Bibliografia

mercoledì 25 marzo 2015

Rimpiazzare l'establishment keynesiano





di Gary North


Uno dei campi di studio più importanti in ambito storico è la storia delle idee. In quasi tutti i casi che ho letto, un autore si concentra solo sulle idee; non descrive le circostanze storiche in cui una particolare idea è scomparsa, o ha trionfato, o non ha mai avuto alcun effetto.

Una volta Robert Nisbet disse un grande frase: "Le idee non generano idee nel modo in cui le farfalle generano le farfalle." Per discutere la storia delle idee, l'autore dovrebbe discutere le impostazioni storiche di quelle idee. Deve porsi le domande fondamentali: cosa, quando, dove, chi e perché -- in questo ordine. Per farlo, ha bisogno di fare quattro cose:

  1. Seguire le confessioni.
  2. Seguire le organizzazioni.
  3. Seguire il denaro.
  4. Seguire i media.

Praticamente non viene mai fatto. E' un lavoro estremamente duro, e le persone che scrivono la storia delle idee vogliono trattare solo con le idee. Per spiegare come e perché una particolare idea sia diventata dominante, oppure sia scomparsa, lo storico dev'essere in grado di comprenderne il contesto storico. Quelle persone che si specializzano nella storia delle idee raramente ne sono in grado, oppure non hanno alcuna intenzione di farlo.

Questo non è semplicemente un dibattito accademico. Se un gruppo, o un movimento, vuole contrastare una cattiva idea, è meglio che i suoi progettisti abbiano una certa consapevolezza delle condizioni storiche. Devono pianificare una strategia per affrontare le idee contro cui si scagliano. Ma raramente i gruppi di attivisti pianificano strategie per confutare le idee. Tali gruppi sono interessati agli strumenti pratici per cambiare le gerarchie di potere, ma affermano che le idee si prenderanno cura di sé stesse.

Le idee non si prendono mai cura di sé stesse. La gente ha idee, le difende, le estende e quindi guadagna seguaci che sono preparati a metterle in pratica.

Ci deve essere una teoria solida e una pratica solida. Devono essere coerenti. Una Bibbia senza una chiesa non ha influenza. Una chiesa senza Bibbia non ha fulcro.



EVANGELIZZAZIONE E RAPPORTI DI FORZA

Chi vuole cambiare il pensiero di una società deve capire il quadro generale, cioè le forze sociali, economiche, intellettuali e soprattutto religiose che sono dominanti in quella società.

Poi il singolo rivoluzionario, o evangelista, deve elaborare un piano che possa funzionare nel contesto dell'ordine sociale esistente. Questo può variare, da nazione a nazione e da cultura a cultura. Si tratta di un duro lavoro. Si tratta di assumersi dei rischi. Comporta l'applicazione della teoria generale a casi specifici. Se la teoria generale è sbagliata, il piano non funzionerà. Se il piano non si occuperà di importanti forze sociali, il piano non funzionerà. E' un duro lavoro elaborare un piano che sia coerente con una teoria generale e che sia importante anche nel contesto sociale prevalente.

I missionari stranieri l'hanno fatto per secoli ed è proprio questo quello che devono fare. Le organizzazioni missionarie sono diventate molto brave in questo compito, soprattutto nelle società arretrate. Impegnano soldi. Giovani uomini e giovani donne impegnano la loro vita. Lavorano in circostanze difficili. Molti di questi sforzi non hanno successo, ma ogni tanto c'è un grande trionfo.

Viviamo in un'epoca di evangelizzazione economica. Ci sono molteplici teorie là fuori, ma nessuna delle alternative all'ortodossia keynesiana ha mordente nelle menti degli intellettuali, figuriamoci in quella degli elettori.



I COMUNISTI: PESSIMA TEORIA, PIANO FUTILE

I comunisti tentarono di capire quella che chiamavano una correlazione di forze. Cercarono di infiltrarsi nelle organizzazioni e quindi cambiare le menti dei leader. Ma i comunisti erano unici in questo senso.

Ciò che li portò alla rovina fu la loro incapacità di comprendere questa correlazione di forze. Non capirono mai il connubio causa-effetto nella storia. Pensavano che organizzare il proletariato avrebbe cambiato l'Occidente, ma non è mai accaduto. L'intera teoria era sbagliata.

