di Francesco SImoncelli
[Questo articolo trae spunto dal libro di Kevin Dowd, "Abolire le Banche Centrali".]
Il sistema free banking è costituito sostanzialmente da un ambiente bancario in cui ogni istituto finanziario può concedere prestiti e avere depositi previa accettazione del cliente. L'importanza cruciale di tale assetto bancario è l'assenza di un'entità centrale che faccia da garante alle varie istituzioni esistenti.
Prima di addentrarci nelle critiche a tale sistema, è meglio osservare più da vicino come funziona. In un free banking gli istituti bancari sarebbero soggetti alle stesse regole di mercato a cui è soggetta una qualsiasi altra impresa sul mercato, due fra tutte la concorrenza e la capacità di attrarre clienti. Ovviamente, e soprattutto nel nostro caso, il modo migliore per farlo è quello di offrire interessi vantaggiosi e la garanzia che le ricevute di deposito conserveranno nel tempo il loro valore. Infatti, qualora dovessero essere sovraemesse, il rischio di incappare in una corsa agli sportelli aumenterebbe all'aumentare dell'emissione delle ricevute di deposito in eccesso.
Per ovviare a tale azzardo, e dissuadere tutti quelli che vorrebbero ricorrere a tale espediente, il mercato farebbe emergere un sistema di clearing (o compensazione) tra le banche affinché tali scompensi vengano ripuliti e (possibilmente) evitati. Una cosiddetta clearing house (o stanza di compensazione) consentirebbe alle banche più solide di guadagnare quote di mercato nei confronti di quelle più sconsiderate. Sarebbe un meccanismo più efficiente rispetto a quello che risulterebbe da una corsa agli sportelli per opera dei depositanti. Evidenze storiche del funzionamento di una clearing house in un ambiente free banking ci arrivano dalla Scozia del XIX secolo e dal New England.
Queste stanze di compensazione sarebbero differenti da una banca centrale, perché l'emissione di ricevute di deposito (o di banconote) sarebbe convertibile, ovvero, esse rappresenterebbero solamente dei sostituti coperti del denaro. Soprattutto, però, esisterebbero diverse banconote in concorrenza; e nel caso in cui venisse sospesa la convertibilità, l'aumento dei prezzi al consumo sarebbe un effetto sicuro. La banca centrale, a differenza di quanto descritto, impone un monopolio sull'emissione delle banconote e una scarsa disciplina monetaria è ciò che risulta da tale imposizione, ovvero, la società corre pericoli estremamente ricorrenti dovuti all'emissione in eccesso di sostituti del denaro scoperti (o non convertibili).
Sebbene possa sembrare plausibile, ad un'analisi superficiale, l'esistenza di una banca centrale per "correggere" eventuali errori del mercato e conservare una certa stabilità all'interno del panorama economico, tale argomentazione presenta falle logiche ben più profonde. Innanzitutto il vantaggio competitivo di mangiare quote di mercato è un desiderio insito in ogni imprenditore. Presupporre, quindi, che se prive di controllo le banche espanderebbero esponenzialmente l'offerta di banconote, vuol dire negare questo desiderio innato, ovvero, vuol dire negare l'essenza stessa dello spirito imprenditoriale e della scelta di fare impresa.[1]
Inoltre se si ammette che la concorrenza debba essere soppressa nel mercato bancario, perché non anche in quello dei beni di prima necessità (marginalmente più importanti)? Non solo, ma le evidenze storiche mostrano come le crisi non diventino affatto più gravi in un sistema non regolamentato centralmente rispetto ad uno regolato centralmente.[2] Sebbene il libero mercato ponga un freno agli atteggiamenti sconsiderati, non li annulla definitivamente. Nessuno può. Ma almeno in un libero mercato gli errori vengono pagati dal soggetto irresponsabile ed esso non viene salvato da una qualsiasi entità centrale in nome di una presunta "stabilità". Ed è tale scusa, cioè la garanzia di poter essere salvati, che incentiva l'azzardo morale e l'irresponsabilità.
