di Francesco Simoncelli
[Questo articolo è apparso in precedenza sul magazine online The Fielder.]
Le notizie degli ultimi giorni si sono concentrate sul default conclamato dell'Argentina. Sebbene Ecuador e Venezuela siano nelle stesse condizioni, la maggior parte delle analisi economiche hanno fallito nello spiegare la natura di questa bancarotta. Inondare di dati e resoconti storici può essere certamente istruttivo, ma cosa rimane al lettore? La sua mente filtrerà queste informazioni e non rimarrà niente nella sua memoria, soprattutto non vi rimarrà la lezione economico che si può trarre da eventi simili. Senza una teoria a supporto dei dati, gli individui tenderanno a commettere gli stessi errori. Cosa dovremmo imparare, quindi, dal caos argentino?
Innanzitutto bisogna distinguere nettamente la società e lo stato. Continuando a prendere come esempio l'Argentina, possiamo affermare senza il timore di essere smentiti che il paese sudamericano è pingue di materie prime, le quali contribuiscono a rendere ricca una nazione nella quale si trovano. Ma da sole queste risorse non bastano, c'è bisogno di altro.
Nello specifico, le libertà individuali. All'aumentare delle libertà individuali, aumenta la possibilità di incrementare la ricchezza di una nazione. Questa lezione ci è stata inizialmente insegnata nel 1776, sin da quando venne pubblicato The Wealth of Nations di Adam Smith; ma a quanto pare siamo lenti ad apprendere. Dando un'occhiata all'Index of Economic Freedom possiamo saggiare la posizione delle varie nazioni mondiali in base alla libertà economica presente sul loro territorio e trarre le relative considerazioni. L'Argentina non è messa bene in questa classifica, e già questo dovrebbe suggerirci qualcosa.
Gli individui nella loro vita sono naturalmente inclini ad entrare in contatto con altri individui per operare scambi. Attraverso queste azioni essi cercano di migliorare il loro standard di vita e, conseguentemente, di soddisfare i desideri degli altri attori economici. Agendo in questo modo, essi migliorano ed elevano anche la ricchezza di una nazione, incanalando risorse laddove sono più urgentemente richieste. Questo processo non è qualcosa che avviene "automaticamente", bensì richiede estrema ponderazione di variabili insite nella natura della volontà umana. Ovviamente, gli imprenditori non sono soli e non brancolano nel buio, perché in loro soccorso arrivano i segnali di mercato (es. prezzi, domanda/offerta, profitti/perdite, costi/benefici) che permettono loro di operare un calcolo economico in accordo con le forze di mercato.
Il successo viene premiato con guadagni, la sconfitta con la bancarotta. Qualcuno si strappa i capelli se fallisce un'impresa? Sicuramente i proprietari. I lavoratori saranno colti da disperazione finché non troveranno un nuovo posto di lavoro. E il resto della popolazione? Non ci farà caso. Perché? Perché ha scovato un'altra impresa che soddisfa maggiormente e in modo più efficiente i suoi desideri. Gli asset della società fallita verranno rilevati da altre che li metteranno meglio a frutto. Il fallimento di un'impresa ha mandato nel panico un intero paese? Non direi. La nascita di imprese sostitutive garantisce una certa immunità da una cosa simile.
Certo, ci potrà essere un periodo di dolore economico, ma passerà. Passa sempre. Invece, cosa mette in ginocchio un intero paese? O nel nostro caso specifico, perché l'Argentina è andata di nuovo in default?
Facciamo un passo indietro e consideriamo come lo stato argentino abbia immagazzinato quell'ammontare di debiti che hanno fatto evolvere la situazione fino al punto critico a cui assistiamo oggi. Infatti, diversamente dai singoli individui, i burocrati all'interno dell'apparato statale non sono capaci di distinguere gli investimenti produttivi da quelli improduttivi, proprio perché naturalmente avulsi da un completamento corretto del calcolo economico. L'apparato statale sorregge le sue attività finanziarie attraverso il prelievo forzoso delle risorse di cui necessita. Non ci sono bilanci da tenere d'occhio o da equilibrare, lo stato è l'unica entità che può operare in perdita. Per quanto paradossale possa sembrare questa affermazione, questo atteggiamento può essere descritto solo con due parole: truffa e raggiro. La discriminante con cui lo stato elargisce risorse è riconducibile al puro capriccio dei burocrati, allocando suddette risorse in modo arbitrario senza nessun criterio che possa essere ricondotto ad una volontà del mercato.
