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di Luca Fusari
In un recente articolo intitolato Ricordiamo alcuni concetti, apparso sul blog Archeo-finanza.blogspot.it da parte di Massimo Fontana, si asserisce in maniera più o meno esplicita che il banchiere centrale europeo Mario Draghi sarebbe non solo “hayekiano” ma addirittura un vero e proprio esempio vivente di “economista austriaco” impegnato a contrastare la crisi economica e i suoi dannosi effetti sociali!
L’autore di simili allucinanti affermazioni parrebbe non esser stato influenzato nella stesura del suo articolo dalla consegna dello Schumpeter Award 2014, avvenuta Giovedì 13 Marzo 2014, all’ex-Governatore della Banca d’Italia, già Vice Presidente e Managing Director di Goldman Sachs International nella cerimonia tenutasi presso la Oesterreichische Nationalbank (OeNB) di Vienna da parte del socialdemocratico Andreas Mailath-Pokorny, assessore viennese per gli Affari Culturali, con la motivazione: «per la sua pratica innovativa in economia e in politiche monetarie».
Ewald Nowotny, governatore della Oesterreichische Nationalbank (OeNB) e membro sin dal 1974 del Partito Socialdemocratico austriaco (SPÖ), ha sottolineato il ruolo determinante di Draghi nella gestione delle crisi: «Ho conosciuto e ammirato Mario Draghi per molti anni. Egli unisce idealmente precisione dell’analisi economica con un approccio pragmatico alle questioni in gioco. Questo risultato spiega il successo della BCE nell’affrontare la crisi con le sue misure standard e non standard. Sono molto lieto di vedere che questo straordinario risultato viene riconosciuto attraverso la presentazione del Premio Schumpeter».
Come J. Hanns Pichler, membro del consiglio della Schumpeter Gesellschaft, ha sottolineato: «Mario Draghi esemplifica i principi di Schumpeter per le sue pratiche innovative in economia e politiche monetarie simili. E’ in gran parte dovuto a Draghi se la BCE, come innovazione schumpeteriana, ha cambiato il mercato, non solo per i 18 Paesi della zona euro, ma su scala globale». Pichler ha continuato osservando che: «la BCE è stata veramente messa alla prova dall’inizio della crisi finanziaria internazionale nel 2008. Mario Draghi ha difeso la politica di bassi tassi di interesse della BCE contro tutti i critici».
Cerchiamo di azzerare ogni sorta di equivoco o leggenda metropolitana-telematica sorgente da simili dichiarazioni e sinistre premiazioni: ricevere un premio economico in Austria non comporta essere o divenire esponenti della Scuola Economica Austriaca! Lo stesso economista Joseph Schumpeter, benché fosse un economista di nazionalità austriaca, non fu membro della Scuola Economica Austriaca marginalista di Menger e Mises.
Quest’ultima ha sempre criticato l’operato espansivo ed interventista dei banchieri centrali; tant’è che contrariamente alla teoria del ciclo economico della scuola austriaca, la teoria del ciclo economico schumpeteriano sostiene invece che l’espansione del credito ed i bassi tassi di interesse facilitino l’introduzione di innovazioni tecnologiche ed imprenditoriali che favoriscono lo sviluppo economico.
Questa argomentazione schumpeteriana, tipicamente progressista tesa a rendere filantropico il ruolo del pianificatore, oltre ad aver influenzato le teorie economiche di Keynes fu a sua volta influenzata dall’interpretazione del ciclo economico prodotta dalla Scuola Storica Tedesca la quale metolodologicamente, culturalmente e concettualmente differisce dalla Scuola Economica Austriaca (come spiegato nel libro Economica Fenice di Carmelo Ferlito).
D’altronde che Mario Draghi non sia un membro della Scuola Economica Austriaca né un ammiratore di Mises e dei suoi allievi Rothbard e Hayek è cosa nota e risaputa a chiunque abbia un briciolo di conoscenza dei fondamenti economici di tale scuola economica.
La Scuola Economica Austriaca è una scuola di economia nata nell’Ottocento con le considerazioni sulle scelte soggettive marginali di Carl Menger nel libro del 1871, Principles of Economics, avente nel XX secolo nell’austriaco Ludwig von Mises, nel premio Nobel Friedrich von Hayek, i principali suoi esponenti economici.
Il fatto che si chiami austriaca non significa che essa sia legata o abbia a che fare con l’attuale Repubblica d’Austria o con l’attuale politica austriaca (sia essa monetaria, economica, finanziaria o di bilancio nei conti pubblici) né necessariamente con la precedente economia in vigore nell’Impero Austro-Ungarico.