In generale le banche sono intermediari finanziari che prendono in prestito fondi per poi riprestarli ad un interesse da cui trarre profitto. I prestiti servono ad acquistare asset (con valori fluttuanti in base ai tassi d'interesse). Data "l'instabilità" di suddetti valori, a differenza delle passività che invece sono fisse, la banca potrebbe incappare in errori qualora acquistasse asset di scarso valore o altamente rischiosi. Sebbene la vigilanza dei depositanti sia un meccanismo di guardia essenziale, potrebbe non essere sufficiente. Nel caso di insolvenza incipiente, quindi, la banca dovrebbe affrontare due scenari:
- andare sul mercato e chiedere nuovi fondi mutuabili;
- svendere il proprio attivo.
La solidità e la reputazione della banca giocherebbero un ruolo cruciale, in cui l'ultimo passo sarebbe la bancarotta. In sostanza, la minaccia di una corsa agli sportelli funge da potente fonte di disciplina nel mercato bancario; la mianccia di perdite fornisce agli azionisti della banca in questione un forte incentivo a monitorare i manager e garantisce che non vengano messi a repentaglio i loro investimenti con rischi eccessivi.
Se tali requisiti vengono quindi soddisfatti, non c'è alcun motivo per cui i clienti di una determinata banca debbano correre a ritirare i propri depositi qualora un'altra non fosse riuscita a soddisfarli. La solidità della banca responsabile assorbirebbe qualunque shock che si verificherebbe nel sistema economico. Non ci sarebbe alcun contagio tra le banche, al limite una redistribuzione dei depositi da quelle banche presumibilmente irresponsabili a quelle responsabili.
Infine, a tamponare l'emersione di richieste improvvise di restituzione dei depositi e ad alleviare l'ansia di coloro preoccupati per una corsa agli sportelli (e di dover essere i primi), le banche potrebbero offrire ai propri clienti un'option clause attraverso la quale ritardare il rimborso dei depositi a fronte di una compensazione futura. Non solo questo assetto garantirebbe ai "più lenti" la possibilità di non perdere tutto, ma gioverebbe alla stabilità complessiva del sistema. Il free banking scozzese, ancora una volta, ci viene in aiuto come evidenza storica.[3]
In assenza di un prestatore di ultima istanza centrale, in siffatto ambiente economico, non è escluso che quell'istituto bancario che verrebbe a ricoprire il ruolo di clearing house diventi un prestatore di ultima istanza decentrato a cui chiedere aiuto qualora una banca, seppur solida, si trovi in difficoltà di liquidità.[4] Il giudizio di questa terza parte, incentivata a mantenere un certo equilibrio in modo da conservare la sua reputazione, vaglierebbe i documenti delle banche presumibilmente solide e concederebbe aiuti in base ai risultati delle sue analisi, evitando corse agli sportelli infondate.
Diversamente dal'attuale sistema economico in cui si sventola il feticcio della necessità di preservare "l'interesse pubblico", il ruolo della clearing house sarebbe solamente quello di filtraggio: separare le banche solide da quelle traballanti,[5] senza le inutili e dannose attività di regolamentazione arbitrarie del nostro presente.
Come ben riassume lo stesso Kevin Dowd:
Nel libero mercato, una crisi viene gestita nel modo più efficace da una clearing house che agisca come una sorta di prestatore di ultima istanza privato. La clearing house è adatta a svolgere questa funzione perché le banche associate i cui fondi vengono da essa prestati hanno un forte incentivo ad assicurarsi che vengano aiutate solo le banche solventi, e non quelle insolventi – ogni banca vorrebbe avere la certezza di poter ottenere assistenza, ma in quanto parte di un gruppo vuole anche evitare di incoraggiare un'"eccessiva" assunzione di rischi. Dunque, le banche appartenenti cercherebbero di imporre regole ben precise all'associazione di clearing, la quale fornirebbe assistenza solamente alle banche solventi.
E' un grande onere quello di dover prendere decisioni impopolari, e quando è il mercato a doversi accollare tale responsabilità i risultati portano ad un miglioramento dell'ambiente economico. Non esiste discrezionalità, ma responsabilità davanti le proprie scelte. In questo modo gli incentivi a riflettere prima di accollarsi un qualsiasi rischio sono decisamente superiori a quelli in cui esiste un prestatore di ultima istanza centrale che può decidere arbitrariamente le sorti delle varie attività presenti sul mercato. In quest'ultimo caso, i privilegi e la burocrazia sostituiscono la giustizia dell'efficienza del mercato.
