di Francesco Simoncelli
Essere catturati dal mondo che ci circonda credo sia capitato un po' a tutti. La mente umana tende ad incasellare le azioni, tende a catalogare in modo prevedibile tutte le azioni che accadono intorno all'individuo. La spiegazione naturale per questo tipo di situazione si può ricondurre all'istinto ancestrale che soggiace alla base del nostro cervello, il quale, per impedire che il corpo cada vittima di predatori, risveglia un impulso conservatore che permette all'individuo di riacquistare il controllo delle proprie facoltà e di rimanere rigorosamente vigile in quei casi in cui il sangue freddo risulta l'arma principale con cui difendersi.
Per secoli l'essere umano ha vissuto come preda. Infatti l'inizio della sua storia evolutiva come mammifero di piccole dimensione l'ha costretto a guardarsi costantemente le spalle, ogni ombra poteva nascondere un'insidia, ogni rumore poteva essere l'ultimo che avrebbe sentito. Non poteva far altro che affidarsi al proprio istinto e sperare, in un certo senso, in colpi di fortuna. Sebbene siano passati molti secoli da quando l'essere umano era ancora riconducibile al rango di animale, il nostro percorso evolutivo non è qualcosa che possiamo scrollarci di dosso; soprattutto quando fa parte del nostro genoma e della stratificazione celebrale profonda. E' strabiliante rendersi conto di come l'evoluzione abbia lavorato sul nostro corpo, sul nostro modo di agire. Siamo così "perfetti" e al tempo stesso così imperfetti.
Siamo diventati gli esseri razionali di oggi grazie anche ad una variazione di cibi ingeriti, le cui componenti vitaminiche e proteiniche sono andate a stimolare quelle zone del cervello che erano "sottosviluppate" data la mancanza di molecole necessarie a stimolarle.
L'uomo si è evoluto e con esso le sue facoltà cognitive. E' diventato più abile, più reattivo, più consapevole dell'ambiente che lo circondava. Di certo la nostra evoluzione non si fermerà qui, ma il nostro grado di successo evolutivo è ben più che confermato. Eppure quella parte ancestrale, istintiva, ancora ci perseguita tendendo a farci restare vigili ogni volta che ci confrontiamo con un nostro simile. Nonostante la cooperazione sociale sia stata a tutti gli effetti un'arma vincente per la nostra sopravvivenza nel corso dei secoli, ancora ci guardiamo bene dal fidarci ciecamente del prossimo. Abbiamo quindi bisogno di garanzie, di un modo certo di effettuare interazioni su una base di fiducia saldamente confermata da terzi.
E' giusto che sia così. Ci sono voluti milioni di anni prima che arrivassimo a questo stadio dell'evoluzione umana, e ce ne vorranno altri per progredire oltre. Ma vediamo di analizzare queste presunte garanzie. La prima che viene sicuramente in mente è quella di un sistema legale e giudiziario che punisca chiunque vìoli i diritti di proprietà degli individui. Al giorno d'oggi si pensa che solo lo stato sia in grado di dispensare una dose giusta e adeguata di giustizia, sottovalutando la possibilità di come un mercato privo di vincoli possa offrire soluzioni migliori. Ma di solito questa struttura sociale viene vista come "irraggiungibile" a causa della natura umana che, secondo la maggior parte delle persone, tenderà a soverchiare gli inermi e quegli individui pacifici generando un regno del terrore. Credo sia sciocco rispondere a questa obiezione riducendo l'argomento ad un puerile dualismo tra realtà. Anche se, per assurdo, volessimo raffigurare l'esistenza di due società in cui una fosse preda di comportamenti selvaggi e nell'altra vigesse ordine sociale a fronte di uno stato limitato, è ovvio che un qualunque anarchico sceglierebbe di vivere nella seconda realtà.
