Bibliografia

venerdì 22 maggio 2015

Ora più che mai non c'è bisogno di ripetere gli errori di Keynes, parte #2





di Francesco Simoncelli


[La Prima Parte di questo saggio potete leggerla cliccando qui.]


UNA BREVE PANORAMICA SULLA GENERAL THEORY: IL TASSO D'INTERESSE

[...] Troveremo che l’errore delle teorie accettate del tasso di interesse sta nel tentativo che esse compiono di ricavare il tasso di interesse dalla prima di queste due costituenti della preferenza psicologica temporale, trascurando la seconda; alla qual cosa dobbiamo cercare di porre rimedio. Dovrebbe essere ovvio che il tasso di interesse non può essere una ricompensa per il risparmio o l’astinenza come tali. Se infatti un individuo tesaurizza i suoi risparmi in denaro, non percepisce alcun interesse, benché il suo risparmio sia esattamente quello di prima. Al contrario, la semplice definizione del tasso di interesse ci dice di per sé stessa che tale tasso è la ricompensa per l’abbandono della liquidità per un periodo determinato. Infatti il tasso di interesse in sé stesso non è altro che l’inverso del rapporto fra una somma di moneta e ciò che può ottenersi per l’abbandono della disponibilità della moneta in cambio di un credito per un determinato periodo di tempo.[1]

Avendo sostenuto che l'occupazione è un fenomeno che può essere portato all'equilibrio attraverso la componente monetaria, la cui manomissione nel breve termine permette ad una commissione di presunti saggi di stemperare gli effetti nefasti della disoccupazione "involontaria", Keynes arriva ad affermare che il tasso d'interesse ricopre esclusivamente un ruolo monetario all'interno della società. Credo che il lettore, arrivati a questo punto, si sia fatto un'idea dell'impianto teorico da cui Keynes si vuole distaccare, proponendo non una nuova teoria, bensì una teoria praticamente a favore degli interventi che fino a quel momento avevano caratterizzato le "soluzioni" dello stato alla Grande Depressione. Facendo assumere al taso d'interesse un ruolo puramente monetario, Keynes tentava di recidere il legame con la teoria classica tracciando un tratto di penna sull'individuo. Ritorna ancora una volta la sua noncuranza per i diritti individuali, pensando all'essere agente come ad un automa incapace di badare a sé stesso.

Il tasso d'interesse, infatti, non rappresenta altro che il premio conferito dagli esseri agenti ai beni presenti. L'individuo tende costantemente a preferire i beni presenti rispetto a quelli futuri, evidenziando una spiccata propensione ad avere un tasso d'interesse sempre positivo. Può avvicinarsi allo zero, ma non lo raggiungerà mai. Sarebbe un controsenso. Significherebbe lasciarsi morire. La preferenza temporale degli individui per i beni presenti non è altro che la reazione naturale di noi esseri umani in un mondo costituito da incertezze e risorse scarse. L'azione umana stessa afferma la vita, di conseguenza essa sarà mirata a preservarla mediante il benessere del corpo dell'attore di mercato che agisce. I beni presenti, quindi, fungono da ottimo espediente per garantire agli individui la loro sopravvivenza nonostante le incertezze che lo circondino ogni giorno. C'è da dire, però, che l'uomo ha potuto sconfiggere la scarsità e l'incertezza che lo circondano attraverso il miglioramento e l'affinazione della produzione di beni e servizi, in questo modo ha cercato di ovviare alla sua condizione precaria attraverso un flusso costante di beni la cui abbondanza ha rappresentato un punto di svolta storico nella storia degli esseri umani. L'industrializzazione del XIX secolo ha rappresentato, infatti, lo spartiacque tra la semplice evoluzione di specie e l'evoluzione sociale. L'essere umano è riuscito ad infliggere un colpo debilitante alla povertà grazie alla Rivoluzione Industriale.[2]

Quei "lussi" che i poveri potevano solamente sognare qualche decennio prima, nel XIX secolo sarebbero diventati una realtà nelle loro mani. Di conseguenza l'abbondaza ha permesso alla società di rimodellare le proprie priorità, andando anche ad influenzare la preferenza temporale degli individui che in questo modo avrebbero potuto cambiarla al margine. Ovvero, non più preferire fortemente i beni presenti, ma distaccarsene per un certo periodo di tempo a garanzia di un flusso di beni futuri più alto. Nel campo monetario, quindi, la preferenza temporale degli individui si riflette sul denaro e sui prestiti. Intendiamoci, è sempre l'essere umano agente che sta dietro al tasso d'interesse,[3] il quale applica il proprio set di valori ad ogni tipo di bene o merce presente sul mercato. Essendo il denaro la merce più commerciata, le sue azioni ricadranno inevitabilmente più spesso su questo tipo di merce. Quindi l'accaparramento di merce monetaria servirà all'attore di mercato per destreggiarsi contro l'incertezza del futuro, ma, come abbiamo detto poco sopra, l'abbondanza è stata quella molla che ha permesso alla società di elevare il proprio standard di vita al di sopra della mera sussistenza. Di conseguenza il duro risparmio di merce monetaria permette agli individui di considerare un possibile cambiamento delle proprie preferenze temporali, aprendo la porta ad una rinuncia di merce monetaria presente a fronte di una quantità maggiore in futuro.