In questo modo nell'ambiente economico vanno via via accumulandosi errori necessitanti una correzione, e una volta raggiunto il punto di saturazione tale correzione esplode violentemente e in modo incontrollato.[6] Ma invece di lasciare agire le forze di mercato affinché possano ripulire l'ambiente economico saturo di errori, il prestatore di ultima istanza centrale può utilizzare risorse monetarie create ex-nihilo e accollare le perdite agli ultimi che entreranno in possesso di tale denaro. Mentre in un libero mercato coloro che sbagliano pagherebbero in prima persona, in un ambiente centralizzato tale onere si può scaricare su "terze parti". Il virgolettato significa che suddette terze parti è un'espressione che sta a significare (la maggior parte delle volte, se non addirittura tutte le volte) la popolazione in generale, o Main Street. In questo modo la burocrazia centrale può sequestrare in modo silenzioso le risorse di cui necessita per sopravvivere, ciò a scapito del resto della popolazione.[7]
I problemi da curare vengono costantemente rimandati nel tempo e la loro gravità cresce silenziosamente, mentre si andranno ad alleviare solo i sintomi di ciò che dovrebbe essere sistemato. Pezzo dopo pezzo il prestatore di ultima istanza centrale non potrà far altro che smontare tutti quei meccanismi che fanno del libero mercato un sistema economico auspicabile, costruendo una sorta di economica pianificata centralmente dove all'aumentare dei suoi interventi dovrà direzionare il più infimo dettaglio se vorrà continuare ad avere una presa ferma sull'economia. Ciò non fa altro che accrescere la probabilità di un evento imprevedibile al margine che sconquasserà questa pseudo-economia.
Negli ultimi anni è stata in qualche modo riscoperta la teoria del free banking,[8] dato il fallimento delle varie regolamentazioni centrali nell'evitare i cataclismi finanziari di cui siamo stati osservatori. Sebbene sia ancora una posizione di minoranza quella che sostiene il free banking, sta ottenendo consensi ogni giorno che passa. Di conseguenza all'aumentare della sua visibilità, aumentano la curiosità di coloro ancora a digiuno di tale argomento e le critiche di coloro ancora scettici. Tali critiche si concentrano essenzialmente nel giustificare l'attuale apparato di regolamentazione centrale come "optimum" testato dalle correnti del tempo fino ai giorni nostri. Infatti nella loro ottica ciò di cui necessiterebbe sarebbe solamente una lieve riforma. Quindi il free banking sarebbe stato semplicemente una sorta di "step intermedio" superato agevolmente dalla presunta efficienza della pianificazione centrale.
Cerchiamo di capire perché non è così. Supponiamo di avere un sistema bancario non regolamentato centralmente, le cui banche, per interesse reciproco, collaborano per liquidare assegni e titoli attraverso una clearing house (o stanza di compensazione); ovviamente questo non sarebbe l'unico scopo. Dobbiamo, quindi, analizzare se la collaborazione sia di natura "spontanea" (o basata sul mercato) oppure se tale natura sia volta ad arrivare ad una qualche posizione di "dominio". Inutile rimarcare come la necessità di riserve sia solitamente un grattacapo per le banche, quindi in caso di penuria esse vorrebbero accedere ad un mercato dei prestiti attraverso il quale attingere a dei fondi mutuabili. Potrebbe accadere che la cooperazione bancaria non vada oltre la partecipazione al mercato delle riserve, ma l'emersione di una cosiddetta "banca dei banchieri" sarebbe un'idea attraente per gli stessi motivi che spingono gli individui a rivolgersi agli intermediari nelle attività di prestito: riduzione dei costi.
