Bibliografia

lunedì 15 febbraio 2016

Sfatare il mito keynesiano della ripresa economica — Parte 1

Ricordo a tutti i lettori interessati che è in vendita la mia traduzione dell'ultimo libro di Gary North, L'economia cristiana in una lezione, acquistabile a questo indirizzo: http://bit.ly/1JUqFIt. Con questo manoscritto North, attraverso uno sforzo letterario pregevole, unisce ciò che è stato diviso per anni da un mondo accademico cieco e sordo alla centralità dell'individuo nell'analisi economica: etica ed economia. L'escamotage della chiave di lettura teologica è utilizzata per chiarire al lettore come una visione epistemologica chiara sia fondamentale per uscire dall'attuale pantano intellettuale in cui è finita la teoria economica moderna.
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di David Stockman


La scorsa settimana la Yellen ha detto una cosa importante, ma non in senso buono. Ha confessato una verità spaventosa: il FOMC formula le sue politiche e le sue azioni in base alle previsioni circa gli sviluppi economici futuri.

In realtà il nostro politburo monetario si perderebbe anche in un bicchier d'acqua; e ciò è risultato evidente durante gli ultimi anni di folle stampa di denaro.

Nonostante lo stimolo monetario più aggressivo nella storia dell'economia — 84 mesi di ZIRP e $3,500 miliardi in acquisti d'obbligazioni — la crescita media del PIL reale è stata pari al 50% delle precedenti previsioni della FED; e anche questo numero è sottostimato a causa della soppressione sistemica dovuta al deflatore del PIL.




Quello che sto cercando di sottolineare è l'impossibilità di prevedere il futuro economico, e ciò è particolarmente vero quando il modello di previsione è una reliquia keynesiana obsoleta che presuppone essenzialmente un'economia statunitense chiusa e l'inutilità dei bilanci.

In realtà, i bilanci oggi contano più di ogni altra cosa. I $225,000 miliardi di debito gravanti sull'economia mondiale — un aumento del 5.5X nelle ultime due decadi — impongono una barriera rigida alla crescita economica, cosa che viene ignorata del tutto dai nostri suzerain monetari keynesiani.

Allo stesso modo, l'economia è ormai globale, il che significa che tutto ciò che conta, come l'offerta di lavoro, l'evoluzione dei salari, l'utilizzo della capacità produttiva, i tassi d'investimento, il ritmo dell'attività imprenditoriale e le scorte, sono di natura planetaria.

Al contrario, a causa della ristretta gamma di attività che catturano, le statistiche del BLS sul lavoro sono quasi inutili.

Tuttavia, Yellen & Co. sono ossessionati dall'irrilevante livello di "fiacchezza" del mercato del lavoro domestico. Essi lo considerano come un proxy del presunto divario tra PIL potenziale e PIL effettivo. Non a caso ora sono ammaliati dall'illusione che la fiacchezza nel mondo del lavoro sia stata ampiamente riassorbita e l'output gap quasi chiuso.

Quindi hanno iniziato ad innalzare i tassi nel mercato monetario per confermare la forza dell'economia statunitense, segnale che presuppone il raggiungimento del nirvana keynesiano della piena occupazione.

Non è così! Questi azzeccagarbugli accademici sono così accecati dal loro macro-modello che non riescono nemmeno a vedere le luci rosse segnalanti "Pericolo imminente".

Basta prendere in considerazione i dati più recenti sulle vendite all'ingrosso e sulle scorte. Questo settore dell'economia nazionale incarna il bordo d'attacco dell'attività imprenditoriale, il che significa che l'andamento delle vendite a livello dei grossisti e l'immagazzinamento delle scorte sono indicatori anticipanti prospettive macroeconomiche generali.

Inutile dire che l'impennata nel rapporto inventari/vendite non segnala affatto un'imminente "velocità di fuga". Al contrario, ogni volta che il rapporto ha superato l'1.30X in passato, subito dopo è arrivata una recessione.




Le recessioni si verificano sull'economia di Main Street quando le vendite s'indeboliscono e le scorte s'accumulano al punto in cui la loro liquidazione diventa inevitabile. Di conseguenza sono molto più importanti rispetto ai 19 grafici sulla lavagna della Yellen riguardo il mercato del lavoro; inoltre è un fatto inattaccabile che le vendite all'ingrosso abbiano alzato bandiera bianca.