L'assenza di uno stato è una condizione necessaria ma non sufficiente per una società libera. Anche perché, la presenza di uno stato non significa assolutamente stabilità giuridica e sociale. Anzi, siamo ben informati di come al giorno d'oggi scoppino guerre civili in Paesi in cui prima vigeva uno stato civile. L'Ucraina, l'Iraq, la Libia sono solo gli ultimi esempi. Quindi c'è qualcosa che non va nell'affermazione secondo cui la società civile finirebbe nel caos semmai uno stato dovesse scomparire per decreto. Non è vero, abbiamo prova del contrario: sebbene ci sia una forte presenza dello stato, la società può cadere lo stesso nel caos a causa di un vuoto nella cosiddetta catena di comando. Ma perché dovrebbe essere, quindi, preferibile una società libera ad un apparato statale? Come spiegato nel saggio di Robert Murphy del link precedente, per sopperire ad una mancanza di autorità di polizia, ad esempio, emergerebbero società private che fornirebbero in concorrenza questo servizio. L'obiezione più comune, infatti, a questa risposta prevede che lo scetticismo della persona media (o almeno, non simpatizzante degli ideali libertari) la porti a concludere che l'esistenza di tante realtà atte a fornire sicurezza potrebbe creare una sorta di guerra continua tra di loro fino a far predominare una su tutte. Sebbene la maggior parte delle persone possa concordare su un periodo di relativa pace tra queste società, tale equilibrio sarebbe appeso ad un filo.
Allorché io avrei due obiezioni a questo assetto mentale. La prima: perché mai sarebbe più pericoloso una dozzina di società in concorrenza tra di loro rispetto ad un unico fornitore di servizi di protezione? D'altronde se pensate ai giorni nostri non esiste propaganda peggiore di quella che eleva a "bene comune" il portare guerra ad un'altra nazione in base a principi folli. Ancora peggio, le persone che vorrebbero contrastare tale pratica sono praticamente ridotte al silenzio e costrette a sovvenzionare una scelta simile.
E ciò ci porta alla mia seconda obiezione: se davvero noi propugniamo un mondo pacifico, e quindi avessimo davvero la scelta di indirizzare i nostri soldi verso società in grado di adempiere ai nostri desideri, perché dovremmo sostenere quelle imprese che vorrebbero conquistare le altre con la violenza? Sarebbe un controsenso. Coloro che oggi sono scettici riguardo un mondo libero dallo stato potrebbero essere i primi a poter "imporre" la pace attraverso il sovvenzionamento in prima persona di quelle realtà che si impegnerebbero (attraverso un vero contratto) a soddisfare questo requisito. Sarebbero responsabili davanti ai loro finanziatori. Infatti, qualora dovessero sgarrare, i finanziamenti finirebbero. Ditemi, ora, quali sono le sanzioni negative oggi che possiamo imporre allo stato in caso di guerra sconsiderata? Nessuna. Certo, pascolare e belare per le piazze può aiutare le persone a sfogarsi, ma concretamente non serve a nulla. Non avete controllo del vostro portafoglio. Si grida per le strade contro il complesso militare-industriale, poi si è a favore delle tasse. Quindi, prima di muovere accuse ed essere reticenti nei confronti di una realtà priva di stato, sarebbe meglio esaminare con maggiore profondità la situazione in cui oggi siamo immersi e forse si realizzerà di come una riduzione della mano statale (o addirittura una sua abolizione) sia un evento da augurarsi piuttosto che da scongiurare.
Ovviamente qui non si sta teorizzando il repentino avvento del paradiso in terra non appena lo stato scomparisse dalle nostre vite. Sarebbe assurdo e ridicolo affermare una cosa simile, nonché intellettualmente disonesto nei confronti dei lettori. Quello che sto cercando di far capire è come una situazione in assenza di stato possa essere preferibile a quella odierna. E' vero, è possibile che ci potrebbero essere delle imprese "canaglia" desiderose solamente di portare scompiglio e cercare di prendere il controllo della società libera da uno stato, ma il problema che avrebbe davanti sarebbe decisamente ingombrante: dovrebbe partire da zero. Mi spiego. Adesso prendere il controllo dell'apparato statale è relativamente "semplice", ovvero, dato che i politici sono perlopiu interessati alla propria rielezione favoriranno quei gruppi con interessi particolari in grado di dare loro la possibilità di rimanere in carica. Ciò significa aprire la porta a tutta una serie di clientelismi prerogativamente specifici ad un gruppo con interessi particolari, o vari gruppi con interessi particolari. Nel caso della difesa, ad esempio, contratti miliardari per la vendita di armi. Per non parlare della guerra in Iraq e la falsa esistenza di armi di uccisione di massa detenute da Saddam. Insomma, lo stato al giorno d'oggi possiede un apparato militare e propagandistico già imbastito e pronto da utilizzare da coloro che arrivano al potere.