Si chiama austriaca perché i suoi protagonisti nacquero anagraficamente in possedimenti territoriali appartenenti amministrativamente e politicamente all’ex-impero Austro-Ungarico. Siccome non si vuole personificare la scuola austriaca ad un unico protagonista-economico (Mises, Menger o Hayek) si è deciso di usare tale etichetta identificativa “austriaca” per definire un gruppo di economisti che nel corso del tempo hanno elaborato un medesimo sistema di pensiero economico refrattario alla presenza dello stato in economia.
Per la precisione oggi gli economisti austriaci, avrebbero differenti nazionalità, Carl Menger sarebbe polacco e Ludwig von Mises ucraino, ma ovviamente nessuno chiama rispettivamente le loro considerazioni “economia polacca” o “ucraina” dato che per meglio descrivere le idee condivise da questi pensatori si è preferito un termine che li potesse definire nel loro complesso aldilà del criterio della nazionalità.
La Scuola Economica Austriaca ha però dei propri solidi e peculiari principi economici caratterizzanti le sue interpretazioni soggettivistiche dell’economia: l’economia è la scienza dell’azione umana; l’uomo è un essere sociale che scambia liberamente prodotti o informazioni con altri individui; il libero mercato è il prodotto dello scambio reciproco e volontario di beni da parte degli individui (ossia come il risultato di una interazione tra differenti esigenze degli esseri umani derivanti a loro volta da scelte marginali soggettive singolarmente prese entro una scala di valori di utilità a loro rispettivamente convenienti); il prezzo stabilisce l’incontro della domanda e dell’offerta tra consumatore e produttore in relazione ai loro beni e bisogni soggettivi.
Nella teoria economica della scuola austriaca il denaro viene considerato una merce-prodotto di scambio per altre merci, esso quindi viene a costituire una merce avente un suo valore di mercato (di richiesta e offerta) che in ragione delle sue particolari caratteristiche di accettazione e utilizzo universale assume un ruolo fondante per tutti gli altri scambi.
Gli economisti di Scuola Economica Austriaca sono inoltre favorevoli a ritenere come moneta (e quindi come bene di scambio universale in cambio di altri beni) l’oro o altri metalli (argento e platino) o minerali preziosi. Sono quindi considerate come monete quelle valute-merci monetarie utilizzate come promesse di pagamento nelle compravendite aventi un legame o meccanismi di riserva di valore.
In ragione di ciò gli economisti della Scuola Economica Austriaca sono contrari al legal tender e alla fiat money (moneta fiduciaria) emessa senza equivalenti in oro o argento dalle banche centrali (enti monopolisti aventi tendenze inevitabilmente inflazionistiche/espansive sull’offerta e disponibilità di denaro sul mercato), la presenza di questi enti implica l’impossibilità che la moneta sia un bene di mercato non falsificabile a livello politico.
La moneta di stato in assenza di un legame sonante risulta essere una moneta fiduciaria inflazionata, dunque in costante perdita di potere d’acquisto a causa della sua stessa diffusione; la moneta fiduciaria a corso forzoso non è dunque un bene auto-regolato dal mercato attraverso liberi scambi, avendo un decrescente potere d’acquisto nei confronti degli altri beni.
Gli economisti della Scuola Economica Austriaca hanno vari approcci (non necessariamente antitetici tra loro) per superare il legal tender e con esso il rischio inflazionistico statale, oltre al ritorno al gold coin standard (ovvero ad una moneta legata all’oro) vi è anche la proposta del free banking (ovvero di libera competizione tra monete private) che di fatto si basa sulle intuizioni presenti nel saggio di Hayek, La denazionalizzazione della moneta.
Hayek quando parlò di denazionalizzazione della moneta non aveva certo in mente la creazione di una moneta unica europea o a livello mondiale, né di un ente centrale di emissione della moneta sovranazionale quale è di fatto la Banca Centrale Europea.
Il concetto di denazionalizzazione hayekiana della moneta si basa sull’eliminazione del legal tender, ovvero la fine del controllo monopolistico da parte dei governi sulla moneta al fine di evitare distorsioni e manipolazioni clientelari legate all’offerta discrezionale politica di nuova moneta sul mercato.
Con la denazionalizzazione della moneta suggerita da Hayek, l’emissione di moneta ritornerebbe al libero mercato, dunque ai privati produttori di valuta e di ricchezza, i quali potrebbero concorrere tra loro nell’offerta di tale merce fondamentale per tutti i tipi di scambi.
