La politica principale che ha tenuto in piedi il teatro kabuki dell'economia mondiale, è stata la volontà delle principali banche centrali di allentare enormemente la loro politica monetaria. Questo fatto, insieme alla ZIRP risultante, ha permesso una gigantesca espansione del credito che ha trovato terreno fertile nel mondo obbligazionario e azionario. Main Street ne è rimasta sostanzialmente fuori. Dopo la depressione del 1929, ci sono voluti 25 anni prima che la borsa di New York si riprendesse. Oggi, invece, le recessioni hanno visto soppresso il loro potenziale di pulizia, con gli stati e le banche centrali che hanno implementato qualsiasi trucco monetario e fiscale per impedire che il processo di liquidazione del mercato facesse il suo corso. Oltre alla loro credibilità, è in ballo la loro solvibilità. L'inevitabile, però, è stato solamente rimandato nel tempo, ad un prezzo e dolore economico maggiorato. Ciò non riguarda solo gli Stati Uniti, ma anche la Cina. Quest'ultima, infatti, sta cercando di fare le scarpe al dollaro e proporre lo yuan come nuova valuta di riserva mondiale. Nessun gold standard o gold exchange standard. Solo la credibilità davanti al mondo che anch'essa è in grado di gestire un simile onere. Per acquisirla sta cercando di far inserire la sua valuta nel paniere dei DSP del FMI. Lo scorso agosto, però, la decisione è stata rimandata a ottobre, e probabilmente è anche per questo motivo che la Cina si sta disfacendo dei suoi Treasuries USA e di altre passività denominate in euro e dollari. Il problema è che chi li sta comprando lo sta facendo con una leva finanziaria mostruosa, esponendosi ad un rischio di controparte enorme. Basta uno shock insignificante dall'altra parte del mondo per intaccare i bilanci di realtà come quella di Element, come ad esempio accadde nel 1998 con LTCM. Un panico ora sarebbe di proporzioni più grandi rispetto a quello del 2008 e, data la situazione critica al COMEX, gli Stati Uniti saranno i primi a dover rispondere ad una domanda che stanno evadendo da tanto tempo: esistono ancora le riserve auree dello zio Sam?
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di David Stockman
Secondo lo zombie-box il tonfo di martedì era solo una "leggera correzione" nel bel mezzo di un mercato toro, la quale ha portato l'S&P 500 a quota 1867. Com'è evidente qui sotto, la prova è stata superata con 80 punti alla chiusura di oggi.
Quindi, secondo le teste di legno rialziste — alle 14 la CNBC ne ospita tre — è il momento di ponderare su tutte le occasioni. Di certo non vorreste perdere questo treno.
Potete vederlo qui in questo grafico. La scorsa settimana il mercato ha raggiunto un minimo già visto l'ottobre scorso, e ha barcollato verso l'alto nel punto in cui ora sta presumibilmente formando un nuovo fondo: 1950. Ricordate, è un processo. Siate pazienti.
Neanche per sogno! Il mondo si sta dirigendo verso una deflazione monetaria senza precedenti — con la produzione e gli scambi commerciali in calo quasi ovunque. Tale implosione sta già sconquassando Canada, Messico, Brasile, Australia, Corea del Sud, Malesia, Indonesia, Russia, Giappone, gli stati petroliferi del Golfo Persico e innumerevoli economie minori. E al centro, naturalmente, c'è lo sfaldamento del Grande Schema di Ponzi della Cina.
Di fronte a questa tempesta economica, i mercati finanziari onesti si sarebbero abbandonati ad una furiosa liquidazione molto tempo fa e, di fatto, non si sarebbero mai avvicinati ai livelli assurdi di oggi. Ma i mercati finanziari sono stati irrimediabilmente danneggiati da due decenni di massiccia intrusione e falsificazione dei prezzi degli asset da parte delle banche centrali. Di conseguenza gli scommettitori di Wall Street e le loro cheerleader non si accorgono dell'incendio intorno a loro.
Così, una di queste cheerleader della CNBC ha rassicurato gli spettatori che l'economia americana scoppia di salute e che la Cina è un grosso problema — ma per i politici di Pechino, non per l'S&P 500.