In una società priva di stato, invece, quella impresa che vorrebbe soverchiare tutte le altre dovrebbe convincere del legittimo uso della violenza una clientela desiderante la pace. Dovrebbe mobilitare eserciti e armi fornendo ingenti somme di denaro. Ognuna di queste cose necessiterebbe di una assicurazione i cui costi lieviterebbero all'aumento del rischio di incappare in una guerriglia inutile e opposta alla volontà degli individui. Oltre a tutto ciò, chi fornirebbe i fondi per distruggere piuttosto che produrre? Potrebbe anche essere possibile che una impresa riuscisse a superare tutti questi ostacoli e ad imporsi come unica dominatrice, ma i costi connessi sarebbero esorbitanti e il percorso per arrivarci estremamente contorto. Con la presenza dello stato invece, i costi sono decisamente più bassi e il percorso per arrivarci passa attraverso un'elezione, una qualsiasi elezione.
Oltre ad aver teorizzato alcune possibili soluzioni in un mondo privo di interferenze positive di un ente coercitivo, la "sicurezza", che va cercando l'individuo, è anche quella che fa riferimento ad un ambiente privo di pericoli per il suo stile di vita alimentare, in quanto, come accennato in precedenza, ha rappresentato una parte importante, nonché sostanziale, del suo grado evolutivo. Sappiamo quindi che uno dei tanti deturpamenti in tal contesto è quello derivante da un inquinamento persistente intorno a lui. Di nuovo preda della memoria ancestrale, questo timore è perfettamente comprensibile data la sua natura strettamente dipendente dai "capricci" di madre natura. In questa situazione diviene indispensabile riuscire ad avere la sicurezza di salvaguardare ciò che l'individuo, attraverso la sua consapevolezza, reputa più importante. Scrive Rothbard:
[...] In primo luogo, i fiumi. I fiumi, ed anche gli oceani, sono generalmente di proprietà del governo; la proprietà privata, di certo una proprietà privata completa, non è permessa per quanto riguarda l’acqua. In sostanza, quindi, il governo possiede i fiumi. Ma la proprietà del governo non è una proprietà vera, perché i funzionari governativi, mentre sono in grado di controllare la risorsa non possono sfruttare il suo valore capitale sul mercato. I funzionari di governo non possono vendere i fiumi o vendere le loro azioni.
Di conseguenza, non hanno alcun incentivo economico a preservare la purezza ed il valore dei fiumi. I fiumi sono, quindi, in senso economico, “senza proprietario”; quindi i funzionari del governo hanno permesso la loro corruzione ed inquinamento. Chiunque è stato in grado di scaricare rifiuti inquinanti nelle acque. Ma consideriamo che cosa accadrebbe se le imprese private fossero in grado di possedere i fiumi ed i laghi. Se una società privata possedesse il Lago Erie, per esempio, allora chiunque scaricasse rifiuti nel lago sarebbe prontamente portato davanti ai giudici per l’aggressione contro la proprietà privata e costretto dai giudici a pagare i danni ed a cessare e desistere da ogni ulteriore aggressione.
Così, solo i diritti di proprietà privata garantiranno la fine dell’inquinamento — e dell’invasione delle risorse. Dato che i fiumi sono senza proprietario, non vi è nessuno che si ribelli e difenda la sua preziosa risorsa dagli attacchi. Se, al contrario, chiunque scaricasse sostanze inquinanti in un lago di proprietà privata (come lo sono molti laghi più piccoli), non gli sarebbe consentito di farlo per molto tempo — il proprietario ruggirebbe in sua difesa.
