venerdì 29 maggio 2015

Benvenuti nel nuovo ciclo di recessione — E' innescato da bolle che scoppiano, non da un'inflazione in ascesa





di David Stockman


Siamo in primavera e i keynesiani che infestano Wall Street hanno fatto sbocciare di nuovo le fandonie sulla "velocità di fuga". Di solito accettano gli aggiustamenti stagionali del governo, ma sin dal primo trimestre siamo tornati ad abbracciare linee piatte e dati economici anemici, e sembra proprio che la causa sia da affibiare ancora una volta ad inverni estremamente rigidi. Anche i dati fiacchi sull'occupazione sono stati causati da un eccesso di neve che non lasciava uscire di casa i lavoratori.

Ma secondo il mondo fatato dei keynesiani, i posti di lavoro sono in pieno boom, i salari stanno aumentando, i prezzi delle case stanno salendo, la fiducia dei consumatori è vivace, le vendite di auto sono forti e le imprese stanno cominciando ad accendere nuovi prestiti. E' tutto così magico e incantato che a stento gli economisti di Wall Street riscono a contenere la loro euforia:

"I consumatori sono riemersi dalla depressione invernale. Se in questo momento iniziassero a spendere come se non ci fosse un domani, allora l'economia andrebbe ai massimi giri nei prossimi mesi," ha detto Chris Rupkey, capo economista finanziario presso la MUFG Union Bank di New York.

Sono ormai parecchi anni che Rupkey si aspetta un'economia ruggente, di conseguenza possiamo tranquillamente ignorare la stupidità istituzionale che sgorga da colossi pietosi che si fanno passare per banche giapponesi. Ma l'enfasi entusiasta di Rupkey rappresenta semplicemente un copione generico che va di moda a Wall Street.

Dal momento che queste persone vengono strapagate, hanno dottorati e potrebbero sembrare intelligenti, com'è possibile che per cinque anni consecutivi le loro previsioni sono risultate così maledettamente sbagliate? La risposta è semplice: lavorano su un modello di ciclo economico che è assolutamente errato e obsoleto; e che distorce e offusca i dati "in entrata" e le illazioni e le aspettative che ne derivano.

In una parola, il loro modello di ciclo economico si basa su un mondo fatto di "bilanci puliti" e guidato dall'indebitamento di Main Street. Però ora abbiamo raggiunto il cosiddetto "picco del debito" e ci troviamo in un mondo finanziario in bolla guidato dalla speculazione di Wall Street. Questo passaggio cambia tutto.

A dire il vero, il "vecchio" ciclo economico era sempre innescato dalla FED. Dopo tutto, il ciclo economico in sé è essenzialmente un prodotto della banca centrale.

Infatti, le banche centrali sono simili ad un ragazzino di 12 anni che uccide i propri genitori e poi scongiura il giudice di avere pietà poiché è orfano. Cioè, prima generano l'inflazione del credito e il conseguente ciclo di boom/bust — poi rivendicano l'indispensabile inversione della crisi per evitare un tuffo nel buio della depressione economica.

Ma ci sono alcune grandi differenze tra il passato e il presente. La FED di ieri era reattiva, prudente e pre-keynesiana. Di tanto in tanto innalzava i tassi d'interesse per "lasciarsi spingere dai venti" in caso di troppo boom economico e un aumento dell'inflazione; abbassava moderatamente i tassi d'interesse e allentava le condizioni monetarie una volta che l'inflazione si era calmata e le risorse inattive, tra lavoro e capitali, erano tornate ad essere cospicue. Ma soprattutto, era un guardiano passivo.

Detto in modo diverso, il tocco gentile attraverso modesti aggiustamenti del tasso dei Federal Fund per la durata di pochi mesi, era una cosa. Il tocco pesante di oggi è un'altra, con i 75 mesi di ZIRP e repressione finanziaria cronica mirata a controllare, gestire e manipolare il percorso di breve periodo del PIL.

All'epoca avevamo quella che potremmo definire una banca centrale in ogni paese — qualcosa di molto diverso dall'attuale convoglio sincronizzato di banche centrali keynesiane che corrono tutte nella stessa direzione: stampa monetaria a tavoletta. Anche il costo del lavoro negli Stati Uniti era alla pari con quello del resto del mondo industrializzato, diversamente dall'odierno bacino di manodopera a basso costo in Cina e nei mercati emergenti.

Ancora più importante, allora i bilanci delle famiglie erano sostanzialmente privi di debiti onerosi, consentendo una risposta forte alle variazioni nel prezzo del credito e una conseguente mobilitazione della spesa dei consumatori. Al contrario, per gli attuali bilanci delle famiglie saturi di debito la spesa è essenzialmente confinata all'entità dei salari, indipendentemente dal prezzo del credito.

Infine i vecchi mercati dei capitali erano relativamente onesti, il che significa che il debito e il capitale proprio erano valutati in modo corretto e che i dirigenti venivano premiati per investire in attività produttive di lungo termine. Inutile dire che ci sono anni luce di differenza con l'attuale casinò finanziario disonesto, dove il debito è drasticamente sottovalutato e le manovre d'ingegneria finanziaria (come il riacquisto d'azioni proprie) sono sovvenzionate e ricompensate.

Queste profonde differenze hanno modificato drasticamente il ciclo economico innescato dalla FED. Negli anni '60 e '70, ad esempio, il taglio dei tassi d'interesse spronò la costruzione di case e l'espansione degli investimenti delle imprese. Poi, quando la domanda alimentata dal credito superò l'offerta — salari e prezzi hanno accelerato bruscamente. Avevamo "inflazione in un solo paese" perché non c'era una bacino di lavoratori a basso costo e fabbriche asiatiche che potessero costringere una spiralizzazione del costo dei salari.

Sì, c'era il commercio industriale, ma i livelli dei salari europei e la rigidità normativa tendevano a correre paralleli a quelli degli Stati Uniti, e quindi non fungevano da interruttore economico. Alla fine la FED doveva pigiare i freni per estinguere la spiralizzazione dei prezzi dei salari che essa stessa aveva innescato.

Dopo la distruzione del gold-exchange standard da parte di Nixon nell'agosto 1971 e l'eliminazione della modesta disciplina finanziaria che forniva, l'impatto della FED è diventato più intenso e il ciclo economico molto più volatile. Come descritto di seguito, quando l'accoppiata Nixon-Burns aprì i rubinetti monetari durante le elezioni del 1972, all'inizio l'economia sperimentò un boom perché la risposta all'abbondanza di credito fu veloce e furiosa.

Ma ben presto portò ad una spirale travolgente di salari e prezzi, per non parlare dei goffi controlli dei prezzi approvati dall'Amministrazione Nixon. Ed è fondamentale capire come e perché le cose andarono in modo diverso — rispetto allo tsunami monetario di oggi.

La grande differenza era l'assenza della Cina, era l'assenza di quei contadini cinesi nei villaggi rurali che potevano essere utilizzati come manodopera a basso costo e mobilitati nell'economia commerciale del mondo. La forza lavoro anti-inflazionistica della Cina stava morendo di fame nei villaggi rurali a causa della calamità del Grande Balzo in Avanti (per cui gli abitanti avevano diligentemente fuso zappe e aratri per produrre acciaio) e della Rivoluzione Culturale (che aveva paralizzato la vita economica).

Le importazioni statunitensi salirono dopo che la capacità nazionale venne completamente esaurita, scatenando un boom a livello mondiale sia nei beni d'investimento sia nei beni di consumo. Ciò a sua volta fece salire il prezzo del petrolio e quello di altre materie prime, mentre la domanda mondiale per quest'ultime superò temporaneamente la loro offerta.

L'impennata del prezzo del petrolio e quello di altre materie prime si ripercosse sull'economia americana, scatenando una spirale dei salari e dei prezzi interni che si auto-alimentò. Di fronte ad una domanda dilagante e senza la scure cinese su salari e prezzi dei beni commerciabili, la marea inflazionistica si fermò solo quando nel 1973-1974 la FED premette il pedale del freno.

Di conseguenza è fondamentale capire la profonda differenza tra il ciclo economico di allora e quello di oggi. Il seguente estratto dal libro The Great Deformation cattura l'essenza di quello che è successo nel periodo post-1971/pre-Cina:

Durante quel periodo ci fu una massiccia espansione di moneta e credito alimentata dalla FED. Questo, a sua volta, generò la più grande impennata nell'inflazione dei prezzi delle commodities sin dal 1919.

Il petrolio greggio fece da apripista. Dopo essere stato valutato sul mercato mondiale a $1.40 al barile quando Nixon si riunì insieme al suo staff a Camp David nel 1971, nei quattro anni successivi salì ad un picco intermedio di $13 al barile e nel 1980 arrivò a $40 al barile.

Vennero incolpate le forze politiche piuttosto che quelle economiche per l'impennata mondiale dei prezzi del petrolio post-1971 — in particolare il presunto aggiotaggio del cartello dell'OPEC. Infatti, fatta eccezione per un breve periodo durante la guerra del Medio Oriente nel 1973, il petrolio fluiva regolarmente nel mercato.

Il problema non era una carenza di petrolio, ma un fiume di denaro e una domanda gonfiata. Tra il 1972 e il 1974 l'economia globale raggiunse un ritmo d'espansione incandescente, in parte dovuto alla trazione del boom di Nixon. Ad esempio, le importazioni non petrolifere verso gli Stati Uniti aumentarono del 15% nel primo anno dopo Camp David, poi accelerarono al 22% l'anno successivo e infine arrivarono al 28% nei dodici mesi terminanti nell'agosto 1974. Questi aumenti giganti nei beni importati erano letteralmente fuori scala.

Mentre la domanda statunitense accendeva un boom di produzione in tutto il mondo, aumentarono il numero delle fabbriche mondiali. Inoltre stava emergendo una forza ancora più potente. In risposta alle inondazioni di moneta e credito della FED, le banche centrali di tutto il mondo si accodarono con la loro espansione monetaria.

Compravano dollari e vendevano le proprie valute al fine di prevenire la pressione al rialzo sui tassi di cambio, insita nel nuovo mondo delle valute fluttuanti. In altre parole i banchieri centrali, avveduti fino a quel momento, si trasformarono in stampatori di denaro seriali per legittima difesa, perché dovevano contrastare la marea di dollari emessa da Arthur F. Burns.

Infatti, con i tassi di cambio non più fissi e visibili, un processo di svalutazione competitiva più subdolo divenne il modus operandi quotidiano. In questo modo la FED propagò le sue politiche inflazionistiche a tutta l'economia mondiale.

Quindi è stata una tempesta di denaro e credito che ha generato la prima bolla delle materie prime dopo il 1971, non il cartello dell'OPEC. Poiché se il problema fosse stata la sedicente manipolazione dei prezzi da parte del cartello petrolifero, non si spiegherebbero i vari boom nelle commodities durante lo stesso periodo di tempo.

Ovviamente non vi era alcuna prova di accordi di cartello nei mercati del riso, del rame, della pancetta di maiale, o del sego industriale. Eppure, tra il 1971 e il 1974, il riso passò da $10 a $30 per quintale, mentre la pancetta di maiale salì da $0.30 per libbra a $1.

Analogamente, il costo di una tonnellata di rottami d'acciaio salì da $40 a $140; lo stagno saltò da $2 a $5 per libbra; e il prezzo del caffè si impennò vertiginosamente fino a quasi otto volte, da $0.42 a $3.20 per libbra. Anche il sego industriale partì per la tangente, passando da $0.06 a $0.20 per libbra; e più o meno lo stesso schema si ripetè per il prezzo del grano, del rame, del cotone, del piombo, del legname e della soia.

Inutile dire che il primo ciclo inflazionistico del denaro fluttuante fu uno shock per i funzionari politici, in particolare per la Federal Reserve e il suo presidente. Mentre il presidente Burns era un pusillanime quando doveva scontrarsi con le richieste di Washington, rimase un falco anti-inflazione quasi per una questione di fede.