I "1000 punti di spavento" di lunedi scorso sono in realtà un dono. È ora possibile acquistare al 15X, il che equivarrebbe ad un furto nella mente contorta di questo tipo. Ha detto così, e non senza un'aria infastidita per prevenire che qualcuno potesse pensare il contrario, tanto meno soccombere al panico.
Beh, vediamo. I suoi ragionamenti prevedono un $130 per azione dell'S&P 500 nel 2016. Ma questa è la versione dei sell-side di Wall Street.
Quindi cominciamo parlando di dov'eravamo alla fine del secondo trimestre del 2015 nel mondo reale degli utili GAAP. Vale a dire, il tipo di profitti che i CEO e i CFO certificano alla SEC, pena il carcere, secondo i principi contabili generali.
Si scopre che i profitti netti annuali dichiarati (non oltre i 12 mesi a partire da giugno 2015) dalle 500 più grandi società statunitensi nell'indice, hanno fatto registrare $97.32 per azione. Ma questo è un numero considerevolmente più basso rispetto a quello di $103.12 per azione a giugno dello scorso anno, ed è sceso dell'8% rispetto al picco annuale di $106 per azione a settembre dello scorso autunno.
Ciò significa che il mercato non sta scontando un 15X, ma circa un 20X — che è un tutto altro paio di maniche. Secondo le teste di legno della CNBC, naturalmente, il mercato presenta sempre un 15X ed è sempre un affare.
In ogni caso, come facciamo a saltare dalla voragine di $97 per azione a $130 per azione? Beh, si spaccia una gamba rialzista, si chiudono gli occhi nei confronti di tutto il resto e si spera in un giro d'ottovolante.
In subordine, potremmo tornare indietro ad un punto di flesso quasi identico a quello del 2007, quando la bolla immobiliare di Greenspan si stava avvicinando al suo picco. Per essere precisi, gli utili GAAP all'epoca erano circa $85 per azione e il secondo trimestre del 2007 si chiuse con l'indice a circa 1500, o il 4% inferiore rispetto al picco dell'ottobre precedente.
Così il mercato era posizionato al 17.6X rispetto alla contabilità GAAP alla vigilia del crollo della bolla immobiliare. Inutile dire che era un multiplo piuttosto sportivo date le circostanze — il marciume nei fondi dei mutui di Bear Stearns era già eruttato e il mercato dei subprime sarebbe esploso in primavera. Ciononostante era una cifra ben al di sotto del 20X di oggi.
Naturalmente Wall Street non la vedeva in questo modo all'epoca. Nel 2008 il consenso finanziario puntava sui $120 per azione riguardo l'S&P 500, il che significa che era davvero il momento di salire a bordo. Si poteva acquistare per meno del 13X, dicevano le teste di legno, o più precisamente lo stesso trio che ha fatto la sua comparsa oggi.
Infatti in quel periodo il divario tra i principi contabili GAAP e le gambe rialziste, era di $ 35 per azione. Ironia della sorte, il divario oggi tra il dato reale e l'oppio di Wall Street è esattamente $35 per azione.
Ecco cos'è successo dopo. A giugno 2008 gli utili GAAP erano scesi a $51 per azione e nel giugno 2009, dopo l'inizio della crisi, i profitti dell'S&P 500 per i quattro trimestri precedenti erano, beh, $8 per azione!
Proprio così. La grande bolla finanziaria di Greenspan era scoppiata; l'economia globale stava rotolando giù da una rupe; e i bilanci societari erano stati epurati da 7 anni d'investimenti falliti e manovre d'ingegneria finanziaria andate fuori strada, oltre a varie altre perdite. Alla fine, i $120 per azione di Wall Street si erano fracassati in mille pezzi.
Otto anni dopo siamo ad un punto di svolta ancor più irto. L'abbuffata di stampa monetaria post-crisi è stata decisamente più travolgente, ed è stata abbracciata da ogni banca centrale del pianeta. Di conseguenza la bolla finanziaria risultante è diventata molta più incendiaria di quella che è scoppiata nel settembre 2008, e le distorsioni, le deformazioni e gli investimenti improduttivi nell'economia globale sono drammaticamente più insidiosi.
