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venerdì 18 dicembre 2015
Dinamismo e staticità, due modelli di ragionamento economico a confronto
di Francesco Simoncelli
Quando si fanno previsioni, di qualsiasi natura, bisogna stare attenti. È in gioco la propria reputazione? In parte. In realtà state mostrando ad un pubblico interessato le vostre capacità d'analisi applicate ad una particolare situazione. In economia non esiste niente di paragonabile ad una previsione del futuro. Nessuno può prevedere il futuro. Il futuro è dinamico. Il presente è statico, ma è una staticità fugace, ovvero, la vostra analisi può interessare un particolare istante ma già da quello successivo è vecchia e pressoché inutile. La connessione dei vari punti del presente per predire il futuro? Buona fortuna. La dinamicità del futuro è garantita dalla presenza di una innumerevole quantità d'informazioni che vengono scambiate ad una velocità e ad un volume che il cervello umano non riesce ad analizzare. Le nostre facoltà cerebrali, infatti, sono particolarmente efficienti quando ponderano sui dettagli e non sugli insiemi. Detto in altro modo, riusciamo a migliorare il nostro benessere e la nostra vita quando ci concentriamo esclusivamente sulla riuscita dei nostri progetti. Questo è un bene per la società nel suo complesso. Questo significa che il miglioramento della nostra condizione di vita permette anche a qualcun altro di godere della possibilità di migliorare la propria.
Un imprenditore che, ad esempio, fa buon uso delle sue capacità analitiche in campo commerciale ed espande la produzione della sua impresa, oltre ad ottenere benefici personali distribuisce anche opportunità ai consumatori (sotto forma di maggiori beni di cui godere) e ai lavoratori (sotto forma di nuovi posti di lavoro). Lo fa per caso perché è preoccupato per la disoccupazione nella società nel suo complesso? No. Lo fa perché la banca centrale creerà maggior denaro rispetto alla quantità di beni esistenti e quindi è suo dovere ovviare a tale situazione creando una bacino superiore di beni? No. Lo fa perché c'è bisogno di stimolare il PIL del paese? No. E allora perché lo fa? La sua unica preoccupazione è quella di migliorare le proprie condizioni di vita e di benessere, e le sue azioni sono indirizzate a massimizzare questo risultato facendo ricorso ai segnali che gli arrivano dall'ambiente che lo circonda. Senza questi segnali non saprebbe dove e come operare un calcolo economico. Studiando i costi e benefici che avrà una determinata scelta finanziaria, saggerà le condizioni che potrebbero portare all'espansione dell'attività imprenditoriale.
Studiando la domanda e l'offerta dei prodotti, includerà nel suo quadro d'analisi una componente fondamentale per la produzione; e, infine, osservando il bilancio tra profitti perdite, avrà per le mani il risultato delle sue scelte. Giuste? Sbagliate? Non lo sa mai prima, l'imprenditore non è un individuo che fa previsioni. Non è stregoneria. Segue uno schema che aggiorna passo dopo passo. L'imprenditore di successo, infatti, è quell'individuo che riesce più velocemente ad adattarsi alle nuove condizioni di mercato. Egli è cosciente della legge fondamentale che regola il suo successo. È strettamente legato ad essa. Chi si ostina a non voler seguire rigidiamente questa regola, subirà perdite: il consumatore è il decisore ultimo del suo destino economico.
L'imprenditore non fa previsioni economiche. È economicamente impossibile. Perché? Perché l'azione umana è imprevedibile. Usa il passato (ovvero, il suo bagaglio di conoscenza) come base delle sue decisioni e nel presente tenta di raccogliere quante più informazioni possibili per costruire uno schema analitico con cui operare un calcolo economico quanto più accurato possibile. Lo schema di quell'imprenditore che meglio si adatta a rimodellamenti repentini, è quello che permette all'imprenditore di avere il successo maggiore. Ad esempio, un locale di mia frequentazione ha fatto registrare un boom delle vendite per i torroni contenenti un tipo particolare di miele. Il gestore dell'esercizio commerciale non se l'aspettava. La stagione successiva non poteva non mancare di ordinare suddetti torroni e, scommettendo sulla medesima ondata di vendite, ha deciso di aggiungere alla regolare ordinazione due casse in più. Ma la volubilità dell'azione umana rende gli attori di mercato delle "trottole impazzite", e questo significa che non s'è ripresentata quell'euforia della stagione precedente lasciando invendute addirittura tre casse di torroni. Cosa fare? Il tempo di elaborazione di una soluzione è cruciale, perché altrimenti la strada più ovvia sarebbe stata quella d'abbassarne il prezzo fino al prezzo di produzione giusto per rientrare delle spese. Invece ecco il lampo di genio dell'imprenditore di successo che non ha alcuna intenzione di prevedere il futuro, ma deve riadattare la sua intera strategia al cambiamento dei segnali di mercato se vuole raggiungere il successo. Il tempismo è tutto. Di conseguenza ha deciso di organizzare una lotteria in cui ha inserito la maggior parte dei torroni invenduti. Risultato: guadagni superiori a quelli che avrebbe registrato con un abbassamento al prezzo di produzione.