Così quando Nixon dovette affrontare lo scandalo del Watergate, Burns rinsavì e premette energicamente il pedale del freno monetario. Di conseguenza l'espansione del credito bancario a due cifre si arrestò, aumentando solo dell'1.2% nel 1975.

Da un punto di vista macro lo stimolo della FED funzionò egregiamente, perché le famiglie furono in grado di accendere nuovi prestiti a palate e comprare auto e case nuove. Questa impenanta di spese, a sua volta, innescò un circolo vizioso di nuovi redditi e di posti di lavoro, più spesa e ancora più consumi.

La costruzione di nuove case raddoppiò nel corso dei tre anni successivi al 1971. Poi, quando la FED fu costretta a tenere a freno il ciclo economico a causa di un aumento dell'IPC e dell'inflazione salariale, le nuove costruzioni calarono immediatamente — solo per eruttare di nuovo quando alla fine del 1974 la FED tornò in modalità espansione monetaria.




Lo stesso modello lo ritroviamo negli investimenti reali, dove la fluttuazione ciclica era ancora più estrema. Quando la FED aprì i rubinetti del credito nel 1971, gli investimenti netti in impianti e macchinari salirono del 52% nei due anni successivi, ma poi calarono di quasi il 45% dal picco 1973 quando la FED fu costretta a chiudere i rubinetti del credito.

Inutile dire che dopo il ciclo espansivo del 1974-1975, il costo del credito alle imprese scese bruscamente e la spesa per investimenti crebbe ancora una volta. In realtà, gli investimenti netti reali aumentarono del 100% tra il 1975 e il 1978 — un record mai eguagliato prima o dopo.




Senza la presenza della Cina, naturalmente, i salari e l'inflazione seguirono il ciclo espansivo perché non c'erano costi di produzione alternativi a bassissimo costo. Cioè, non c'era alcun posto all'estero in cui spostare la produzione e fare arbitraggio sui costi del lavoro. Di conseguenza la FED non ebbe altra scelta se non frenare per due volte negli anni '70, perché questi scatti viziosi di salari e inflazione dei prezzi creavano dolore economico immediato e diffuso tra la popolazione di Main Street.

Così, quando iniziò la baldoria monetaria di Nixon-Burns alla fine del 1971, l'IPC aumentò ad un tasso annuo del 3%, ma arrivò al 12% nel novembre 1974 al culmine del boom globale. Dopo che la FED frenò e mandò in tilt l'economia americana, l'indice scese al di sotto del 5% alla fine del 1976. In seguito al rinnovato slancio espansionistico della FED, l'IPC salì a quasi il 15% nei primi mesi del 1980.

Alla fine, fu proprio questo sfogo inflazionistico che screditò il keynesismo e portò Ronald Reagan alla vittoria. E ancora una volta, la ragione per cui i prezzi al consumo esplosero alla fine degli anni '70, non fu la presenza dell'OPEC sul mercato mondiale del petrolio; fu invece l'assenza della forza lavoro cinese e dei prezzi convenienti di beni commerciabili a fronte di una massiccia espansione monetaria.




Sono cambiate due cose dopo il 1979-1980. In primo luogo, i fondatori maoisti sono stati cacciati dalla Cina e sono stati sostituiti da "capitalisti rossi". Questi ultimi hanno presto scoperto che il potere dello stato si estende lungo una stampante monetaria, e non lungo una canna di fucile.

In secondo luogo, il personale della Casa Bianca ingannò Ronald Reagan affinché si sbarazzasse di Paul Volcker. Quest'ultimo sviluppo aprì le porte a Greenspan e all'età della repressione finanziaria; il precedente sviluppo, invece, mandò al potere Deng e le sue industrie dell'export, scatenando così l'età della repressione dei prezzi e dei salari globali made in China.

Il resto è storia e viene ricordata nei due grafici qui sotto. In una parola, Greenspan e i suoi successori hanno esportato l'impatto inflazionistico delle loro politiche monetarie, soprattutto prima della crisi finanziaria del 2008.

Hanno ampliato il credito interno come mai visto prima, facendo salire il debito nel mercato del credito statunitense da $11,000 miliardi, quando si insediò Greenspan, a $52,000 miliardi, quando nel 2008 Bernanke mentì ad un Congresso in preda al panico dicendo che eravamo sul punto di una Grande Depressione 2.0.

Gente, questo è un aumento di 5 volte in appena due decenni, o un tasso di crescita del credito di quasi il 10% annuo.




Eppure, a differenza degli anni '70, non c'è stato alcun attacco inflazionistico, perché la massiccia spesa interna alimentata dalla stampa monetaria della FED è stata assorbita dalla Cina e dagli altri mercati emergenti. Infatti, sin dal 1980 gli Stati Uniti hanno gestito deficit delle partite correnti di quasi $8,000 miliardi — consumo che è stato prestato al di fuori delle quattro mura dell'economia statunitense e quindi non ha alimentato pressioni inflazionistiche interne.




Ma, no, questo non è un miracolo della divisione del lavoro e del libero scambio come descriveva Adam Smith. Né rappresenta un pasto gratis finanziario. Invece questo è il classico caso di illusione finanziaria — ma su scala epica.

La Cina, i produttori di petrolio nel Golfo Persico e il resto dei mercati emergenti ci hanno sostenuti stampando le loro valute e acquistando dollari, in questo modo hanno soppresso i loro tassi di cambio proteggendo il loro modello commerciale mercantilista. Questo ha permesso alle famiglie negli Stati Uniti di affogare ancora di più nel debito, prima che il meccanismo storico dell'impennata dei tassi d'interesse soffocasse la baldoria dell'indebitamento.

L'era Greenspan-Bernanke di massiccia repressione finanziaria ha assestato una mazzata ai prezzi del credito. Vale a dire, li ha saturati fino all'orlo facendoli raggiungere il "picco del debito". Dopo il 2008 le famiglie si sono fermate perché avevano esaurito la loro capacità di trasportare più debito rispetto al reddito. Come mostrato di seguito, i rapporti di leva delle famiglie hanno effettivamente iniziato a scendere dal picco storico a cui erano arrivati prima della crisi del 2008.




Sul fronte commerciale le tendenze dei dati sono leggermente diverse, ma l'impatto è lo stesso. Sin dal 2007 il debito bancario lordo e netto ha continuato a crescere, ma i proventi sono stati quasi interamente riciclati nell'ingegneria finanziaria — inclusi più di $2,000 miliardi di riacquisti d'azioni e molte migliaia di miliardi d'inutili operazioni di Fusione e Acquisizione.




La morale della favola è quindi semplice: il canale della trasmissione della politica monetaria è ormai rotto. L'impatto della ZIRP e del QE non lascia mai i canyon di Wall Street — il che significa che serve a gonfiare gli asset finanziari anziché i salari di Main Street, come invece accadde durante l'epoca dell'inflazione in un paese.

Ma questa è una terribile ironia e al contempo un grave pericolo. I banchieri centrali keynesiani di oggi credono di poter schiacciare il pedale dell'acceleratore finché non emergerà una spirale inflazionistica in stile anni '70. Ma non sta arrivando niente di tutto ciò, perché la stampa di denaro degli ultimi due decenni ha generato un'enorme capacità in eccesso e investimenti improduttivi in tutto il pianeta. Ciò che sta arrivando, quindi, non è una spirale inflazionistica come i vecchi tempi, bensì una deflazione globale senza precedenti.

Le banche centrali continuano solamente a stampare, gonfiando bolle negli asset in tutto il mondo. Quello che fermerà il nuovo ciclo del credito, quindi, sarà lo scoppio delle bolle finanziarie.

Questo è già accaduto due volte in questo secolo. Una terza volta sembra essere proprio dietro l'angolo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


giovedì 28 maggio 2015

Dovremmo cestinare l'euro?





di Frank Hollenbeck


Il dramma greco continua a tenere banco sui titoli dei giornali, con il rischio sempre più concreto di un'uscita della Grecia dall'euro. Tuttavia, la maggior parte del popolo greco vuole continuare ad usare l'euro. Ciò costringerebbe il governo greco a vivere entro i propri mezzi, il che non sarebbe una cosa negativa. Con i partiti anti-austerità che guadagnano trazione giorno dopo giorno, la Grecia potrebbe essere la prima, e non l'ultima, ad abbandonare la moneta unica. Eppure il problema in Europa non è tanto l'euro, ma le normative pubbliche asfissianti, la spesa e la tassazione.

Per molti anni è andato di moda incolpare l'euro per tutti i problemi dell'Europa. Gli economisti che suggeriscono di abbandonarlo, sono come quelle persone che vendono brodaglie miracolose in grado di farvi perdere peso senza che voi smettiate di mangiare pizze o ciambelle. Vogliono qualcosa senza pagarne il prezzo. Sostengono che sia molto meglio ridurre il debito attraverso l'inflazione – perntanto derubando i creditori – piuttosto che impegnarsi in aggiustamenti dolorosi per limitare le dimensioni dello stato e ridurne le tasse. Il vero problema non è tanto l'euro, ma la spesa pubblica finanziata dal debito.

La giustificazione teorica a favore dell'abbandono dell'euro, proviene dalla letteratura sulle aree valutarie ottimali. Spieghiamo di cosa si tratta. Supponiamo di avere due città, Los Angeles e Las Vegas, la prima in depressione e la seconda in pieno boom. Gli stipendi dovrebbero crollare a Los Angeles e salire a Las Vegas. Il lavoro si muoverebbe, quindi, da Los Angeles a Las Vegas. Immigrazione e costi dei salari mitigherebbero il boom e attenuerebbero il crollo. Questi fattori sono conosciuti come stabilizzatori automatici.

Se il lavoro non può migrare a Las Vegas a causa delle differenze di lingue, o per altre restrizioni, allora l'aggiustamento ricadrà esclusivamente sui costi del lavoro. Se invece le due città hanno valute diverse, allora un deprezzamento della moneta di Los Angeles potrebbe sostituirsi agli aggiustamenti nei salari e nei numeri dell'immigrazione. In altre parole, un aggiustamento esterno nella valuta sostituirebbe aggiustamenti interni nei costi del lavoro. Quindi una regione con una bassa mobilità del lavoro sta meglio con una moneta propria, come i singoli paesi dell'Europa, mentre una regione ad alta mobilità del lavoro, come gli Stati Uniti, starebbero meglio con una moneta comune. In altre parole, un paese con una moneta propria può gestire in modo indipendente politiche monetarie e fiscali. Naturalmente gli economisti Austriaci giudicherebbero tali vincoli in modo positivo, perché le politiche monetarie, o fiscali, vanno a ridistribuire i redditi e interferiscono con i prezzi e l'allocazione in modo efficiente delle risorse scarse.

I vantaggi di una moneta unica sono enormi. La trasparenza viene migliorata, mentre l'incertezza e i rischi vengono ridotti. Ovviamente il denaro non dovrebbe essere considerato come un'unità di misura, ciononostante ne condivide alcuni tratti filosofici: non esiste una grandezza ottimale per una riga, né vogliamo che i numeri impressi su di essa cambino costantemente; dovrebbe essere di una certa lunghezza e non dovrebbe cambiare di molto se si vuole che funzioni al meglio. Lo stesso vale per i soldi. Capitali e investimenti reali prosperano in un ambiente in cui l'unità di conto è per lo più stabile.

Chiunque abbia viaggiato in un paese straniero conosce i problemi che si hanno con una valuta estera. Innanzitutto è necessario pagare una tassa per convertire il proprio denaro, e poi bisogna spenderlo tutto prima di tornare in patria, altrimenti vi ritroverete in tasca monete e banconote inutili.