Mario Draghi sia quando era a capo di Bankitalia (si veda la questione del Monte dei Paschi) sia ora alla guida dell’eurotower di Francoforte, ha agito da keynesiano in completa antitesi con qualsiasi visione economica della Scuola Economica Austriaca e dunque anche con quella hayekiana: mentendo spudoratamente circa il piano Z sull’Ue, ripetutamente tagliando i tassi d’interesse sul denaro (portandoli al minimo storico dello 0.15%, con i tassi sui depositi presso lo stesso istituto centrale che diventano negativi a -0.10%) espandendo la massa monetaria in circolo con l’avvio del Quantitative Easing, del LTRO per le banche, ed operando una svalutazione competitiva con la FED e le altre banche centrali.
Avendo dunque ben chiaro tutto questo, è un palese controsenso logico asserire che un banchiere centrale possa essere un economista della Scuola Economica Austriaca dato che i fondamenti di tale scuola economica si basano sull’abolizione di un ente di pianificazione monetaria quale è una banca centrale.
Dopo tale doverosa premessa, procediamo dunque all’analisi dei contenuti “più pittoreschi” espressi da Massimo Fontana all’interno del suo articolo, cercando di evidenziare e correggere le sue palesi inesattezze.
Mises e soprattutto Rothbard, arrivano a conclusioni che della scuola austriaca stessa non hanno più molto a che vedere.
Tale frase è la premessa cardine sulla quale inizia tutta una serie di fallaci argomentazioni. Ovviamente appare del tutto evidente come Mises e Rothbard rappresentino, assieme ad Hayek, due delle colonne portanti della Scuola Economica Austriaca nel XX secolo, volerne negarne legittimità ed autorità in seno alla loro stessa Scuola economica, addirittura alla luce di una presunta “più coerente” attestazione di austrismo risulta essere esercizio in sé sofistico e assurdo, a maggior ragione se si vuole con tal affermazione seriamente rivalutare Hayek (senza dimenticare che questi fu allievo di Mises durante il periodo viennese).
L’autore dell’articolo retoricamente si domanda:
C’è qualcosa di sbagliato in questa teoria? No e si. No perché è vero che un aumento della quantità di moneta induce una pressione al rialzo dei prezzi di tutti i beni. Si perché almeno per aumenti entro certi valori ci sono in gioco anche altre variabili che impediscono una trasmissione automatica della nuova moneta in un rialzo dei prezzi. No perché è vero che l’espansione monetaria artificiale determina una cattiva allocazione dei capitali. Si perché si è dimostrato empiricamente che tale distorsione non è automatica ed ha la tendenza a verificarsi in modo negativo per l’economia solo quando colpisce il mercato immobiliare (a suo favore).
La Scuola Economica Austriaca, pur evidenziando il rapporto tra quantità di massa monetaria in circolo e l’innalzamento degli indici dei prezzi al consumo, non asserisce che l’inflazione sia un fenomeno di trasmissione automatica tra quantità di moneta emessa e il prezzo dei beni di consumo.
In primo luogo gli austriaci tendono ad evidenziare come il meccanismo di innalzamento dei prezzi si sviluppi secondo le dinamiche di diffusione di tale nuova moneta creata dal nulla nell’ambito economico, di fatto la sua diffusione segue l’effetto Cantillon con una redistribuzione della ricchezza a favore dei suoi primi percettori.
Dato che lo stato e le banche centrali erogano denaro quale stimolo keynesiano in primo luogo alle loro clientele politico-economiche appare evidente come tale innalzamento dei prezzi avvenga innanzitutto nei settori più connessi alla struttura finanziaria pubblica, propagandosi “a cascata” solo successivamente entro l’ambito economico generale, influenzando le tappe della struttura produttiva dei beni capitali.
In secondo luogo è evidente come l’iniezione di moneta creata dal nulla mediante il meccanismo della riserva frazionaria e/o con l’emissione di moneta ad opera della banca centrale siano due differenti modalità di espansione della massa monetaria in circolazione, le quali seppur collegate tra loro hanno tempi e modalità differenti e non necessariamente coincidenti.
Ad esempio, le restrizioni dei prestiti da parte delle banche commerciali americane dopo la crisi dei mutui subprime, hanno ridotto l’effetto inflattivo derivante dell’immissione di moneta creata dal nulla da parte della FED. Questa stretta sulla liquidità ad opera delle banche commerciali ha paradossalmente in parte calmierato gli effetti dell’inflazione monetaria sui portafogli degli americani.