Il prestatore, quindi, viene allettato dalla possibilità di aumentare il suo stock di merce monetaria più di quello che avrebbe potuto fare lui stesso, rinunciando però per un certo periodo di tempo a parte della merce monetaria messa da parte e risparmiata. Più in generale, il risparmio privato permette la generazione di un flusso di capitali che vanno a formare una corrente di risparmi reali, i quali sostengono la struttura di produzione della società.[4] La specializzazione e la divisione del lavoro consentono alla società di affinare le tecniche attraverso le quali vengono prodotti determinati beni, permettendo di solidificare l'esistenza di quei beni la cui presenza costante consente la creazione di una serie nuova di prodotti. Ad esempio, l'abbondanza di pane nella nostra società ha garantito la presenza "certa" di un tipo di cibo in grado di sostenere le necessità di base degli individui, permettendo a quest'ultimi di concentrarsi con maggiore spirito di produttività nella ricerca di nuove vettovaglie in grado di portare la soddisfazione dei desideri culinari degli attori di mercato ad un "livello superiore". Intromettersi in questo processo attraverso un aumento artificiale dei risparmi può all'apparenza creare le basi per una serie d'investimenti in accordo col mercato, in realtà permette la realizzazione di progetti che saltano step produttivi fondamentali affinché possano essere realizzati. Mancando, quindi, le informazioni che permettono il completamento con profitto di questi investimenti, ciò non farà altro che consumare progressivamente risorse reali per investimenti che non avrebbero mai dovuto vedere la luce. Per farla semplice, un aumento artificiale della quantità di risparmi reali equivale a voler costruire un'automobile volante quando ancora le nostre conoscenze si fermano al motore a benzina.

Inoltre, e anche in questo caso, concepire un equilibrio nella struttura del tasso d'interesse significa una catena di produzione senza più manutenzione nel tempo. Presupporre un equilibrio significa, ancora una volta, la fine delle azioni degli individui. Quindi, anche se un presunto pianificatore centrale può in un certo senso controllare i tassi d'interesse monetari, non potrà mai controllare il tasso d'interesse puro il quale è strettamente connesso alle preferenze temporali dei singoli individui. Un esempio moderno ci porta ad osservare lo stato in cui languono i prestiti a famiglie ed imprenditori. Nonostante le banche centrali abbiano allentato oltremodo la loro politica monetaria portando a livelli infimi i tassi d'interesse nel mercato monetario, gli individui che popolano Main Street hanno preferito non avvicinarsi minimamente a questa fonte di credito facile. Sebbene siano stati anche scoraggiati dalle nuove regole imposte sulle banche commerciali, hanno deciso di affrontare un percorso di deleveraging per cercare di scrollarsi di dosso il raggiungimento del picco del debito e hanno deciso di aumentare la loro domanda di liquidità accaparrando denaro in vista di un futuro incerto. Quindi, l'alta preferenza temporale reale degli individui si scontra con una bassa preferenza temporale artificiale veicolata dal mercato monetario.

In virtù di ciò, e dal momento che Keynes considera il tasso d'interesse un fenomeno puramente monetario ignorando i singoli individui, si apre la possibilità di manomettere artificialmente l'offerta di denaro affinché si possa raggiungere una quantità ottimale attraverso la quale spingere adeguatamente l'economia verso un sentiero di rinnovata stabilità e prosperità. Keynes immaginava un fuoco che dovesse essere riacceso attraverso una nuova scintilla. Quella scintilla sarebbe stata la manomissione del tasso d'interesse monetario.

[...] Se per qualsiasi ragione il tasso di interesse non può scendere con la stessa rapidità con la quale cala l’efficienza marginale del capitale – ove il ritmo dell’accumulazione corrisponda a quanto la collettività delibera di risparmiare ad un tasso di interesse uguale all’efficienza marginale del capitale in condizioni di piena occupazione – allora perfino una diversione del desiderio di possedere ricchezza, verso attività che di fatto non frutteranno alcun reddito economico, accrescerà il benessere economico. Finché vi siano milionari che trovino soddisfazione nel costruire magnifici palazzi per contenere i loro corpi finché sono in vita e piramidi per accoglierli dopo morti, oppure che, pentendosi dei loro peccati, erigano cattedrali o elargiscano somme a monasteri o missioni estere, il giorno nel quale l’abbondanza di capitali ostacoli l’abbondanza della produzione può essere procrastinato. Lo «scavar buche nel terreno» mediante risorse tratte dal risparmio accrescerà non soltanto l’occupazione ma anche il reddito reale nazionale, di beni e servizi utili.[5]

[...] Naturalmente può darsi il caso – e in realtà è probabile che si verifichi – che le illusioni dell’espansione provochino la produzione di tipi particolari di beni capitali in tanto eccessiva abbondanza che una certa parte della produzione sia uno spreco di mezzi, con qualunque criterio la si consideri; la qual cosa, possiamo aggiungere, si verifica talvolta anche quando non vi è alcuna espansione. Vale a dire, l’espansione porta ad investimenti mal diretti. Ma all’infuori di ciò, è caratteristica essenziale dell’espansione che investimenti i quali rendono di fatto, poniamo, il 2 per cento in condizioni di occupazione piena, vengono compiuti con l’aspettativa di un rendimento, poniamo, del 6 per cento, e vengono valutati sulla base di questo rendimento. Quando viene la delusione, questa aspettativa viene sostituita da un opposto «errore di pessimismo», col risultato che dagli investimenti, che di fatto renderebbero il 2 per cento in condizioni di occupazione piena, ci si aspetta meno di zero; e il crollo che ne risulta per l’investimento nuovo conduce quindi ad uno stato di disoccupazione nel quale gli investimenti, che avrebbero reso il 2 per cento in condizioni di occupazione piena, rendono di fatto meno di zero. Giungiamo ad una situazione nella quale vi è deficienza di case, e nella quale ciononostante nessuno può permettersi di vivere nelle case esistenti.