Coloro che invocano un abbandono dell'euro, citano spesso i costi del lavoro più elevati in Italia rispetto a quelli in Germania. Nessuno pare domandarsi perché il costo del lavoro sia diventato molto più elevato. Se l'Italia ha costi più elevati nella produzione delle automobili rispetto alla Germania, per esempio, allora l'industria automobilistica in Italia dovrebbe andare in bancarotta. Se il governo italiano sostiene la produzione automobilistica italiana con sovvenzioni o agevolazioni fiscali, non dovremmo sorprenderci di vedere un costo del lavoro più elevato nel settore automobilistico italiano. Non è stato l'euro che ha fatto impennare i costi del lavoro, ma le politiche statali.

Inoltre, nella maggior parte dei paesi dell'Europa meridionale, lo stato ricopre quasi il 50% dell'economia. La maggior parte delle persone o lavora per lo stato direttamente, oppure lavora nel settore privato i cui ricavi dipendono direttamente dalla generosità dello stato. Di sonseguenza la maggior parte dell'economia non è minimamente influenzata dalla competitività internazionale.

Né, a quanto pare, si parla mai dei costi del lavoro dell'Europa meridionale rispetto a quelli in Cina o in India. No, sulla bocca di tutti ci sono sempre i costi del lavoro in Germania. Il vero problema non è il costo del lavoro, ma una mancanza di competitività. Sin dal 2007 la Gran Bretagna ha guadagnato molto poco dal calo del tasso di cambio della sterlina. Oggi un prodotto fatto in Gran Bretagna contiene parti provenienti da tutto il mondo, quindi un calo del valore della sua valuta concede ai produttori un piccolo guadagno temporaneo: riduzione dei costi interni, rappresentati perlopiù dal lavoro. Questi guadagni scompaiono rapidamente dal momento che i sindacati sono consapevoli di come le svalutazioni riducono il valore reale dei salari nominali. Lo stato dovrebbe concentrarsi su politiche volte a migliorare la competitività (come la riduzione delle imposte e della burocrazia), invece di ricercare un guadagno provvisorio e illusorio svalutando la moneta.

Qualcuno potrebbe obiettare che banche centrali in concorrenza e valute concorrenti, rappresenterebbero una scelta migliore rispetto ad una singola banca centrale con una moneta unica. Naturalmente non c'è niente di "competitivo" nelle azioni dello stato, poiché si basano sul potere coercitivo. Ci basta osservare lo stato in cui versano le valute "concorrenti" di tutto il mondo, per capire che questa è semplicemente una corsa verso l'oblio. Come disse Mises:

L'accettazione dei principi di uno standard flessibile (tasso di cambio), deve pertanto portare ad una gara tra le nazioni dove l'offerta di una viene superata da quella dell'altra. Alla fine di questa gara, ci sarà solo la completa distruzione dei sistemi monetari di tutte le nazioni.

Una singola banca centrale con un'unica moneta fiat non rappresenta una panacea. Tutti i sistemi a moneta fiat, senza una riforma monetaria, finiscono per soccombere all'iperinflazione. Una banca centrale indipendente è solamente un'illusione. Quando arriva il momento critico e uno stato si ritrova con le spalle al muro, farà di tutto per sopravvivere. La presunta "indipendenza" della banca centrale sarebbe semplicemente un "ostacolo sulla sua strada". Solo qualcosa come l'oro può impedire ad uno stato di utilizzare la stampante monetaria per sedare la sua insaziabile voglia di crescere consumando sempre più risorse scarse.

Il problema con l'euro non è che si tratta di una moneta comune, ma che è una moneta fiat. A differenza della Federal Reserve negli Stati Uniti, la BCE ha un solo mandato – la stabilità dei prezzi. Tuttavia la BCE, così come la FED, è responsabile per le bolle immobiliari e altri investimenti improduttivi all'inizio del secolo.

La BCE, quindi, è solamente l'ennesima macchina gonfia-bolle. Fornisce liquidità in cambio di garanzie collaterali; più è alta la loro qualità, maggiore sarà la liquidità. Le banche europee hanno subito capito che la migliore garanzia erano i titoli di stato della zona Euro, dal momento che tutti avevano un rating AAA. L'ipotesi alla base di questo ragionamento era che gli stati non possono andare in default.

Con una forte domanda di titoli di stato, i loro tassi d'interesse sono scesi velocemente a livelli che solo la Germania aveva visto prima di allora. Con l'abbassamento del costo del denaro, paesi come la Grecia o l'Italia hanno avuto un maggiore incentivo a prendere in prestito per alimentare la loro spesa pubblica (aumentando soprattutto i salari nel settore pubblico). Gli stati hanno emesso una quantità eccessiva di obbligazioni, le quali hanno portato ad una quantità eccessiva di liquidità e di credito. Le enormi bolle immobiliari e gli altri investimenti improduttivi tra il 1999 e il 2007 in tutta la zona Euro, sono stati il risultato di questo azzardo morale.

Senza una tale politica monetaria, la Grecia, la Spagna e l'Italia non sarebbero mai state in grado di sprofondare così tanto nel debito. La bolla nei titoli di stato può essere direttamente attribuita alla liquidità concessa dalla BCE. La cosa incredibile è che questo sistema si regge ancora in piedi, e la BCE sembra totalmente inconsapevole di ciò che ha fatto e continua a fare. Le banche europee sono attualmente indebitate fino al collo, ma la BCE sembra ignara del suo ruolo in questa enorme farsa.

Tra l'altro la BCE sta acquistando €60 miliardi di titoli di stato al mese, spingendo gli stati europei a prendere in prestito ancora di più. Naturalmente la stampa di carta senza valore non risolverà il problema fondamentale dell'Europa: disallineamento tra domanda e offerta – un disallineamento creato dall'incessante interferenza statale col funzionamento del sistema dei prezzi. La stampa di denaro non farà altro che peggiorare le cose, poiché interferisce con il funzionamento di un'economia di mercato: altera i prezzi relativi e assoluti, causando una divergenza tra ciò che la società vuole che venga prodotto e ciò che viene effettivamente prodotto.

Con questo QE l'Europa sta scivolando lentamente lungo la china dell'iperinflazione, finale di partita di tutti i sistemi a moneta fiat. E' per questo motivo che lo stato non deve avere la possibilità di influenzare il valore di una valuta.

Pochi economisti capiscono perché così tanti sostengono un ritorno al gold standard. Keynes definiva l'oro come una "reliquia barbarica". Non perché l'oro sia in qualche modo speciale. L'oro ha molti svantaggi, ma il suo vantaggio principale li sminuisce tutti. Il gold standard, infatti, limita lo stato, impedendogli di fare ricorso alla stampante monetaria per finanziare le sue spese.

Un'unità di conto e di scambio stabile è una grande idea, ma ha bisogno di governi disposti ad accettarne la disciplina finanziaria. Se qualcuno deve cestinare l'euro, questa è la Germania. L'attuale strategia per proteggere la moneta comune è quella di risolvere un problema di debito con altri debiti. La Germania sarebbe saggia se unisse i paesi che la pensano allo stesso modo sulla politica monetaria e creasse un euro settentrionale coperto dall'oro. I paesi dell'Europa meridionale sono una causa persa. Le persone non stanno protestando per una minore ingerenza dello stato, ma affinché intervenga di più. Lasciate che ottengano ciò che vogliono: una moneta senza valore!


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


mercoledì 27 maggio 2015

Banalità, ipocrisie e la “magnacciocrazia”





di Bill Bonner


Diamo uno sguardo a come sono cambiati l'economia americana, il denaro e il governo da quando il presidente Nixon abolì il sistema monetario coperto dall'oro.

Non in meglio.

Sappiamo già cosa è accaduto al denaro. Sin dal 1971 è stato un sistema basato sul credito, non sull'oro.

L'economia pre-1971 aveva tre caratteristiche fondamentali:

  1. Era in buona salute — L'industria faceva cose e le vendeva ad un profitto.
  2. Era giusta — Il progresso finanziario era equamente distribuito.
  3. Era solvibile — Gli Stati Uniti erano una nazione creditrice, non un debitrice.

Gli americani dicono ancora di credere nel libero mercato, nella democrazia e nella rettitudine finanziaria, ma sono solo luoghi comuni e ipocrisie.

Le industrie americane sono state in gran parte vendute alla Cina e ad altri produttori nei paesi emergenti.

Ma tutto ciò non è avvenuto così, "su due piedi". E' stato finanziato dalla politica monetaria allentata della FED. I consumatori americani hanno acceso prestiti per spendere più denaro di quanto potessero permettersi. Walmart ha soddisfatto i loro desideri con lo slogan "Prezzi Bassi Tutti i Giorni", per gentile concessione dei lavoratori cinesi a basso reddito.

Questi hanno spedito i dollari in Cina. I cinesi hanno usato i profitti per costruire fabbriche migliori. Peccato per gli imprenditori americani che hanno cercato di competere: sono stati sopraffatti.

Hanno dovuto pagare stipendi 10 volte superiori a quelli dei cinesi. Hanno anche dovuto piegarsi alle regole — fiscali, ambientali, lavorative — che li hanno fatti arrancare e li hanno ostacolati.

Non c'è rimasto molto nell'economia industriale americana. Il settanta per cento dell'economia degli Stati Uniti è composta dalla spesa dei consumatori. Il settore manifatturiero è sceso al 12% dell'economia... rispetto al 24% nel 1971. E oggi rappresenta la principale fonte di ricchezza in soli sette stati.

La de-industrializzazione degli Stati Uniti viene affibiata alla diminuzione dei salari della classe media americana. Stesso discorso per l'immigrazione e i robot.

"Non è ingiusto", dicono le persone che l'hanno provocata. "E' solo il libero mercato."

Ma il libero mercato è stato una delle prime vittime del denaro fiat.

In un libero mercato, le persone guadagnano soldi lavorando (reddito) o risparmiando e investendo (crescita del capitale).

Ma il denaro basato sul credito non necessita né di lavoro, né di risparmio; basta conoscere le persone giuste. Le banche private, aiutate e incoraggiate dalla Federal Reserve, hanno potuto creare tanto denaro fiat quanto desideravano e finanziare i loro compari a Wall Street.

La nuova moneta poteva quindi trasformare l'acqua in vino.

Per i privilegiati era quasi gratis; la FED ha fatto in modo che lo fosse. Ma per i consumatori è diventata un pesante fardello.

E per l'economia è diventata un meccanismo d'inflazione per le bolle finanziarie.

L'ultimo scoppio l'abbiamo sentito quando le banche e le agenzie di mutui (Fannie e Freddie in parte di proprietà dei federali) hanno prestato migliaia di miliardi di dollari a quegli individui che volevano acquistare una casa, i quali però si sono ritrovati un debito che non potevano permettersi su case di cui non avevano bisogno.

Nel 1995 il mercato dei prestiti subprime era di circa $65 miliardi. Nel 2007 si era gonfiato a $1,300 miliardi — un aumento del 1,900%.

Quando il castello di carte è crollato nel 2008, i federali si sono mossi velocemente. Non per aiutare i proprietari di case, ma per salvare Wall Street e le grandi case automobilistiche.

I salari aumentano quando i lavoratori diventano più produttivi. Gli incrementi di produttività richiedono investimenti di capitale (formazione, nuove tecnologie, nuovi materiali, ecc.). Ciò rende possibile nuovi risparmi. Questi nuovi risparmi diventano la fonte di nuovi investimenti di capitale.

Ma negli anni '80 e '90 il tasso di risparmio degli Stati Uniti è sceso.

Perché preoccuparsi di risparmiare quando si può ottenere denaro falso dalle banche controllate dalla FED?

Inoltre la FED si è assicurata che i tassi d'interesse restassero ultra bassi. Ciò ha reso più attraente il credito, poiché il costo dell'indebitamento è sceso. E ciò ha reso meno attraenti i risparmi, poiché i tassi d'interesse sui risparmi sono calati.