Arrivati a questo punto, sperando soprattutto in un futuro in cui l'uomo possa rendersi praticamente conto di come il parassitismo statale sia stato elevato a stile di vita nell'attuale presente storico, la sola cosa da aggiungere a questa breve dissertazione sulla necessità di sicurezza e protezione riguarda fondamentalmente la percezione della realtà da parte dell'individuo. Lo stato narcotico in cui si trova immerso non è altro che il risultato dell'imprigionamento delle sue pulsioni verso la libertà da parte di quel moloch che risponde al nome di apparato statale. Sebbene sia lecito ricorrere ad una sana prudenza quando si tratta di proteggere il proprio corpo e i propri possedimenti, la paranoia dei giorni nostri che vede la maggior parte delle persone ansiosa di vivere la propria vita in una gabbia di Faraday, non è altro che il risultato ultimo della recisione progressiva delle scelte individuali da parte dello stato. L'impossibilità di veder preservata la propria incolumità turba a tal punto l'essere umano da farlo sprofondare in un limbo tempestato da incertezze e vessazioni in ogni dove.
In questo modo l'intervento statale non solo ha sigillato l'individuo in un guscio, ma lo ha privato di conseguenza della sicurezza di potersi affidare al prossimo per poter sopravvivere qualora le circostanze si facessero avverse o egli fosse minacciato di violenza. Spesso si sente dire: "C'era più fratellanza in passato." Nonostante possa sembrare una frase banale e stantia, il suo senso di verità lo possiamo ritrovare, ad esempio, nell'abolizione delle società di mutuo soccorso. Oggi il welfare state non ha affatto mantenuto la presunta promessa di redistribuire la ricchezza, proprio perché non è altro che un sistema di potere per fornire briciole ai poveri, disintegrare la classe media e far rimanere ai posti di comando quelle figure privilegiate a stretto contatto con l'apparato statale.
L'1% della popolazione detiene il 46% della ricchezza globale, questa legge di Pareto è sempre stata vera... sebbene oggi rappresenti solo una triste nota che ci sussurra di come una ristretta cerchia di individui sia in grado di conservare i propri posti di comando facendo ricorso a quelli che Oppenheimer definiva mezzi politici. L'ombra dello stato si è progressivamente sostituita a tutte quelle convenzioni che il libero mercato aveva fatto emergere nel corso del tempo. Pensate alla scuola. Pensate al denaro. Pensate alla giustizia. Pensate all'assistenza sociale. Pensate addirittura alla lingua. Tutte quelle nicchie in cui il libero mercato ha lavorato affinché spuntasse la soluzione migliore in accordo con le necessità degli individui, sono state deturpate e invase dalla sfera statale. All'inizio subdolamente con la storiella della "rappresentanza in Parlamento" per guadagnare legittimità, poi una volta acquisita è bastato semplicemente esercitarla. Un esempio di ciò lo ritroviamo nell'approvazione fraudolenta dell'imposta sul reddito americana, come documentato nel libro di William Benson The Law That Never Was. Non serviva più chiedere o giustificarsi davanti la popolazione, lo stato avrebbe acquisito una legittimità automatica poiché stava facendo le veci della popolazione. Adesso lo stato prende senza più chiedere. Sebbene si degni di dare una qualche giustificazione per le azioni fraudolente e criminali che adotta, lo fa a carte fatte. Guardate, ad esempio, la quantità di cavilli, legacci e legacciuoli burocratici che sono stati partoriti nel corso del tempo negli Stati Uniti.
Sanzioni negative? Non esistono contro lo stato. Non potete portarlo in tribunale. Il risentimento e la rabbia che pervadono il tessuto sociale non sono altro che il risultato del costante lavoro distruttivo da parte dell'apparato statale, cosa che ha spinto l'essere umano a diventare una sottospecie di cane idrofobo pronto ad azzannare chiunque gli passi a tiro. Ma c'è un modo per iniziare a curare questa malattia: abolire qualsiasi scuola finanziata con le tasse. Lasciare che l'istruzione dei giovani sia avulsa dalla propaganda di reclutamento statale. E' un volo verso il baratro quello di oggi, ma chissà, forse mentre si precipita vorticosamente si può essere talmente fortunati da incontrare una radice che sporge da una rupe. Nessun uomo è un'isola e ognuno di noi ha bisogno della collaborazione dell'altro per sopravvivere o vivere meglio. E' questo che ci ha portato alla ribalta nel corso della storia, ed è questo che ci riporterà quella tanto agognata libertà di cui necessitiamo. Votarsi alla causa della libertà individuale non significa essere egoisti, significa accettare che per raggiungere i propri obiettivi c'è bisogno dell'aiuto del prossimo; e questo aiuto può essere ottenuto solo se quest'ultimo può raggiungere i suoi obiettivi. Se una delle due parti costringe l'altra a pregiudicare gli scopi che si è prefissata, non otterremo affatto cooperazione ma un ambiente stagnante seguito da un lento degrado.