Dunque il rimedio all’espansione eccessiva non è un aumento, ma una diminuzione del tasso di interesse! Giacché questa diminuzione può permettere alla cosiddetta espansione di durare. Il rimedio giusto per il ciclo economico non deve trovarsi nell’abolire le espansioni, mantenendoci così permanentemente in una semi-depressione; ma nell’abolire le depressioni e mantenerci così permanentemente in una quasi-espansione.[6]

L'implicazione subdola alla base del ragionamento keynesiano prevede di mimare il meccanismo di mercato, mettendo a disposizione degli attori di mercato risorse monetarie mai risparmiate affinché le spendano per creare qualcosa. Keynes stava cercando di elevare lo status dell'intervento statale a panacea suprema delle crisi di mercato, non accorgendosi che in questo modo il capitale della società si sarebbe eroso e non sarebbe stato affatto produttivo. Manomettere il tasso d'interesse monetario ignorando completamente il tasso d'interesse puro, equivale a giocare a freccette con una benda sugli occhi e girati di spalle nei confronti del bersaglio, avendo lo stesso la supponenza di poter fare centro. Creare un'abbondanza artificiale di risorse monetarie non aiuta le persone ad intraprendere sentieri sostenibili, ma offre solamente una seconda possibilità a chi si è dimostrato più e più volte incapace di soddisfare i desideri degli attori di mercato. Viene abbassata artificialmente la soglia di rischio, permettendo ad entità decotte di concorrere per le risorse scarse con quelle entità più responsabili. Creare beni e servizi solo per lo scopo di crearli, non aiuta un'economia a prosperare. Ignorare le decisioni individuali dei clienti equivale a sopprimere una domanda genuina di beni e servizi che avrebbe posto le basi per una solida stratificazione di necessità le quali, a loro volta, avrebbero aperto la porta ad altre. Invece, come detto prima, si vogliono saltare gli step intermedi, volendo creare dal nulla categorie di beni e servizi che non potrebbero esistere senza suddetta stratificazione di necessità costantemente rifornite.

La creazione di domanda artificiale da parte di Keynes era un palliativo, un effetto placebo. Voleva curare un malato sponandolo a convicersi che stesse bene. Non funziona così. Il malato può riprendersi apparentemente, ma se i sintomi non vengono curati a lungo andare uccidono il paziente. Ai politici non importa. Ai pianificatori centrali non importa. Possono benissimo lasciare il fardello alle generazioni successive, il loro mandato è l'unica preoccupazione che sta loro a cuore. Tale mandato non si estende nel lungo termine, bensì si esaurisce nel breve termine. Al massimo nel medio termine. Quale migliore pubblicità per attirare consensi se non quella di presunti "pasti gratis"?

La teoria dell'interesse di Keynes si riduce ad una mera campagna elettorale in favore delle magie che la politica può tirare fuori dal cilindro. In questo caso, una presenza di capitali in super-abbondanza tanto da soddisfare tutto e tutti. Ovviamente, c'è il trucco. Ma verrà scoperto solo molto in là nel tempo.

E' per questo motivo che la critica di Keynes si spinse oltre, andando ad attaccare quello che il mercato aveva scelto come mezzo di scambio ampiamente accettato: l'oro. Nel 1933 l'amministrazione Roosevelt aveva sequestrato l'oro della nazione pagandolo circa $20 l'oncia e l'aveva rivenduto alla FED. L'anno successivo ne aumentò il prezzo per oncia a $35, e la FED si ritrovò improvvisamente un guadagno del 75% piovuto dal cielo. Ciononostante l'oro rimase parcheggiato lì. Non venne venduto. Solo dopo la seconda guerra mondiale questo mercato iniziò ad essere terribilmente opaco, ma prima di allora l'oro era considerato la vera moneta (scacciata solamente dalle imposizioni legali del governo federale). In questo panorama la voce di Keynes era superflua, poiché voleva screditare il metallo giallo agli occhi della popolazione. Non ci riuscì. Ancora oggi quell'oro è parcheggiato presso la FED (o si presume sia così). Se cercate sul Wall Street Journal la pagina in cui c'è la voce "Federal Reserve Data" e scorrete fino a trovare la voce "Gold Stock", troverete una cifra che non cambia mai: $11 miliardi.

