Article 50 fino a marzo, potrebbe rafforzare la posizione negoziale della Gran Bretagna sulla scia di un declino economico dell'UE.



Due sentieri per il commercio mondiale

Torniamo ai due approcci contrastanti riguardo il commercio mondiale: le nazioni emergenti che commerciano più liberamente rispetto agli Stati Uniti e all'Unione Europea. In passato le nazioni emergenti avevano un sostanziale svantaggio, visto che era loro negato l'accesso ai mercati americani ed europei, spesso per motivi spuri. La loro situazione era simile a quella delle nazioni post-prima guerra mondiale, che essendo state impoverite dalla guerra, non erano in grado di reagire contro la Fordney-McCumber Tariff del 1922.

Oggi l'equilibrio di potere nel commercio si è spostato in modo significativo, con le nazioni emergenti che commerciano sempre più tra di loro e diventano meno dipendenti dal commercio con gli Stati Uniti. Inoltre, per quanto riguarda l'Unione Europea e gli Stati Uniti, l'Organizzazione Mondiale del Commercio fa sì che la quantità dei dazi sia molto inferiore rispetto ai tassi punitivi sotto lo Smoot-Hawley.

La Cina ha diversi accordi di libero scambio, i più importanti dei quali sono l'ASEAN-China Free Trade Area e lo Shanghai Cooperation Organisation. Non c'è dubbio che la Cina ed i suoi partner di libero scambio si risentano sempre di più dell'approccio americano al commercio, e quindi si stiano allontanando dalla sfera d'influenza americana. Inoltre il pericolo per gli Stati Uniti e l'Unione Europea è il loro approccio protezionistico al commercio, il quale ha ripercussioni negative sulla loro performance economica, probabilmente più di quanto si rendano conto.

Questo non fermerà gli Stati Uniti e l'Unione Europea dall'intensificare la loro autarchia. Ciò sfornerà inevitabilmente fattori geopolitici cruciali. Washington non vorrà vedere accordi di libero scambio tra Regno Unito e Cina, e, eventualmente, con la Russia. Una preoccupazione ricorrente è che il commercio con questi partner metterà all'angolo il dollaro e promuoverà gli interessi dei suoi nemici, qualcosa che il Regno Unito sta già facendo incoraggiando il commercio in yuan a Londra.

Dietro le quinte l'America sembra certa di poter impedire alla Gran Bretagna di perseguire un percorso di libero scambio. Pertanto coloro pro-libero scambio nel governo britannico sono contro un establishment suscettibile a consigli e minacce provenienti da interessi di parte, compresi l'UE, gli Stati Uniti e le multinazionali dominate da interessi americani. Invece gli economisti neoclassici, e quei politici che consigliano, saranno ignari dei danni causati dal loro approccio e non si schiereranno a favore del libero scambio.

La tentazione sarà quella di trovare una sorta di compromesso. Ma la vera scelta che deve affrontare la Gran Bretagna è tra il bianco o il nero: rimanere con il vecchio modello imperialista, o unirsi con il nuovo, abbracciando il libero scambio come beneficio economico generale per tutti.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


7 commenti:

  1. Oggi è finita la globalizzazione come conosciuta fino ad ora. Cioè, a senso unico.
    Col neoprotezionismo comincia un nuovo decentramento un po' autarchico.
    Poi, sarà una via di mezzo. Ma il vento è cambiato.

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  2. C'È un punto che non mi è chiaro lo smooth hawley act penalizzò i produttori americani perché ottenevano i fattori produttivi (materie prime) e semilavorati a prezzi più alti il che rendeva i beni finali inaccessibili al consumatore. Allora da cosa dipendeva il crollo del prezzo delle materie prime e del grano in relazione agli agricoltori?. Sembra che ci sia una contraddizione

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    1. Salve Anonimo.

      Purtroppo c'è stato un errore nella traduzione, ma ora è stato prontamente corretto. Nel caso specifico, comunque, durante la Grande Depressione il Congresso approvò una serie di dazi che miravano a scoraggiare il consumo americano di beni esteri a vantaggio di quelli prodotti negli Stati Uniti. In questo modo, si pensava, che la disoccupazione di quel periodo sarebbe stata alleviata tramite lo stimolo del consumo interno. Peccato che anche le altre nazioni agirono come lo zio Sam. Questa è la miopia dei pianificatori centrali, non capendo che il mercato funziona in entrambe le direzioni, scelgono i benefici di breve termine e visibile ignorando il dolore economico di lungo termine e non visibile. Questo vuol dire che se gli stranieri non vendono le loro merci negli USA non posso guadagnare quei soldi che avrebbero speso di nuovo o investito negli USA.

      Quando i dazi degli anni '30 scoraggiarono gli americani ad acquistare le merci importate, i venditori stranieri smisero di acquistare le merci americane. Di conseguenza l'agricoltura degli Stati Uniti, sensibile al settore delle esportazioni, vide una drastica riduzione dei suoi prezzi ed enormi perdite. Allo stesso modo, tasse sulle importazioni di materie prime, forniture industriali, beni strumentali, prodotti semi-lavorati e parti di componenti, rappresentano un aumento dei costi per le imprese in patria. I dazi, quindi, sono a tutti gli effetti una tassa sui consumi che pesa su consumatori ed imprese.

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    2. Ok ora è molto più chiaro grazie

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  3. il fatto che i no global manifestino contro trump (il quale è contro la globalizzazione come stiglitz e chomsky) fa capire che non ci si capisce piu molto, si procede a vista. ora se il libero commercio è pace e ricchezza, il libero commercio falsato dà risultati falsati. e poi, a parte stati nazione e loro contabilita (ma a parte "poco" perche ci sono i soliti dati macro statuali), una comunita puo proteggersi se le sta prendendo? perche siamo sempre in teoria dei giochi tra falchi e colombe. una prospettiva interessante https://it.finance.yahoo.com/notizie/deglobalizzazione-ritorno-protezionismo-retorica-realtà-153000024.html ed un paio di libri cattivi https://www.amazon.it/Cattivi-samaritani-mercato-leconomia-mondiale/dp/8883500105
    http://www.einaudi.it/speciali/Sven-Beckert-L-impero-del-cotone

    è da vedere quale spazio effettivo di manovra abbia trump tra alleanze geopolitiche, oggettive connessioni di business, tecnologia sovranazionale, rivolte interne, soros e soci contro, debito pubblico estero, svalutazione del dollaro. bah...

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    1. Sempre ottimi spunti e suggerimenti, gdb. Grazie.
      Violenza e sopraffazione sono elementi della storia umana. Mettinculi e piglianculi sono condizioni eterne.
      Stiamo a vedere. Pariamoci.

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    2. Stiglitz contro la globalizzazione?!?!
      Se fosse vero si tratterebbe del classico utile idiota.
      "Nobel Prize winner says US should “get rid of currency” "
      https://www.sovereignman.com/trends/nobel-prize-winner-says-us-should-get-rid-of-currency-20690/

      Riccardo Giuliani

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