Quindi quelle banche in grado di prestare riserve tenderebbero a sviluppare un seguito da parte di quelle banche necessitanti credito (sia d'emergenza, sia per altri motivi), ed è probabile che attirerebbero anche altri istituti in grado di prestare le riserve in eccedenza. Oltre alla riduzione dei costi delle transazioni, tale club di banche andrebbe a ridurre i costi di monitoraggio di prestiti multipli. Ovviamente lo screening del valore di quelle banche richiedenti fondi sarebbe un lavoro gravoso, e dato che si tratterebbe di gestire dati commercialmente sensibili, il modo più appropriato per snellirlo sarebbe quello di chiamare in causa istituti extra-bancari indipendenti per monitorare e gestire le attività interbancarie.[9]
Tra tali attività monitorate, come abbiamo già detto, rientrano anche prestiti tra banche e banche. Infatti quelle che si ritroverebbero più fondi potrebbero prestarli a quelle in penuria, e l'affidabilità sarebbe "garantita" maggiormente se appartenessero ad un club. Tale appartenenza infatti limiterebbe i benefici solo a quelle banche che vi apparterrebbero, impedendo a quelle al suo esterno di staccare benefici da tale organizzazione. Oltre ai vantaggi risultanti da condizioni di prestito più vantaggiose, un club di banche sarebbe anche un espediente contro un panico bancario che porterebbe gli individui a sfiduciare gli istituti di credito e a ritirare i loro depositi. Il club in questo caso potrebbe aiutare quella banca in momentanea difficoltà, fornendo liquidità d'emergenza a fronte, ovviamente, di requisiti giusti. In caso contrario il club prenderebbe le distanze dalla banca prossima alla bancarotta, facendo sapere alle persone di aver individuato l'anello debole ed averlo epurato.
Ma questo tipo di organizzazione sotto forma di club, non condurrebbe le banche ad agire in modo sconsiderato sulla base di garanzie vicendevoli? Si potrebbe supporre che la clearing house assuma un ruolo di regolatore super partes in grado di dettare le linee guida entro le quali agire; ma anche in questo caso, le circostanze non potrebbero portarla ad abusare del suo ruolo? E' importante sottolineare che le banche potrebbero formare un club per minimizzare i costi delle transazioni, per monitorare i prestiti multipli, per prestare le riserve e per minimizzare la possibilità di contagi bancari. Un tale sistema potrebbe veicolare una certa fiducia nei clienti e negli azionisti, ma suddetta fiducia non è qualcosa che si può creare dal nulla o controllare arbitrariamente. Data la volubilità oscillante degli attori di mercato, attenersi alle regole rappresenterebbe un enorme incentivo affinché la clearing house faccia rispettare le norme imposte. Far parte di un club ha sì i suoi vantaggi, ma questo porta con sé un prezzo da pagare. Perché? Perché non esistono pasti gratis. Per questa stessa ragione, infatti, i poteri e le strutture contrattuali della clearing house sarebbero determinati dalle banche stesse per le quali svolge i suoi servizi. Dal momento che le banche non permetterebbero che la loro libertà d'azione sia ristretta senza un buon motivo, si assicurerebbero che i poteri della clearing house siano ridotti ai settori in cui sono essenzialmente necessari. Diversamente dalla situazione attuale in cui si può contare sul free riding dello stato, in un ambiente privo di barriere coercitive e clientelismo statale le decisioni sarebbero prese seguendo una prospettiva imprenditoriale piuttosto che politica.
Le regolamentazioni centrali sono molto più isolate dalla concorrenza e danno ai regolatori molti meno incentivi a innovare o ad adottare pratiche più efficienti; invece in un ambiente privo di restrizioni centrali quelle banche che riterrebbero "fastidiose" le normative di una clearing house, potrebbero staccarsene e fondarne una nuova in concorrenza con la prima. Tra l'altro, oltre a fungere da limite, la concorrenza fornirebbe informazioni sul successo e sul fallimento di diversi prodotti e prezzi, e sul margine di migliramento dovuto alla competizione.
Quanto detto finora rappresenta uno scenario in cui si andrebbe a formare una sorta di club di banche e su quali presupposti si potrebbe formare, ma le evidenze storiche[10] dimostrano come il settore bancario sia stato principalmente attratto a formare un sistema di clearing, senza alcuna preoccupazione di unirsi in un club o associazione per operare al meglio delle loro possibilità. Anche in caso di corse agli sportelli, storicamente gli individui non hanno scelto il "materasso", bensì hanno preferito le cosiddette banche solide a quelle deboli. Tra l'altro la massimizzazione delle caratteristiche descritte qui sopra, per quanto riguarda i vantaggi dei club, potrebbe anche manifestarsi sotto forma di fusione delle varie banche facenti parte del club, sacrificando la propria "individualità" a favore di un "monopolio naturale". Qualora fosse avallato dal mercato non potremmo avanzare alcuna critica, ma il free banking del passato non ha mostrato alcuna evidenza di un tale esito verso il cosiddetto monopolio naturale.[11]
Le testimonianze storiche di Canada, Australia, Irlanda, Francia, Scozia, Svezia, Svizzera e altri indicano che banche relativamente libere fecero poco ricorso a club bancari; in tali esempi la cooperazione bancaria consisteva in qualcosa che si riduceva sostanzialmente ad accordi per liquidare banconote e titoli di deposito. Al di là del clearing, quindi, la clearing house si occupava fondamentalmente di questioni di minore importanza come la gestione degli assegni fuori città e l'individuazione delle frodi. Era raro, quindi, che le banche libere perseguissero scopi più ambiziosi.