In realtà, Keynes voleva prendere due piccioni con una fava: indebolire la fiducia nell'oro e, in tal, modo portare ad un livello superiore il controllo dello stato sulla società. Infatti la flessibilità garantita da una cartamoneta scoperta, poteva consentire l'implementazione di quelle politiche che Keynes stava giustificando con la sua General Theory perché la banca centrale, controllando l'interesse monetario, poteva in qualche modo influenzare l'interesse puro. Ovvero, abbassando artificialmente l'interesse monetario, era possibile ridurre la scarsità presente nell'economia di mercato attraverso la sopracitata super-abbondanza di capitali. E qui incappiamo in una delle contraddizioni più eclatanti di Keynes, perché ci viene detto che questo stratagemma potrebbe essere sabotato dagli imprenditori che, mettendo da parte denaro, invaliderebbero il processo di crescita. A detta di Keynes sarebbero i cosiddetti "spiriti animali" che albergano in queste figure di mercato che le costringerebbero ad agire in questo modo. Ma, ancora una volta, egli ha una soluzione anche per questo: l'eutanasia del rentier.



L'EUTANASIA DEL REDDITIERO

I difetti più evidenti della Società economica nella quale viviamo sono l’incapacità a provvedere la piena occupazione e la distribuzione arbitraria e iniqua delle ricchezze e dei redditi. Quanto alla prima, la portata della teoria sopra esposta è ovvia. Ma vi sono anche due aspetti importanti sotto i quali essa ha rilievo anche nei riguardi della seconda.

Dalla fine del diciannovesimo secolo si è compiuto un progresso significativo verso la rimozione di disparità molto forti delle ricchezze e dei redditi mediante lo strumento dell’imposizione diretta – l’imposta e la sovraimposta sul reddito e l’imposta sulle successioni – specialmente in Gran Bretagna. [...] Abbiamo visto infatti che, fino al punto nel quale si afferma la piena occupazione, la crescita del capitale non dipende affatto da una bassa propensione al consumo, ma ne è invece ostacolata; e che soltanto in condizioni di occupazione piena, una bassa propensione al consumo favorisce la crescita del capitale.

[...] Si è finora citata, come giustificazione di un tasso di interesse moderatamente alto, la necessità di offrire un incentivo sufficiente al risparmio. Ma abbiamo mostrato che il livello del risparmio effettivo è determinato necessariamente dalla scala dell’investimento, e che questo è favorito da un tasso di interesse basso, purché non si cerchi di stimolare in tal modo l’investimento al di là del punto corrispondente alla piena occupazione. Corrisponde quindi al nostro vantaggio massimo ridurre il tasso di interesse fino a quel punto, relativamente alla scheda dell’efficienza marginale del capitale, al quale vi è piena occupazione.

[...] Mi par certo che la domanda di capitale sia strettamente limitata, nel senso che non sarebbe difficile accrescere lo stock di capitale fino al punto in cui la sua efficienza marginale cadesse ad un livello molto basso. Ciò non significherebbe che l’uso del capitale verrebbe a costare quasi niente, ma soltanto che il reddito tratto da esso dovrebbe coprire poco più del suo esaurimento per logorio e obsolescenza, oltre ad un certo margine per coprire il rischio e l’esercizio della capacità e del giudizio personali. In breve, il rendimento complessivo tratto da beni durevoli nel corso della loro vita coprirebbe esattamente, come nel caso di beni di breve durata, il costo di lavoro della loro produzione più una quota per il rischio e per i costi di capacità e di direzione.

Ora, sebbene questo stato di cose sia del tutto compatibile con un certo grado di individualismo, esso significherebbe tuttavia l’eutanasia del redditiero e di conseguenza l’eutanasia del potere oppressivo e cumulativo del capitalista di sfruttare il valore di scarsità del capitale. Oggi l’interesse non rappresenta il compenso di alcun sacrificio genuino, come non lo rappresenta la rendita della terra. Il possessore del capitale può ottenere l’interesse perché il capitale è scarso, proprio come il possessore della terra può ottenere la rendita perché la terra è scarsa. Ma, mentre vi può essere una ragione intrinseca della scarsità della terra, non vi sono ragioni intrinseche della scarsità del capitale.

[...] Considero perciò l’aspetto del capitalismo caratterizzato dall’esistenza del redditiere come una fase di transizione, destinata a scomparire quando esso avrà compiuto la sua opera. E con la scomparsa del redditiere, molte altre cose del capitalismo subiranno un mutamento radicale. Sarà inoltre un gran vantaggio nel corso degli eventi che qui preconizzo se l’eutanasia del redditiere, dell’investitore senza funzioni, non sia affatto improvvisa, e sia soltanto una graduale ma prolungata prosecuzione di quello che abbiamo visto recentemente in Gran Bretagna, e non richieda alcuna rivoluzione.[7]

In sostanza, Keynes si sta "augurando" una lenta dolce morte della classe risparmiatrice, obiettivo raggiungibile attraverso una crescente offerta di moneta (e un continuo ribasso dei tassi) diretta dai saggi facenti parte dell'apparato statale. Ribaltando la consequenzialità tra risparmio ed investimenti, otteniamo la presunta capacità di una ristretta cerchia d'individui d'individuare quelle aree in cui il capitale avrà una maggior resa rispetto ad altre. Intesa in questo modo, è come se lo stato restituisse una sorta di "maltolto" alla società. Eppure questi tipi di politiche sono state implementate dalle banche centrali (espansione artificiale dell'offerta di moneta) negli ultimi 30 anni, con tutte le crisi che ne sono derivate. Dopo ogni crisi gli interventi nell'economia di mercato sono aumentati e con essi il tasso d'espansionismo monetario, l'abbassamento dei tassi d'interesse e la spesa in deficit degli stati.

