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lunedì 4 luglio 2016

L'economia globale è in stallo





di David Stockman


Le esportazioni della Corea del Sud sono scese a $41 miliardi ad aprile, segnando il 16° mese consecutivo di calo delle vendite estere. Il risultato del mese scorso ha rappresentato un calo dell'11.2% rispetto all'anno precedente, e un calo del 18% rispetto all'aprile 2014. Inoltre il mese scorso le esportazioni verso la Cina sono diminuite del 18.4%, a seguito di un calo del 12.2% a marzo.




Il crollo delle esportazioni della Corea non è un'aberrazione solitaria. Lo stesso modello è evidente in tutta la catena dell'export dell'est asiatico. Questo perché lo Schema Rosso di Ponzi è al suo ultimo inning. Pechino sta pompando furiosamente sull'acceleratore del credito, ma senza alcun risultato.

Come se non l'avessimo già sottolineato abbastanza, creare PIL con l'espansione sfrenata del credito non vuol dire creare ricchezza o stimolare una crescita sostenibile; si tradurrà semplicemente in una resa dei conti finale, quando gli eccessi speculativi insiti nella moneta fiat imploderanno su sé stessi.

La Cina è sicuramente vicina a questo tipo d'implosione. Durante il primo trimestre il credito totale, o quello che Pechino definisce "finanziamento sociale", s'è espanso ad un tasso annualizzato di $4,000 miliardi. Si tratta di una crescita del 57% rispetto all'anno precedente e ha rappresentato una crescita del debito al 38% del PIL su base annuale.

Detto in altro modo, durante i primi 90 giorni del 2016 la Cina ha accatastato un altro miliardo di dollari di debito su quello attuale da $30,000 miliardi, mentre il suo PIL nominale s'è ampliato a meno di $175 miliardi.

Proprio così. Lo Schema Rosso di Ponzi sta generando appena $1 di PIL per ogni $6 di nuovo debito. E gran parte del "PIL" generato durante il primo trimestre, riflette la nuova costruzione di appartamenti vuoti e infrastrutture pubbliche ridondanti.

Ormai dovrebbe essere evidente che l'economia cinese è una barzelletta finanziaria destinata ad un crollo, e che le sue statistiche economiche sono un tessuto d' invenzioni e d' illusioni. Anche i suoi dati relativi alle esportazioni sono imbottiti di cifre fasulle, progettate per nascondere la fuga di capitali.

L'implicazione del trend delle sue esportazioni è inconfondibile. Quando si mette da parte la teatralità del rumore statistico nei dati, le esportazioni sono diminuite del 10% nel primo trimestre. Questo è il peggior calo trimestrale sin dal 2009 in mezzo alla grande recessione globale, ed era quasi il doppio del tasso di declino durante il terzo e quarto trimestre 2015.




Ecco il punto. La Cina non può essere in crescita del 6.7% quando la sua macchina dell'export è a corto di gas, come è evidente dal grafico qui sotto. Questo perché lo Schema Rosso di Ponzi è stato costruito sulle esportazioni sovvenzionate tramite la stampante monetaria della PBOC. Ma ora che i mercati sviluppati hanno raggiunto la condizione di picco del debito, le chiacchiere stanno a zero.

Vale a dire, i consumatori occidentali hanno esaurito la loro capacità d'indebitamento — così gli esportatori cinesi sono fuori gioco. Sta conservando l'apparenza di una crescita del PIL mediante la costruzione di cattedrali nel deserto e giocando un brutto scherzo all'Occidente.

Dopo tutto, i numeri del PIL della Cina possono essere manipolati e riportati in modo distorto, ma lo stile adottato dai compagni di Pechino è lo stesso ragionamento economico che ha portato il Grande Pensatore a sostenere che scavare buche e poi riempirle fosse una panacea ai problemi economici. I seguaci moderni di Keynes a Wall Street credono alla stessa cosa.




Questi ultimi hanno spacciato anche il mito della transizione graduale della Cina verso il consumo interno. Ma una volta che la banca centrale satura i bilanci della nazione, come è accaduto rapidamente in Cina, la crescita dei consumi deve necessariamente far riferimento al tasso di crescita della produzione e del reddito. Nel caso della Cina, tale vettore scenderà perché si bloccherà la grande baldoria di costruzioni e investimenti di capitale.

In breve, la Cina ha già un rapporto debito/PIL del 300%. Inoltre il denominatore di questo rapporto è marcio fino al midollo, in quanto è fondamentalmente costituito da massicci investimenti improduttivi e infrastrutture pubbliche ridondanti; un giorno i primi verranno cancellati e le seconde abbandonate, in quanto dei pesi morti per l'economia cinese.