Negli Stati Uniti, invece, ci fu qualche esempio di club di banche. Uno di questi nacque a Boston con la Suffolk Bank e un altro a New York con la New York Clearinghouse Association.
Come ben riassume lo stesso Dowd:
Per sintetizzare, l'affermazione per la quale i club avrebbero poco senso in un regime di laissez-faire sembra essere ampiamente coerente con le evidenze storiche. Le esperienze avvenute in altri paesi che non fossero gli Stati Uniti indicano che le banche avevano poca necessità di club che si occupassero di altro all'infuori dell'organizzazione del clearing e della gestione di questioni minori di mutuo interesse. L'esperienza statunitense è diversa, ma c'è motivo di credere che i forti club sorti negli USA siano stati una risposta alle particolari restrizioni legislative con le quali operavano le banche del paese. Queste restrizioni privarono le banche statunitensi di molte economie di scala che altrove venivano catturate tramite la fusione. Dunque, la creazione di un club forte era un mezzo per appropriarsi di economie di scala laddove la legge proibiva il metodo più diretto e, a conferma, ci sono poche evidenze in merito all'esistenza di forti club in contesti legali permissivi.
Inoltre, le critiche avanzate da altri studiosi scettici sul free banking si infrangono sugli scogli delle evidenze storiche citate poco sopra. Soprattutto, essi non riescono a dimostrare come mai le banche non si siano fuse insieme per formare un unico soggetto qualora avessero voluto dominare realmente il mercato, essendo suddetto l'unico risultato logico per dominare in modo incontrastato rispetto agli altri soggetti.
Sebbene si fallisca nel dimostrare tale punto, si avanzano lo stesso ulteriori critiche: la presunta indipendenza dei manager, l'impossibilità dei privati di effettuare salvataggi bancari, irresponsabilità nella gestione imprenditoriale per sottrarre quote di mercato. Per tutti questi punti sollevati la soluzione è sempre la stessa: un aiuto esterno da parte dello stato attraverso la sua banca centrale.
Queste osservazioni vanno analizzate molto attentamente. Innanzitutto è possibile che ci possano essere manipolazioni delle regole, nessuno potrebbe garantire il contrario. Ma cosa rende lo stato un ente degno di fiducia cieca? Esso stesso è un apparato composto da persone corruttibili. Anzi, nel corso di questo scritto abbiamo visto che l'incentivo a delinquere sarebbe maggiore in un sistema centralizzato piuttosto che in un sistema decentrato come quello del free banking. In tale sistema i contratti avrebbero una valenza giuridica superiore a qualsiasi altra decisione, senza che possano essere rotti in base all'intervento arbitrario di figure terze volto solamente a perseguire uno scopo clientelare. Inoltre, in caso di palese violazione dei termini dei contratti, i membri di un club potrebbero distaccarsene o non aderirvi affatto, reputando, di conseguenza, i costi superiori ai benefici. Oggi, invece, chiunque voglia fare "concorrenza" alla banca centrale finisce in galera.
Per quanto riguarda il secondo punto, anch'esso ha validità solo all'apparenza perché regole ben scritte potrebbero fare la differenza. Come detto in precedenza, la clearing house si farebbe carico del salvataggio di banche in difficoltà valutandone l'affidabilità e la solidità, e le banche commerciali potrebbero controllare la presenza di abusi attraverso istituti extra-bancari indipendenti.[12] Quale restrizione hanno oggi le banche centrali? Nessuna. Altrimenti dopo il 2008 non avremmo mai assistito alla più grande espansione monetaria che la storia dell'economia abbia mai registrato.