Sin dal 2008 la teoria keynesiana è stata imbottita di steroidi e, nonostante anche questo tentativo, l'occupazione rimane ancora anemica, gli investimenti latitano e le disuguaglianze di ricchezza aumentano. Chi sta beneficiando delle attuali politiche economiche? Il seguente grafico di McKinsey Global Institute sottolinea quelle entità che hanno beneficiato di un aumento dei flussi netti in entrata riguardanti gli interessi.


Stima variazione cumulata del margine di guadagno netto sull'interesse (miliardi di USD, convertiti al tasso di cambio 2012): 2007-12
Fonte: McKinsey Global Institute


Apprendiamo, quindi, che stati e corporazioni sono risultati i beneficiari netti della cosiddetta ZIRP. D'altronde, le attività di prestito sono il loro pane quotidiano. Vivono di prestiti. Presupponendo una certa "aura" di saggezza negli uomini che governano la macchina statale, essi avrebbero dovuto incanalare le risorse per ripianare in qualche modo le finanze disastrate gestite dalla loro presunta lungimiranza. Non è stato fatto nulla di tutto ciò. La spesa pubblica e il debito sono aumentati. La stessa cosa vale per quelle imprese che, ottenendo maggiori finanziamenti dal nulla, non hanno affatto investito nel settore Ricerca e Sviluppo, ma hanno gozzovigliato con Fusioni & Acquisizioni, riacquisti di azioni, LBO e altre amenità legate all'ingegneria finanziaria.

Coloro che invece hanno subito grandi perdite sono stati i fondi pensioni, investitori interni ed esteri, e le compagnie d'assicurazione sulla vita. In poche parole, i presunti grandi redditieri a cui si è mirato altri non erano che i risparmiatori. Questa categoria, a seguito della crisi finanziaria, ha colto l'occasione per rimescolare le proprie priorità e aumentare la propria domanda di moneta a seguito dell'incertezza pervadente l'ambiente di mercato. La loro riluttanza a contrarre nuovi prestiti e le nuove normative delle banche commerciali, hanno creato un ambiente disincentivato ad accendere prestiti e penalizzante i risparmi. Inoltre la recessione non ha allentato la sua morsa sulle piccole e medie imprese, le quali hanno visto stagnare la loro produttività. Questo ha significato salari altrettanto stagnanti, o peggio in diminuzione. Aggiungeteci la perdita di potere d'acquisto delle valute dei vari paesi e otteniamo un mix velenoso per tutti coloro che hanno avuto la "brillante" idea di risparmiare, i quali hanno dovuto intaccare i loro salvadanai per sopravvivere.


Impatto netto annuale dell'interesse per la famiglia media statunitense (miliardi di USD, % del reddito 2007)
Fonte: McKinsey Global Institute


Da come vediamo da questo grafico qui sopra, i pensionati sono stati coloro che hanno maggiormento sofferto per la ZIRP. Nemmeno i più giovani dovrebbero rallegrarsi, però, perché anche i fondi pensione sono stati danneggiati dalla politiche monetarie dei banchieri centrali. I rendimenti ridicoli sfoggiati dal mercato obbligazionario statale, obiettivo numero uno nella tabella degli investimenti da parte dei fondi pensione, sta creando flussi di cassa negativi (al netto dell'inflazione e delle tasse). A meno che non si opti per asset più rischiosi, il destino del mondo delle pensioni è segnato. Le promesse non potranno essere mantenute.

Il punto della quesitone è che il risparmio reale rappresenta un flusso genuino che viene "controllato" da imprese e consumatori i quali, attraverso le scelte in linea con l'ambiente economico i primi e il risparmio personale i secondi, sono in grado di generare in questo modo ricchezza reale. Se davvero esiste la presunta figura del "redditiero", la sua presenza nella società è altamente variabile; e cercare di pungolarla affinché spenda, andrà a svantaggio di coloro che entreranno in possesso per ultimi del mezzo con cui si tenta di intromettersi nel processo di creazione di ricchezza reale: denaro fiat ex novo. Lo stato, le grandi banche e le grandi corporazioni saranno i beneficiari netti. Le perversioni ideologiche e semantiche sul termine “capitalismo” e “tasso d'interesse” sono alla base della cortina di confusione che nel tempo ha annebbiato sempre più menti, e Keynes, come Marx, è stato uno di quelli che contribuito a rendere il fumo più denso.

In conclusione, manipolare arbitrariamente la moneta permette di deviare la ricchezza reale da chi la crea (il risparmiatore) verso chi la utilizza (stato, grandi banche, grandi corporazioni, hedge fund, ecc.), creando una concentrazione di potere nelle mani di chi si trova più vicino alla stampante monetaria. Questa distorsione comporta quindi l’impoverimento dell’economia; ciò viene temporaneamente nascosto dalle manovre dei banchieri centrali sul valore nominale della ricchezza,[8] finché questo processo d'indebolimento non sfocia in una crisi. Da qui in poi entrano in gioco le meccaniche del ciclo economico Austriaco.