Ovviamente il crollo del capitalismo rosso cinese è l'epicentro di questa grande deflazione globale, ma toccherà ogni angolo dell'economia mondiale; e le sue onde d'urto stanno già scatenando il caos in quelle aree che sono state particolarmente invase dal commercio cinese.
Basti pensare all'attuale disastro in Brasile. Questo grafico sull'andamento anno/anno del commercio al dettaglio è sbalorditivo, perché il tasso d'inflazione del Brasile è superiore al 5%. Così quando le vendite nominali sono scese dall'11% al -1% a giugno, significa che le vendite reali si stanno riducendo ad un ritmo quasi depressivo.
A detta di tutti, infatti, il Brasile sta affondando nella sua peggiore recessione nell'ultimo mezzo secolo. Dopo anni di boom nella crescita dei posti di lavoro alimentata dalle esportazioni e da una dose massiccia di dissolutezza monetaria e fiscale, la sua economia sta ora scaricando lavoratori ad un ritmo senza precedenti.
Il punto qui è che il Brasile è solo uno degli esempi dell'inversione monetaria mondiale in corso. Nel corso degli ultimi 15 anni, il bilancio della sua banca centrale è letteralmente esploso, aumentando di oltre 10 volte, mentre i prestiti al settore privato sono più che quadruplicati negli ultimi sette anni.
La conseguenza è stata un delirio di spesa pubblica e privata, oltre ad un'espansione e una speculazione artificiali che hanno gonfiato, deformato e destabilizzato l'economia brasiliana. E queste distorsioni non sono state contenute nel bacino economico brasiliano, ma sono collegate a doppio filo coi flussi finanziari e commerciali nel cuore dell'economia degli Stati Uniti.
L'enorme e insostenibile boom delle esportazioni verso la Cina e verso i suoi mercati emergenti satelliti, ha generato grandi afflussi di capitale verso il Brasile, i quali hanno fatto salire il suo tasso di cambio, anche se il suo governo ha cercato freneticamente di contenerne l'ascesa. Durante questo periodo pre-2012, il suo ministro delle finanze ha anche parlato di "guerre tra valute".
L'effetto del boom delle esportazioni in Cina e l'enorme afflusso di capitali, però, hanno creato un'economia con un potere d'acquisto apparentemente superiore alla sua ricchezza reale e alla sua produzione reale. Questa immensa distorsione è meglio misurata osservando il valore in dollari del suo PIL. Come mostrato di seguito, durante i sei anni tra il 2006 e il 2012, il PIL del Brasile è cresciuto ad un tasso annuo del 20%!
Non c'è da meravigliarsi se Miami sia diventata una città del boom. Quei brasiliani che hanno compreso che il loro governo socialista non aveva compiuto un miracolo economico, hanno scambiato i loro real per dollari e poi li hanno usati per comprare condominii nel sud della Florida.
Nel contempo, la sua economia in forte espansione è stata una calamita per i money manager statunitensi affamati di rendimenti a causa della ZIRP di Bernanke e per gli esportatori statunitensi che hanno temporaneamente beneficiato di un tasso di cambio dollaro/BRL che li aveva resi improvvisamente molto più competitivi. Di conseguenza centinaia di miliardi di dollari di capitali sono finiti nei mercati azionari e obbligazionari brasiliani, mentre le esportazioni degli Stati Uniti sono quasi quadruplicate in otto anni.
Ecco il punto. L'economia degli Stati Uniti non si è affatto "disaccoppiata" da quella del Brasile durante l'espansione del grande boom monetario globale che è ormai finito. Né si sgancerà durante il bust deflazionistico che ne deriverà necessariamente.
Il colpo finale alle esportazioni degli Stati Uniti è evidente nel calo del 20% delle spedizioni verso il Brasile indicato nel grafico qui sopra, e questo è solo l'inizio, perché la sua depressione economica è appena cominciata. Allo stesso modo, la fuga di dollari dal Brasile che oggi affligge i mercati finanziari globali, è solo indicativa di turbolenze future.
Quindi questa non è una leggera correzione. Siamo nel bel mezzo di una deflazione globale senza precedenti. Sta spuntando dalla tana un vero e proprio mercato orso.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
Premessa: il default è un processo, non un singolo evento. I cigni neri non esistono. Sono tutti prevedibili.