L'ambiente in cui viviamo oggi riflette esattamente questo aspetto, con lo stato che sta forzando sugli individui i suoi progetti che non sono in accordo con il volere degli attori di mercato. La divisione del lavoro ne risente. Il tessuto sociale ne risente, con tutte le tensioni che ne scaturiscono. Essere abituati a chiamare in causa lo stato per ogni problema che non si vuole più risolvere in prima persona, lascia spiazzati e senza parole quando si riscontra l'assoluto silenzio di una risposta da parte dello stato. Ed è qui che i sostenitori di una società libera devono inserire le loro idee, poiché, come sosteneva anche Leonard Read, più una persona è informata dei benefici risultanti da una società libera e dei mali risultanti da un collettivismo rampante, più le persone verranno attratte da un'impellente desiderio di emancipazione dal collettivismo. Il cambiamento può avvenire solo se lo si vuole a livello individuale. Ricercare una sorta di grandezza in amalgami sociali "più grandi di noi" non vuol dire avere per le mani un grande potere da agitare, significa diventare il sottoprodotto di scelte altrui che fagocitano ed annichiliscono le scelte individuali facendo emergere solo quelle di coloro che sono all'apice. All'individuio non rimane altro che decantare i "successi" altrui. Pensate alle squadre di calcio. Pensate all'appartenenza a questo o a quell'altro partito.
L'essere umano è capace di fare miracoli, ma questi non avvengono attraverso i grandi aggregati sociali. Avvengono a livello marginale. Nelle fabbriche. Nella produzione di oggetti che usiamo ogni giorno, e di cui non abbiamo la minima idea di come vengano fatti. Eppure ne abbiamo in abbondanza grazie ad una interconnessione di informazioni e scambi che permettono alle persone di esprimere il loro reale potenziale di esseri agenti in libertà. Sentirsi "parte di qualcosa di grande" significa poter dire di aver contribuito a migliorare la vita altrui. Ogni giorno la divisione del lavoro compie questo miracolo. Questo network funziona in assoluto decentramento e fornisce a tutti noi il beneficio di quegli oggetti che possono, concretamente, migliorare i nostri standard di vita. Solo gli individui imputano valore in tali oggetti e solo loro possono decidere di premiare o "punire" coloro che li producono; quest'ultima è una grande responsabilità nelle mani dei consumatori, eppure la esercitiamo ogni giorno. Non abbiamo bisogno di nessuno che ci dica cosa acquistare e cosa non acquistare, siamo perfettamente in grado di deciderlo da noi. E il mercato funziona in questo senso. Ha sempre funzionato così sin dal 1800, donandoci un periodo di assoluto splendore economico e industriale. Gli esseri umani hanno diverse soluzioni ai loro problemi, mentre lo stato cerca di forzarli verso un'unica via. La sola che conosce: la prevedibilità.
Quest'ultima, infatti, tende a semplificare l'ambiente in cui ci troviamo in modo che l'individuo che voglia riuscire ad avere successo con le sue doti imprenditoriali, possa districare le nebbie del futuro. Come sottolineava Hayek, a livello individuale è più una questione di bilanciamento tra informazione e conoscenza che permette alla figura dell'imprenditore di aggirare l'imprevibidilità del futuro. Ma egli non interferisce con le scelte che lo circondano. Anzi le approva. Le analizza. Lo stato, invece, non può permetterselo. Lo stato odia la concorrenza. Lo stato odia le azioni individuali. Cerca di implementare una sorta di prevedibilità artificiale del futuro deturpando i segnali di mercato, sbilanciando la connessione tra conoscenza e informazioni, e cercando di conformare il più possibile gli individui alle sue esigenze. E' per questo motivo che la politica, attraverso l'apparato statale, fa promesse di continuo. Rastrella quanti più individui sotto l'egida di un sogno possibile da raggiungere attraverso uno sforzo comune, sia pecuniario, sia fisico, sia mentale. Ma se un imprenditore può dare vita ad un sogno escogitando il modo migliore di soddisfare il resto della popolazione e migliorando il loro standard di vita, quale altro modo lo stato può adottare per raggiungere un simile obiettivo se non quello di prendere a Mario per dare a Maria? E' una partita di giro, in realtà. A turno qualcuno viene accontentato e altri vengono scontentati. Non solo, ma mentre l'imrpenditore non cercherebbe mai di sostituirsi agli altri individui, lo stato, sfruttando questo trucco, ha lavorato per sostituirsi progressivamente alla struttura sociale più importante: la famiglia. Ha progressivamente sfasciato i ruoli che la compongono. E' così che ha insinuato nelle mente degli individui la sua fantomatica legittimità. Lo stato è diventato il padre, e il resto della popolazione la sua progenie incapace di comprendere un qualsiasi atto di responsabilità.