Meno risparmi hanno portato a meno investimenti in fabbriche, magazzini, nuove imprese e nuove tecnologie che generano posti di lavoro veri e propri.

Perché correre il rischio di sviluppare la propria attività in nuovi mercati, quando si può semplicemente prendere in prestito denaro e acquistare le proprie azioni?

Perché preoccuparsi di avviare una piccola impresa, quando tutto il credito va a quelle grandi?

Per la maggior parte della classe operaia americana, i salari reali hanno raggiunto il picco a metà degli anni '70. Da allora sono calati. I ricchi sono diventati più ricchi. Le classi povere e medie si sono indebitate ulteriormente per cercare di tenere il passo.

Sin dalla crisi del credito nel 2008, quasi il 100% dei guadagni nei prezzi degli asset è finito in tasca al 10% della popolazione. Non è stato un caso. La FED ha messo la sua stampante a disposizione dei ricchi — surriscaldando i prezzi degli asset, ma lasciando al freddo il resto dell'economia.

Ora gli Stati Uniti sono il più grande debitore del mondo. Non in rapporto al PIL. Questo titolo va al Giappone. Ma è una distinzione degna di nota: gli Stati Uniti sono passati dall'essere creditori a debitori in poco più di una sola generazione.

Cos'è successo? Il processo naturale della storia? Un colpo di fortuna?

Probabilmente no. E' il risultato di decisioni politiche prese da scribacchini, tirapiedi e vecchi politici che ne hanno ottenuto il massimo guadagno.

Non ci sono stati dibattiti popolari. Non ci sono stati voti. Piccole ma potenti élite hanno creato il dollaro fiat, il TARP, la ZIRP e il QE. Sono state anche responsabili delle spese, delle regolamentazioni e delle decisioni fiscali prese da Washington. Che queste disposizioni abbiano favorito queste stesse élite, non è solo una coincidenza.

Il nostro vecchio amico Jim Davidson la chiama "magnacciocrazia". Almeno con le passeggiatrici abbiamo un rapporto qualità/prezzo. Invece con i "magnaccia" no. Essi sfruttano le prostitute... e i loro clienti.

Oggi abbiamo semplicemente riscoperto che il denaro fiat conduce sempre alle stesse conseguenze: indebolisce l'economia e la società che lo adotta.

Può anche accadere quando si ha un sistema monetario coperto dall'oro.

L'impero romano fu una delle prime vittime. Quando conquistava qualcosa, il denaro facile — il bottino e il lavoro degli schiavi — tornava a Roma e andava ad aumentare i prezzi. Il lavoro degli schiavi riduceva i salari dei lavoratori liberi e il bottino di guerra concorreva con i prodotti di produzione locale. Ciò indebolì l'economia interna di Roma.

La Spagna cascò in questo tranello nel XVI secolo. L'oro tornava dal Nuovo Mondo in quantità tali che gli spagnoli credevano di poter vivere col denaro facile.

Trovarono una montagna piena d'argento a Potosí, in Bolivia, e vi inviarono schiavi per estrarlo. I prezzi aumentarono notevolmente in tutta Europa. E quando svanì l'illusione del denaro facile, l'economia spagnola crollò.

Non si è ripresa finché la Spagna non ha aderito all'Unione Europea nel 1986.

Saluti,


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


martedì 26 maggio 2015

Il “tasso d'interesse naturale” è sempre positivo, mai negativo





di Thorsten Polleit


Alcuni economisti hanno sostenuto che il "tasso d'interesse reale d'equilibrio" (che rappresenta il "tasso d'interesse naturale" o il "tasso d'interesse originario") sia diventato negativo poiché una "stagnazione secolare" ha generato un "eccesso di risparmi".[1]

L'idea quindi è che i risparmi superano gli investimenti, e che sia necessario un tasso d'interesse reale negativo per ri-allineare i risparmi e gli investimenti. Dal punto di vista della Scuola Austriaca, la nozione di "tasso d'interesse reale d'equilibrio negativo" non ha alcun senso.[2]

Per dimostrarlo, cerchiamo di sviluppare la tesi passo dopo passo. Per cominciare, si dovrebbe fare una distinzione tra due tipi di tassi d'interesse: c'è il tasso d'interesse di mercato e c'è il tasso d'interesse originario.

Il tasso d'interesse di mercato è il risultato dell'offerta e della domanda dei risparmi presenti sul mercato. Lo si può osservare, per esempio, nei depositi, nelle obbligazioni, o nel mercato dei prestiti per le diverse scadenze e la qualità di credito.

Il tasso d'interesse originario è una categoria dell'azione umana: l'uomo agente valuta di più i beni presenti rispetto a quelli futuri. In altre parole: i beni futuri vengono commerciati ad un prezzo di sconto rispetto ai beni presenti. Ad esempio, $1 oggi viene preferito ad $1 tra un anno.

Se il dollaro che riceveremo tra un anno viene valutato, diciamo, $0.909, il tasso d'interesse originario è il 10%. ($1 diviso 0.909 meno 1 dà 0.10, o il 10%.) Qui il 10% è il tasso d'interesse originario (a prescindere da qualunque altro premio).



Il “Tasso d'Interesse Originario” Riflette un Valore Differenziale

Il tasso d'interesse originario è espressivo di un differenziale di valore che deriva dalla cosiddetta preferenza temporale.[3] Il termine preferenza temporale denota che l'uomo agente preferisce una soddisfazione presente piuttosto che una successiva.

La preferenza temporale è sempre positiva, e quindi lo è anche il tasso d'interesse originario. Questo è semplicemente quello che ci suggerirebbe anche il buon senso.

Ad esempio, se il tasso d'interesse originario fosse vicino allo zero, significa che preferireste due mele tra 1,000 anni piuttosto che una mela oggi. Se invece scendesse a zero indicherebbe un orizzonte temporale dell'attore economico, o il "periodo di fornitura", infinitamente lungo; un altro modo per dire che non agirebbe mai, ma spingerebbe continuamente nel futuro il raggiungimento dei suoi obiettivi.

Preferenza temporale e tasso d'interesse originario pari a zero non solo sono assurdità, ma sono anche un'impossibilità logica: la preferenza temporale positiva e un tasso d'interesse originario positivo sono logicamente impliciti nell'inconfutabile "assioma dell'azione umana".

L'azione umana è un comportamento intenzionale che implica l'uso di mezzi per raggiungere determinati fini. L'azione richiede tempo (non si può pensare il contrario). Così, il tempo è un mezzo indispensabile e scarso per raggiungere i propri fini. In quanto tale dev'essere economizzato, cosa che implica necessariamente una preferebilità nel soddisfare desideri presenti rispetto a quelli futuri.

Per ragioni (prasseo-)logiche, quindi, la preferenza temporale e il tasso d'interesse originario non possono scendere a zero, tanto meno diventare negativi. Le implicazioni di un tasso d'interesse originario negativo non possono nemmeno essere concepite dalla mente umana: un tasso d'interesse originario pari a zero implicherebbe la morte dell'azione.



Argomenti Poco Convincenti

Tuttavia, alcuni sostengono che a causa delle incertezze crescenti legate alle aspettative di vita, la gente potrebbe preferire sempre più il consumo futuro al consumo attuale; e che questo potrebbe spingere la preferenza temporale e il tasso d'interesse originario in territorio negativo.

E' fuor di dubbio che la preferenza temporale dei popoli possa diminuire nel corso del tempo, il che implica un aumento dei risparmi a scapito del consumo. Sebbene la preferenza temporale, e quindi il tasso d'interesse originario, possa diminuire, per ragioni logiche non possono arrivare a zero, tanto meno diventare negativi.

Un'altra tesi fa riferimento alla questione della "saturazione", e recita: ipotizziamo di avere due mele e di mangiarne una; placata la fame si preferisce mangiare la mela rimanente domani piuttosto che oggi. Questo esempio non prova che le persone possono valutare di più i beni futuri rispetto ai beni presenti, e che la preferenza temporale e il tasso d'interesse originario possono diventare negativi?

No. Il mancato consumo della seconda mela può essere facilmente spiegato da un'utilità marginale ormai inferiore, anche quando l'utilità marginale futura è scontata ad un tasso d'interesse originario positivo.

Detto questo, l'esempio qui sopra è costruito male.[4] Non illustra il punto rilevante, vale a dire, il caso in cui l'uomo agente considera usi alternativi per uno stesso bene — e quindi non prova affatto che la preferenza temporale, e quindi il tasso d'interesse originario, possa essere negativa.



La Fine dell'Economia di Mercato

Qual è il rapporto tra il tasso d'interesse di mercato e il tasso d'interesse originario? Nel mercato dei prestiti, per esempio, il tasso d'interesse sui prestiti è aggiustato secondo entrambi i suddetti tassi. Se, per esempio, il tasso d'interesse originario è del 2% e il credito e il premio all'inflazione sono dell'1%, rispettivamente, il tasso d'interesse di mercato sarebbe del 4%.

I tassi d'interesse di mercato possono diventare negativi in termini reali. In un "mercato ostacolato", per esempio, la banca centrale può spingere il tasso d'interesse di mercato reale in territorio negativo. Tuttavia, questo non può rappresentare un equilibrio, poiché la preferenza temporale, e quindi il tasso d'interesse originario, non può diventare negativo.

Se una banca centrale riuscisse davvero a rendere negativi in termini reali tutti i tassi d'interesse di mercato, il risparmio e gli investimenti si fermerebbero bruscamente: dato che la preferenza temporale e il tasso d'interesse originario sono sempre positivi, il "risparmio capitalistico" — l'accumulo di beni progettato per migliorare il processo di produzione — giungerebbe al termine. Ne seguirebbe il consumo di capitali, scaraventando l'umanità nella povertà. Sarebbe la fine dell'economia di mercato.

Potrebbe essere interessante notare in questo contesto che, per esempio, i nazional socialisti tedeschi chiesero l'abolizione e il divieto del tasso d'interesse. Ora sapete perché: senza un tasso d'interesse (originario) positivo, l'economia di mercato cesserebbe di funzionare.



Il Vero Scopo della NIRP

Per qualche strana ragione coloro che sostengono che il tasso d'interesse originario sia diventato negativo, sembrano dimenticare che il tasso d'interesse originario è un fenomeno che non si limita ai mercati del credito. Pervade tutti i mercati nei quali i beni presenti sono scambiati per i beni futuri.[5]

Ad esempio, il tasso d'interesse originario prevale in ogni fase della produzione rotativa. Il tasso d'interesse originario esiste anche nel mercato azionario, dove gli investitori scambiano denaro presente con un credito futuro (cioè, il pagamento dei dividendi di un'azienda).

Se volessero essere coerenti, i credenti in un tasso d'interesse originario negativo dovrebbero invocare una politica che non solo renda negativi i tassi d'interesse reali nel mercato del credito, ma anche nei mercati, ad esempio, delle azioni e delle abitazioni.

Tuttavia, una politica che fomenterebbe la distruzione del valore delle imprese e la ricchezza immobiliare delle persone, non verrebbe accolta tanto bene dalla popolazione in generale; e quegli economisti che la raccomandando non potrebbero aspettarsi di essere applauditi.

La conseguenza di un tasso d'interesse reale negativo dovrebbe essere evidente ormai: è una politica perfida per svilire il valore reale del debito; ed è una ricetta per devastare l'economia.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Si veda, per esempio, Gregory Mankiw, "It May be Time for the Fed to Go Negative," New York Times, 18 Aprile 2009; o il discorso dato da Larry H. Summers all'Economic Forum del FMI, 8 Novembre 2013.

[2] Per una lettura importante sulla "teoria dell'interesse puro e della preferenza temporale," si veda Jeffrey M. Herbener, ed., The Pure Time-Preference Theory of Interest (Auburn, Ala.: Mises Institute, 2011).