In ogni caso molto del denaro emesso dalla FED è andato soprattutto a beneficio del settore finanziario di Wall Street e come prestiti, quali riserve di deposito alle banche commerciali a rischio di insolvenza. Questo spiega l’aumento di alcuni titoli borsistici statunitensi e il perché l’inflazione sia ancor oggi un fenomeno limitato e non ancora degenerato in iperinflazione nonostante tutti i trilioni di dollari creati dal nulla dalle autorità monetarie statunitensi.
In ogni caso le distorsioni dell’espansione monetaria artificiale nel medio-lungo periodo costituiscono inevitabilmente delle distorsioni non solamente limitate al settore finanziario, ma anche alla struttura economica produttiva reale. Il mercato immobiliare in realtà è solo un ambito nel quale si possono generare bolle, in ogni caso esso non è esposto al laissez-faire, dato che la bolla dei subprime fu conseguenza del piano casa voluto da Bill Clinton e proseguito da Bush Jr da parte di agenzie semi-federali come Fannie mae e Freddie mac.
Fontana propone dunque una dialettica tra presunte affermazioni economiche austriache giuste e sbagliate che è in sé capziosa, in realtà sono quattro affermazioni di buon senso e in sé tutte vere.
Il problema è dunque nell’interpretazione data da tale blogger, il quale pur citandole (ed apparentemente dando dimostrazione di una certa loro conoscenza) le presenta volutamente come se esse fossero autoescludenti e in contraddizione tra loro o come affermazioni in sé stesse insostenibili, ma questo è ovviamente un problema legato all’onestà intellettuale di tale persona e non ai principi economici austriaci.
Basta leggere nei vari siti italiani e esteri di ispirazione austriaca quanto viene detto sulla FED e sui quantitative easing per capire come secondo questi supposti discepoli di Mises la fine del mondo (sicuramente economica) sia vicina.
Tralasciando che Archeo-finanza in forma assai irriverente continui a prendersi gioco della Scuola Economica Austriaca preferendo ad essa il keynesiano Modigliani, non si comprende quale “reato o crimine” commettano i siti e gli economisti della Scuola Economica Austriaca quando denunciano come il QE della FED o il LTRO della BCE siano in sé operazioni frutto di un errore di presunzione da parte dei banchieri-pianificatori nel voler risolvere con fiumi di denaro creato dal nulla una crisi generata in precedenza dal credito erogato mediante la manipolazione artificiosa al ribasso dei tassi di interesse sul denaro.
Non mi pare che gli economisti della Scuola Economica Austriaca impediscano ai marxisti, ai monetaristi e ai keynesiani o persino ai tizi della MMT di propagandare le loro assurde ed erronee teorie economiche alternative, anzi è semmai vero il contrario. Nonostante la correttezza delle loro analisi, gli economisti della Scuola Economica Austriaca sono sovente censurati e banditi dai circuiti accademici e dell’informazione a beneficio delle altre linee economiche più funzionali ai potentati e alle élite.
In ogni caso gli Economisti della Scuola Austriaca sono estranei dalle logiche presenti nelle stanze dei bottoni dei governi e delle banche centrali. La fallacia delle banche centrali è un problema inerente proprio alla loro esistenza (come ha spiegato distintamente sia Mises che Hayek nei loro libri) ed è legata all’impossibilità da parte di una istituzione dedita alla pianificazione (governo, stato o banca centrale) di attuare una corretta allocazione delle risorse, dunque di effettuare un corretto calcolo economico, in quanto chi la controlla non avrà mai tutte le informazioni disponibili al fine di sostituirsi alle azioni e decisioni spontaneamente esercitate da milioni (o miliardi) di individui attraverso i processi di scambio in un libero mercato, al fine di soddisfare i loro bisogni.
Non è solo una questione di variabili legate alla quantità o di qualità dell’informazione (dato che ogni individuo ha preferenze soggettive personali) è anche una questione di marginalità nelle preferenze temporali. La domanda e l’offerta non è uniforme nel tessuto sociale, ergo una pianificazione centrale standardizzata quale suo intervento macroeconomico non può soddisfare adeguatamente differenti richieste nello stesso tempo a livello microeconomico (tenendo presente che in realtà tale divisione per aree economiche non esiste e come la macroeconomia sia perlopiù puramente statistica non esaustiva quanto a descrizione della realtà).