In questo modo alcune attività prosperano a scapito di altre, ma a che prezzo? La mancanza di rotazione. Vengono sostenute attività imprenditoriali in modo artificiale, esponendo il resto delle altre attività ad un'esistenza scandita dalla riverenza e dall'eventuale salvataggio di quelle unità finanziate artificialmente. In questo modo i giganti rimangono giganti, sicuri di poter bypassare il giudizio del mercato e quindi tenere aperti i battenti seppure le perdite inizino a farsi consistenti. L'ingigantimento di alcune imprese, quindi, è solo il risultato dell'interventismo dello stato, il quale, cercando di accaparrarsi quanti più voti possibili, spezza progressivamente il meccanismo sano di rotazione dell'economia. Non c'è più sostituzione. Ci sono barriere all'ingresso. Il mercato viene ingessato, sia quello imprenditoriale che quello del lavoro. E', quindi, naturale che quei settori protetti approfittino del loro status privilegiato per navigare nei soprusi; gli incentivi negativi che sbocciano da eventi simili, non fanno altro che generare ondate di proteste che invocano ulteriori interferenze, andando ad intensificare i legacci burocratici che rappresenteranno solamente l'ennesimo peso da sopportare per quelle attività che cercano di operare il più possibile in accordo con le forze di mercato.
L'ingordigia di pochi viene pagata dalla maggior parte della popolazione, la quale pretende che sia lo stato stesso a risolvere i problemi che esso stesso ha creato in prima istanza. Che ironia! Che paradosso!
Merito della propaganda scolastica, senza dubbio; e così ci ritroviamo con un apparato che apparentemente può fare il bello ed il cattivo tempo con le risorse della società e passarla liscia qualora si trovasse a dover pagare per i propri errori. Ma è davvero così? Quanti default ci vogliono prima che questo dramma veda la sua giusta fine? Il caso argentino è emblematico. Sin dal fallimento dell'Autral, il problema cronico che ha attanagliato le finanze argentine è stata una spesa sconsiderata da parte della sua classe politica ed una politica inflazionista per nascodnerne le tracce. L'unico motivo per cui è rimasta ancora in piedi è da ritrovarsi nell'uso della credibilità estera, come quella del FMI e della Banca Mondiale, i quali hanno sempre esteso prestiti all'Argentina solo per veder crescere il suo deficit di bilancio.
In quest'ultima occasione, il paese ha cercato di rinvigorire la sua credibilità stipulando obbligazioni sotto la giurisdizione della corte di New York, impegnandosi a rispettare i suoi impegni accettati in suddetta sede. Dopo il 1990 il pesos venne legato al dollaro, impedendo alla banca centrale di stampare più moneta nazionale rispetto ai dollari che entravano nel paese. Ma questo non ha fermato di certo l'inventiva dei pianificatori centrali, i quali hanno risolto questo dilemma espandendo la quantità di debito estero (prezzato in dollari). Più emettevano debito, più era possibile per la banca centrale stampare denaro.
Le politiche inflazioniste servivano a concentrare grandi quantitativi di risorse nelle mani dello stato, derubando la popolazione autoctona e cercando di stare dietro ai pagamenti dovuti all'estero. La cecità dei pianificatori centrali è disarmante; infatti, data la loro concentrazione sul breve termine, non vedevano come stavano indebolendo significativamente la produttività interna del paese, impedendo un calcolo economico secondo segnali di mercati scevri da manipolazioni (oltre a derubare i risparmi degli individui). Il 31 luglio il giudice Griesa non ha dovuto far altro che leggere il contratto stipulato dall'Argentina per decretarne il default, data la sua volontà di negare i pagamenti dovuti ai suoi creditori. E la popolazione argentina sarà ancora una volta la vittima ultima della negligenza dei suoi politici, e ne pagherà ingiustamente le conseguenze. I bagordi con spesa pubblica e deficit portano tutti a questo risultato, e sebbene il default può essere usato come strumento politico per infinocchiare i creditori, tale tecnica non durerà a lungo. Perché? Dodici parole che dovreste ricordare: "Fool me once, shame on you; fool me twice, shame on me."