L'imprenditore, quindi, è sempre scettico. Sempre in dubbio. Tale scetticismo è figlio del fatto ch'egli agisce in base a degli schemi e cambiandoli in base ai segnali che riceve, imposta la propria strategia. Più il suo schema è sensibile al dinamismo, meglio soddisferà i consumatori e più avrà successo. L'economista, o perlomeno quello con un impianto teorico Austriaco alle spalle, svolge il suo ruolo allo stesso modo. Le sue affermazioni sono dettate da uno schema metodologico preciso che trova riscontro nella dipanazione degli eventi. Ad esempio, quando Ludwig von Mises scrisse nel 1920 Economic Calculation in the Socialist Commonwealth, non stava affatto prevedendo il futuro crollo dell'Unione Sovietica. La sua non era stregoneria o una "cassandrata" nei confronti di un particolare popolo. Il contenuto di quel saggio si basava su un quadro analitico e metodologico e preciso a cui i fatti nel corso del tempo hanno dato ragione. Richard Heilbroner, in un articolo del 1990 sul New Yorker intitolato After Communism, diede sostanzialmente ragione a quello che Mises aveva scritto 70 anni prima. La giornalista Judy Shelton l'aveva capito un anno prima del suicidio del Partito Comunista russo. Paul Samuelson, invece, non l'aveva capito. Perché? Perché carente di un quadro analitico e metodologico preciso. Infatti arrivò ad affermare che l'URSS avrebbe superato, tecnologicamente ed economicamente, gli Stati Uniti nel decennio successivo agli anni '80.
L'URSS, invece, cadde sotto il peso delle sue contraddizioni ed inefficienze nel 1989. L'imrpenditorialità di Samuelson e dei keynesiani non si basa sui segnali del libero mercato, si basa sulla staticità eterna d'istantanee di mercato. Non sono attenti ai segnali lanciati dal mercato. Nel suo caso specifico, non si accorse dell'imbarazzo stampato sui volti dei leader sovietici quando alle olimpiadi del 1984 videro come fosse alto il livello di benessere tra la gente comune occidentale. Sebbene loro vivessero nel lusso, comparato ai gioielli e agli orologi sfoggiati dagli occidentali, non erano niente. Non si accorse come i leader sovietici erano dei vecchi decrepiti. Al mondo intero apparivano come dei vecchi bacucchi minaccianti ritorsioni belliche dalla loro infima altezza dovuta a schiene ricurve supportate solamente da deambulatori. Ormai c'era condiscendenza, non più paura. Pensate, al contrario, a come appariva Reagan. Sempre indaffarato nel suo ranch. A cavallo. Ad aggiustare staccionate. Dinamico. Non si accorse di come il politburo russo mandò in occidente studiosi russi affinché imparassero un metodo, o un trucco, per implementare anche nella loro madre patria una borsa valori. Tutto quello che potevano fare era copiare, perché la loro economia mancava delle basi solide per avere un mercato solido, sostenibile e prospero.