Infine, si presume che in ambiente in cui vige il free banking le banche possano crogiolarsi in cicli economici prossimi all'infinito per staccare profitti sempre crescenti. Questa obiezione è sciocca. Qualsiasi banca che decide di dedicarsi ad una politica d'espansione monetaria aggressiva finirà con lo sperimentare un deterioramento progressivo del proprio bilancio, andando ad intaccare seriamente la solvibilità di tale istituto finanziario e andando ad incrementare la possibilità di corse agli sportelli. A meno di essere masochisti e dediti all'auto-distruzione, non si capisce bene quale possa essere il motivo che possa spingere una banca ad indulgere in un simile comportamento. Nessuno si sognerebbe di salvare un istituto almente irresponsabile e sconsiderato. Perché? Perché colerebbe a picco insieme ad esso. Tutti i profitti che si possono pensare di guadagnare agendo in tal modo durano solo nel breve termine, nel lungo chiederanno il prezzo. Ed è sempre un prezzo amaro.
In conclusione di questo scritto direi che sia giusto lasciare le ultime parole a Kevin Dowd:
Da tutto ciò derivano due conclusioni. Nonostante le recenti affermazioni, è evidente che la regolamentazione bancaria e la banca centrale non evolvono per contrastare i difetti inerenti ai mercati finanziari (liberi). Le regolamentazioni delle banche, quindi, si sono sviluppate per ragioni diverse dai presunti fallimenti di mercato e le motivazioni più ovvie sono politiche. L'altra conclusione, a questa complementare, è che lo sviluppo di regolamentazioni ufficiali e della banca centrale non è un miglioramento Paretiano del libero mercato, e quindi non può trovare giustificazione sul piano dell'efficienza. Pare che, dopo tutto, abbiano ragione i sostenitori del free banking: il banking centrale non si è sviluppato per bilanciare il fallimento del mercato, e non può certamente essere difeso con argomentazioni basate su tali presunti fallimenti.
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Note
[1] George G. Kaufman, The Truth About Bank Runs, "Staff Memorandum", SM-87-3, Chicago, Federal Reserve Bank of Chicago, 1987.
[2] Sebbene la Scozia e l'Inghilterra del XIX secolo rappresentino buoni esempi, e soprattutto la destabilizzazione del sistema bancario americano a seguito dell'istituzione della National Banking System nel 1860, basta osservare la ricorrenza e l'avvicinamento nel tempo delle varie crisi dal 1913 al 2013 negli USA.
[3] Oltre agli esempi storici che ci arrivano dal free banking scozzese del XVIII e XIX secolo ad alcuni casi canadesi e americani contemporanei, io aggiungerei anche la resilienza del sistema bancario australiano (sempre nel XIX secolo) e l'esempio dell'Ayr Bank, istituto bancario che andò fallito e fece colare a picco solo quegli altri istituti bancari che avevano investito in esso.
[4] Questo, in un certo senso, è lo stesso meccanismo con cui Ron Paul chiede da anni di revisionare la FED e soprattutto le sue riserve auree.
[5] Il ragionamento non è tanto diverso da quello più generale di Adam Smith, dove l'individuo, perseguendo il proprio interesse, migliora indirettamente anche il benessere altrui. La "mano invisibile".
[6] Esempi classici sono la Grande Depressione degli anni '30 e le passività del FSLIC, ma possiamo tranquillamente aggiungerci il bust immobiliare del 2008 nonostante Bernanke avesse negato l'esistenta di una bolla immobiliare e il caos greco con il governo ellenico che per anni ha truccato i conti pubblici.
[7] La burocrazia tende ad occupare col proprio lavoro un'area d'azione sempre più vasta (Legge di Parkinson). Ciò significa che se non potrà sottrarre risorse dalla popolazione, lo farà a scapito di un altro reparto burocratico. L'unica cosa che la burocrazia teme è un taglio del suo budget, altro che voto o altre scemenze assortite dei fanatici della democrazia rappresentativa.
[8] Soprattutto da quando la Scuola Austriaca è ritornata sulla bocca della gente comune dopo un periodo quasi di oblio, e soprattutto grazie agli sforzi divulgativi di uomini di primo piano come Ron Paul.
