martedì 29 dicembre 2015

Rifugiati e migranti in un mondo d'interventismo statale

Il seguente è un breve articolo per esporre le criticità del sistema statale per quanto riguarda i flussi migratori. Prima di iniziare la lettura è bene che vengano letti questi due saggi di Hoppe (1 e 2) in cui si delineano i punti chiave che compongono il prototipo dell'idea libertaria di società libera. Infatti se vivessimo in una società libera non esisterebbe alcuna immigrazione, poiché ogni proprietario sarebbe in grado di decidere se accettare o meno i rifugiati. Non solo, ma esisterebbero anche enclave comunitarie così come società caritatevoli che aiuterebbero coloro in difficoltà. Perché lo credo? Perché, caro lettore, so che stai pensando proprio a questo e di conseguenza sarebbe tua responsabilità finanziare una società simile. Ognuno sarebbe costretto a seguire quell'adagio statunitense che recita: "Put your money where your mouth is." Invece, ahi noi, viviamo in una società in cui lo stato prevarica in ogni settore e questo complica enormemente le cose, poiché quel manipolo d'individui che sforna leggi presumibilmente giuste non lo fa in accordo con la volontà del mercato bensì con la volontà clientelare. Questo significa che i problemi che si adoperano di risolvere, non rappresentano altro che le soluzioni fallimentari implementate per problemi precedenti di minore impatto. Infatti è colpa del sistema statale moderno se la proliferazione di gruppi terroristici è più viva che mai, ed è sempre colta del sistema statale moderno se la proliferazione di correnti migratorie è più imponente che mai. È chiaro che i veri rifugiati politici necessitano aiuto, soprattutto in considerazione del fatto che è stato l'occidente a scatenare un vespaio in Medio Oriente e in Libia. Ma più di tutto, è necessario smettere di seguire quelle strade che c'hanno condotto a questo caos e ciò significa non alimentare la macchina bellica e non sostenere quei partiti estremisti che sfruttano solamente una scusa per arrivare al potere e al vostro portafoglio.
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di Per Bylund


Il mondo prima del 1914 non aveva problemi legati all'immigrazione o alle relative politiche, e non c'erano controlli approfonditi alle frontiere. Invece c'era una libera circolazione; non c'erano domande, le persone venivano trattate con rispetto e non avevano nemmeno bisogno di documenti ufficiali per entrare o uscire da un paese. Tutto questo è cambiato con la prima guerra mondiale, dopo la quale gli stati sembravano fare a gara a chi avesse l'atteggiamento meno umano riguardo gli stranieri che cercavano rifugio.

Le "politiche sull'immigrazione" degli stati moderni sono l'ennesimo sistema di autorizzazioni del ventesimo secolo: lo stato ha imposto un controllo al movimento. È praticamente impossibile muoversi tra i confini artificiali del territorio statale alla ricerca di opportunità, amore, o lavoro; c'è bisogno di un'autorizzazione rilasciata dallo stato per spostare il proprio corpo e attraversare un fiume, una montagna, o una foresta. Il muro di Berlino può essere stato abbattuto, ma il principio di base è ancora vivo.

I controlli sull'immigrazione non sono diversi da altri tipi d'autorizzazioni, anche se è stato assegnato loro un nome speciale. Il sistema delle autorizzazioni ha lo stesso risultato indipendentemente da ciò che viene autorizzato: la concessione di licenze mediche provoca malasanità ad un costo maggiore così come la concessione delle licenze dei taxi provoca un servizio scadente ad un costo maggiore — le licenze legate agli spostamenti significano una libertà limitata e tasse più alte per le persone (che siano "cittadini" o "stranieri"). Da un punto di vista libertario dovrebbe essere chiaro che tutte le licenze devono scomparire, comprese quelle per gli immigrati.

Ciononostante il tema immigrazione sembra che faccia emergere solamente divisioni all'interno della corrente libertaria, con due punti di vista apparentemente contrastanti su come trattare la crescita della popolazione attraverso l'immigrazione. Da un lato, non è possibile sostenere una politica regolata, poiché lo stato stesso non è legittimato. Questo è il punto di vista libertario piuttosto classico sull'immigrazione: frontiere aperte.