L'unico comunista che lo capì fu Antonio Gramsci. Era un italiano e trascorse la maggior parte degli ultimi anni della sua vita in prigione. Mussolini lo aveva imprigionato e non lo rilasciò. Ma dovette abbandonare il marxismo affinché potesse fornire una nuova strategia di rivoluzione. Marx aveva insegnato che il modo di produzione è centrale: la sottostruttura della società. Considerava le idee come dei semplici abbellimenti agli interessi di classe: la sovrastruttura. Ma i sindacati occidentali fecero capire a Gramsci che non ci sarebbe stata nessuna rivoluzione comunista. I membri del sindacato volevano solamente una fetta più grande della torta capitalista. Pertanto, Gramsci disse che l'unico modo per smantellare il capitalismo in Occidente passava attraverso l'indebolimento delle fondamenta morali del capitalismo. Quando queste ultime sarebbero crollate, il modo di produzione sarebbe crollato insieme a loro e la rivoluzione comunista avrebbe trasformato la società. Questo non era marxismo. Questo era il ripudio del marxismo. Il problema con gli studenti di Gramsci è che non parlano mai del fatto che egli smise di essere un marxista, quando se ne uscì con questa teoria.

Marx aveva torto e anche Gramsci. Ed avevano torto anche tutti quegli anti-comunisti che presero sul serio lo scenario di Marx. Non ci sarebbe mai stata una rivoluzione proletaria in Occidente. La teoria marxista era sbagliata da cima a fondo. Ci possono essere state rivoluzioni in nome di Marx, e Lenin ne perseguì una con successo. Anche Mao. Il marxismo, però, era un abbellimento da esporre in vetrina. Entrambi questi tiranni appiccicarono la teoria marxista ad un sistema di controllo totale.

Marx espose i suoi famosi dieci passi su come costruire una società pre-comunista dopo la rivoluzione. Questa doveva essere una sorta di preparazione in vista del trionfo finale del comunismo. Non scese mai nei dettagli su come avrebbe funzionato il comunismo. Era tutta teoria. Era tutta una giustificazione per la rivoluzione. Fu una lunga giustificazione della rivoluzione. Era una religione della rivoluzione, come ho sostenuto nel mio libro del 1968, Marx's Religion of Revolution. Ma la teoria non aveva importanza. Infatti la teoria era sbagliata, nonostante il fatto che i due imperi comunisti ricoprirono circa un terzo del mondo.

Il marxismo era sostanzialmente una pessima idea giunta alle orecchie di alcuni rivoluzionari, i quali l'hanno messo in prarica con strategie che non avevano nulla a che fare con l'idea originale. Il marxismo veniva utilizzato come sovrastruttura. Marx definì le basi come sottostruttura e la individuò nel modo di produzione. In realtà, a nessuno è mai importato. Gli unici posti dove il comunismo ha avuto successo sono stati gli ambienti rurali, dove Marx disse che non avrebbe mai avuto mordente. Secondo lui la rivoluzione comunista sarebbe arrivata solo nelle società capitaliste, e invece non accadde nulla del genere.

Il marxismo è il miglior esempio moderno di una visione del mondo adottata dagli intellettuali occidentali, ma che non ha prodotto la rivoluzione comunista che la sua teoria definiva inevitabile. L'unico posto in Occidente dove il marxismo ha messo radici, è stato nella mente degli intellettuali. Così quando i comunisti sovietici hanno cercato di spiegare i rapporti di forza in Occidente, hanno sempre avuto torto. Avrebbero potuto estendere il sistema attraverso la potenza militare, come fece Stalin nella seconda guerra mondiale; o avrebbero potuto estenderlo nelle società rurali dove non avrebbe dovuto aver luogo, come fecero Mao, Ho Chi Min e Pol Pot; ma hanno sempre fallito nell'estendere il marxismo all'interno del proletariato dei paesi capitalisti occidentali. Questo li ha sconcertati. Non l'hanno mai capito.



LA RIVOLUZIONE MARGINALE DEI FRATELLI KOCH

I media sostengono che i fratelli Koch abbiano sia i soldi sia un piano. Non c'è dubbio che abbiano speso un sacco di soldi. Ma funzionerà il loro piano? Finora non ha prodotto nessuna teoria economica, nessun dipartimento di economia unito da una teoria, nessun tipo di think tank con un messaggio teoricamente coerente. Influenza sul Congresso? Zero. I media li considerano dei pezzi grossi. Io li considero delle mine vaganti.