Il rimbalzo dalla profonda liquidazione durante la Grande Recessione è finito. Le vendite all'ingrosso sono in calo del 4.5% rispetto al loro picco a giugno 2014 e sono tornate ai livelli del settembre 2013.

Inoltre vale la pena di notare che lo scorso ottobre le vendite all'ingrosso erano salite ad un tasso annuo dell'1.6% rispetto al picco pre-crisi. Sicuramente questo non segnala un'economia che è guarita e si sta dirigendo verso la terra promessa della piena occupazione.




Quindi la falsa conclusione sulla forza dell'economia statunitense in base alla telemetria difettosa della FED, non può essere degna di credito.

Non c'è stata alcuna ripresa di Main Street guidata dalla FED. Invece la tiepida espansione delle imprese dopo il fondo del 2009, non incarna altro che i naturali impulsi rigenerativi del nostro sistema capitalistico gravemente compromesso, ma ancora funzionante. Non appena sono stati ricostruiti gli inventari di beni e riallocati i posti di lavoro persi, i redditi hanno recuperato e il ciclo d'espansione è ripreso di propria iniziativa.

Ma questo è ormai finito, e l'economia statunitense è completamente esposta al picco del debito e alle forze burrascose della deflazione globale. L'illusione secondo cui la FED abbia effettivamente guidato l'espansione di Main Street, deriva da dati arcaici sul lavoro e dai tassi di disoccupazione pubblicati dal BLS.

Di conseguenza val la pena di ripetere che tali metriche sono derivate da un modello basato sul "PIL potenziale"; inoltre riflettono un concetto di piena occupazione basato su un conteggio in stile censimento dei titolari di posti di lavoro, quando all'epoca la forza lavoro era principalmente composta da maschi adulti.

Al contrario, nel mondo del lavoro di oggi costellato da servizi, concerti episodici, agenzie per lavori temporanei e lavori stagionali in bar, ristoranti e pizzerie, l'idea della "piena occupazione" è una reliquia del passato. Ed è anche stupida.

L'unico denominatore comune rimasto è la popolazione adulta, che conta 255 milioni di dipendenti e 510 miliardi di ore di lavoro standard. L'economia americana sta attualmente utilizzando circa 243 miliardi di ore di lavoro l'anno, secondo il BLS.

Anche se il totale delle ore di lavoro impiegate dalle imprese private è a malapena tornato ai livelli del 2007 — e del resto non è affatto cresciuto rispetto ai livelli d'inizio secolo — esso ha continuato a deteriorarsi. E rispetto al passato, c'è una quota maggiore di ore di lavoro attribuibili a lavori part-time a bassa retribuzione.





No, questo non significa che abbiamo un tasso di disoccupazione del 50%. Ma sottolinea il fatto che nel mondo di oggi non esistono coefficienti "naturali", o fissi, per dividere le ore di lavoro della popolazione in base all'età pensionabile, i tassi di disabilità, lo status di casalinga, lo status di studente, o in base alle preferenze per stili di vita come il fingersi malato, l'accattonaggio, gli sforzi caritatevoli o l'ascetismo.

Il decremento sopra citato da 250 miliardi di potenziali ore di lavoro è influenzato dalle politiche fiscali e previdenziali, dai risparmi pensionistici e da una lista infinita di fattori culturali e psicologici.

Ma queste ore hanno poco a che fare con un qualsiasi ciclo economico misurabile; e si spostano e si trasformano costantemente nel tempo e in risposta ai nuovi sviluppi tecnologici e culturali. Sono qualcosa al di fuori dalla portata dei 25 punti base di spostamenti nei tassi d'interesse dei mercati monetari.

In realtà sono sensibili alle forze economiche globali, all'impatto del debito sulla spesa delle famiglie e all'allocazione dei flussi di cassa delle imprese. Per quanto riguarda le prime, le principali sono la deflazione globale nelle materie prime attualmente in corso e l'inesorabile depressione delle spese in conto capitale che sta emergendo lungo la sua scia.