Dall'altro lato, la teoria dei diritti naturali e, in particolare, i diritti della proprietà privata, ci dicono che chiunque può muoversi ovunque — ma prima deve acquistare il proprio pezzo di terra su cui vivere, o ottenere il permesso necessario da parte del proprietario. In caso contrario, l'immigrazione diventa una violazione dei diritti di proprietà, una trasgressione. Si tratta di un'interpretazione delle politiche libertarie presentata da Hans-Hermann Hoppe pochi anni fa, e sin da allora ha acquisito riconoscimento e sostegno sempre maggiori.

Per uno spettatore non libertario, la discussione delle due alternative può sembrare assurda. Cosa ce ne facciamo di questa idea libertaria, se le persone non sono d'accordo su una questione semplice come l'immigrazione? Ho intenzione di dimostrare che l'idea libertaria è solida, e che non c'è ragione per cui non dovremmo essere in grado di raggiungere un consenso sulla questione dell'immigrazione. Entrambe le parti in questo dibattito, la fazione anti-statale e la fazione pro-proprietà privata, non riescono a capire che non c'è una reale contraddizione nei loro punti di vista.



La Tesi delle Frontiere Aperte

Coloro che sostengono la tesi delle "frontiere aperte" affermano che i confini statali sono artificiali, ovvero, creazioni basate sui poteri coercitivi dello stato e quindi non legittimi. Stando così le cose, non potremmo (o meglio, non possiamo) regolamentare l'immigrazione. Ognuno avrebbe il diritto di stabilirsi e vivere dove vorrebbe. Si tratta di una questione di diritto naturale; nessuno avrebbe il diritto d'imporre la sua decisione a meno che non fosse un atto di legittima difesa qualora qualcuno stesse violando i suoi diritti.

In un ordine mondiale basato sui diritti naturali, questo sarebbe vero. Si tratta di una regola d'oro, una regola universale empirica prescrivente rapporti pacifici reciproci; se qualcuno mi attacca, o tenta di praticare forza contro di me, ho il diritto ad usare la forza per difendere me stesso e ciò che è mio.

Il problema con questa idea è che ingloba un punto di vista troppo macro. Mentre afferma che non ci dovrebbero essere stati, e quindi niente confini statali, presenta argomenti che partono da una divisione dell'umanità in nazioni territoriali ed etnie. Infatti, se il nostro discorso parte dall'idea libertaria, non è possibile trarre conclusioni in materia d'immigrazione riguardo, per esempio, gli Stati Uniti. Che cos'è "l'immigrazione" in un mondo senza stati?



La Tesi Pro-Proprietà

Un punto di vista meno macro sull'immigrazione è sottinteso nella discussione pro-proprietà. In questo caso il punto di partenza è il diritto naturale dell'individuo di compiere le proprie scelte e il suo diritto alla proprietà personale. Dal momento che tutti noi abbiamo il potere di creare valore mettendo a lavoro le nostre menti e i nostri corpi, godiamo anche di un diritto naturale di "fare come ci pare" con quello che abbiamo creato. O, come dice Hoppe, "[in] un ordine naturale, l'immigrazione è lo spostamento di una persona da un quartiere-comunità ad un altro."

Di conseguenza la questione dell'immigrazione viene risolta attraverso le scelte degli individui; come agiscono e interagiscono al fine di raggiungere i loro obiettivi. Se non vi è nessuno stato, non può esistere alcuna politica sull'immigrazione — esistono solo gli individui, le loro azioni e i loro diritti (sulla proprietà). L'argomento "frontiere aperte" non solo è irrilevante, non riesce neanche a comprendere come i diritti di proprietà possano regolare naturalmente il movimento. Dal momento che tutta la proprietà dev'essere posseduta e creata dall'individuo, lo stato non può possedere proprietà. Inoltre, quella proprietà attualmente sotto il controllo dello stato, è stata rubata agli individui — e dev'essere restituita una volta che lo stato viene abolito, in quanto i diritti di proprietà sono assoluti. Nel mondo occidentale non vi è quindi alcun terreno di proprietà di chicchessia affinché possa essere homesteaded, e così le "frontiere aperte" sono in sostanza un concetto privo di significato.