[3] Per una spiegazione più approfondita si veda, Ludwig von Mises, Human Action: A Treatise on Economics, The Scholar’s Edition (Auburn, Ala.: Mises Institute, 2008), Capitolo XIX: “Il Tasso d'Interesse,” pp. 521 – 534.

[4] Un esempio corretto sarebbe questo: immaginate di avere fame e di avere una mela. In questo caso preferireste mangiare la mela oggi piuttosto che domani. In altre parole: valutate la mela che avete in mano oggi di più di una mela domani.

[5] Si veda Murray N. Rothbard, Man Economy, and State (Auburn, Ala.: Mises Institute, [1962] 2001), Capitolo 6 “Produzione: Il Tasso d'Interesse e la Sua Determinazione,” pp. 313 – 386.

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lunedì 25 maggio 2015

Il fallimento spettacolare della FED nello stimolare il settore immobiliare

Una delle peggiori bolle immobiliari ancora in circolazione risiede in Norvegia. La banca centrale del paese, lasciando invariati i tassi d'interesse ad un minimo storico, sta alimentando un mercato palesemente in bolla. Come veniva scritto su queste pagine 2 anni fa: «[...] Un drastico calo nel prezzo del petrolio assesterebbe un duro colpo alla sua [della Norvegia] economia. Ma dato che i proventi petroliferi continuano a fluire nel bilancio statale e nel fondo sovrano, sembra che l'economia norvegese sia tutta rose e fiori.»
Guarda caso, adesso apprendiamo da Bloomberg che la magia del petrolio sta per finire. Finché è durata l'euforia petrolifera ha potuto mascherare i danni arrecati al paese dal duo espansione monetaria/abbassamento dei tassi d'interesse. Potreste pensare che dopo tutta questa baldoria il paese fosse disposto a mettere la testa a posto. Se non la sua banca centrale, almeno le componenti nel mercato privato. Invece ecco uno dei più grandi fondi sovrani norvegesi pronto ad "investire" i proventi petroliferi in grattacieli e centri commerciali cinesi. Giusto! Visto che avevano già toppato alla grande col debito della periferia della zona Euro, perché non tentare di nuovo la fortuna con edifici deserti cinesi? Quindi da una parte abbiamo una mega-bolla immobiliare, dall'altra abbiamo i fondi del mercato petrolifero che vengono "investiti" in costruzioni cinesi dalle stesse persone che pensavano fosse una buona idea prestare denaro ai greci. Date queste premesse cosa mai potrebbe andare storto?
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di David Stockman


I "dati in arrivo" sono stati deludenti anche ieri — questa volta i colpevoli non sono state le case in costruzione, che sono diminuite del 17% sin da gennaio. Ma per favore non date di nuovo la colpa al "clima"!

I dati seguenti riguardano la costruzione di case unifamiliari, che tra l'altro sono meno volatili rispetto alla costruzione degli appartamenti. Ad un tasso annuale di 593,000 unità a febbraio, il loro numero è rimasto pressoché piatto rispetto al febbraio dell'anno scorso (589,000). Se la memoria serve a qualcosa, il secondo mese del 2014 è stato l'epicentro del famoso vortice polare dello scorso anno — il che significa che esiste l'inverno, ma i risultati tiepidi di quest'anno non possono essere imputati ad un inverno che non è stato così rigido.




Oltre a ciò, gli aggiustamenti stagionali dovrebbero includere anche il tempo — soprattutto la possibilità di neve e freddo nel Nord-Est. Se poi gli aggiustamenti stagionali non dovessero risultare efficaci, vi basta considerare i primi numeri non rettificati del mese di febbraio. Durante l'inverno più freddo degli ultimi tempi, lo scorso anno il numero effettivo di case unifamiliari costruite è stato di 40,600 unità. Quest'anno è stato di 40,700. C'è bisogno di un microscopio per capire la differenza!

Fortunatamente non sono questi mini guadagni la causa dello stop nei numeri degli immobili. Quello che abbiamo qui è un altro caso di Grande Immoderazione. Cioè, la devastazione che le politiche della FED hanno arrecato all'economia di Main Street.

Tenendo a mente questi numeri non annualizzati riguardo la costruzione delle case unifamiliari, vi basta tornare alla fine del secolo scorso e scoprirete che il numero mensile del febbraio 2000 era di 88,000, o più del doppio del tasso attuale. Poi nel 2005, durante il picco della bolla immobiliare di Greenspan — gonfiata per ripulirsi la reputazione dal bust delle dotcom — il numero è salito a 124,000. Dopodiché è calato bruscamente fino ad implodere ad un minimo di 25,000 nel febbraio 2009.

In breve, per migliorare la presunta instabilità dell'economia privata — in assenza delle cure esperte della FED — i geni presso l'Eccles Building hanno fatto oscillare selvaggiamente il tasso di costruzione delle nuove abitazioni. Cioè, per un fattore del 5X — fino ad ora.

Forse è tempo di giocarci le nostre possibilità con la cara vecchia mano invisibile del libero mercato. Di certo non potrebbe far peggio delle oscillazioni riportate di seguito.




Il grafico qui sopra non solo mette in discussione le pretese della FED circa la sua abilità come manager economico plenario dal suo trespolo nell'Eccles Building; ma annulla anche la necessità del QE. Il fatto ovvio è che quando la costruzione di nuove era in pieno boom prima della crisi finanziaria, c'era un sacco di stimolo ma non un QE enorme. Al contrario, nel periodo tra il 2009 e il 2014, la FED ha acquistato circa $1,800 miliardi di titoli garantiti da ipoteca e debiti emessi da Fannie, Freddie e Ginnie.

Non solo questo è un numero enorme, ma in senso relativo è ultra-enorme. Ammonta a più del 30% dei $6,000 miliardi di obbligazioni GSE esistenti. E va da sé che se acquistate il 30% di qualsiasi cosa e siete disposti a pagare un prezzo più alto di quello di mercato — che è esattamente quello che ha fatto la FED con le obbligazioni GSE — contribuite a farlo rimanere al di sopra del livello di mercato; e nel caso dei mutui, i rendimenti precipiteranno in territorio sub-economico.

Come mostrato di seguito, questo è stato esattamente il risultato del massiccio programma d'acquisto di bond della FED dopo il marzo 2009. Durante questo periodo ha acquistato $2,000 miliardi in bond del Tesoro, abbassandone il tasso di riferimento rispetto a tutti gli altri debiti compresi i mutui. Ma la FED non si è affatto fermata qui. Ha acquistato $1,800 miliardi di bond d'imprese sponsorizzate dallo stato nel tentativo di abbassare ulteriormente i tassi ipotecari e di ridurre il differenziale storico tra titoli del Tesoro e titoli immobiliari garantiti dallo stato.

Nella primavera del 2013, prima che arrivassero le "chiacchiere sul taper", il rendimento medio dei mutui trentennali a tasso fisso era stato quasi dimezzato.




Allora perché le nuove costruzioni di case unifamiliari stanno ancora mangiando la polvere dopo tutto questo intervento nel mercato dei mutui e pesante repressione dei tassi d'interesse? Dopo tutto, i tassi dei mutui sopra indicati rappresentano degli affari a prezzi stracciati. Nei primi mesi del 2013 il rendimento al netto delle imposte e dell'inflazione per un mutuo sarebbe stato di soli 80 punti base.

La ragione per cui tutta questa repressione finanziaria — e la relativa punizione di risparmiatori e investitori — non ha stimolato un boom immobiliare è sostanzialmente una: l'economia degli Stati Uniti non è una vasca da bagno gigante. Il modello keynesiano dice che basta versare la "domanda" nel mercato immobiliare attraverso ciò che equivale a tassi d'interesse agevolati (in modo da far uscire i risparmiatori dai loro nascondigli) e presto l'attività economica si riprenderà.

Inoltre questa è una formula che vale per tutte le stagioni. A quanto pare non contano la vostra storia di credito e le condizioni di bilancio; o quali vincoli potrebbero derivare da fattori strutturali come la velocità di formazione delle famiglie e le condizioni delle abitazioni e dei loro tassi d'utilizzo e d'occupazione. Basta versare lo stimolo della domanda fino a quando la vasca da bagno non sarà piena fino all'orlo.

Infatti il boom di Greenspan ha precluso al boom di Bernanke la possibilità di fare il proprio corso. C'era uno stock di immobili inattivi troppo grande che si trascinava sin dalla bolla Greenspan — quasi 20 milioni di unità non occupate tra cui case stagionali e di vacanza. C'erano troppe famiglie col credito compromesso, o mutui sommersi, che non potevano alimentare la domanda di nuove costruzioni d'alto valore. E, a differenza del passato, c'erano milioni di giovani famiglie che non potevano alimentare la domanda di nuove costruzioni a basso prezzo o perché gravate dai debiti dei loro prestiti studenteschi, o perché non potevano aver accesso al finanziamento ipotecario a causa di circostanze lavorative e reddituali instabili.

Quindi nonostante ci sia stato uno stimolo finanziario pensato per rendere più accessibili i mutui, le nuove costruzioni sono rimaste al palo. Per la politica keynesiana conta solo il PIL — cioè, stimolare nuove spese per qualsiasi cosa — ma la spesa nominale per le nuove costruzioni d'immobili è ancora a livelli anemici.




Allora, dov'è finito tutto lo stimolo? E' finito principalmente nel mercato dei rifinanziamenti dove ha guidato in su il prezzo dello stock edilizio esistente, e non nel finanziamento di nuove costruzioni e nel PIL. Come tutto quello che fa la FED, questo è stato l'ennesimo gioco redistributivo, non uno stimolo della crescita.

Ma anche all'interno del regno inopportuno della redistribuzione indotta dalla banca centrale, i risultati sono stati (al meglio) incostanti... ma nella realtà sono stati profondamente ingiusti. I benefici dei "rifinanziamenti" non sono andati alle 35 milioni di famiglie che possiedono le loro case. Loro si sono ritrovate a pagare il conto, poiché i risparmiatori non guadagnano quasi nulla dai loro depositi. E, ovviamente, non sono andati ai 40 milioni d'affittuari della nazione, né alle 25 milioni di famiglie che sono ancora sommerse per i loro mutui, o che sono così vicine al pareggio da non potersi permettere i costi d'intermediazione e quindi accedere al mercato dei rifinanziamenti.

No, l'intera impresa illegittima della repressione finanziaria nel mercato dei mutui immobiliari ha consegnato una manna totalmente immeritata a 10-15 milioni di famiglie ricche che sono state in grado di cavalcare la grande onda dei "rifinanziamenti" di Bernanke.

Questa è una ridistribuzione casuale con un inghippo — un livello d'impredivibilità sociale che nemmeno i politici più stupidi di Capitol Hill avrebbero potuto immaginare. Buon lavoro a far bere un asino che non vuole bere, FED.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


venerdì 22 maggio 2015

Ora più che mai non c'è bisogno di ripetere gli errori di Keynes, parte #2





di Francesco Simoncelli


[La Prima Parte di questo saggio potete leggerla cliccando qui.]