Nella fattispecie monetaria, la banca centrale manipolando i tassi d’interesse distorce il ciclo economico produttivo dei beni capitali in favore dei beni di consumo, tale differenza di redditività dai primi ai secondi causa cicli di brevi boom e di successive recessioni protratte nel medio-lungo periodo in vari settori economici.
Tutto questo è legato alla distribuzione a cascata di tipo clientelare del nuovo denaro creato dal nulla, il quale oltre a costituire una perdita netta del potere d’acquisto del denaro (e in particolare nei confronti di quello già in circolo) incentiva con falsi ed illusori segnali di redditività d’investimento delle attività economiche che in un libero mercato sarebbero in sé economicamente poco vantaggiose, diminuendo apparentemente il moral hazard e modificando il sistema dei prezzi.
Tale ciclo di espansione creditizia comporta successive ed inevitabili crisi economiche strutturali conseguenti alla mancanza di risparmio reale e ad una erronea allocazione imprenditoriale delle risorse conseguente all’interventismo pianificatore messo in atto dalla banca centrale. Queste crisi avvengono aldilà di chi Draghi o Yellen prediligano quali loro autori economici (è comunque assai provato che non siano sostenitori di autori della Scuola Economica Austriaca).
La bravura o l’intenzionalità morale di tali pianificatori nella gestione monetaria dell’economia non hanno in sé una importanza significativa nel giudizio complessivo sul loro comunque dannoso operato (questo ovviamente non significa che quanto da loro deciso non costituisca, anche sul piano morale ed economico, un giudizio negativo in ottica economica della scuola austriaca).
La banca centrale, al pari dello stato, è infatti una struttura in sé tendente ad espandersi inevitabilmente come sue funzioni e potere d’intervento, influenzando artificialmente e negativamente il ciclo economico.
Non è dunque importante se le decisione assunte dai banchieri centrali siano in buona o cattiva fede, è comunque inevitabile una loro condotta costruttivista basata sulla presunzione di conoscenza in quanto la premessa teorica della pianificazione centrale, sulla quale si basa il funzionamento della FED, della BCE o simili istituzioni, è in sé fallace.
Non è per nulla un atto millenaristico o di fede affermare che la pianificazione centrale è in sé fallace, è semmai una obiezione logica, razionale e di buon senso sostenere che i politici e i banchieri centrali non siano esseri onniscienti ed onnipotenti.
Ludwig von Mises lo ha spiegato chiaramente in Economic Calculation in the Socialist Commonwealth denunciando l’impossibilità del calcolo economico in un sistema economico pianificato quale era quello sovietico. Friedrich von Hayek lo ha spiegato in The Pretense of Knowledge, Collectvist Economic Planning e in The Use of Knowledge in Society.
Mises nell'Azione Umana scrisse questa celebre frase:
Non c’è modo di evitare il collasso finale di un boom economico creato dalla espansione del credito. La alternativa è soltanto se la crisi debba arrivare prima, quale conseguenza di una volontaria rinuncia ad espandere ulteriormente il credito od invece più tardi quale catastrofe totale del sistema monetario coinvolto.
Tale frase non è una profezia esoterica ma è la descrizione di un risultato inevitabile di un processo economico espansivo; dunque appare del tutto evidente come una politica monetaria espansiva causante una crisi economica non possa che produrre un ulteriore peggioramento della crisi economica stessa sino alla distruzione terminale della moneta (ovvero del mezzo con il quale i pianificatori operano ripetuti stimoli nella struttura economica).
Date le premesse inerenti l’erronea allocazione di capitali e risorse messe in atto da precedenti fasi monetarie espansive risulta evidente come proseguire a “calciare il barattolo”, rimandando l’auto-correzione del mercato, non costituisca la soluzione al problema derivante dal moral hazard favorito dall’attività di stimolo artificiale lanciata dalla pianificazione centrale.
Ovviamente in molti ambiti ed aspetti le analisi economiche di Mises, Rothbard e Hayek, pur essendo tutti e tre economisti della Scuola Economica Austriaca, sono differenti tra loro per temi analizzati e metodologia d’indagine (a tal riguardo suggerisco la lettura specifica di analisi sulle differenze metodologiche tra Rothbard e Mises, sulle differenze culturali d’approccio tra Hayek e Rothbard e sulle differenze tra Mises e Hayek per quanto riguarda i processi di mercato ed il calcolo economico).
Sul piano concettuale Mises opera con criteri prasseologici utilitaristi, Rothbard è un giusnaturalista tomista, Hayek è un anti-costruttivista socratico evoluzionista (ergo ha volutamente lasciato meno certezze ed analisi sistematiche rispetto a Rothbard o a Mises).
