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di David Stockman
Il gigantesco boom del credito degli ultimi 20 anni ha deformato l'economia globale in modi che sono visibili e in altri che sono meno visibili. Per quanto riguarda il primo aspetto, bisogna dire che un'economia basata sul risparmio effettivo proveniente dalla produzione reale, dal reddito e da un minimo di disciplina nel mercato finanziario, non avrebbe costruito 65 milioni d'unità abitative vuote in base alla teoria secondo cui il loro prezzo sarebbe salito all'infinito!
Questo è lo Schema Rosso di Ponzi in Cina, insieme a tutti gli altri investimenti inutili: centri commerciali, fabbriche, miniere di carbone, aeroporti, autostrade, ponti e molto altro ancora.
Ma il punto è che la Cina non è una sorta di aberrazione una tantum. In realtà, esistono gli aspetti meno visibili dello Schema di Ponzi del credito in tutta l'economia globale e stanno diventando sempre più visibili di giorno in giorno.
Come abbiamo ripetuto regolarmente, non esiste nulla di paragonabile nella storia finanziaria ai $185,000 miliardi d'espansione del credito mondiale degli ultimi due decenni. Quando questa bolla del credito alimentata dalle banche centrali ha infine raggiunto il suo apogeo l'anno scorso, o giù di lì, il credito globale era stato espanso a quasi il 4X rispetto al PIL mondiale.
Per di più quest'ultimo è cresciuto principalmente grazie alla spesa pubblica degli stati, ed è destinato a sgonfiarsi a causa di una liquidazione progressiva degli investimenti nel settore pubblico.
La bolla del credito, a sua volta, ha portato ad un boom della domanda di materie prime e delle spese in conto capitale. E queste eruzioni insostenibili di distorsioni ed inefficienze, si sono riversate nell'economia mondiale e nel sistema finanziario.
In particolar modo si sono riversate nelle spese in conto capitale del settore petrolifero e del settore minerario, dati i prezzi, gli enormi margini di guadagno e la conseguente manna di rendite inattese sugli asset esistenti. Nel caso del petrolio e del gas, ad esempio, gli investimenti in tutto il mondo sono cresciuti da $250 miliardi a $700 miliardi in meno di un decennio.
Inutile dire che ora c'è così tanto eccesso d'offerta e capacità sul mercato mondiale che il petrolio è finito in un collasso che rischia di durare anni, mentre i vecchi investimenti vengono portati a termine e la domanda mondiale vacilla di fronte alla recessione globale incombente. Si stima che gli investimenti siano scesi del 20% nel 2015, e ciò è solo l'inizio.
Questo crollo degli investimenti nel campo del petrolio e del gas, rimbalzeranno nei beni strumentali e nelle costruzioni pesanti. Alla fine gli investimenti annuali potrebbero diminuire dai $250 ai $400 miliardi prima che possa essere ristabilito un equilibrio, il che significa che quelli che erano utili inattesi a cascata e salari in aumento in questi settori solo un anno o due fa, ora sono semplicemente evaporati.
Contrariamente alla logica circolare dei nostri pianificatori centrali keynesiani e dei venditori ambulanti di Wall Street, la massiccia perdita di valore aggiunto nelle spese in conto capitale delle patch petrolifere non è parte di una grande riallocazione delle risorse; sarà avulsa dal controllo delle famiglie — le quali hanno già raggiunto una condizione di picco del debito — poiché incapaci d'accendere nuovi prestiti per andare al ristorante o in palestra.
Invece man mano che la bolla del credito comincerà a sgonfiarsi, si restringeranno i profitti, i redditi, i bilanci e i rating di credito. Così anche il PIL relativo.
Lo stesso tipo d'investimenti improduttivi è avvenuto nel settore minerario australiano (es. ferro, carbone, bauxite e altri materiali industriali). Come mostrato di seguito, le spese in conto capitale nel settore minerario sono cresciute di quasi 6 volte in meno di un decennio.
Ma dato l'eccesso d'offerta, il calo dei prezzi e dei margini di profitto in questi prodotti, e una maggiore capacità in futuro, non è esagerato dire che gli investimenti nel settore minerario globale stanno finendo in una depressione che durerà per circa un decennio.
Infatti, come indicato sopra, le spese in conto capitale dell'industria mineraria sono salite del 5X negli ultimi sette anni, e la quota preponderante la ritroviamo negli investimenti in terreni edificabili e nelle aree industriali dismesse. Eppure, data la massiccia capacità in eccesso globale di ferro, rame, carbone, bauxite, alluminio, ecc., questo tipo di progetti diminuirà negli anni a venire.
Inutile dire che questo significa una contrazione dei profitti e una massiccia perdita di posti di lavoro ad alto salario. Neanche i baristi di Starbucks arrivavano ad intascare una frazione di quello che guadagnavano i minatori nella catena di montaggio della Caterpillar.
Né il boom delle spese in conto capitale alimentate dal credito facile era limitato al settore dell'energia e dei metalli. Oggi Bloomberg ha pubblicato un articolo in cui descrive un super-ciclo simile nel settore della gomma. Come risultato della massiccia espansione delle piantagioni di gomma in risposta all'impennata dei prezzi e dei profitti inattesi, l'industria ora sta affrontando sovrabbondanze che stanno uccidendo investimenti e posti di lavoro.