ALCUNI COMMENTI SUL CICLO ECONOMICO

L’approccio keynesiano, e più in generale quello interventista, è sbagliato non perché esistono critiche che mettono in discussione i punti elencati fino ad ora, ma perché parte da premesse sbagliate; quindi prescrizioni e pseudo-soluzioni che ne conseguono, come “l’eutanasia dei redditieri”, sono semplicemente fuorvianti. Keynes quindi può essere annoverato, senza dubbio di essere smentiti, in quella categoria di pensatori socialisti/interventisti che sono bel lontani da uno schema liberale classico.[9] Secondo la sua ottica la società era fondamentalmente costituita da tre classi: i consumatori (esseri privi di raziocinio e libero arbitrio dediti esclusivamente al consumo); gli investitori (esseri con raziocinio e libero arbitrio il cui umore gioca un ruolo cruciale nella stabilità economica); lo stato (il mediatore supremo attraverso il quale tutte le cose tornano in equilibrio). Essendo i primi paragonabili a dei robot, i secondi si portano sulle spalle tutte le cause dei cicli economici. I loro capricci costringono un disallineamento tra investimenti e consumi, quindi la terza classe, lo stato, deve intervenire per compensare questo divario e la banca centrale deve intervenire per tenere basso il tasso d'interesse in modo da spingere di nuovo gli investitori a separarsi dai loro risparmi accumulati.

Apprendiamo, quindi, che le cause sono prettamente psicologiche. E' davvero possibile una cosa del genere? Innanzitutto non dobbiamo scordare, come fa Keynes, che l'economia è una scienza basata sulle azioni dei singoli individui. Lasciarsi influenzare dai propri principi ed imporli anche agli altri è quella sorta di soluzione che presuppone un'onniscienza delle proprie azioni rispetto a quelle degli altri. Questo significa avere la presunzione di poter leggere la mente. In realtà non esiste niente di tutto ciò, significa solamente avere l'ardire di conformare un altro attore economico ai propri standard. Nel nostro caso significa cercare di conformare la popolazione agli standard dello stato. E' per questo che i discorsi propagandistici sono infarciti da retorica sull'avidità e sull'egoismo, presupponendo una soluzione collettiva ai problemi concernenti le crisi economiche. Si cerca d'influenzare gli aggregati affinché si possa riuscire ad influenzare (in qualche modo) anche i singoli attori di mercato.

Ciononostante questa spiegazione è carente di dettagli funzionali affinché si possa individuare la causa reale dell'innesco  dei cicli economici. Infatti Keynes nella General Theory, e più precisamente nel Capitolo 22 del sesto libro, si sbriga a concludere che la figura dell'economista dovrebbe subito indagare su cosa accade durante la crisi. In questo modo, però, si scartano tutte le analisi antecedenti alla crisi, bollandole come "psicologiche" e quindi ampiamente irrilevanti. Le cose non stanno così, perché si finisce per confondere cause ed effetti promuovendo soluzioni che alla fine si rivelano le cause stesse della crisi.[10] La teoria keynesiana, infatti, deficita di una teoria del capitale (a differenza della teoria Austriaca) proprio perché considera il sistema capitalista come un ammasso aggregato informe di "cose" costantemente prono a cadere in recessione. Keynes, e i keynesiani in generale, non si pongono la domanda che Mises si pose quando scrisse il suo classico, The Theory of Money and Credit: "Cosa fa cadere in errore una grande fetta di imprenditori e tutti nello stesso momento?"

Analizzando la situazione solamente ex post non si accorgono come le cause sono da individuare ex ante. La causa principale delle crisi economiche è sostanzialmente imputabile agli interventi nell'economia da parte di autorità che presumibilmente si ritengono capaci di direzionare in modo sano il corso degli eventi. Ostacolando e ridirezionando il meccanismo dell'accumulo di risparmi reali, essi impediscono alle attività produttrici di ricchezza di entrare in possesso di quelle risorse che avrebbero potuto permettere loro di espandere ulteriormente la loro sfera d'attività e soddisfare, di conseguenza, le volontà degli individui. I risparmi reali vengono quindi in parte canalizzati anche in quelle attività che sprecano ricchezza, producendo beni e servizi inutili che nessuno vorrà. Disallineare domanda e offerta all'interno dell'ambiente economico presenta gravi rischi di lungo termine, poiché all'apparenza questa strategia sembra funzionare ma poi, una volta che si esaurisce l'intervento iniziale, la situazione si adatta al nuovo "equilibrio" comportando la liquidazione di quegli investimenti e quei lavori insostenibili nati sulla scia del boom artificiale. Prolungare l'intervento iniziale, o portarlo ad un livello superiore, non ne corregge la fallibilità.