L'Utopia Libertaria

In una società libera l'immigrazione verrà limitata in modo naturale, dal momento che tutta la proprietà fondiaria (almeno nel mondo occidentale) è legittimamente di proprietà d'individui autonomi. Proprio come Nozick sostiene nel suo Anarchy, State, and Utopia, una società fondata sui diritti naturali dovrebbe onorare e rispettare i diritti di proprietà e i legittimi proprietari, nonostante il fatto che l'umanità sia stata saccheggiata per secoli da una classe parassitaria.

Però, una volta scomparso lo stato, non è affatto chiaro quali siano i criteri per definire la proprietà giusta. Si può dare per scontato che i soggetti (cittadini) di un certo stato abbiano il diritto ad una quota uguale di ciò che è attualmente controllato dallo stato? Sono i legittimi proprietari di ciò che controllano attualmente sotto la protezione giuridica dello stato? Se abbiamo intenzione di ricercare l'origine delle varie proprietà, dobbiamo ripristinare tutte le transazioni fino ai tempi precedenti lo stato moderno, prima delle monarchie e del feudalesimo, e, probabilmente, ad un tempo precedente le città-stato della Grecia antica. Se lo facciamo, come dovremmo considerare i valori prodotti dalle generazioni che stiamo condannando?

Probabilmente non esiste un modo per risolvere questo pasticcio lungo le linee dei diritti di proprietà assoluti. Dovrebbe essere risolto in questo modo, ma oserei dire che è un problema pratico piuttosto che filosofico quando arriviamo a questo punto.



Il Problema dell'Immigrazione e lo Stato

Un altro problema riguardante immigrazione e proprietà emerge quando parliamo dello stato sociale finanziato col denaro estorto ai cittadini. Con la tesi delle frontiere aperte, i diritti legati alla proprietà privata potrebbero essere compromessi ulteriormente se gli immigrati hanno diritto a concessioni speciali quali l'alloggio, la previdenza sociale, la condizione di minoranza, ecc. Inoltre gli immigrati diverrebbero automaticamente parte del sistema parassitario, perché godrebbero del diritto comune d'utilizzare le strade pubbliche, le scuole pubbliche e l'assistenza sanitaria pubblica — senza averli pagati (ancora).

Il concetto di diritti legati alla proprietà privata sembra offrire una soluzione, ma non rappresenta davvero una via d'uscita: non è così semplice come dire "diritti alla proprietà privata — sì o no?". I diritti legati alla proprietà privata rappresentano una posizione filosofica che offre un quadro moralmente superiore su come strutturare la società, ma non offre una guida su cosa fare con la non-proprietà, come quella controllata attualmente dallo stato.

È ingannevole dire che tutti i sudditi dello stato sono legittimati a rivendicare la "proprietà dello stato" poiché aventi diritto ad una retribuzione per tutti gli anni in cui i loro diritti sono stati violati. Questa è solo una parte della verità. È anche un dato di fatto che tutta la produzione privata, in una certa misura, è parte del processo di violazione dei diritti, poiché sostenuta direttamente dallo stato mediante sovvenzioni, agevolazioni fiscali, brevetti, protezione della polizia, ecc., o indirettamente attraverso l'interferenza statale coi tassi di cambio, il "protezionismo", e così via. Non esiste più qualcosa come una proprietà privata giusta nel senso filosofico.

Pertanto è possibile affermare che gli immigrati sarebbero parassiti sociali in misura maggiore rispetto, ad esempio, a Bill Gates: Microsoft Corporation ha tratto grandi benefici dalla regolamentazione statale, ma è stata anche punita severamente in un certo numero di modi. Siamo tutti vittime e beneficiari. Naturalmente si potrebbe sostenere che i benefici forzati non sono realmente dei benefici, ma solo un aspetto dell'oppressione. Beh, in tal caso varrebbe la stessa cosa per gli immigrati, anch'essi vittime dello stato (ma forse non quanto io e voi).



Una Posizione Libertaria sull'Immigrazione

Non dobbiamo dimenticare che il libertarismo non è un dogma teleologico; piuttosto esso considera la libertà individuale e i diritti come il punto di partenza naturale per una società giusta. Quando le persone sono veramente libere, non importa cosa accadrà. Quindi la questione non è quali saranno gli effetti di una certa politica riguardo l'immigrazione, ma se ce ne dovrebbe essere una.