Anche in ambito giuridico e politico vi sono differenze sostanziali tra i tre personaggi come approccio e proposte circa la presenza o l’assenza dello stato e il suo eventuale ruolo nella società. Mises era contro l’interferenza dello stato in economia, non contro l’esistenza dello stato, in chiave liberale classica.
Hayek da liberale classico riformatore non ha mai nascosto l’idea di una sua preferenza per un’approccio realistico graduale verso lo stato minimo, questo implica una sua visione di fondo dello stato entro i canoni del costituzionalismo lockeiano.
Rothbard accentua politicamente il liberalismo classico radicalizzandolo in chiave anarchica individualista ed antistatalista. Laddove Hayek ha cercato di porre limiti teorici allo stato, Rothbard politicamente ha cercato idealmente di ignorare lo stato. Rothbard agisce da miniarchico avendo come obiettivo l’anarcocapitalismo. Hayek sostiene da miniarchico che la miniarchia è l’obiettivo finale.
Sia Hayek che Mises, a differenza di Rothbard, non hanno mai interpretato le loro opere e il loro ruolo di economisti in funzione finalistica tesa al rilancio del movimento libertario americano nel secondo dopoguerra, limitandosi invece ad esprimere loro idee personali frutto di ricerche e riflessioni iniziate in Europa.
In tal senso, a differenza delle opere di Rothbard, le opere di Hayek e di Mises non nacquero con lo scopo di dar identità politica al libertarianism e al punto di vista anti-statalista, quanto semmai per argomentare una critica economica alla pianificazione centrale dal punto di vista liberale classico (non a caso Mises scrisse il libro Liberalism, mentre Hayek scrisse la voce ‘liberalismo’ nel 1973 per l’Enciclopedia del Novecento).
Le idee economiche di Hayek e di Mises pur contribuendo a definire il libertarianism alla luce della Scuola Economica Austriaca non furono da parte loro certamente, consapevolmente e strettamente formulate con mentalità rothbardiana.
L’apporto dato dallo stesso Mises alla causa politica del libertarianism è stata dunque indiretta anche grazie alla rielaborazione fattane da Rothbard del pensiero del proprio maestro all’interno delle proprie opere.
Anche Hayek è stato rivalutato in termini postumi divenendo da liberale classico un’icona del libertarianism (affermandosi nell’immaginario come tale nonostante le critiche mosse da Rothbard né L’etica della libertà), paradossalmente alla luce anche della divulgazione culturale delle idee di libero mercato seminate dal Ludwig von Mises Institute in funzione di tale Scuola Economica.
Capita però anche in seno all’ambito austro-libertario che si tenda sovente ad interpretare Hayek e la sua non-sistematicità argomentativa quale punto dolente (e di partenza) per una sua banalizzazione o per ridimensionarne il suo pensiero economico, la sua originalità di idee, appiattendone le sue riflessioni ed intuizioni in funzione di altri economisti austriaci a lui contemporanei o in funzione della critica mossa da questi nei suoi confronti.
A mio giudizio è scorretto analizzare, ad esempio, il pensiero politico di Hayek in funzione del pensiero politico di Rothbard, ed è altrettanto scorretto analizzare l’ambito politico ed ideologico di questi due pensatori al fine di valorizzarne/delegittimarne i rispettivi pensieri economici.
Questo tende a sottovalutare il fatto che ciascun esponente della Scuola Economica Austriaca del XX e XXI secolo (Mises, Hayek Rothbard, Hoppe, Hülsmann, De Soto, Bagus ed altri) non solo si differenzi e si distingua (per approccio ai temi e ai percorsi d’interesse studiati ed approfonditi) rispetto ai suoi colleghi e predecessori, ma anche che costoro abbiano affrontato tali interessi alla luce delle problematiche soggettivamente percepite come importanti e da affrontare nel proprio rispettivo tempo ed ambito umano d’azione.
Massimo Fontana si è invece prefissato nel cercare di giustificare l’ingiustificabile superando ogni confine del buon senso, la sua assurda tesi è quella di un Mario Draghi hayekiano ed economicamente addirittura più austriaco di Mises e di Rothbard! Per dimostrare tale fantasioso “affiatato nuovo sodalizio” tra il premio Nobel del 1974 e il capo della BCE egli cita una frase del primo contro la “deflazione”:
Da questo non segue che non ci si debba sforzare di fermare un’effettiva deflazione quando questa minacci di prendere piede. Anche se non considero la deflazione come la causa originaria del declino dell’attività economica , non ho dubbi sul fatto che la mancata realizzazione delle aspettative abbia sempre avuto l’effetto di indurre un processo di deflazione (…), le cui conseguenza possono essere peggiori (…), di quelle che la causa originaria della reazione rende effettivamente necessarie (…).