La crescita economica è un altro di quei concetti di cui si parla a vanvera. In un'economia di mercato esiste solamente la soddisfazione dei desideri degli attori economici che decidono di scambiare volontariamente la loro produzione con quella altrui. Il volume degli scambi comporta, quindi, una sofisticazione della produzione economica, nonché una maggiore specializzazione. In questo ambiente, qualora privo di manipolazioni centrali, i disallineamenti periodici che possono emergere rappresentano semplicemente delle fluttuazioni dovute ad un cambiamento nelle preferenze temporali degli individui. Insomma, niente di "catastrofico" come le crisi che abbiamo sperimentato negli anni successivi al 1914.[11] La cosiddetta "crescita a tutti i costi" con cui si pavoneggiano i pianificatori centrali, rappresenta solamente un miraggio attraverso il quale conquistare quanti più voti possibile e ricoprire il ruolo di comandanti in capo della società. O presunti tali, perché in realtà i re all'interno del mercato erano, sono e saranno sempre i consumatori. La manipolazione dei tassi del mercato monetario, come già detto, rappresenta solamente un espediente per influenzare le scelte degli individui; il tasso d'interesse puro, o le loro preferenze temporali, rimarranno saldamente ancorate alla loro sfera soggettiva impossibile da decifrare. Ciò garantisce il fallimento delle politiche centrali destinate a portare di nuovo il Giardino dell'Eden tra gli esseri umani. Le figure accademiche come Keynes e il suo manoscritto, la General Theory, fungono solamente da grancassa per la presunta onniscienza di alcuni gruppi d'individui che non hanno mai perso l'ardire di provare a vivere al massimo col minimo sforzo. Se dovessi definire il messaggio di fondo della teoria di Keynes non esisterei ad usare queste parole: ingannare il prossimo affinché si possa vivere al massimo col minimo sforzo.

I violenti cicli economici dell'era delle banche centrali sono il risultato diretto della volontà pianificatrice di direzionare secondo il proprio capriccio il corso delle azioni umane. Il credo ingenuo di poter tenere sotto scacco un bacino di individui enorme. Sebbene il denaro possa accomunarli, non li definisce. Questo è il cuore dell'errore del moderno settore bancario centrale. Questo è il cuore dell'errore di Keynes nel voler ignorare le singole unità che compongono la società.



CONCLUSIONE

La Teoria Generale di Keynes era solo un corpo teorico attraverso il quale giustificare il nuovo ruolo che andava a ricoprire lo stato. L'opacità con cui ricoprì il suo manoscritto fu un'ulteriore manna per l'establishment. In questo modo lo stato ebbe modo di espandersi inevitabilmente ed esponenzialmente in più settori dell'economia, trovando terreno fertile nel mondo accademico per essere giustificato delle sue azioni espansive. I successori di Keynes, come Samuelson e Tobin, non fecero altro che ampliare le giustificazioni necessarie affinché lo stato si espandesse.

Il keynesismo è morto durante la stagflazione degli anni '70. Dalle sue ceneri nacque il neo-keynesismo, che ancora oggi continua a percorrere la strada tracciata dal maestro. E' una strada in discesa e a senso unico. Ad ogni giustificazione a sostegno dell'establishment monetario e politico, la discesa guadagna ripidità. Non si può tornare indietro. Alla fine della discesa, però, c'è un muro.

Per ulteriori approfondimenti e l'analisi di altri temi riguardanti l'economia keynesiana, consultare il mio saggio precedente: https://www.scribd.com/doc/258027000/Teorie-per-il-Default-Gli-errori-macroscopici-e-microscopici-del-keynesismo


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Note

[1] J. M. Keynes, Teoria Generale dell'Occupazione, dell'Interesse e della Moneta (Novara: De Agostini Libri - UTET, 2013), Libro IV, Capitolo 13, Sez. II.

[2] Robert Higgs, The Transformation of the American Economy from 1865 to 1914 (Auburn, Ala.: Von Mises Institute, 1971).

[3] Per facilitarci le cose, potremmo definire tasso d'interesse "puro" quando ci riferiamo strettamente alle preferenze temporali degli indiviui, in modo da non confoderci col suo ruolo che si riflette su quello monetario ad esempio.

[4] Per una discussione approfondita su risparmi reali e risparmi fasulli, consultare la seguente pagina: Le illusioni hanno conseguenze, Francesco Simoncelli, Francesco Simoncelli's Freedonia, 21 novembre 2014.

[5] J. M. Keynes, Teoria dell'Occupazione, dell'Interesse e della Moneta (Novara: De Agostini - UTET, 2013), Libro IV, Capitolo 16, Sez. III.

[6] J. M. Keynes, Teoria dell'Occupazione, dell'Interesse e della Moneta (Novara: De Agostini - UTET, 2013), Libro VI, Capitolo 22, Sez. III.

[7] J. M. Keynes, Teoria dell'Occupazione, dell'Interesse e della Moneta (Novara: De Agostini - UTET, 2013), Libro VI, Capitolo 24, Sez. I & II.

[8] Con "valore nominale della ricchezza" s'intende quel processo di canalizzazione della ricchezza reale da quelle entità che la creano verso quelle entità che la sprecano. Finché le banche centrali mantengono un atteggiamento monetario allentato e favoriscono la soppressione del tasso d'interesse monetario, si verranno a creare delle attività in grado di sopravvivere solo grazie a questo ambiente economico distorrto dall'intervento centrale. Una volta che il processo di creazione di moneta dal nulla s'inverte, tali attività nate a seguito dell'espansione monetaria artificiale vanno incontro al loro triste destino. Questo significa che erano apparentemente proficue durante il periodo espansionistico, ma rivelano la loro vera natura fallimentare quando tale periodo termina.

[9] Keynes era un liberale?, Ralph Raico, Mises Italia, 2 giugno 2012.