Esattamente 40 anni fa i Koch hanno commesso un errore strategico. Decisero di cambiare il clima dell'opinione economica elitaria, ma scommisero sul cavallo sbagliato: Hayek. Decisero deliberatamente di bypassare Mises, che a differenza di Hayek era un costruttore di sistemi ma non aveva alcuna influenza. Hayek ce l'aveva invece: un Premio Nobel. Ma soffriva di un difetto intellettuale: era quello che lui stesso definiva "un enigma". Hayek usò addirittura la definizione di Alfred North Whitehead per definire tale stato mentale: "confusionario". Hayek ci scrisse anche un articolo nel 1975 sull'Encounter: "Types of Mind." Ciò accadeva un anno dopo l'assegnazione del Premio Nobel. L'articolo è stato ristampato nel volume 3 del suo libro Collected Works.

Nel giugno del 1974 i Koch finanziarono la conferenza South Royalton sull'economia Austriaca. Furono invitate quattro dozzine di giovani Austriaci. Io ero uno di loro. Il focus di quella conferenza era su Mises, non su Hayek. Mises morì nell'ottobre del 1973 e Hayek venne insignito inaspettatamente del Premio Nobel lo stesso mese. I Koch cambiarono cavallo. Nella conferenza del 1975, che si tenne a Hartford, invitarono Hayek. Anch'io vi partecipai.

I Koch non hanno mai accettato questa realtà sociale: nessun movimento può trasformare una civiltà, se si basa sugli scritti di un uomo enigmatico. Gli uomini non sacrificheranno la loro vita, la ricchezza e l'onore per attuare la visione di un uomo enigmatico.

Invece di iniziare da Wichita e andare avanti, iniziarono da Wichita e tornarono alla Washington Beltway. Volevano orchestrare una rivoluzione dall'alto verso il basso, il cui cuore, però, si basava su un punto di vista dal basso verso l'alto: le azioni umane. Ancora non hanno capito che la loro strategia istituzionale è in contrasto con la loro teoria economica. Ora sono troppo vecchi per cambiare cavallo -- da Hayek a Mises, da Washington a Wichita.

Hanno commesso un altro errore strategico. Non hanno prestato attenzione alla Nuova Destra Cristiana che da sola avrebbe avuto forze sufficienti per diffondere un'idea alternativa a Keynes basata sul libero mercato. Era fuori dal radar dei Koch. Hanno basato i loro piani su ciò che gli economisti chiamano una rivoluzione ai margini: professori ai margini, università ai margini e politici ai margini. Si sono dimenticati dei ministri e dei diaconi.

Gli sforzi ideologici di Charles Koch non produrranno niente. E' un vecchio ora: 79 anni. A questa età o si è lasciato un segno, oppure non lo si lascerà più. I vecchi non imparano cose nuove. Il Mises Institute ha più influenza rispetto a tutti i think tank che i Koch hanno finanziato. Il Mises Institute cambia le menti. I think tank dei Koch assumono menti che sono state cambiate. Solo occasionalmente sono menti legate alla Scuola Austriaca.

I Koch hanno scommesso su un uomo enigmatico: Hayek. Si lasceranno dietro un mucchio di pezzi di un puzzle per il quale non c'è mai stata un'immagine guida.



INFILTRAZIONE E PREPARAZIONE

Dopo il 1991 Murray Rothbard notò con un certo rammarico che nessuno nel movimento libertario aveva mai provato a stilare un programma di transizione per l'Unione Sovietica, una transizione verso il capitalismo di libero mercato. Non ci provò nessuno. Nessuno ci pensò. E così il sistema economico russo è sostanzialmente una versione del keynesismo. La banca centrale domina incontrastata. La burocrazia domina incontrastata. I mercati non sono liberi. Il sistema è manipolato. E' semplicemente capitalismo clientelare occidentale sovrapposto alla vecchia burocrazia sovietica, che fu quella che Lenin impose sulla vecchia burocrazia zarista. La Russia è ancora un'economia burocratica top-down, con la produttività proveniente dal basso. Oggi l'unica cosa diversa è questa: il capitalismo ha portato in Russia una maggiore produttività rispetto a quella che c'era in Unione Sovietica o nella Russia zarista.

Per indebolire l'establishment keynesiano, ci servono soldi e un piano.

Io ho cercato di farlo per quanto riguarda l'economia keynesiana. Penso che si debba iniziare con una confutazione di un libro: la Teoria Generale di Keynes. Se ciò non avviene, allora lo sforzo di sostituzione è fuorviante. Ma una cosa del genere non è mai stata fatta. Nessuno ha mai voluto farla. Nessuno vuole farla ora. Nessuno vuole impegnarsi, a 25 anni, a fare una cosa simile.