UNA BREVE PANORAMICA SULLA GENERAL THEORY: IL TASSO D'INTERESSE

[...] Troveremo che l’errore delle teorie accettate del tasso di interesse sta nel tentativo che esse compiono di ricavare il tasso di interesse dalla prima di queste due costituenti della preferenza psicologica temporale, trascurando la seconda; alla qual cosa dobbiamo cercare di porre rimedio. Dovrebbe essere ovvio che il tasso di interesse non può essere una ricompensa per il risparmio o l’astinenza come tali. Se infatti un individuo tesaurizza i suoi risparmi in denaro, non percepisce alcun interesse, benché il suo risparmio sia esattamente quello di prima. Al contrario, la semplice definizione del tasso di interesse ci dice di per sé stessa che tale tasso è la ricompensa per l’abbandono della liquidità per un periodo determinato. Infatti il tasso di interesse in sé stesso non è altro che l’inverso del rapporto fra una somma di moneta e ciò che può ottenersi per l’abbandono della disponibilità della moneta in cambio di un credito per un determinato periodo di tempo.[1]

Avendo sostenuto che l'occupazione è un fenomeno che può essere portato all'equilibrio attraverso la componente monetaria, la cui manomissione nel breve termine permette ad una commissione di presunti saggi di stemperare gli effetti nefasti della disoccupazione "involontaria", Keynes arriva ad affermare che il tasso d'interesse ricopre esclusivamente un ruolo monetario all'interno della società. Credo che il lettore, arrivati a questo punto, si sia fatto un'idea dell'impianto teorico da cui Keynes si vuole distaccare, proponendo non una nuova teoria, bensì una teoria praticamente a favore degli interventi che fino a quel momento avevano caratterizzato le "soluzioni" dello stato alla Grande Depressione. Facendo assumere al taso d'interesse un ruolo puramente monetario, Keynes tentava di recidere il legame con la teoria classica tracciando un tratto di penna sull'individuo. Ritorna ancora una volta la sua noncuranza per i diritti individuali, pensando all'essere agente come ad un automa incapace di badare a sé stesso.

Il tasso d'interesse, infatti, non rappresenta altro che il premio conferito dagli esseri agenti ai beni presenti. L'individuo tende costantemente a preferire i beni presenti rispetto a quelli futuri, evidenziando una spiccata propensione ad avere un tasso d'interesse sempre positivo. Può avvicinarsi allo zero, ma non lo raggiungerà mai. Sarebbe un controsenso. Significherebbe lasciarsi morire. La preferenza temporale degli individui per i beni presenti non è altro che la reazione naturale di noi esseri umani in un mondo costituito da incertezze e risorse scarse. L'azione umana stessa afferma la vita, di conseguenza essa sarà mirata a preservarla mediante il benessere del corpo dell'attore di mercato che agisce. I beni presenti, quindi, fungono da ottimo espediente per garantire agli individui la loro sopravvivenza nonostante le incertezze che lo circondino ogni giorno. C'è da dire, però, che l'uomo ha potuto sconfiggere la scarsità e l'incertezza che lo circondano attraverso il miglioramento e l'affinazione della produzione di beni e servizi, in questo modo ha cercato di ovviare alla sua condizione precaria attraverso un flusso costante di beni la cui abbondanza ha rappresentato un punto di svolta storico nella storia degli esseri umani. L'industrializzazione del XIX secolo ha rappresentato, infatti, lo spartiacque tra la semplice evoluzione di specie e l'evoluzione sociale. L'essere umano è riuscito ad infliggere un colpo debilitante alla povertà grazie alla Rivoluzione Industriale.[2]

Quei "lussi" che i poveri potevano solamente sognare qualche decennio prima, nel XIX secolo sarebbero diventati una realtà nelle loro mani. Di conseguenza l'abbondaza ha permesso alla società di rimodellare le proprie priorità, andando anche ad influenzare la preferenza temporale degli individui che in questo modo avrebbero potuto cambiarla al margine. Ovvero, non più preferire fortemente i beni presenti, ma distaccarsene per un certo periodo di tempo a garanzia di un flusso di beni futuri più alto. Nel campo monetario, quindi, la preferenza temporale degli individui si riflette sul denaro e sui prestiti. Intendiamoci, è sempre l'essere umano agente che sta dietro al tasso d'interesse,[3] il quale applica il proprio set di valori ad ogni tipo di bene o merce presente sul mercato. Essendo il denaro la merce più commerciata, le sue azioni ricadranno inevitabilmente più spesso su questo tipo di merce. Quindi l'accaparramento di merce monetaria servirà all'attore di mercato per destreggiarsi contro l'incertezza del futuro, ma, come abbiamo detto poco sopra, l'abbondanza è stata quella molla che ha permesso alla società di elevare il proprio standard di vita al di sopra della mera sussistenza. Di conseguenza il duro risparmio di merce monetaria permette agli individui di considerare un possibile cambiamento delle proprie preferenze temporali, aprendo la porta ad una rinuncia di merce monetaria presente a fronte di una quantità maggiore in futuro.

Il prestatore, quindi, viene allettato dalla possibilità di aumentare il suo stock di merce monetaria più di quello che avrebbe potuto fare lui stesso, rinunciando però per un certo periodo di tempo a parte della merce monetaria messa da parte e risparmiata. Più in generale, il risparmio privato permette la generazione di un flusso di capitali che vanno a formare una corrente di risparmi reali, i quali sostengono la struttura di produzione della società.[4] La specializzazione e la divisione del lavoro consentono alla società di affinare le tecniche attraverso le quali vengono prodotti determinati beni, permettendo di solidificare l'esistenza di quei beni la cui presenza costante consente la creazione di una serie nuova di prodotti. Ad esempio, l'abbondanza di pane nella nostra società ha garantito la presenza "certa" di un tipo di cibo in grado di sostenere le necessità di base degli individui, permettendo a quest'ultimi di concentrarsi con maggiore spirito di produttività nella ricerca di nuove vettovaglie in grado di portare la soddisfazione dei desideri culinari degli attori di mercato ad un "livello superiore". Intromettersi in questo processo attraverso un aumento artificiale dei risparmi può all'apparenza creare le basi per una serie d'investimenti in accordo col mercato, in realtà permette la realizzazione di progetti che saltano step produttivi fondamentali affinché possano essere realizzati. Mancando, quindi, le informazioni che permettono il completamento con profitto di questi investimenti, ciò non farà altro che consumare progressivamente risorse reali per investimenti che non avrebbero mai dovuto vedere la luce. Per farla semplice, un aumento artificiale della quantità di risparmi reali equivale a voler costruire un'automobile volante quando ancora le nostre conoscenze si fermano al motore a benzina.

Inoltre, e anche in questo caso, concepire un equilibrio nella struttura del tasso d'interesse significa una catena di produzione senza più manutenzione nel tempo. Presupporre un equilibrio significa, ancora una volta, la fine delle azioni degli individui. Quindi, anche se un presunto pianificatore centrale può in un certo senso controllare i tassi d'interesse monetari, non potrà mai controllare il tasso d'interesse puro il quale è strettamente connesso alle preferenze temporali dei singoli individui. Un esempio moderno ci porta ad osservare lo stato in cui languono i prestiti a famiglie ed imprenditori. Nonostante le banche centrali abbiano allentato oltremodo la loro politica monetaria portando a livelli infimi i tassi d'interesse nel mercato monetario, gli individui che popolano Main Street hanno preferito non avvicinarsi minimamente a questa fonte di credito facile. Sebbene siano stati anche scoraggiati dalle nuove regole imposte sulle banche commerciali, hanno deciso di affrontare un percorso di deleveraging per cercare di scrollarsi di dosso il raggiungimento del picco del debito e hanno deciso di aumentare la loro domanda di liquidità accaparrando denaro in vista di un futuro incerto. Quindi, l'alta preferenza temporale reale degli individui si scontra con una bassa preferenza temporale artificiale veicolata dal mercato monetario.

In virtù di ciò, e dal momento che Keynes considera il tasso d'interesse un fenomeno puramente monetario ignorando i singoli individui, si apre la possibilità di manomettere artificialmente l'offerta di denaro affinché si possa raggiungere una quantità ottimale attraverso la quale spingere adeguatamente l'economia verso un sentiero di rinnovata stabilità e prosperità. Keynes immaginava un fuoco che dovesse essere riacceso attraverso una nuova scintilla. Quella scintilla sarebbe stata la manomissione del tasso d'interesse monetario.

[...] Se per qualsiasi ragione il tasso di interesse non può scendere con la stessa rapidità con la quale cala l’efficienza marginale del capitale – ove il ritmo dell’accumulazione corrisponda a quanto la collettività delibera di risparmiare ad un tasso di interesse uguale all’efficienza marginale del capitale in condizioni di piena occupazione – allora perfino una diversione del desiderio di possedere ricchezza, verso attività che di fatto non frutteranno alcun reddito economico, accrescerà il benessere economico. Finché vi siano milionari che trovino soddisfazione nel costruire magnifici palazzi per contenere i loro corpi finché sono in vita e piramidi per accoglierli dopo morti, oppure che, pentendosi dei loro peccati, erigano cattedrali o elargiscano somme a monasteri o missioni estere, il giorno nel quale l’abbondanza di capitali ostacoli l’abbondanza della produzione può essere procrastinato. Lo «scavar buche nel terreno» mediante risorse tratte dal risparmio accrescerà non soltanto l’occupazione ma anche il reddito reale nazionale, di beni e servizi utili.[5]

[...] Naturalmente può darsi il caso – e in realtà è probabile che si verifichi – che le illusioni dell’espansione provochino la produzione di tipi particolari di beni capitali in tanto eccessiva abbondanza che una certa parte della produzione sia uno spreco di mezzi, con qualunque criterio la si consideri; la qual cosa, possiamo aggiungere, si verifica talvolta anche quando non vi è alcuna espansione. Vale a dire, l’espansione porta ad investimenti mal diretti. Ma all’infuori di ciò, è caratteristica essenziale dell’espansione che investimenti i quali rendono di fatto, poniamo, il 2 per cento in condizioni di occupazione piena, vengono compiuti con l’aspettativa di un rendimento, poniamo, del 6 per cento, e vengono valutati sulla base di questo rendimento. Quando viene la delusione, questa aspettativa viene sostituita da un opposto «errore di pessimismo», col risultato che dagli investimenti, che di fatto renderebbero il 2 per cento in condizioni di occupazione piena, ci si aspetta meno di zero; e il crollo che ne risulta per l’investimento nuovo conduce quindi ad uno stato di disoccupazione nel quale gli investimenti, che avrebbero reso il 2 per cento in condizioni di occupazione piena, rendono di fatto meno di zero. Giungiamo ad una situazione nella quale vi è deficienza di case, e nella quale ciononostante nessuno può permettersi di vivere nelle case esistenti.

Dunque il rimedio all’espansione eccessiva non è un aumento, ma una diminuzione del tasso di interesse! Giacché questa diminuzione può permettere alla cosiddetta espansione di durare. Il rimedio giusto per il ciclo economico non deve trovarsi nell’abolire le espansioni, mantenendoci così permanentemente in una semi-depressione; ma nell’abolire le depressioni e mantenerci così permanentemente in una quasi-espansione.[6]

L'implicazione subdola alla base del ragionamento keynesiano prevede di mimare il meccanismo di mercato, mettendo a disposizione degli attori di mercato risorse monetarie mai risparmiate affinché le spendano per creare qualcosa. Keynes stava cercando di elevare lo status dell'intervento statale a panacea suprema delle crisi di mercato, non accorgendosi che in questo modo il capitale della società si sarebbe eroso e non sarebbe stato affatto produttivo. Manomettere il tasso d'interesse monetario ignorando completamente il tasso d'interesse puro, equivale a giocare a freccette con una benda sugli occhi e girati di spalle nei confronti del bersaglio, avendo lo stesso la supponenza di poter fare centro. Creare un'abbondanza artificiale di risorse monetarie non aiuta le persone ad intraprendere sentieri sostenibili, ma offre solamente una seconda possibilità a chi si è dimostrato più e più volte incapace di soddisfare i desideri degli attori di mercato. Viene abbassata artificialmente la soglia di rischio, permettendo ad entità decotte di concorrere per le risorse scarse con quelle entità più responsabili. Creare beni e servizi solo per lo scopo di crearli, non aiuta un'economia a prosperare. Ignorare le decisioni individuali dei clienti equivale a sopprimere una domanda genuina di beni e servizi che avrebbe posto le basi per una solida stratificazione di necessità le quali, a loro volta, avrebbero aperto la porta ad altre. Invece, come detto prima, si vogliono saltare gli step intermedi, volendo creare dal nulla categorie di beni e servizi che non potrebbero esistere senza suddetta stratificazione di necessità costantemente rifornite.