Dato che i nostri banchieri centrali keynesiani non hanno capito che nel corso degli ultimi due decenni la loro stampa di denaro ha portato ad un drastico mispricing del credito e del capitale, stanno andando alla cieca. Non riescono a vedere che l'economia globale è ora inondata da capacità in eccesso più che in qualsiasi altro momento storico.

Quindi si aspettano che il ciclo delle materie prime raggiunga il fondo e poi rimbalzi, reflazionando così le spese in conto capitale e la spesa delle famiglie. In questo contesto, il grafico qui sotto mostra come lo scorso giugno i keynesiani presso il Fondo Monetario Internazionale abbiano considerato le prospettive dei prezzi del petrolio.




Proprio così. Lo scenario negativo meno probabile era il petrolio sopra i $40 al barile per tutto il 2015. Inutile dire che il prezzo del petrolio ha già superato tal livello e probabilmente non ha ancora finito di scendere — data la velocità con cui l'attività economica in Cina e nei mercati emergenti si sta indebolendo.




Nella Parte 2 analizzeremo ulteriormente il motivo per cui il mercato del lavoro è diventato un indicatore fuorviante. Basti dire che questo sviluppo spiacevole è dovuto principalmente al fatto che i piani alti delle grandi aziende americane sono stati trasformati in stock trading.

Cioè, i top manager sono ossessivamente focalizzati sui prezzi di breve periodo delle azioni e sulle manovre d'ingegneria finanziaria, come i riacquisti d'azioni proprie e le F&A volte a far salire i prezzi delle azioni, insieme al valore delle loro stock option.

Di conseguenza, mentre le bolle finanziarie della FED raggiungono il loro apogeo, i piani alti delle gandi aziende rimangono eccessivamente rialzisti fino all'ultimo minuto, sfornando posti di lavoro molto più a lungo di quanto sarebbe stato altrimenti. Poi, quando le vendite iniziano ad indebolirsi visibilmente, liquidano i posti di lavoro ma con una vendetta — dopo che la recessione è già iniziata.

Quindi il tasso di disoccupazione non dice quasi nulla di utile. Al contrario, c'è un numero immenso d'indicatori che tiene traccia della bolla del credito globale e del falso boom che ha innescato.

Si concentrano molto di più sulle prospettive di Main Street rispetto a quanto faccia il modello primitivo della FED. Quest'ultimo presuppone che il tasso di disoccupazione rappresenti un proxy per quantificare quanto sia stata riempita la vasca da bagno della piena occupazione, ma non dice nulla sulle forze globali che influenzano i risultati futuri.

Com'è stato ampiamente ripetuto, le ultime fasi della ripresa degli Stati Uniti nel 2013-2015 sono state tiepide secondo tutti gli standard storici. Tuttavia, anche questi risultati trimestrali "deludenti" non riflettevano una crescita interna stimolata dalla FED, come invece sostengono i keynesiani.

Piuttosto la crescita del PIL al 2% di questi ultimi anni riflette il momento d'inerzia nell'economia degli Stati Uniti, il quale è stato innescato dalla baldoria immobiliare cinese durante il 2009-2013 e dalle influenze che ha generato nelle economie emergenti. Ma questo impulso, che è stato alimentato da una massiccia espansione del credito abilitata dalle banche centrali, ha perso slancio molto tempo fa e ora s'è trasformato in un crollo globale delle commodity e in un rapido indebolimento del commercio mondiale.

I dati sulle esportazioni USA delle forniture industriali e dei materiali, catturano tale ciclo in modo abbastanza netto. Dopo un picco iniziale nel 2011-2012, queste esportazioni sono scese di quasi il 40%.




Il punto cruciale qui non è che gli Stati Uniti hanno dapprima guadagnato un vantaggio competitivo nei materiali industriali alla fine della Grande Recessione, e poi l'hanno improvvisamente perduto a causa del rafforzamento del dollaro. Mentre l'effetto del cambio ha una certa importanza, ciò che è realmente accaduto è del tutto diverso e non può essere riscontrato in nessuna parte del modello keynesiano della FED.