Scrisse Henry Hazlitt:
[...] Cominciamo dal bilancio dello stato: è quasi impossibile evitare l’inflazione se il bilancio è costantemente negativo, perché il deficit sarà quasi sicuramente finanziato ricorrendo a mezzi inflazionistici che portano, direttamente o indirettamente, a stampare più moneta. Le spese governative non sono inflazionistiche finchè sono coperte dalla pressione fiscale o da risparmi reali. Ma quando le spese si spingono oltre un certo livello questi mezzi si rivelano impraticabili e si ricorrerà a stampare moneta. Inoltre, anche se i ricavi governativi dalla tassazione non sono necessariamente inflazionistici, minano il sistema produttivo e di libera imprenditoria, quindi una riduzione della spesa pubblica va in senso contrario all’inflazione.
Il Tesoro (quindi il governo) e la Banca Centrale contribuiscono entrambi al processo inflativo, poiché mantengono bassi in maniera artificiale i tassi d’interesse, dai quali si genera l'aumento del credito bancario. Infatti un incremento nella richiesta di prestiti si accompagna ad un incremento della quantità di moneta, e a sua volta l’ incremento della quantità di moneta mantiene bassi i livelli dei tassi d’interesse. In particolare ciò si verifica quando la Banca Centrale compra i bond governativi alla pari (cioè a un tasso uguale a quello concesso alle singole banche): la Banca Centrale dovrebbe pagare tassi sui bond più alti di quelli che concede alle singole banche, specialmente in periodi di pesante inflazione, per evitare una eccessiva espansione del credito: in presenza di tassi sui bond governativi più elevati, è più costoso per le singole banche chiedere un prestito alla Banca Centrale, quindi le singole banche chiederanno meno prestiti alla Banca Centrale e ne concederanno meno ai propri clienti. Poichè la Banca Centrale paga questi bond (da cui si generano i prestiti) stampando nuova moneta (ciò è chiamato la Monetizzazione del debito pubblico), se i tassi pagati dalla Banca Centrale sono più alti il credito bancario diminuisce e di conseguenza diminuisce la quantità di nuova moneta stampata. La politica di mantenere bassi i tassi d’interesse ha perciò il suo corrispondente nella politica di autofinanziamento del debito pubblico mediante l'emissione di nuova moneta. [...]
Uno degli effetti dell’inflazione è di ridistribuire la ricchezza: all’inizio del processo inflativo, prima che le distorsioni diventino talmente consistenti da creare grossi problemi al sistema produttivo, alcuni gruppi di persone sono favoriti rispetto ad altri, quindi hanno interesse a mantenere in vigore un sistema inflativo. Tanti invece rimangono delusi quando scoprono di non poter battere l’inflazione, e che il costo della vita aumenta più del salario; l’ipocrisia corrente dice: che diminuiscano i prezzi praticati dagli altri, e aumentino i miei ricavi.
I governi guidano la via dell’ipocrisia, volendo mantenere una politica di piena occupazione combattendo allo stesso tempo l’inflazione mentre, come disse un accanito sostenitore delle politiche inflative “l’inflazione è i nove decimi della piena occupazione”. Ma si era dimenticato di dire che il risultato dell’inflazione è una recessione e, peggio ancora, la sfiducia del pubblico nel capitalismo, individuato erroneamente come la causa della recessione stessa.
L’inflazione ha tanti effetti negativi: diminuisce il valore della moneta, aumenta il costo della vita, reduce I risparmi, disincentiva gli investimenti, incoraggia la speculazione a spese del lavoro, mina la fiducia nel libero mercato.