Così, quando arriverà la crisi economica, accadrà quello che è accaduto nel 1935: i keynesiani non sapranno fornire una spiegazione esauriente sul perché il sistema andrà in bancarotta. Quello sarà il loro punto vulnerabile. Keynes non aveva alcun piano nel 1934 e scrisse un libro che venne pubblicato nel 1936. L'editore, la Macmillan, aveva già pubblicato un libro incline al libero mercato: The Great Depression (1934) di Lionel Robbins. Pubblicò addirittura un manoscritto tutto suo: Banking and the Business Cycle (1937). Ma nel 1936 ebbe successo il libro di Keynes. Venne assunto dal Tesoro nel 1939 e morì un anno dopo la seconda guerra mondiale. I suoi discepoli fecero il lavoro pesante.

Neanche questi ultimi hanno un grande piano, ma sono al comando. Inizialmente il loro piano era quello di soggiogare i dipartimenti universitari d'economia, e in particolare soggiogare le redazioni delle riviste accademiche. Keynes, e poi Roy Harrod, gestirono The Economica Journal. I keynesiani ebbero successo in questa strategia. Inoltre raccomandavano quello che i politici volevano sentire. I loro avversari, invece, affermavano quello che i politici non volevano sentire e non volevano applicare: riduzione dei costi, riduzione delle spese e bilanci in pareggio. I keynesiani erano in vantaggio in questo campo. I keynesiani avevano i rapporti di forza dalla loro parte. Avevano anche un libro pieno di incoerenze che qualsiasi economista poteva interpretare a modo suo -- cosa che accade ancora oggi, ripetutamente. Tutto questo li servì per imporre il loro predominio. Poi nel 1948 Paul Samuelson scrisse Economics, che divenne il libro di testo universitario dominante per una generazione.

Non esiste nessun piano o programma per affrontare Keynes, figuriamoci il keynesismo. È per questo che ne ho ideato uno, ma limitato, tatticamente. Sottolinea ciò che non è stato fatto, vale a dire, seppellire il libro più importante di Keynes. È da qui che deve partire la resistenza; ed è da qui che non dovrebbe finire.

Il mondo pullula di critiche sparse per quanto riguarda il keynesismo, ma non sono sistematiche. Non lo sono mai state. Non vi è nessun economista rappresentativo che possa articolarle. Quando arriverà il Grande Default, e i governi occidentali saranno incapaci di soddisfare le loro promesse economiche nei confronti dei vecchietti in pensione, il mondo sarà popolato da un sacco di persone che sono state critiche col sistema keynesiano. In primo luogo, poche di loro avranno una teoria coerente di libero mercato. "Non si può battere qualcosa con niente!" In secondo luogo, di queste poche ancora meno -- probabilmente nessuno -- avranno un piano istituzionale e un programma per sostituire l'establishment e l'ortodossia keynesiana di oggi. Questa guerra sarà combattuta nel mercato delle idee. Sarà combattuta nei consigli di amministrazione delle grandi aziende. Sarà combattuta nei reparti d'economia dove i keynesiani sono di ruolo.

Le critiche al sistema esistente sono una lotta libera. Rimarranno rumore di fondo fino al Grande Default. Poi infurierà la guerra delle idee. C'era Adam Smith nel 1776: l'inizio della crescita economica composta che nessuno percepì all'epoca. C'era Keynes nel 1936: il sesto anno della Grande Depressione che tutti percepirono all'epoca. Ci sarà qualcuno di paragonabile dopo il Grande Default.



CONCLUSIONE

Quando arriverà il Grande Default, ci sarà una grande fretta per spiegare perché è successo, da entrambe le parti, o da tutte le parti, e ci sarà una grande lotta per ottenere influenza in un mondo di media decentralizzati. Non è chiaro chi vincerà questo dibattito. Non credo che saranno i keynesiani.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


1 commento:

  1. beh, la cririca è semplcie: 1. i macroggregati sono grandezze politiche e non economiche e pertanto ad uso del potere 2. sono strumenti rozzi senza nessuna distinzione qualitativa ed aboliscono il segnale delle preferenze come il fallimento. poste queste premesse, keynes non ha nessun senso. ma quasi nessun economista lo ha. il comunismo, come il nazi fascismo, è un aberrazione della modernità (con accenti nostalgici dell ancien regime). ma è la modernità che esige i macroaggregati. se non si cambia orizzonte culturale (qui possono aiutare alcune idee, hey ho detto alcune! di latouche, graeber, chomsky; che non avendo metodo austriaco ed essendo illiberali di fondo poi si perdono) allora nulla cambierà. il trade off del macrotrend è banca mondiale unica (con isole, paradisi, piccoli stati o citta stato) o dissoluzione delle banche centrali se nn riescono a rilanciare sempre più in alto. sono forze contrastanti. storicismo marxista :).

    RispondiElimina