Quindi, Ludwig von Mises e F. A. Hayek non predissero affatto il futuro quando nei loro saggi affermarono che le economie di comando sarebbero crollate. Stavano semplicemente costruendo e affinando modelli analitici e metodologici in base ai segnali che il mercato lanciava in tutto l'ambiente economico. Che poi questi modelli d'indagine economica si siano dimostrati corretti è solamente sinonimo di un'attenta ponderazione del dinamismo dei mercati. Nelle loro menti c'era la ricerca della libertà e la libertà è dinamicamente associata all'azione umana. Era questa la critica di Mises e Hayek: imporre la staticità ad un sistema dinamico porterà a conseguenze inattese e poi al crollo. Sapendo quale fosse il ruolo cruciale della dinamicità all'interno dell'ambiente di mercato, qualunque imposizione da parte di enti centrali di un percorso obbligato sarebbe fallita. Tutti quegli apparati sociali che desiderano regolare e direzionare la società composta da miliardi di scelte e azioni, non conosceranno altro risultato che il fallimento. Questa non è affatto una previsione del futuro. Perché? Perché la pianificazione centrale non permette l'avvento di alcun futuro. Oggi non c'è fiducia nel futuro perché la pianificazione centrale lo sta smorzando con la sua fede innaturale in un presente continuo. La fiducia nel futuro è in contraddizione con la sua stessa essenza, ormai, la quale si fonda su un presente sempiternamente caratterizzato da un istante temporale scelto arbitrariamente dalla pianificazione stessa ed elevato a modello supremo. Gli interventi centrali servono proprio a questo: imporre il più a lungo possibile l'istantanea temporale sulle scelte individuali. È per questo, tra l'altro, che falliscono questi interventi, proprio perché tentano di trattenere per la giacchetta persone che corrono.
Provate a sgomberare la mente e ad immaginare la scena. Una dozzina di burocrati grassocci e grondanti sudore che cercano con movimenti goffi del corpo di strattonare e tirare per gli indumenti un fiume di persone che va in mille direzioni diverse. Dal punto di vista visivo, non c'è migliore immagine di questa qui sotto che possa rappresentare questo esempio:
E questo ci riporta alla questione economica. I pianificatori monetari centrali hanno congelato il ciclo economico del 2008 attraverso misure economiche senza precedenti. Non hanno permesso una piena pulizia dell'ambiente di mercato dagli eccessi accumulati durante il boom immobiliare. E' importante notare, infatti, che il grado d'invasività è nettamente aumentato. Ovvero, per mantenere vivo il quadro statico attraverso il quale la pianifiazione centrale riesce a dare segni di controllo, sono state messe in campo misure economiche che nella storia non s'erano mai viste e nelle sale accademiche venivano sdoganate come folli. Dopo il 2008 l'establishment accademico è rimasto silente di fronte all'armamentario messo in campo dalle banche centrali, annuendo sommessamente davanti alle pazzie sfoggiate dai vari paesi. Il primo fra tutti, il Giappone. La persistente intrusione della pianificazione centrale nei mercati ha dato forma a due economie che si stanno distanziando sempre di più: quella artificiale alimentata dagli interventi centrali, e quella reale che annaspa a causa della stagnazione a cui è costretta.
La crescita del patrimonio netto della FED fino agli attuali $4,500 miliardi non ha fatto nulla per la popolazione statunitense, invece, ridistribuendo le risorse scarse presenti nell'ambiente di mercato, ha permesso ad entità in bancarotta di sopravvivere artificialmente e permeare l'ambiente di mercato con maggiori distorsioni e deformazioni a causa di una loro offerta di beni per cui in realtà non c'era domanda. Se riescono a sopravvivere è solo grazie all'ingegneria finanziaria abilitata dalle banche centrali. Ciò che hanno da offrire è obsolescenza, non innovazione. Ciò che hanno da offrire è un'offerta di beni che nessuno vorrà, facendo quindi calare i loro profitti e ritrovandosi in necessità di un altro salvataggio. Nel processo, però, i segnali di mercato attraverso i quali gli imprenditori operano le loro scelte risultano annebbiati, impedendo loro di ricorrere al sestante per eccellenza che guida le loro strategie d'impresa. Ciò li spinge a commettere errori. Ciò equivale a salvaguardare una manciata d'alberi in una foresta che sta bruciando. Ciò spinge, quindi, per una recessione.