I creditori impareranno la lezione. Smetteranno di fidarsi delle promesse di un manipolo di pianificatori centrali che hanno promesso loro la luna. Anche i governi occidentali si troveranno ad affrontare lo stesso destino. E' l'inevitabilità di coloro che pensano di poter acquistare tempo e prestigio attraverso la stampante monetaria. Una volta che si raggiunge il punto critico, ovvero, non si possono più tenere a bada le forze di mercato, tutti gli errori soppressi esplodono in faccia ai burocrati arroganti. Dall'inflazione, quindi, arriveremo ai controlli sui capitali, alle carenze, ai controlli sui prezzi; tutto ciò non farà altro che erodere marcatamente il bacino dei risparmi reali. Senza di esso, qualsiasi interventismo risulterà inutile ed i burocrati non potranno più vendere le proprie menzogne.
L'Argentina è nel bel mezzo di questo processo, in una fase avanzata potremmo dire. Ma ciò non cambia il destino che aspetta tutti gli stati mondiali: hanno stipulato promesse che non potranno mantenere. Ad un certo punto verranno infrante, sotto il considerevole peso delle passività non finanziate legate ai programmi di welfare. Previdenza sociale ed assistenza sanitaria, sono questi i nomi degli inneschi che costringeranno anche i più riluttanti tra di noi, ad aprire gli occhi ed a smettere di prestare denaro ad una entità truffaldina e parassitaria.
Hanno costruito una piramide perche' ha una geometria molto stabile. La si puo' scalare un po' o si puo' precipitare. Ma la piramide resta stabile ed immobile. Altro che rotazione. Il Potere crea da sempre piramidi. Per allontanarsi dalla vista della base, per innalzarsi verso il cielo, per dominare l'orizzonte spaziotemporale piu' vasto possibile.
RispondiEliminaE se la base si sgretola e cede buona parte del vertice della piramide puo' ancora resistere. E va proprio cosi'. Buona parte del vertice resiste.
I mezzi per il controllo?
Bastone e carota. Divide et impera. Propaganda. Istruzione. Forza e violenza. Fiatmoney. Burocrazie. Politica. Religione. Sussidi. Assistenzialismo. Deresponsabilizzazione. Accentramento. Annichilimento dell'individuo. Ecc ecc...
Ciao Dna.
EliminaQuesto articolo, in realtà, si può traslare benissimo anche all'Italia. Ho voluto mettere in evidenza come l'ingerenza statale porta alla "monocromia" imprenditoriale (riproducendo in serie attività fotocopia a causa della messa al bando della creatività). Un esempio sono i supermercati ed i bar che sono spuntati come funghi in questo periodo di crisi. Mentre le grandi catene riescono a sopravvivere ed a rimanere in attività grazie agli aiuti statali. Quest'oggi da noi è tutto un continuo gridare a favore di queste entità che se lasciate fallire, ci dicono, manderebbero in bancarotta l'intero paese. Balle. Non c'è sostituzione e c'è morìa di imprese invece.
Stavolta ho voluto sorvolare l'approfondimento dei risvolti teorici e filosofici per cercare di trasmettere quanto finora descritto. L'apertura a questi concetti, ancora definiti "capitalistici" con un certo tono spregiativo, langue alquanto tra la maggioranza della popolazione. Confido nelle facoltà intellettive dei miei pari nel comprendere la situazione ormai palese che affrontano, ma non mi faccio illusioni.
Nessuna illusione. Proprio nessuna.
EliminaLa promessa illusoria di sicurezza sociale in cambio di liberta' economica e' stata presentata, assimilata e vissuta come conquista di diritti. Lo stato ne sarebbe il garante assoluto e ad ogni costo.
Questa fede e' l'inghippo.
E questa religione o ideologia punta a conquistare e conservare il Potere contro ogni logica (nel senso piu' ampio del termine) ed anche moralita'.
Il collettivismo metodologico ha fatto il resto... del danno.
Per il resto.
RispondiEliminaParlano di crescita, ma in realta' parlano di ricrescita delle stesse entita' che vogliono conservarsi. Nessun ricambio e' permesso. Anzi, viene ostacolato.
Non vogliono una nuova offerta. Vogliono il ritorno della stessa domanda delle stesse cose.
Non e' crescita. Semmai rianimazione di zombie.
Lo status quo non vuole ricambio. Mai.
Altro pezzo del domino che sta vacillando paurosamente, ma questo già lo sapevamo (solo gli illusi lo ignoravano): Venezuela rischia il default: i mercati ci scommettono.
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