Da un punto di vista libertario, non è rilevante discutere se sostenere la politica d'immigrazione A, B o C. La risposta non è frontiere aperte, bensì niente confini; la tesi libertaria non è se i diritti legati alla proprietà privata limitano l'immigrazione o meno, ma se una società libera è basata sulla proprietà privata. Entrambi questi punti di vista sono libertari — ma applicano l'idea libertaria da angolature diverse. La tesi delle frontiere aperte fornisce la posizione libertaria sull'immigrazione da un punto di vista macro, e sottolinea pertanto i valori libertari della tolleranza e dell'apertura. La tesi della proprietà privata fornisce la posizione micro e sottolinea pertanto i diritti individuali e naturali.

Non vi è alcun conflitto tra questi punti di vista, tranne quando uno qualsiasi viene presentato come una politica da far attuare allo stato. Considerando  lo stato com'è oggi, noi libertari dovremmo favorire le frontiere aperte o i diritti di proprietà (con le rivendicazioni dei cittadini sulla "proprietà dello stato")? Entrambi i punti di vista sono problematici quando applicati all'interno del modello statale, ma non si contraddicono a vicenda; non sono opposti.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


9 commenti:

  1. Tematica complessa. Ma, tuttosommato, oggigiorno è un nonproblema, data la realtà.
    Semmai, mi pare utile sottolineare che tutto ciò che viene imposto topdown in modo coercitivo ed arbitrario ed ammantato come politically od economically correct è una forma occulta di stato etico. E pertanto è atto o modello comportamentale contrario alla libertà individuale.

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  2. L'umanità senza Stati è e resterà un sogno.
    Il motivo è molto banale e lo si trova leggendo la storia dell'umanità.
    Guardiamo ad esempio il 1700.
    Pieno boom del mercantilismo britannico : ai mercanti lo Stato faceva comodo; si facevano fare leggi su misura, imporre monopoli (a proprio favore), imporre dazi, ecc... Gli Stati che li rendevano "Liberi" di fare quello che volevano, anzi li proteggevano anche da pirati, concorrenti, ecc.
    Che potevano volere di meglio ?
    Guardate oggi : come potrebbe vivere una multinazionale del farmaco senza i brevetti (e le relative leggi che li regolano) ? E le case discografiche senza i Copyright?
    Questi gruppi sarebbero i primi a volere lo Stato con le sue leggi; sono troppo importanti per preservare i loro bilanci.
    Così com'era successo nel medioevo con le Corporazioni.
    In poche parole,
    il sogno libertario resta un sogno per il semplice motivo che gli interessi "economici" degli uomini e dei loro "mestieri" - come la storia ha dimostrato - necessitano degli Stati e alla lunga portano alla loro nascita.
    Che gli Stati siano pesanti ed ingombranti, sono assolutamente d'accordo. Che abbiano causato disastri in Libia e Medio Oriente anche. Che le banche centrali stiano sperimentando un nuovo modo di "gestire" i cittadini, lampante.
    Che gli stati attuali siano una commistione di interessi partitocratici, OK.
    Ma che il grande default, al quale presumi non manca poi tanto, porterà alla sparizione degli stati (come sperano i liberisti) lo credo improbabile.
    Così com'è improbabile che si scelga di tornare alla scrittura sulla pietra.
    Un'ultima considerazione di tipo "comportamentale" (che sia prasseologia ? Non so) :
    Gli uomini vogliono essere governati, vogliono dei leader (magari da votare), e vogliono delle leggi più vicine possibili alle loro necessità ed ai loro comodi.
    E lo Stato risponde a tutte queste cose.....Amen

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    1. Vorrei suggerirti questa lettura Marco. E' un saggio del professor Van Creveld diviso in tre parti: Lo stato: ascesa e declino.

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    2. Molto strano ed altalenante il messaggio di Van Creveld. Su alcune cose sono d'accordo, su altre no. Talvolta è chiaro che vive su un altro continente.
      Ma condivido l'analisi-accusa che la "UE" è un nuovo maxi-stato, evoluzione di quelli attuali. E aggiungo, il TTIP è un tentativo di ulteriore allargamento Europa+Nordamerica. Sbaglio ?
      Comunque nei suoi discorsi (parte II mi sembra) sono emerse le corporazioni e le multinazionali delle quali accennavo.
      La creazione degli Stati non è così fumosa sembra intendere Van Creveld : i mercanti pagano i politici (cioè...contribuiscono alla loro campagna elettorale) perchè promulghino leggi a loro favore.
      E di conseguenza lo stato si ingrossa sempre più.
      In tutti questi pensatori, manca il contatto fianco a fianco dei politici. Capirebbero che tutto avviene molto più banalmente di quanto si possa pensare.