[9] Un club lo è anche il Federal Reserve System, ma esso non è nato spontaneamente dal mercato bensì è stato creato a tavolino copiando un modello emerso dal mercato. Infatti nel Federal Reserve System il potere ce l'hanno per davvero la FED e la NYFED. E' per questo che secondo me bisognerebbe deligittimare le banche centrali piuttosto che abolirle; la loro abolizione infatti dovrebbe pur sempre passare dalla burocrazia statale, la quale, in tale processo, continuerebbe ad avere la piena legittimità agli occhi degli individui. E' stato, è e rimarrà sempre lo stato il vero nemico da sconfiggere.
[10] Kurt Schuler, "The World History of Free Banking: An Overview", in Kevin Dowd, (a cura di), The Experience of Free Banking, London, Routledge, 1992, pp. 7-47; Rondo E. Cameron, "Scotland, 1750-1845", in Rondo E. Cameron (a cura di), Banking in the Early Stages of Industrialization: A Study in Comparative Economic History, New York, Oxford University Press, 1967, pp. 60-99; George G. Kaufman, The Truth About Bank Runs, pp. 15-16; George G. Kaufman, "Bank Runs: Causes, Benefits, and Costs", Cato Journal, 7, 1988, pp. 568-569; Sidney J. Butlin, Australia and New Zealand Bank: The Bank of Australia and the Union Bank of Australia Limited, 1828-1951, London, Logmans, 1961, p.305; Kevin Dowd, "Free Banking in Australia", in Kevin Dowd, The Experience of Free Banking, p. 58-62.
[11] Kurt Schuler, "The World History of Free Banking: An Overview", p. 16-18; R. Alton Gilbert, "Market Structure and Competition: A Survey", Journal of Money, Credit, and Banking, 16, 1984, pp. 617-645; Mervyn K. Lewis - Kevin T. Davis, Domestic and International Banking, Oxford, Philip Allan, 1987, pp. 202-207; Jeffrey A. Clark, "Economics of Scale and Scope at Depository Financial Institutions: A Review of the Literature", Federal Reserve Bank of Kansas City, Economic Review, settembre-ottobre 1988, pp. 16-33; Lawrence H. White, Free Banking in Britain, cap. 2.
[12] Come Ron Paul avrebbe voluto che accadesse per la FED; purtroppo però le sue parole sono cadute nel vuoto.
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ovviamente questo è IL problema. d altra parte, senza schiavi, niente piramidi: la concentrazione del capitale artificiale (fittizio, in termini marxisti) serve per i grandi obbiettivi, e spesso produce grandi flop. qualcuno alla fine deve pagare, il progresso vuole le sue vittime. va anche aggiunto che la replicabilita del capitale in qualche modo evita la tassazione: lo stato tassa, il capitalista ricrea il capitale :) . senza di essa, abbiamo il furto delle mutande, come con l euro. connesso a questo sistema, che favorisce le concentrazioni industriali, però abbiamo un azzardo morale terrificante. che è il vero costo del sistema, ineliminabile. a meno di una bella dittatura keynesiana. siamo tutti keynesiani, se gli schiavi sono gli altri.
RispondiEliminaE' infine stato pubblicato il documento di economia e finanza. Mosso dalla curiosità sono andato a vedere la mia tabella preferita. Si trova sempre nelle pagine dalla 20 alla 30. Questa volta è a pagina venti: http://www.mef.gov.it/opencms754/opencms/inevidenza/documenti/Web-Def-2015-Sez-II-AnalisiETtendenzeDellaFinanzaPubblica-10-aprile-2015-CaricheCop.pdf
RispondiEliminaRiassume in modo generale il conto economico dell'apparato statale. La cosa che salta subito all'occhio è il peso della pressione fiscale che, sebbene si stia sbandierando su tutti i media che non verranno aumentate le tasse, passerà dagli attuali 43.5 a 44.1 dell'anno prossimo.
Inoltre, è necessario far notare come la spesa pubblica sia diventato un problema difficilmente comprimibile, senza intaccare categorie interessate e ritrovarsi enormi problemi politici. Balzano all'occhio le previsioni "ottimistiche" per i prossimi anni. Sebbene sia ancora sotto la voce "previsione", la spesa totale dello stato italiano si prevede che passerà da €842.172 milioni nel 2016 a €844.637 milioni nel 2017 (per poi salire allegramente più in alto). Si parla del 2017 come "l'anno della ripresa" presumendo forse di poter fare a meno di alcune voci di spesa (future), ma come accaduto tra il 2000 e il 2008, a fronte di una crescita economica (nominale), non c'è stato alcun incentivo a tagliare la spesa pubblica nonostante l'Italia arrivasse da un decennio economicamente duro.