Leggendola così come riportata da Archeo-finanza parrebbe più un Hayek keynesiano che un Draghi austriaco, ma in difesa di Hayek bisogna sottolineare come questa citazione, al pari di successive frasi menzionate dal blogger, non corrispondano all’effettivo autentico pensiero di Hayek.
Tali frasi sono infatti citate dall’Archeo-blogger con un taglia e cuci realizzato ad hoc e prive di una loro corretta contestualizzazione alla luce dello scritto dal quale sono tratte. Riporto qui l’effettiva frase originale integrale, in lingua inglese, scritta da Hayek nel saggio Full Employment at Any Price? del 1975:
It does not follow [from the fact that a disequilibrium generating inflation cannot be allowed to expand forever] that we should not endeavour to stop a real deflation when it threatens to set in. Although I do not regard deflation as the original cause of a decline in business activity, a disappointment of expectations has unquestionably tended to induce a process of deflation — what more than 40 years ago I called a ‘secondary deflation’ — the effect of which may be worse, and in the 1930s certainly was worse, than what the original cause of the reaction made necessary, and which has no steering function to perform.
Analizzando la versione originale emerge chiaramente come Hayek, in linea con quanto scritto da Mises, reputi che l’espansione monetaria non possa durare per sempre; inoltre egli non giudica la deflazione un problema o una minaccia per la società, in concordanza con Rothbard e in antitesi con il pensiero economico dei keynesiani.
Ciò nonostante, nel suo scritto originale, Hayek usa il termine ‘deflazione’ per indicare non tanto il calo dei prezzi, quanto semmai il calo delle aspettative soggettive marginali avutesi in occasione della Grande Depressione in America nella struttura produttiva.
Hayek parla di deflazione dando al termine una differente interpretazione rispetto a quella keynesiana di calo dei consumi o da quella monetarista friedmaniana relativa all’assenza d’intervento immediato da parte della banca centrale per contrastare il manifestarsi della crisi economica.
Hayek parlando di deflazione e in particolare di ‘deflazione secondaria’ allude a quel processo di risanamento del ciclo produttivo a seguito dello scoppio della bolla di Wall Street del 1929.
Per la teoria del ciclo economico della Scuola Economica Austriaca la crisi economica è infatti solo l’emergere di una cattiva allocazione dei capitali. Dunque il manifestarsi della crisi, in assenza di ulteriori successivi interventi ad opera dei regolatori, consente al mercato di eliminare spontaneamente quei cattivi investimenti precedentemente originatesi dall’espansione monetaria del credito facile (si pensi all’espansione monetaria avvenuta con la prima guerra mondiale e negli anni ’20 in America) messi in atto dalla pianificazione centrale.
Ovviamente tale processo di risanamento è necessario ma non è indolore. Hayek lo evidenzia rimarcandone la necessità in quanto esso costituisce una correzione severa della struttura produttiva, fallacemente indotta ai cattivi investimenti a causa delle manipolazioni sulla moneta prodotte dal pianificatore.
Friedrich von Hayek è noto per le sue critiche alle politiche keynesiane di pianificazione centrale governativa e di stimoli monetari per risolvere il problema occupazionale, tale tema oltre che nello scritto del 1975 è trattato in altri suoi saggi (come ad esempio Full employment, planning and inflation).
In particolare Hayek, conscio che l’inflazione dei prezzi al consumo non è altro che conseguenza dell’inflazione della massa monetaria, sostiene che una correzione del sistema produttivo e una stretta sulla liquidità facile debba contemplare anche una riduzione dei salari dei lavoratori evitando così l’infantile, quanto inutile, espediente di aumentare i salari dei lavoratori al di sopra della soglia d’inflazione dei prezzi.
Nel suo saggio Inflation, the Misdirection of Labor, and Unemployment, sempre del 1975, Hayek scrive a tal riguardo:
Ma, pur ammettendo che una riduzione generale dei salari monetari è politicamente impossibile, sono ancora convinto che il necessario aggiustamento della struttura dei salari relativi può essere conseguito senza inflazione solo attraverso la riduzione dei salari monetari di alcuni gruppi di lavoratori (…).