L'infantilizzazione individuale con cui lo stato ha cercato di smembrare continuamente e progressivamente le libertà individuali, facendo credere agli individui di essere nientemeno che ragazzini necessitanti di una cura e di una sorveglianza quasi costante, ha lo scopo di sfornare pseudo-adulti incapaci di essere responsabili davanti alle proprie azioni. Preda di una sorta di sindrome di Peter Pan, la maggior parte degli individui pensa di dover passare la propria vita a sgomitare per ottenere l'aiuto del "padre" in caso di difficoltà. C'è, ovviamente, anche quella sparuta minoranza di persone che riesce ad emanciparsi e vede oltre l'inganno. Infatti al giorno d'oggi esistono principalmente due possibilità: dare il potere a qualcun altro o astenersi dal darlo, e quest'ultima scelta verrà interpretata come un assenso. Se si vuole cambiare il sistema dall'interno, bisognerà aspettare (con tanti auguri a chi ci vuole provare) di avere un candidato, o meglio, un partito vincente (auguri, di nuovo) che sia veramente disposto a cambiare il sistema come promesso e istituirne uno di controlli e verifiche dell'accontabilità parlamentare. Il problema è che il sistema attuale è stato creato in questo modo proprio per evitare che questo accada. Nel caso in cui dovesse essere sostituito, la classe dirigente farà sicuramente qualsiasi cosa per evitare che succeda, smembrando il sistema che ha fallito lo scopo di assicurare l'impantanamento di qualsiasi istanza dal basso che possa mettere in pericolo le gerarchie. E' successo in Cile, è successo in Iran, è successo tante di quelle volte che è inutile fare elenchi.
E' chiaro che la classe dirigente, che trova questo sistema eccellente, lo abbandonerà (seppur con riluttanza)... ma lo farà se e quando non sarà più utile allo scopo. L'unica maniera per romperle le uova nel paniere è non credere al suo sortilegio: il "cittadino" ha l'arma del voto dalla parte del manico. Questa è un'arma puntata contro di voi e se cercate di afferrarla vi taglierà a fette. Davanti ad un attacco con una lama l'unica difesa è ignorare suddetta lama e concentrarsi su una visione complessiva del movimento dell'avversario, altrimenti verrete fatti a pezzi.
CONCLUSIONE
L'unico risultato a cui può portare il collettivismo è una dittatura. La pianificazione centrale degli stati non fa altro che creare sconquassi sociali ed economici in qualunque settore si espanda. Le politiche interventiste creano l'incentivo a formare gruppi con interessi speciali che possono rivolgersi all'apparato statale in modo che esso approvi misure particolari che possano andare a loro vantaggio. Barriere all'entrata, dazi e redistribuzione delle risorse rappresentano il motivo per cui lo stato gode del suo attuale consenso. Non è una società priva di stato a creare "arrampicatori sociali" che possono godere di scambi in cui una parte guadagna e l'altra no, è invece la società con uno stato che crea disuguaglianze sociali incolmabili. Il vero homo homini lupus è un concetto riscontrabile solo quando abbiamo a che fare con uno stato.
Solo una società libera e di libero mercato può garantire il ritorno a scambi di cui entrambi le parti possono godere, fermamente fondati sull'idea che ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e ad una associazione pacifica e volontaria. Solo persone adulte e responsabili davanti alle proprie scelte possono apprezzare questi diritti. Il primo passo per diventarlo richiede l'emancipazione dai propri "genitori".