Ai tempi di William McChesney Martin e Paul Volcker questa parola era accettata per quello che era: un percorso di pulizia per gli eccessi del passato. Ha ancora questa connotazione. L'unico problema è che gli interessi clientelari si sono espansi a tal punto che richiedono d'essere mantenuti in vita a tutti costi, pena un loro crollo. L'imposizione di un quadro analitico statico serve a sostenere un sistema economico/finanziario che ha fondato le sue basi sulla religione dell'interventismo e della risoluzione dei problemi attraverso la ristretta rete d'informazione di una manciata di burocrati. E' per questo motivo che il FOMC è arrivato addirittura a livelli di ciarlataneria supremi ammettendo di poter "prevedere" il futuro. La cosiddetta forward guidance è proprio questo. In realtà, non ne possono fare a meno, così come gli 82 mesi di ZIRP senza miglioramenti visibili. L'invadenza aumenterà la sua portata, perché al minimo livello di destabilizzazione il castello di carte costruito su queste basi fatiscenti potrà crollare. Questa è l'essenza del piccolo capolavoro di Ludwiv von Mises del 1950, Planned Chaos.
Ogni minimo particolare dovrà essere controllato altrimenti la reazione a catena sarà devastante. Ma come faceva a saperlo Mises che, nonostante le continue ed esponenziali intrusioni, l'economia pianificata soccomberà? Come faccio a saperlo io? Vi basta guardare ai fondi pensioni che vengono fatti a pezzi dall'offerta d'acquisto furiosa di bond sovrani da parte di hedge fund, banche centrali e banche commerciali, la quale sta abbassando a livelli ridicoli i loro rendimenti. Nei fondi pensione non esiste alcun asset liquido che possa sostenere la marea di nuovi pensionati in arrivo, c'è solo una pila di IOU che dovrebbe generare interessi e coi quali pagare tali pensioni. Tra qualche anno i raid nei fondi pensione diventeranno la norma. Poi gli assegni smetteranno d'arrivare e lo stato dovrà dichiarare bancarotta per le sue promesse. Questa non è una previsione del futuro, ma l'utilizzo di un modello analitico metodologicamente ed epistemologicamente chiaro che riesce a scorgere le trame verso dove è diretta la painificazione centrale. Non sto prevedendo il futuro, mi sto semplicemente rifacendo a quello che ogni volta la storia c'ha ricordato: la pianificazione centrale dell'economia porta inevitabilmente al suo fallimento. E' possibile intravedere la fine di questo sistema pseudo-economico, perché la sua fine è segnata non appena viene implementato. Mises "sapeva" che, ad esempio, un'economia di comando sarebbe fallita perché sapeva che il modello su cui si basava era fallace fino al midollo. Anche F. A. Hayek lo sapeva. E così tutti gli Austriaci. Io vi sto dicendo ora che "un'economia mista" è anch'essa destinata a fallire, poiché non ha futuro. Non esiste libertà a metà: o c'è o non c'è. Altrimenti la sua soppressione progressiva porterà ad un lento scivolamento verso un'economia di comando. Ed è proprio quello che stiamo vedendo sia in occidente che in oriente.
Ciò esclude però i keynesiani, i quali, invece, basano il loro modello analitico sulla possibilità di un perduramento di un'economia statica. Il loro vantaggio è quello d'essere accademicamente influenti. Ma hanno commesso un errore. Lo stesso che commisero i loro colleghi durante la Grande Depressione degli anni '30: hanno annuito sommessamente alle politiche senza precedenti implementate sin dal 2008 dalla pianificazione monetaria centrale. Ciò che spianò la strada ai keynesiani nel 1936 fu la mancanza di spiegazioni di libero mercato della depressione che attanagliava gli Stati Uniti. Oggi gli Austriaci e gli economisti di libero mercato avranno la loro possibilità d'essere ascoltati perché stanno fornendo una spiegazione coerente e precisa all'attuazione stagnazione economica. Tutte le politiche monetarie e fiscali hanno fallito. Non hanno risolto nulla. Hanno comprato solamente tempo. Tempo per cosa? Per scavare una buca più profonda. In accordo con i dettami del mentore della "new economy", la pianificazione centrale s'è scavata una buca sempre più profonda sin da quando le banche centrali hanno fatto la loro comparsa in questo mondo. Si può morire per aver scavato una buca? Se non potete uscirvi, è un bel problema. Se inizia a piovere il problema si fa ancor più drammatico.