Ancora più importante, i lavoratori licenziati dal settore edile e industriale e il restringimento dell'attività economica, incideranno pesantemente sul flusso di cassa corrente e sulla capacità sempre più limitata d'accendere prestiti — anche nello Schema Rosso di Ponzi. Quindi i cinesi ridurranno la spesa, e non la ricicleranno, come proclamano costantemente i propagandisti di Wall Street.

Cioè, la Cina sta affondando nella deflazione e nelle liquidazioni, non sta virando per diventare un grande centro commerciale in stile Stati Uniti. Questi ultimi sono diventati così prendendo in prestito dal resto del mondo, in modo che i consumatori americani potessero vivere ben oltre i loro mezzi. Ahimè, la Cina ha già utilizzato la sua carta di credito nazionale, e non c'è rimasto nessuno sul pianeta da cui prendere in prestito.

Infatti vi sono prove abbondanti della recessione incombente. La Cina è un gigantesco macchinario per convertire materiali: importa materie prime e beni intermedi, e li converte in beni finali e prodotti di consumo per l'esportazione. Di conseguenza, quando calano i volumi delle importazioni, abbiamo un importante indicatore che ci dice che lo Schema di Ponzi cinese sta cadendo a pezzi.

Le importazioni nel primo trimestre sono scese del 13.3% rispetto all'anno precedente, e questa cifra rappresenta un peggioramento rispetto al calo dell'11.8% nel quarto trimestre. Come Jeff Snider ha dimostrato col grafico qui sotto, il trend delle importazioni cinesi è passato da una modalità "rallentamento" a "declino accelerato".




Se la Cina stesse vivendo una transizione graduale verso il consumo interno, le importazioni non sarebbero in calo ai ritmi raffigurati qui sopra. Dopo tutto, i due più grandi settori della sua economia sono l'edilizia e il mercato al dettaglio — entrambi dipendono dal flusso continuo delle importazioni: materie prime nel primo caso, e beni di lusso dalle economie sviluppate nel secondo.

Inutile dire che il crollo della produzione in Cina sta diffondendo dolore economico tra quelle economie esportatrici che prosperavano durante la fase di boom dello Schema Rosso di Ponzi.

Singapore, che è il fulcro del sistema, è sceso ancora più nettamente della Corea. Le esportazioni a marzo sono diminuite del 14% rispetto all'anno precedente e quasi del 21% rispetto a marzo 2014.




Allo stesso modo, le esportazioni di Hong Kong sono scese quasi del 9% negli ultimi due anni, mentre le esportazioni di Taiwan sono scese del 19% nello stesso periodo. In entrambi i casi, il tonfo nelle spedizioni verso la Cina ha generato un'erosione continua in questi numeri. Durante l'anno scorso, per esempio, le esportazioni di Hong Kong verso la Cina sono scese dell'11%.





Allo stesso modo, le esportazioni indonesiane sono scese del 21%. Nel caso del Brasile, che era essenzialmente un satellite dell'export nei confronti della Cina, il valore in dollari delle sue esportazioni è diminuito del 24% sin dal 2013.





Nel corso degli ultimi due mesi, lo Schema Rosso di Ponzi ha vissuto l'ennesima mini-bolla speculativa. Sembra proprio che l'orda di giocatori d'azzardo, che ad un certo punto hanno aperto 387 milioni di conti di trading, si sia ammassata di nuovo nelle commodity. Anche se quest'ultimo focolaio non ha fatto altro che alimentare un rimbalzo fasullo del 50-70% nel prezzo dei futures (ferro, cotone, acciaio), non si trattava affatto di una ripresa economica sostenibile.

Infatti, durante il primo trimestre la Cina ha consumato 332 milioni di tonnellate di combustibili derivati dal petrolio (benzina e distillati) rispetto ai 339 milioni di tonnellate durante il primo trimestre del 2015. Tale riduzione del 2% non solo nega la storiella della ripresa cinese, ma rappresenta anche un punto di flesso tagliente nell'andamento del consumo di petrolio.

Vale a dire, tra il 2011 e il 2015 il consumo cinese di carburante nei primi trimestri, come misurato dalle spedizioni delle sue due società petrolifere statali più grandi, è passato da 271 milioni di tonnellate a 339 milioni di tonnellate, un aumento del 5.5% annuo. Al contrario, ora si sta restringendo e questo è un segno della deflazione, non un ritorno a tempi di boom.

C'è un motivo per cui le spese in conto capitale stanno affondando in tutto il mondo, il Giappone sta scivolando in recessione, l'Europa sta traballando e gli Stati Uniti proseguono lungo la linea piatta. Vale a dire, le banche centrali hanno alimentato un cosiddetto crack-up boom che sta facendo esattamente ciò che Mises predisse; sta fracassando i mercati.

Gli economisti moderni non hanno alcuna dimestichezza con tale vocabolo e descrivono i dati commerciali di ogni giorno come prova che l'economia globale è in "stallo".

Questa è una metafora aeronautica, naturalmente, ma significa la stessa cosa.

Saluti,


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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