RispondiEliminaVedo, tra le tante, alcune grandi contraddizioni che riguardano la civiltà occidentale.
In campo economico finanziario abbiamo una massa immensa di denaro di carta che vale sempre meno tendendo al nulla. Peraltro, conviene che resti nelle mani di pochissimi, altrimenti, arriva subito a valere zero.
Un sacco di democrazia nominale e nessuna possibilità di cambiare alcunché del sistema di potere.
La contemporanea promozione mainstream dell'integrazione socioculturale e del relativismo culturale.
Non sono segni di dinamismo, ma di marasma. Finirà come nel caso del marasma senile. Amen
Chi cerca da decenni lo scontro di civiltà, sta provando a convincere i riottosi.
RispondiEliminaLa mia vicina (brasiliana) mi raccontava alcuni mesi fa come il governo brasiliano abbia proceduto da alcuni anni ad agevolare l'accensione dei mutui. Decantava come in brasile (rispetto alla svizzera) fossero in aumento i proprietari di case. Dal mio canto gli ho risposto che speravo tanto per loro che non entrassero in una grande recessione, altrimenti avrebbero fatto la fine degli spagnoli.Non so in quale stato sia il mercato immobiliare in quel paese, ma se tanto mi da tanto, credo che sia in bolla anche li.
RispondiEliminaCiao Alessandro.
EliminaOrmai non c'è alcun dubbio, se qualcuno fosse così miope da non vederlo, che i mercati emergenti sono solamente un gigantesco incidente in attesa di accadere. Le espansioni artificiali del credito vanno a finire sempre così. E sul suolo brasiliano hanno alimentato l'ennesima bolla immobiliare: Rio de Janeiro's Bursting Real-Estate Bubble.
Non solo, in attesa di scoppiare c'è anche la bolla dei prestiti subprime per automobili. E di questo ne risentirà anche la FIAT, cosa che si riverbererà sul mercato italiano e sul recente investimento della casa automobilistica finanziato dal Piano Juncker. Prestate attenzione, perché i colpi verranno attutiti inizialmente dalla FCA Bank la quale diventerà un serbatoio dei crediti deteriotai della FIAT fino a strabordare di crediti inesigibili. Di conseguenza, stiamo parlando dell'ennesimo zombie che cammina. L'interconnessione dei mercati farà in modo che le varie bombe ad orologerie piazzate "involontariamente" dalle banche centrali in ogni parte del globo scoppino ad una ad una.
Saranno i fallimenti di quelle aziende che fino ad ora hanno goduto della manna della ZIRP che spigneranno i tassi d'interesse a salire. Non sarà di certo la Yellen per decreto. Quindi ciò che sta accadendo nei mercati emergenti dev'essere seguito con attenzione, poiché nessun paese al mondo è "disaccoppiato".
Eg. Dott. Simoncelli,
RispondiEliminala stimo e m'inebrio leggendo i suoi scritti, che peraltro condivido in toto. C'è una cosa però che distingue la storia è il futuro (secondo me, ... pur vagamente rammentando che idea avesse il Vico dei cicli): la carica visionaria di certe persone capaci d'interpretare quello che verrà con occhi diversi dalla certa regola geometrica, della quadratura del cerchio, fatta da infiniti punti certi, che nello spazio trovano un'opportunità di incontro . Purtroppo le cose andranno come dice lei, non c'è alternativa, ma in mezzo a tanti fallimenti, ci sarà sempre qualcuno che per lo stesso ineluttabile crescere del numero di persone sulla terra, troverà il modo di guadagnarci o almeno di non perderci. La Cina , l'America (sotto e sopra), il Brasile, l'India ecc. sono fondamentali, ma troppo grandi per le nostre teste e le nostre tasche. Senza pretendere di essere noi le giuste guide, seguiamo i pochi che in tutte queste certezze riusciranno ad essere errore alla regola. Non possiamo fare di tutte le marmitte una Volkswagen.
Suo fedele estimatore, clandestino, servo della gleba, nonchè zombie precario, nel suo principato di Freedonia.
Sempre affezionato
Salve signor Rodi.
EliminaLa ringrazio per la sua costante attenzione e le porgo il mio benvenuto su questo blog.