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    3. No Marco, non sbagli. Il TTIP non è altro che fumo negli occhi, poiché serve solamente ad allargare l'influenza che hanno gli stati sull'economia mondiale. È il potenziamento del NAFTA. È un passo in più verso il NWO. Ma è semplicemente questo l'esito finale a cui mira una pianificazione centrale: controllo totale. Non potrà mai averlo per quanto ci prova. Il libero mercato riesce sempre a trovare l'alternativa per scardire i piani presumibilmente ben congeniati dai pianificatori centrali. Bitcoin è un esempio. Tor è un altro. Ma ce ne sono molti di più. Il futuro non prevede una vittoria finale della centralizzazione, bensì una sua lenta agonia a causa della progressiva emersione di una maggiore decentralizzazione.

      Se poi a ciò ci aggiungiamo la bancarotta dei sistemi previdenziali, lo stato, con la sua implosione, lascerà un vuoto. Il problema è questo, quindi: cosa riempirà quel vuoto? Secondo Van Creveld le multinazionali. Un bene? Un male? Chi lo sa. Sta di fatto che io sono d'accordo con quello che North ha sostenuto nell'articolo di lunedì scorso: il capitalismo vincerà. Ciò che North delineava altro non è che quello di cui le persone hanno bisogno. Di cosa hanno bisogno le persone per sostenere la loro vita e il loro benessere? Risposta: soddisfare le loro esigenze. Non è un caso che circolino parecchie foto ironiche in cui si prendono in giro sosenitori del socialismo/comunismo sfoggianti oggetti tecnologici d'ultima generazione realizzabili solamente con la divisione del lavoro in un libero mercato. Quest'ultima è possibile solo attraverso una sistema produttivo basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione. Ovvero, la conoscenza decentrata.

      È un consenso implicito, quindi, perché al momento questo metodo produttivop è il migliore che sinora sia esistito. È questo metodo produttivo che in una generazione ha trasformato l'Inghilterra e gli Stati Uniti in potenze industriali. Sebbene quello di oggi sia un capitalismo clientelare distorto dalle ingerenze dello stato, la struttura di base rimane la stessa. Perché? Perché questo metodo produttivo è il migliore che al momento l'umanità conosce. Quindi in caso di fallimento si tornerà sempre all'ovile, ovvero, ad una versione del capitalismo di libero mercato.

      (Ulteriori approfondimenti sulla nascita dello stato: http://francescosimoncelli.blogspot.it/search/label/Franz%20Oppenheimer)

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    4. Carissimo Francesco,
      il problema che pongo è diverso.
      I vari analisti tralasciano la "commistione" tra le (grandi) aziende e lo Stato. Che esiste dal tempo della "Compagnia delle Indie".
      Non c'è nessun complotto.
      E' quello che accade da sempre.
      La tua frase quindi andrebbe riformulata in questo modo :
      "Sebbene quello di oggi sia un capitalismo clientelare distorto dalle ingerenze DELLO STATO E NELLO STATO, la struttura di base rimane la stessa."
      La questione Aziede-Stato è reciproca, bidirezionale.
      Non monodirezionale.
      Guarda le Leggi che vengono promulgate in Italia, negli USA, dalle Direttive dell'Unione Europea (che conosco molto bene),ecc..
      Si legifera soprattutto per favorire il commercio, i prodotti, la libera circolazione, ma alla fine questi atti vanno soprattutto a favore delle grandi imprese, perchè hanno le strutture sufficienti per gestirle (di certo non l'artigiano!).
      Direttive e regolamenti che le grandi aziende sono le prime a chiedere.
      Così le grandi imprese diventano ancora più grandi, e idem gli Stati
      In una spirale senza fine.
      Un effetto reciproco.
      Come ripetutamente ci fai notare, gli Stati stanno per implodere e con essi i sistemi previdenziali, quelli bancari, monetari, ecc....
      Ma le multinazionali senza stati (che le proteggono, ad esempio con i Brevetti), senza banche che le "foraggiano" oltre misura, non possono esistere.
      Alla fine imploderanno entrambi.
      Come sento ripetere "finirà male"
      Ma mi sa... che finirà molto peggio.