Ironia della sorte, la stessa staticità sui cui finora la pianificazione centrale ha puntato il suo "successo" si rivelerà il suo tallone d'Achille. Diversamente dalle scelte imprenditoriali dei singoli attori di mercato, essa non si può spostare verso posizioni in cui lascia maggiore spazio di manovra al libero mercato. Questo significherebbe rinunciare a porzioni di potere e controllo su cui la pianificazione centrale ha basato parte del clientelismo che la alimenta. Toglierle sarebbe un suicidio politico. Di conseguenza preferisce addentrarsi verso il suicidio finanziario, occupando parti crescenti dell'ambiente economico fino a quando non sarà più in grado di sostenere le vette d'abnormità che raggiungerà. Gli imprenditori sanno bene di cosa sto parlando. Gli statalisti non possono saperlo. Questi ultimi pensano di poter prevedere il futuro e soprattutto pensano che ne faranno parte. Perché? Perché cercano di modellare l'ambiente di mercato a loro piacimento. Per quanto si sforzino, le conseguenze impreviste sono sempre dietro l'angolo. Non sapendo effettuare un calcolo economico in accordo con le forze di mercato, non capiscono quando è tempo di abbandonare determinati investimenti e riallocare risorse. In un ambiente di mercato permeato dalla pianificazione centrale il consumatore non è il re, né i segnali di mercato sono presi lontanamente in considerazione. La pianificazione centrale, invece, impone la staticità dei suoi modelli e alimenta un clientelismo sfrenato per sostenerlo. Essi possono dire di poter "prevedere" il futuro perché vogliono che tutti gli attori di mercato scelgano QUEL futuro, decisi ad ignorare le scelte individuali.
Anche se i pianificaotri centrali non lo vedono, agire secondo questi dettami ha un prezzo. Nella fattispecie, la legge dei rendimenti decrescenti. In breve, essa entra in scena quando gli imprenditori persistono a voler perseguire un determinato investimento quando invece il mercato sta segnalando tutt'altro. All'aumentare delle perdite, aumenterà anche la probabilità di finire sul lastrico.
Come già spiegato, non essendo la pianificazione centrale in grado d'effettuare un calcolo economico in accordo con le forze di mercato, non sa quando smettere d'accumulare debiti e disavanzi. Persiste nella sua azione di deviazione dei risparmi reali nella società grazie alla forza con cui incamera entrate: tasse e moneta fiat. Sebbene all'apparenza questo possa sembrare un bancomat infinito, in realtà non lo è. La ridistribuzione delle risorse economiche non viene fatta in modo efficiente e in accordo con le forze di mercato, bensì in modo arbitrario e totalmente scollegato da eventuali segnali di mercato genuini rimasti. La deplezione del bacino dei risparmi reali non solo impoverisce la società nel complesso, ma impedirà allo stato d'entrare in possesso di nuove risorse con cui alimentare il bacino clientelista con sui si sorregge. Questo significa che ogni debito contratto produrrà sempre meno PIL. Alla fine questa tendenza s'invertirà e ogni nuovo debito contratto andrà ad erodere unità di PIL. A quel punto la morte della pianificazione centrale sarà solamente ad un tiro di schioppo.
Ripeto, non sto prevedendo il futuro. Non sono un chiromante o un veggente. In un libero mercato tale esercizio sarebbe totalmente futile. Quello che sto facendo è ricordare agli attori di mercato come i modelli statici della pianificazione centrale siano destinati a crollare sin da quando vengono implementati, ed è proprio per questo che essi non hanno futuro. Mi sto limitando ad analizzare un modello economico fallace il cui destino altro non è che quello d'andare in bancarotta. Fino a quando gli errori economici commessi sino ad ora non verranno liquidati e torneranno ad esserci segnali economici genuini, l'attuale sistema economico è destinato a sperimentare un crash epico.
CONCLUSIONI
Se fosse possibile tornare indietro nel tempo al 2007, e cerchereste d'informare i trader e gli individui dei pericoli a cui andrebbero incontro, nessuno vi crederebbe. Peter Schiff è l'esempio più eclatante. Oltre all'euforia del boom artificiale gonfiato dalla FED, persisteva nelle menti della maggior parte degli attori di mercato un imprintig di stampo keynesiano che aborriva qualsiasi messaggio facente riferimento al libero mercato. Dal 2008 le cose sono cambiante. Le politiche non convenzionali stanno cambiando questo imprinting mentale. Il 2008 per i sostenitori di un'economia di libero mercato è stato come il 1936 per i keynesiani: un punto di svolta. L'onnipotenza del settore bancario centrale si sta sgretolando lentamente e la campana di vetro posta per proteggere gli interessi privilegiati si sta incrinando ogni giorno che passa. Quindi se da una parte annunciano misure sempre più invadenti nell'economia e in linea con il loro credo di base keynesiano, dietro le quinte sanno a cosa porterà e fanno quello che i sostenitori di un'economia di libero mercato hanno sempre detto: incamerano oro.