La creazione di domanda artificiale da parte di Keynes era un palliativo, un effetto placebo. Voleva curare un malato sponandolo a convicersi che stesse bene. Non funziona così. Il malato può riprendersi apparentemente, ma se i sintomi non vengono curati a lungo andare uccidono il paziente. Ai politici non importa. Ai pianificatori centrali non importa. Possono benissimo lasciare il fardello alle generazioni successive, il loro mandato è l'unica preoccupazione che sta loro a cuore. Tale mandato non si estende nel lungo termine, bensì si esaurisce nel breve termine. Al massimo nel medio termine. Quale migliore pubblicità per attirare consensi se non quella di presunti "pasti gratis"?

La teoria dell'interesse di Keynes si riduce ad una mera campagna elettorale in favore delle magie che la politica può tirare fuori dal cilindro. In questo caso, una presenza di capitali in super-abbondanza tanto da soddisfare tutto e tutti. Ovviamente, c'è il trucco. Ma verrà scoperto solo molto in là nel tempo.

E' per questo motivo che la critica di Keynes si spinse oltre, andando ad attaccare quello che il mercato aveva scelto come mezzo di scambio ampiamente accettato: l'oro. Nel 1933 l'amministrazione Roosevelt aveva sequestrato l'oro della nazione pagandolo circa $20 l'oncia e l'aveva rivenduto alla FED. L'anno successivo ne aumentò il prezzo per oncia a $35, e la FED si ritrovò improvvisamente un guadagno del 75% piovuto dal cielo. Ciononostante l'oro rimase parcheggiato lì. Non venne venduto. Solo dopo la seconda guerra mondiale questo mercato iniziò ad essere terribilmente opaco, ma prima di allora l'oro era considerato la vera moneta (scacciata solamente dalle imposizioni legali del governo federale). In questo panorama la voce di Keynes era superflua, poiché voleva screditare il metallo giallo agli occhi della popolazione. Non ci riuscì. Ancora oggi quell'oro è parcheggiato presso la FED (o si presume sia così). Se cercate sul Wall Street Journal la pagina in cui c'è la voce "Federal Reserve Data" e scorrete fino a trovare la voce "Gold Stock", troverete una cifra che non cambia mai: $11 miliardi.

In realtà, Keynes voleva prendere due piccioni con una fava: indebolire la fiducia nell'oro e, in tal, modo portare ad un livello superiore il controllo dello stato sulla società. Infatti la flessibilità garantita da una cartamoneta scoperta, poteva consentire l'implementazione di quelle politiche che Keynes stava giustificando con la sua General Theory perché la banca centrale, controllando l'interesse monetario, poteva in qualche modo influenzare l'interesse puro. Ovvero, abbassando artificialmente l'interesse monetario, era possibile ridurre la scarsità presente nell'economia di mercato attraverso la sopracitata super-abbondanza di capitali. E qui incappiamo in una delle contraddizioni più eclatanti di Keynes, perché ci viene detto che questo stratagemma potrebbe essere sabotato dagli imprenditori che, mettendo da parte denaro, invaliderebbero il processo di crescita. A detta di Keynes sarebbero i cosiddetti "spiriti animali" che albergano in queste figure di mercato che le costringerebbero ad agire in questo modo. Ma, ancora una volta, egli ha una soluzione anche per questo: l'eutanasia del rentier.



L'EUTANASIA DEL REDDITIERO

I difetti più evidenti della Società economica nella quale viviamo sono l’incapacità a provvedere la piena occupazione e la distribuzione arbitraria e iniqua delle ricchezze e dei redditi. Quanto alla prima, la portata della teoria sopra esposta è ovvia. Ma vi sono anche due aspetti importanti sotto i quali essa ha rilievo anche nei riguardi della seconda.

Dalla fine del diciannovesimo secolo si è compiuto un progresso significativo verso la rimozione di disparità molto forti delle ricchezze e dei redditi mediante lo strumento dell’imposizione diretta – l’imposta e la sovraimposta sul reddito e l’imposta sulle successioni – specialmente in Gran Bretagna. [...] Abbiamo visto infatti che, fino al punto nel quale si afferma la piena occupazione, la crescita del capitale non dipende affatto da una bassa propensione al consumo, ma ne è invece ostacolata; e che soltanto in condizioni di occupazione piena, una bassa propensione al consumo favorisce la crescita del capitale.

[...] Si è finora citata, come giustificazione di un tasso di interesse moderatamente alto, la necessità di offrire un incentivo sufficiente al risparmio. Ma abbiamo mostrato che il livello del risparmio effettivo è determinato necessariamente dalla scala dell’investimento, e che questo è favorito da un tasso di interesse basso, purché non si cerchi di stimolare in tal modo l’investimento al di là del punto corrispondente alla piena occupazione. Corrisponde quindi al nostro vantaggio massimo ridurre il tasso di interesse fino a quel punto, relativamente alla scheda dell’efficienza marginale del capitale, al quale vi è piena occupazione.

[...] Mi par certo che la domanda di capitale sia strettamente limitata, nel senso che non sarebbe difficile accrescere lo stock di capitale fino al punto in cui la sua efficienza marginale cadesse ad un livello molto basso. Ciò non significherebbe che l’uso del capitale verrebbe a costare quasi niente, ma soltanto che il reddito tratto da esso dovrebbe coprire poco più del suo esaurimento per logorio e obsolescenza, oltre ad un certo margine per coprire il rischio e l’esercizio della capacità e del giudizio personali. In breve, il rendimento complessivo tratto da beni durevoli nel corso della loro vita coprirebbe esattamente, come nel caso di beni di breve durata, il costo di lavoro della loro produzione più una quota per il rischio e per i costi di capacità e di direzione.

Ora, sebbene questo stato di cose sia del tutto compatibile con un certo grado di individualismo, esso significherebbe tuttavia l’eutanasia del redditiero e di conseguenza l’eutanasia del potere oppressivo e cumulativo del capitalista di sfruttare il valore di scarsità del capitale. Oggi l’interesse non rappresenta il compenso di alcun sacrificio genuino, come non lo rappresenta la rendita della terra. Il possessore del capitale può ottenere l’interesse perché il capitale è scarso, proprio come il possessore della terra può ottenere la rendita perché la terra è scarsa. Ma, mentre vi può essere una ragione intrinseca della scarsità della terra, non vi sono ragioni intrinseche della scarsità del capitale.

[...] Considero perciò l’aspetto del capitalismo caratterizzato dall’esistenza del redditiere come una fase di transizione, destinata a scomparire quando esso avrà compiuto la sua opera. E con la scomparsa del redditiere, molte altre cose del capitalismo subiranno un mutamento radicale. Sarà inoltre un gran vantaggio nel corso degli eventi che qui preconizzo se l’eutanasia del redditiere, dell’investitore senza funzioni, non sia affatto improvvisa, e sia soltanto una graduale ma prolungata prosecuzione di quello che abbiamo visto recentemente in Gran Bretagna, e non richieda alcuna rivoluzione.[7]

In sostanza, Keynes si sta "augurando" una lenta dolce morte della classe risparmiatrice, obiettivo raggiungibile attraverso una crescente offerta di moneta (e un continuo ribasso dei tassi) diretta dai saggi facenti parte dell'apparato statale. Ribaltando la consequenzialità tra risparmio ed investimenti, otteniamo la presunta capacità di una ristretta cerchia d'individui d'individuare quelle aree in cui il capitale avrà una maggior resa rispetto ad altre. Intesa in questo modo, è come se lo stato restituisse una sorta di "maltolto" alla società. Eppure questi tipi di politiche sono state implementate dalle banche centrali (espansione artificiale dell'offerta di moneta) negli ultimi 30 anni, con tutte le crisi che ne sono derivate. Dopo ogni crisi gli interventi nell'economia di mercato sono aumentati e con essi il tasso d'espansionismo monetario, l'abbassamento dei tassi d'interesse e la spesa in deficit degli stati.

Sin dal 2008 la teoria keynesiana è stata imbottita di steroidi e, nonostante anche questo tentativo, l'occupazione rimane ancora anemica, gli investimenti latitano e le disuguaglianze di ricchezza aumentano. Chi sta beneficiando delle attuali politiche economiche? Il seguente grafico di McKinsey Global Institute sottolinea quelle entità che hanno beneficiato di un aumento dei flussi netti in entrata riguardanti gli interessi.


Stima variazione cumulata del margine di guadagno netto sull'interesse (miliardi di USD, convertiti al tasso di cambio 2012): 2007-12
Fonte: McKinsey Global Institute


Apprendiamo, quindi, che stati e corporazioni sono risultati i beneficiari netti della cosiddetta ZIRP. D'altronde, le attività di prestito sono il loro pane quotidiano. Vivono di prestiti. Presupponendo una certa "aura" di saggezza negli uomini che governano la macchina statale, essi avrebbero dovuto incanalare le risorse per ripianare in qualche modo le finanze disastrate gestite dalla loro presunta lungimiranza. Non è stato fatto nulla di tutto ciò. La spesa pubblica e il debito sono aumentati. La stessa cosa vale per quelle imprese che, ottenendo maggiori finanziamenti dal nulla, non hanno affatto investito nel settore Ricerca e Sviluppo, ma hanno gozzovigliato con Fusioni & Acquisizioni, riacquisti di azioni, LBO e altre amenità legate all'ingegneria finanziaria.

Coloro che invece hanno subito grandi perdite sono stati i fondi pensioni, investitori interni ed esteri, e le compagnie d'assicurazione sulla vita. In poche parole, i presunti grandi redditieri a cui si è mirato altri non erano che i risparmiatori. Questa categoria, a seguito della crisi finanziaria, ha colto l'occasione per rimescolare le proprie priorità e aumentare la propria domanda di moneta a seguito dell'incertezza pervadente l'ambiente di mercato. La loro riluttanza a contrarre nuovi prestiti e le nuove normative delle banche commerciali, hanno creato un ambiente disincentivato ad accendere prestiti e penalizzante i risparmi. Inoltre la recessione non ha allentato la sua morsa sulle piccole e medie imprese, le quali hanno visto stagnare la loro produttività. Questo ha significato salari altrettanto stagnanti, o peggio in diminuzione. Aggiungeteci la perdita di potere d'acquisto delle valute dei vari paesi e otteniamo un mix velenoso per tutti coloro che hanno avuto la "brillante" idea di risparmiare, i quali hanno dovuto intaccare i loro salvadanai per sopravvivere.


Impatto netto annuale dell'interesse per la famiglia media statunitense (miliardi di USD, % del reddito 2007)
Fonte: McKinsey Global Institute


Da come vediamo da questo grafico qui sopra, i pensionati sono stati coloro che hanno maggiormento sofferto per la ZIRP. Nemmeno i più giovani dovrebbero rallegrarsi, però, perché anche i fondi pensione sono stati danneggiati dalla politiche monetarie dei banchieri centrali. I rendimenti ridicoli sfoggiati dal mercato obbligazionario statale, obiettivo numero uno nella tabella degli investimenti da parte dei fondi pensione, sta creando flussi di cassa negativi (al netto dell'inflazione e delle tasse). A meno che non si opti per asset più rischiosi, il destino del mondo delle pensioni è segnato. Le promesse non potranno essere mantenute.