Sintesi: tiriamo a campare finché dura...
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EliminaCarissimo Francesco, a proposito di Banche, DEF, e "cartamoneta", approfittando della tua sconfinata preparazione in tema economico, ti chiedo dove si potrebbe trovare risposta a questa domanda :
RispondiElimina"Perchè in uno stato liberale parte del denaro circolante non può essere stampato direttamente dal Tesoro, ad esempio per pagare alcune grandi opere pubbliche ?"
Grazie
Ciao Marco.
EliminaPer rispondere alla tua domanda, bisogna prima ricordare come funziona l'economia di mercato. In un ambiente economico non ostacolato i segnali di prezzo e le relative informazioni viaggiano da attore economico ad attore economico affinché vengano intraprese le migliori scelte imprenditoriali. Uno di questi segnali, e probabilmente uno dei più importanti, è il tasso d'interesse puro. Attraverso di esso gli attori di mercato esprimono il loro giudizio temporale in base ai loro desideri. La trasmissione del tasso d'interesse si riverbera in tutto il tessuto economico coordinando la produzione presente e futura. Un punto di riferimento per determinare il tasso d'interesse puro prevede l'analisi del tasso d'interesse monetario, ovvero, la disponibilità di fondi mutuabili attraverso i quali poter avviare attività produttive future.
Più è basso il tasso, più la preferenza temporale degli individui è spostata in avanti permettendo il finanziamento di opere precedentemente impossibili da realizzare. Più è alto, più la preferenza degli individui è concentrata sul presente denotando una predilezione per i beni al consumo.
Introdurre in questo scenario un ente terzo che vada a perturbare l'allineamento tra il tasso d'interesse puro e il tasso d'interesse monetario, significa creare una situazione artificiale in cui le informazioni veicolate sono sostanzialmente false. Si segnala agli imprenditori, ad esempio, della possibilità di poter realizzare opere che in precedenza erano precluse poiché il tasso d'interesse monetario era alto a riflesso di un tasso d'interesse puro alto. Scardinando questo meccanismo attraverso l'iniezione ex novo di cartamoneta non si aiuta la società (con tutte le buone intenzioni del caso), ma si crea l'ambiente fertile per errori economici futuri. Se noterai, infatti, la maggior parte delle opere pubbliche iniziate o non vengono finite oppure non sono utilizzate e vengono lasciate a marcire. Questo perché finanziate con risparmi fasulli generati da un disallineamento tra interesse puro e monetario.
In conclusione, bisogna fidarsi degli attori di mercato. Dobbiamo fidarci di noi stessi. Noi sappiamo cosa vogliamo e noi dobbiamo sapere cosa dobbiamo finanziare. Poiché i nostri desideri si riflettono sull'ambiente di mercato, e prima o poi arriverà sempre qualcuno a soddisfarli.
Grazie per la cortese risposta
Elimina(cosa oggi non facile da trovare)
Scusate il ritardo.
RispondiEliminaSono andato a prendermi una pizza... altrimenti non se ne esce... Grazie gdb!
La big picture della decadenza consapevole... I sogni dei nostri nonni che volgono alla fine... Mi guardo intorno e vedo le illusioni che pian piano svaniscono... Siamo in pochissimi a vedere... Illusioni che seguono altre illusioni... E ne anticipano altre ancora...
http://youtu.be/dcd3RXH_IAM
sì,siamo in pochi ad essere fuori da Matrix e a vedere illusioni che seguono e moltiplicano altre illusioni.sono seriamente preoccupato. il risveglio sarà devastante.
EliminaIeri ho letto una breve intervista ad Ostellino sul Giornale in cui, tra le varie risposte, cercava di tracciare l'origine dell'illiberalità preponderante presente in Italia. Ebbene credo che la sua intuizione sia molto accurata: l'Italia non è stata influenzata dall'illuminismo scozzese bensì da quello francese, il quale ha piantato i semi delle varie dittature in Europa.
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