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    5. Beh, avete ragione tutti e due.
      Anche io sono convinto, e già lo scrissi, che le multinazionali esistano soltanto perché sono imprese privilegiate, imprese imperiali, come lo era la Compagnia delle Indie, che sono sostanzialmente fuori dal mercato (inteso in senso ideale, cioè libero perché alla mercé esclusiva dell'imprevedibilità dei consumatori), ma, anzi, sono in grado di condizionarlo a proprio favore, con le buone e con le cattive. Che senza le protezioni politico-finanziarie (fiatmoney power) difficilmente avrebbero raggiunto le dimensioni globali che conosciamo. Che, probabilmente, senza quel sostegno non potranno durare come oggi le conosciamo.
      Ma è anche vero che il mercato, essendo fenomeno dinamico, mutevole, e, nonostante tutto, incontrollabile di interazione tra le scelte e le iniziative di miliardi di individui, alla fine e comunque, rende obsoleto qualsiasi atto coercitivo di controllo e blocco finalizzato alla conservazione dello status quo da parte della elite al comando.
      In pratica, come accaduto ogni altra volta nel corso del tempo, nulla è mai stato in grado di resistere al cambiamento. Too big to fail fu Roma, fu Carlo V, fu l'Impero Britannico, fu l'URSS. Vicende storiche diverse, che però hanno sempre seguito un percorso più o meno simile e lungo di ascesa, culmine e declino irreversibile.
      Oggigiorno, il potere è diventato un articolato e complesso groviglio di politica e finanza, che si regge su basi ideologiche tanto vecchie quanto folli (il dominio dell'intero pianeta) da parte di elite che si sono convinte di poter "spaventare il tempo" (come si diceva delle piramidi di cui effigiano il loro denaro), ma che per la propria esaltazione hanno peccato di arroganza illimitata arrivando a corrompere irrimediabilmente il mezzo imposto a tutti per gli scambi, ed ora il loro potere barcolla tragicamente anche se sembra too big to fail.
      Too big to fail sono i loro obiettivi, le loro ambizioni, le loro false promesse. Non riusciranno a farcela perché troppo in là è andato il loro azzardo. Ancora una volta, pensando di edificare il paradiso in Terra, stanno creando l'inferno: molti individui perdono la vita, molti altri perdono più o meno inconsapevolmente la libertà. E' già successo, succede, continuerà a succedere.
      Assistiamo ed assisteremo, chi più e chi meno coinvolti e succubi, ad un tragico spettacolo fatto di illusione, mistificazione e confusione, di QE finanziari (svalutazioni e predazioni), di QE politici (controlli e divieti), di QE militari (guerre e minacce), tutto finalizzato a puntellare un tracollo storico, un fallimento epocale che sarà scaricato sui meno avveduti e sui meno protetti.
      "Speriamo che io me la cavo"...
      Diffondere la consapevolezza della situazione fa tanto Cassandra, ma qualcuno dica se, fino ad ora, l'epistemologia austriaca non c'ha preso sulla china fallimentare degli interventi politicofinanziari locali e globali.

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    6. A proposito: "too big to fail" è una "cagata pazzesca". Non esiste too big to fail. Semmai esiste "too big sure fail" come dimostra il bel saggio di Guglielmo Piombini su Leopold Kohr.
      http://www.rischiocalcolato.it/blogosfera/la-superiorita-delle-piccole-nazioni-nel-pensiero-di-leopold-kohr-127977.html

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  3. Il concetto "Too big to fail" è stato espresso nel libro "Manifesto Capitalista".
    Zingales lo intendeva in senso negativo, perché è un messaggio che negli USA viene inculcato ai politici sulla necessità di interventi statali al minimo segno di crepe sulle grandi banche.
    Il banchiere dice : caro politico, la nostra azienda è enorme, se crolla ci saranno danni enormi, quindi tu DEVI intervenire se abbiamo problemi.
    Zingales, con onestà, condanna questo tipo di politica.

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