Il punto della quesitone è che il risparmio reale rappresenta un flusso genuino che viene "controllato" da imprese e consumatori i quali, attraverso le scelte in linea con l'ambiente economico i primi e il risparmio personale i secondi, sono in grado di generare in questo modo ricchezza reale. Se davvero esiste la presunta figura del "redditiero", la sua presenza nella società è altamente variabile; e cercare di pungolarla affinché spenda, andrà a svantaggio di coloro che entreranno in possesso per ultimi del mezzo con cui si tenta di intromettersi nel processo di creazione di ricchezza reale: denaro fiat ex novo. Lo stato, le grandi banche e le grandi corporazioni saranno i beneficiari netti. Le perversioni ideologiche e semantiche sul termine “capitalismo” e “tasso d'interesse” sono alla base della cortina di confusione che nel tempo ha annebbiato sempre più menti, e Keynes, come Marx, è stato uno di quelli che contribuito a rendere il fumo più denso.

In conclusione, manipolare arbitrariamente la moneta permette di deviare la ricchezza reale da chi la crea (il risparmiatore) verso chi la utilizza (stato, grandi banche, grandi corporazioni, hedge fund, ecc.), creando una concentrazione di potere nelle mani di chi si trova più vicino alla stampante monetaria. Questa distorsione comporta quindi l’impoverimento dell’economia; ciò viene temporaneamente nascosto dalle manovre dei banchieri centrali sul valore nominale della ricchezza,[8] finché questo processo d'indebolimento non sfocia in una crisi. Da qui in poi entrano in gioco le meccaniche del ciclo economico Austriaco.



ALCUNI COMMENTI SUL CICLO ECONOMICO

L’approccio keynesiano, e più in generale quello interventista, è sbagliato non perché esistono critiche che mettono in discussione i punti elencati fino ad ora, ma perché parte da premesse sbagliate; quindi prescrizioni e pseudo-soluzioni che ne conseguono, come “l’eutanasia dei redditieri”, sono semplicemente fuorvianti. Keynes quindi può essere annoverato, senza dubbio di essere smentiti, in quella categoria di pensatori socialisti/interventisti che sono bel lontani da uno schema liberale classico.[9] Secondo la sua ottica la società era fondamentalmente costituita da tre classi: i consumatori (esseri privi di raziocinio e libero arbitrio dediti esclusivamente al consumo); gli investitori (esseri con raziocinio e libero arbitrio il cui umore gioca un ruolo cruciale nella stabilità economica); lo stato (il mediatore supremo attraverso il quale tutte le cose tornano in equilibrio). Essendo i primi paragonabili a dei robot, i secondi si portano sulle spalle tutte le cause dei cicli economici. I loro capricci costringono un disallineamento tra investimenti e consumi, quindi la terza classe, lo stato, deve intervenire per compensare questo divario e la banca centrale deve intervenire per tenere basso il tasso d'interesse in modo da spingere di nuovo gli investitori a separarsi dai loro risparmi accumulati.

Apprendiamo, quindi, che le cause sono prettamente psicologiche. E' davvero possibile una cosa del genere? Innanzitutto non dobbiamo scordare, come fa Keynes, che l'economia è una scienza basata sulle azioni dei singoli individui. Lasciarsi influenzare dai propri principi ed imporli anche agli altri è quella sorta di soluzione che presuppone un'onniscienza delle proprie azioni rispetto a quelle degli altri. Questo significa avere la presunzione di poter leggere la mente. In realtà non esiste niente di tutto ciò, significa solamente avere l'ardire di conformare un altro attore economico ai propri standard. Nel nostro caso significa cercare di conformare la popolazione agli standard dello stato. E' per questo che i discorsi propagandistici sono infarciti da retorica sull'avidità e sull'egoismo, presupponendo una soluzione collettiva ai problemi concernenti le crisi economiche. Si cerca d'influenzare gli aggregati affinché si possa riuscire ad influenzare (in qualche modo) anche i singoli attori di mercato.

Ciononostante questa spiegazione è carente di dettagli funzionali affinché si possa individuare la causa reale dell'innesco  dei cicli economici. Infatti Keynes nella General Theory, e più precisamente nel Capitolo 22 del sesto libro, si sbriga a concludere che la figura dell'economista dovrebbe subito indagare su cosa accade durante la crisi. In questo modo, però, si scartano tutte le analisi antecedenti alla crisi, bollandole come "psicologiche" e quindi ampiamente irrilevanti. Le cose non stanno così, perché si finisce per confondere cause ed effetti promuovendo soluzioni che alla fine si rivelano le cause stesse della crisi.[10] La teoria keynesiana, infatti, deficita di una teoria del capitale (a differenza della teoria Austriaca) proprio perché considera il sistema capitalista come un ammasso aggregato informe di "cose" costantemente prono a cadere in recessione. Keynes, e i keynesiani in generale, non si pongono la domanda che Mises si pose quando scrisse il suo classico, The Theory of Money and Credit: "Cosa fa cadere in errore una grande fetta di imprenditori e tutti nello stesso momento?"

Analizzando la situazione solamente ex post non si accorgono come le cause sono da individuare ex ante. La causa principale delle crisi economiche è sostanzialmente imputabile agli interventi nell'economia da parte di autorità che presumibilmente si ritengono capaci di direzionare in modo sano il corso degli eventi. Ostacolando e ridirezionando il meccanismo dell'accumulo di risparmi reali, essi impediscono alle attività produttrici di ricchezza di entrare in possesso di quelle risorse che avrebbero potuto permettere loro di espandere ulteriormente la loro sfera d'attività e soddisfare, di conseguenza, le volontà degli individui. I risparmi reali vengono quindi in parte canalizzati anche in quelle attività che sprecano ricchezza, producendo beni e servizi inutili che nessuno vorrà. Disallineare domanda e offerta all'interno dell'ambiente economico presenta gravi rischi di lungo termine, poiché all'apparenza questa strategia sembra funzionare ma poi, una volta che si esaurisce l'intervento iniziale, la situazione si adatta al nuovo "equilibrio" comportando la liquidazione di quegli investimenti e quei lavori insostenibili nati sulla scia del boom artificiale. Prolungare l'intervento iniziale, o portarlo ad un livello superiore, non ne corregge la fallibilità.

La crescita economica è un altro di quei concetti di cui si parla a vanvera. In un'economia di mercato esiste solamente la soddisfazione dei desideri degli attori economici che decidono di scambiare volontariamente la loro produzione con quella altrui. Il volume degli scambi comporta, quindi, una sofisticazione della produzione economica, nonché una maggiore specializzazione. In questo ambiente, qualora privo di manipolazioni centrali, i disallineamenti periodici che possono emergere rappresentano semplicemente delle fluttuazioni dovute ad un cambiamento nelle preferenze temporali degli individui. Insomma, niente di "catastrofico" come le crisi che abbiamo sperimentato negli anni successivi al 1914.[11] La cosiddetta "crescita a tutti i costi" con cui si pavoneggiano i pianificatori centrali, rappresenta solamente un miraggio attraverso il quale conquistare quanti più voti possibile e ricoprire il ruolo di comandanti in capo della società. O presunti tali, perché in realtà i re all'interno del mercato erano, sono e saranno sempre i consumatori. La manipolazione dei tassi del mercato monetario, come già detto, rappresenta solamente un espediente per influenzare le scelte degli individui; il tasso d'interesse puro, o le loro preferenze temporali, rimarranno saldamente ancorate alla loro sfera soggettiva impossibile da decifrare. Ciò garantisce il fallimento delle politiche centrali destinate a portare di nuovo il Giardino dell'Eden tra gli esseri umani. Le figure accademiche come Keynes e il suo manoscritto, la General Theory, fungono solamente da grancassa per la presunta onniscienza di alcuni gruppi d'individui che non hanno mai perso l'ardire di provare a vivere al massimo col minimo sforzo. Se dovessi definire il messaggio di fondo della teoria di Keynes non esisterei ad usare queste parole: ingannare il prossimo affinché si possa vivere al massimo col minimo sforzo.

I violenti cicli economici dell'era delle banche centrali sono il risultato diretto della volontà pianificatrice di direzionare secondo il proprio capriccio il corso delle azioni umane. Il credo ingenuo di poter tenere sotto scacco un bacino di individui enorme. Sebbene il denaro possa accomunarli, non li definisce. Questo è il cuore dell'errore del moderno settore bancario centrale. Questo è il cuore dell'errore di Keynes nel voler ignorare le singole unità che compongono la società.



CONCLUSIONE

La Teoria Generale di Keynes era solo un corpo teorico attraverso il quale giustificare il nuovo ruolo che andava a ricoprire lo stato. L'opacità con cui ricoprì il suo manoscritto fu un'ulteriore manna per l'establishment. In questo modo lo stato ebbe modo di espandersi inevitabilmente ed esponenzialmente in più settori dell'economia, trovando terreno fertile nel mondo accademico per essere giustificato delle sue azioni espansive. I successori di Keynes, come Samuelson e Tobin, non fecero altro che ampliare le giustificazioni necessarie affinché lo stato si espandesse.

Il keynesismo è morto durante la stagflazione degli anni '70. Dalle sue ceneri nacque il neo-keynesismo, che ancora oggi continua a percorrere la strada tracciata dal maestro. E' una strada in discesa e a senso unico. Ad ogni giustificazione a sostegno dell'establishment monetario e politico, la discesa guadagna ripidità. Non si può tornare indietro. Alla fine della discesa, però, c'è un muro.

Per ulteriori approfondimenti e l'analisi di altri temi riguardanti l'economia keynesiana, consultare il mio saggio precedente: https://www.scribd.com/doc/258027000/Teorie-per-il-Default-Gli-errori-macroscopici-e-microscopici-del-keynesismo


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Note

[1] J. M. Keynes, Teoria Generale dell'Occupazione, dell'Interesse e della Moneta (Novara: De Agostini Libri - UTET, 2013), Libro IV, Capitolo 13, Sez. II.

[2] Robert Higgs, The Transformation of the American Economy from 1865 to 1914 (Auburn, Ala.: Von Mises Institute, 1971).

[3] Per facilitarci le cose, potremmo definire tasso d'interesse "puro" quando ci riferiamo strettamente alle preferenze temporali degli indiviui, in modo da non confoderci col suo ruolo che si riflette su quello monetario ad esempio.

[4] Per una discussione approfondita su risparmi reali e risparmi fasulli, consultare la seguente pagina: Le illusioni hanno conseguenze, Francesco Simoncelli, Francesco Simoncelli's Freedonia, 21 novembre 2014.

[5] J. M. Keynes, Teoria dell'Occupazione, dell'Interesse e della Moneta (Novara: De Agostini - UTET, 2013), Libro IV, Capitolo 16, Sez. III.

[6] J. M. Keynes, Teoria dell'Occupazione, dell'Interesse e della Moneta (Novara: De Agostini - UTET, 2013), Libro VI, Capitolo 22, Sez. III.

[7] J. M. Keynes, Teoria dell'Occupazione, dell'Interesse e della Moneta (Novara: De Agostini - UTET, 2013), Libro VI, Capitolo 24, Sez. I & II.

[8] Con "valore nominale della ricchezza" s'intende quel processo di canalizzazione della ricchezza reale da quelle entità che la creano verso quelle entità che la sprecano. Finché le banche centrali mantengono un atteggiamento monetario allentato e favoriscono la soppressione del tasso d'interesse monetario, si verranno a creare delle attività in grado di sopravvivere solo grazie a questo ambiente economico distorrto dall'intervento centrale. Una volta che il processo di creazione di moneta dal nulla s'inverte, tali attività nate a seguito dell'espansione monetaria artificiale vanno incontro al loro triste destino. Questo significa che erano apparentemente proficue durante il periodo espansionistico, ma rivelano la loro vera natura fallimentare quando tale periodo termina.

[9] Keynes era un liberale?, Ralph Raico, Mises Italia, 2 giugno 2012.

[10] Bolle e banche centrali, Frank Shostak, Francesco Simoncelli's Freedonia, 7 gennaio 2014.

[11] Mistificazioni keynesiane, Domitrovic/Murphy, Francesco Simoncelli's Freedonia, 7 aprile 2015.

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