La domanda globale per la gomma naturale, utilizzata soprattutto nei pneumatici, sta rallentando in concomitanza col rallentamento dell'economia cinese, la più grande acquirente al mondo di auto nuove. L'offerta è in espansione dopo un rally decennale dei prezzi che hanno raggiunto un record nel 2011, incoraggiando i produttori come la Thailandia, l'Indonesia e il Vietnam a piantare più alberi. Secondo il Rubber Economist Ltd., un'industria di ricerca con sede a Londra, nei prossimi due anni la produzione supererà l'uso, con le eccedenze che si quadruplicheranno nel 2016.
[...] La gomma tradata a Tokyo, un punto di riferimento globale, è scesa del 70% dal record nel 2011, toccando lo scorso novembre un minimo di sei anni a ¥153 ($1.26) al chilogrammo. I futures a Shanghai sono crollati del 22% nel 2015. Il prezzo all'esportazione in Thailandia, il primo produttore, è in calo del 23% [...].
L'anno prossimo la produzione globale supererà la domanda di 411,000 tonnellate e di 430,000 tonnellate nel 2017, a fronte di un'eccedenza di 98,000 tonnellate nel 2015, o almeno così ha previsto lo scorso dicembre il Rubber Economist. Secondo un ricercatore la produzione aumenterà del 3.8% l'anno prossimo, a 13 milioni di tonnellate e continuerà ad espandersi fino al 2018. Il consumo non terrà il passo, ed entro la fine del 2017 le scorte raggiungeranno un record di 3.7 milioni di tonnellate, ha detto Prachaya Jumpasut, amministratore delegato del Rubber Economist.
L'offerta in eccesso può sopprimere i prezzi per un decennio, ha detto Hidde Smit, un consulente del settore che ha studiato il mercato per più di 30 anni ed è l'ex-segretario generale dell'International Rubber Study Group. Anche se ora alcune piccole aziende tagliano la produzione, la superficie utilizzata per le piantagioni in 11 paesi asiatici, che sono i produttori primari, è salita del 45% sin dal 2004.
Quindi con il calo dei profitti dei produttori nei settori delle materie prime e nelle industrie dei beni d'investimento, non vi è alcuna prospettiva per una rotazione regolare verso i servizi e i consumi. La deflazione non solo significa una riduzione dei prezzi del petrolio o dell'acciaio; ma significa anche l'evaporazione della produzione e dei profitti che sono stati falsamente gonfiati dalla baldoria di credito degli ultimi 20 anni.
E questa non è neanche la metà della storia. I giganteschi guadagni inattesi sulle commodity e sui beni capitali intascati dai produttori durante la grande inflazione del credito, non sono stati interamente reinvestiti in nuova capacità e asset a rendimento fisso. Come il Wall Street Journal ha documentato di recente, hanno anche alimentato un enorme aumento nei bilanci dei fondi sovrani a causa della proprietà statale, o della pesante tassazione, della produzione di petrolio e dei minerali.
Ma ora i giorni inebrianti dell'accumulo di "ricchezza sovrana" in Arabia Saudita, Norvegia, Kazakhstan e in decine di altri produttori di materie prime, sono finiti. Quello che sta accadendo è che questi fondi stanno entrando in un ciclo di liquidazione, il quale non ha precedenti nella storia finanziaria.
Infatti i dati per Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti e gli altri membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), sono scioccanti. Durante il boom globale del credito, hanno accumulato fondi sovrani per un totale di $2,300 miliardi. Ma con i deficit ora stimati al 13% del PIL, il livello di liquidazione degli asset è in aumento.
Così, se i prezzi del petrolio greggio torneranno a $56 al barile il prossimo anno, gli stati del CCG dovranno liquidare $208 miliardi d'investimenti. Invece se i prezzi scenderanno a $20 al barile, come Goldman Sachs ha avvertito, dovrebbero liquidare quasi $500 miliardi del loro bottino in un solo anno.
Ma a prescindere dal percorso esatto del greggio nei prossimi anni, i prezzi rimarranno bassi per un periodo di tempo prolungato. Ciò significa che gli stati del CCG potrebbero dover liquidare la totalità dei loro fondi sovrani entro l'inizio del prossimo decennio.
Lo stesso discorso vale per tutti i fondi sovrani che hanno investito in petrolio e minerali. Negli anni a venire saranno in "modalità liquidazione" man mano che la grande deflazione delle commodity farà il suo corso.
In una parola, l'Innaturale Offerta d'Acquisto dei fondi sovrani diventerà una Gigantesca Offerta di Vendita man mano che i produttori di petrolio e delle materie prime lotteranno per finanziare i loro bilanci.
Detto in altro modo, così come gli effetti della bolla delle commodity non sono rimasti confinati ai mercati dell'energia e dei metalli man mano che s'espandeva la bolla del credito globale, accadrà la stessa cosa col ciclo di deflazione.
La correzione degli eccessi visibili dell'inflazione del credito — overinvestment e malinvestment — distruggerà redditi e profitti; la Grande Inversione capeggiata dagli effetti meno visibili, come le liquidazioni dei fondi sovrani, sarà un ago gigante indirizzato verso le bolle monumentali nelle azioni, nelle obbligazioni e negli immobili.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
Le bc compreranno tutto. Il loro ruolo "strategico" per lo status quo è già in bolla, per chi sa vedere.
RispondiEliminaSi abbufferanno ancor di più. Si fonderanno anche tra di loro. Maquillage per gli ignari e gli ignoranti. Finché saranno capaci di calciare il barattolo, tutto sembrerà cambiare affinché tutto resti esattamente come adesso.
Eppure, la sanzione arriverà... Ma chissà come e chissà quando...
L'unica certezza: pagheranno i soliti. Ignari ed ignoranti in primis e senza capirne il motivo, e poi tutti noialtri. Chi più e chi meno.