[10] Bolle e banche centrali, Frank Shostak, Francesco Simoncelli's Freedonia, 7 gennaio 2014.

[11] Mistificazioni keynesiane, Domitrovic/Murphy, Francesco Simoncelli's Freedonia, 7 aprile 2015.

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3 commenti:

  1. Stamattina, pensieri in libertà.
    A proposito, ma che ho mangiato ieri sera? La bistecca alla fiorentina mi ha ostruito carotidi e coronarie o le sue proteine mi stanno fornendo pillole rosse a go go?

    Questo blog contrarian non offre cedole...... direbbe un qualsiasi economista o trader mainstream. Ed un qualsiasi esponente politico in carica direbbe che di gufi così il paese non ha proprio bisogno.
    Ma per i contrarian le cose stanno diversamente. Questo blog offre migliaia di pillole rosse disintossicanti laddove il mainstream continua a propinare sedativi ed allucinogeni propagandistici. E le pillole rosse non sono opinioni, ma fatti e ricostruzioni sorretti da conoscenza profonda e teoria collaudata.
    Ma cedole concrete?
    Apertura mentale, cognizione di causa/effetto, disillusione, suggerimenti difensivi, ...

    Perché tenere insieme i diversi? Perché aree geografiche completamente diverse devono essere standardizzate? Perché Grecia e Germania devono stare dentro il recinto di regole identiche? Perché Lombardia e Molise devono, contro ogni logica, restare nella stessa forzatura? Chi stabilisce chi deve adeguarsi a cosa? Perché ingabbiare insieme purosangue e tartarughe marine e costringere entrambe a non esprimere la propria differenza?
    Questa è la tragedia dell'euro, così come lo è stata la tragedia di realtà territoriali differenti unificate coercitivamente nel corso dei secoli.
    Cooperare, collaborare è giusto e utile solo se è atto libero e volontario. Altrimenti, è violenza, ideologia, arroganza. Malissimo le Unioni, meglio le federazioni o le confederazioni. La competizione tra territori è meglio della repressione delle dinamiche e delle differenze. Altrimenti, sarà inevitabile il trasferimento coercitivo di risorse tra produttori e non produttori.
    Chi ha detto che è buono un certo stile di vita e non un altro? Chi è che vuole standardizzarci?

    Questo blog offre soluzioni individuali difensive.
    Ma qui ci vorrebbero cds sovrani e regionali! Scommesse contro le messinscene più insostenibili.
    Vorrei scommettere sul default della Sicilia o del Molise, dell'Italia o della Francia! Sul l'uscita della Germania dall'eurozona come su Lazio-Roma!!! Biscotto? E i 50 milioni della Champions chi li prende? O conviene accordarsi? Ci sono dossier e ricatti da riporre nel cassetto o da spiattellare in giro? E i premi partita ne risentiranno? E qualcuno ha ancora l'orgoglio di risolverla sul campo oppure no?

    Pensieri in libertà.... Però la bisteccona era proprio buona! Non era 'na sola!

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    1. Ciao Dna.

      Un manifesto del pensiero indipendente, asciutto da necessità collettiviste che intorbidiscono il pensiero delle persone le quali conservano un residuo di fiducia latente nei loro discorsi. Ma ciò sta cambiando. E' un cambiamento la margine. E' un cambiamento composto, il cui effetto si mostra poco alla volta. Osservate come ad esempio nelel ultime elezioni le prime raccomandazioni sono tutte contro l'astensionismo. L'individualità ha un prezzo. Il conformismo ha un prezzo. Sono tutti prezzi relativi che le persone agenti valutano, e poi fanno le proprie scelte. C'è chi sarà più recettivo al cambiamento, c'è chi lo sarà di meno. C'è chi lo nota prima, c'è chi lo nota solo un minuto prima che si diffonda ampiamente. E' intorno a noi, solo che alcuni lo vedono chiaramente, altri di meno. C'è anche chi lo ignora. I depositanti greci, ad esempio, l'hanno visto arrivare; hanno compreso come la loro nazione sia in bancarotta. Hanno agito, hanno assaltato i bancomat. Questo non era altro che un messaggio diretto al resto della periferia della zona Euro: "Non fidatevi delle promesse dello stato."

      Fino ad ora non è stato fatto altro che consumare risorse reali. I mercati azionari sono solo incidenti visti allo slow motion. L'innaturale record di rendimenti ridicoli del vario pattume azionario che circola nel mondo finanziario occidentale è qualcosa di mai visto prima, tenuto insieme dall'ingegneria finanziaria e dalle promesse dei banchieri centrali. Basta vedere come si sta comportando la FED: non sta affatto rallentando la creazione di nuove unità nella base monetaria, non sta riducendo il suo bilancio, non alzerà i tassi e presto si ritroverà a lanciare il QE4. I rendimenti diventeranno più ridicoli e gli sciocchi penseranno di poter guadagnare denaro da prezzi degli asset sempre più alti. Ciò equivale al contadino che vende il proprio trattore e campa coi soldi ricevuti in cambio. Una volta finiti non avrà un mezzo attraverso il quale sostenere la propria sussistenza. Allo stesso modo, coloro che non si faranno trovare pronti sperimenteranno un brutto risveglio.

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