Vale a dire, il boom del credito in Cina/mercati emergenti ha sfornato rottami d'acciaio, carta e cartone riciclati, carbone e numerose altre materie prime industriali come se non ci fosse un domani. Mentre la Casa Bianca e la FED tessevano le lodi della ripresa delle esportazioni americane e la riconquista dell'ex-vantaggio competitivo, e Obama proiettava un'impennata del settore americano delle esportazioni nel 2015, non stavano facendo altro che prendersi il merito per un'evacuazione una tantum dei rottami d'America e delle miniere di carbone.

Infatti il boom ha anche risucchiato tutti quei prodotti petroliferi che potevano essere creati in Texas e nelle raffinerie della Costa del Golfo. Ma dopo essere salite del 3X tra il 2008 e l'inizio del 2014, anche le esportazioni di prodotti raffinati sono finite nel piattume più profondo.




Ancora più importante, la stessa dinamica globale vale per le esportazioni USA nel loro complesso. Ad esempio, non appena è emersa la depressione delle spese in conto capitale in tutto il mondo, anche le esportazioni USA di beni strumentali hanno raggiunto il picco e ora stanno calando.




Pertanto le esportazioni non si sono impennate. Infatti il totale delle esportazioni americane di beni è ora in calo dell'11% rispetto al suo picco ad agosto 2014, e secondo le letture più recenti è solo il 3% sopra il precedente picco nel 2008.




Neppure quella tesi secondo cui le esportazioni sono solo il 12% del PIL inficia questo punto. Ciò che conta sono le tendenze marginali e stanno colando a picco in risposta alla recessione globale incombente.

Ad esempio, durante il culmine del boom in Cina/mercati emergenti e la debolezza del dollaro, il turismo negli Stati Uniti è fiorito come mai prima e al picco nel 2014 era più del doppio rispetto al suo livello nel 2002. Ma la deflazione globale significa che i redditi esteri sono in calo e il tasso di cambio del dollaro è in aumento.

Di conseguenza le esportazioni dei servizi di viaggio (es. turismo) si sono già ritirate del 7% rispetto al loro picco all'inizio del 2014, e probabilmente ora precipiteranno ancora più in basso. Ciò diventerà presto evidente quando avremo i dati sulle vendite di Natale.




Non aspettatevi a dicembre che la relazione sui posti di lavoro possa catturare tutto questo. I numeri mensili sono così mal aggiustati e i cicli di tendenza gonfiati, che ci vorranno anni prima che gli aggiustamenti effettivi possano fotografare la recessione già in corso.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


=> Cliccate qui per la Seconda Parte: http://francescosimoncelli.blogspot.it/2016/02/sfatare-il-mito-keynesiano-della_17.html


1 commento:

  1. Oggi leggiamo sul WSJ:

    Italian Banks Are All In It Together – and That’s the Problem

    No, queste banche non erano improvvisamente impazzite ad affondare mani e piedi in strumenti finanziari potenzialmente esplosivi. Questi ultimi, a seguito dell'espansione monetaria della BCE nel periodo precedente alla Grande Recessione, non erano altro che il risultato di un mispricing dovuto ad un ambiente finanziario veicolante segnali distorti. Questo vuol dire che i bilanci delle banche commerciali si sono saturati sempre più di asset tossici sul presupposto che ci sarebbe stato uno "sciocco più sciocco" che avrebbe creduto agli imbonitori sell-side nei mercati azionari. Invece abbiamo avuto una crisi semi-globale a seguito di questa vasta deformazione del price discovery nei mercati finanziari.

    Ma invece che lasciarle fallire, quelle banche che hanno gozzovigliato allegramente durante il periodo di boom, sono state salvate. Ciò ha permesso una misallocation delle risorse economiche e di capitale su una scala maggiore, tirando in ballo anche quelle banche che s'erano tenute ai bordi del campo. Nella loro cecità i pianificatori monetari centrali non si sono accorti che per salvaguardare una parte del settore bancario, s'è gettato nel caos l'intero settore.

    Adesso vediamo l'implementazione di salvataggi a catena, norme di salvataggio fantasiose, NIRP, uccisione del denaro contante, istituzione di bad bank, ecc. Il fine partita è sempre più vicino e di cosneguenza la disfatta delle banche centrali e della loro presunta onniscienza, mentre i pazzi, dopo aver deformato il tessuto sociale, familiare e imprenditoriale, pur di far proseguire l'illusione pianificatrice dell'economia finiranno per cannibalizzarsi a vicenda.

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