L'economia più ampia l'ha già capito: il Mises Institute ha più traffico online dell'AEA. Il libero mercato, in realtà, non è mai scomparso. E' stato represso, ma non è andato via. Tale repressione, però, non può durare a lungo perché infine i nodi vengono al pettine e l'inconsistente conoscenza ristretta di un manipolo di burocrati non può niente contro la vasta conoscenza del mercato nel suo complesso. All'aumentare della specializzazione della produzione tecnologica e della comunicazione digitale, il decentramento sociale aumenterà e la capacità del manipolo di burocrati d'influenzare l'economia più ampia diminuirà.
C'è da essere ottimisti, quindi: non importa quanto il settore bancario centrale e lo stato abbiano distorto i mercati mondiali, il libero mercato ha sempre lavorato per un'emancipazione da tali deformazioni gettando, nel contempo, le basi per un nuovo inizio. I tempi in cui il credo nel potere salvifico dello stato e la fiducia nell'interventismo keynesiano godevano di una ferrea solidità, sono ormai agli sgoccioli.
speriamo che hai ragione. perche l urss si confrontava con gli usa. ma quando il modello è unico, come si fa a dire "quell altra cosa è meglio?". quando il consumo obbligatorio (es. crediti formativi, bollino gags caldaia, revisione auto, revisione bilanci, grado inquinamento delle abitazioni etc) pervade il mercato privato, si puo attuare un economia pianificata persino senza proprieta pubblica. dunque il discorso tuo vale in presenza di modelli alternativi. cosa succede col modello unico? cosa della narrativa della liberta e della morigeratezza calvinista quando il capitalismo modello è nella cina comunista? si è "poveri" rispetto ad uno "ricco". ma quando il mondo è in catene, quale liberta resta? immagino che bisogna iniziare a ripensare le forme della liberta. che ne ha tante. speriamo che tu abbia ragione.
RispondiEliminaO, detto altrimenti, si ha paura più delle pecore che dei lupi.
EliminaSperiamo bene davvero.
Riccardo Giuliani
gia... hai ben intuito
EliminaNon arrendetevi! Non arrendiamoci! Siamo molto meglio di loro. L'alternativa è individuale, imprevedibile, incontenibile. L'ultimo centimetro... può diventare immenso.
Eliminahttp://youtu.be/Ll0WyzXrRFw
ed io quello dicevo affermando di ripensare le forme della liberta... ;)
EliminaL'articolo è bello, scritto con grande coerenza formale ed il piglio giusto.
RispondiEliminaL'alternativa è sempre in fieri e non sarà univoca. Dinamismo significa proprio che non c'è nulla di immutabile. Tutto scorre sempre. Magari come un fiume carsico. Ma il potere è transeunte come tutto il resto e la metafora del tacchino (Nassim Taleb) calza a pennello: il tacchino ogni giorno viene nutrito e si compiace di questa condizione, tutto va a meraviglia e domani sarà come ieri ed oggi, ma si sbaglia perché domani è il giorno del ringraziamento... Perciò il passato non è un buon indicatore e la ubris esiste, anche se il potere cerca di non pagarne il fio.
Un tempo chi faceva il mio lavoro millantava di spostare voti, di essere un opinion leader per molte persone. Oggi, non credo che si possa minimamente immaginare qualcosa di simile. Tuttavia, quando qualcuno un po' smarrito mi chiede chi votare la prossima volta, io gli rispondo di votare per se stesso, di non fidarsi e non affidarsi più ad altri, ma di responsabilizzarsi il più possibile del proprio destino per liberarsi.
Ecco, getto un seme piccolo piccolo ed a seconda del terreno forse attecchirà o forse no, ma intanto il seme si mette in cammino...
Il futuro è ignoto. Che bellezza! Dalle nostre parti avremo una svolta autoritaria palese dopo la bancarotta? Forse, ma chi lo sa? Altrove vedremo il Texas separarsi dall'Unione? Chissà? Un futuro argentino? Un futuro polacco? Un futuro siriano? Chissà? E se invece andasse tutto per il meglio?
Ma il futuro è già in cammino....