Le differenze tra Hayek e Keynes in tal senso sono alquanto evidenti (si veda qui e qui), ma evidentemente non per Massimo Fontana. Tant’è che il blogger rimarca come:
Hayek è chiaro: secondo lui l’espansione monetaria conduce comunque alle bolle finanziarie e di conseguenza alla crisi, ma una volta che questa si palesa e arriva a tal punto da portare il tasso d’inflazione in territorio negativo, la deflazione, bisogna comunque fare di tutto per evitare questo evento.
Fontana arriva a desumere con la sua fervida immaginazione ciò che Hayek non ha mai affermato: l’espansione monetaria una volta in atto non dovrebbe mai essere fermata onde evitare la dolorosa deflazione! L’economista austriaco non ha però mai asserito che la deflazione debba essere evitata, egli ha semmai scritto che essa produce correzioni le quali non sono indolori ma seppur spiacevoli esse sono necessarie onde evitare l’iperinflazione.
Per confermare tale lettura assai poco hayekiana, l’autore dell’articolo tira fuori dal cilindro quest’altra frase del premio Nobel all’economia:
Se fossi oggi responsabile della politica monetaria di un paese, cercherei senz’altro di impedire con tutti i mezzi disponibili una deflazione minacciosa, e cioè una diminuzione assoluta del flusso di reddito, e annuncerei le mie intenzioni di farlo. Con ogni probabilità, questo annuncio sarebbe di per se stesso sufficiente ad impedire che la recessione possa degenerare in una depressione di lunga durata.
Anche qui è bene citare il testo originale di Hayek sempre tratto da Full Employment at Any Price? del 1975. Effettivamente Hayek afferma che:
If I were responsible for the monetary policy of a country I would certainly try to prevent a threatening deflation, that is, an absolute decrease in the stream of incomes, by all suitable means, and would announce that I intended to do so. This alone would probably be sufficient to prevent a degeneration of the recession into a long-lasting depression.
Ma basta questo per fare di Hayek un punto di riferimento e un maestro di Draghi? Hayek è un fautore della stampante magica al servizio permanente contro le correzioni spontanee attuate dal mercato dei cattivi investimenti? Ovviamente no, dato che Fontana volutamente dà importanza a questa seconda citazione decontestualizzandola ed isolandola anche rispetto alla precedente, inerente il medesimo saggio!
Invece tale seconda citazione di Hayek va letta sia alla luce della precedente che in riferimento al modus ragionandi austriaco del premio Nobel all’economia del 1974. Come abbiamo scritto le effettive argomentazioni di Hayek sono in linea con la tradizione della Scuola Economica Austriaca, circa l’interpretazione dell’emergere di una crisi economica conseguente ad una fase di boom del ciclo economico, ponendo la fine dell’espansione monetaria quale condizione per il ripristino di un più sano ordine spontaneo del ciclo produttivo in favore dei beni capitali; la deflazione per Hayek è un fenomeno non indolore ma comunque necessario.
Hayek ovviamente afferma di temere una deflazione minacciosa (intendendo con essa una ‘deflazione secondaria’), ovvero il risultato conseguente ad una duratura cattiva allocazione delle risorse dovuta ad una duratura espansione monetaria. Questo non significa continuare a “calciare il barattolo” come sta facendo Draghi e come auspica lo stesso Fontana! Hayek semmai sta dicendo l’esatto contrario!
Hayek sta implicitamente evidenziando come egli eviterebbe ben volentieri che un paese si trovasse a dover affrontare le conseguenze inerenti lo scoppio di una crisi economica derivante da una prolungata espansione monetaria. Dunque egli eviterebbe ben volentieri la realizzazione di una serie di errori di pianificazione comportanti un necessario e severo riassetto della struttura produttiva con conseguente riduzione generale delle attività produttive.
Nella fattispecie la ‘deflazione secondaria’ altro non è che il risultato di una stratificazione di errori operati dai pianificatori centrali nel corso del tempo, essi sono il risultato proprio di una duratura espansione monetaria atta ad impedire l’autoregolamentazione/autocorrezione del mercato da quei cattivi investimenti verificatisi a causa della riduzione dei margini di rischio imprenditoriale derivante dal credito facile.
In ottica d’ambito economico di scuola austriaca (e non monetarista e/o keynesiana) ciò significa che Hayek non avrebbe mai iniziato un ciclo d’espansione monetaria per stimolare i consumi, il quale è fonte di successive, ripetute e prolungate cattive ed erronee allocazioni stratificate negli investimenti e nella struttura produttiva, le quali comportano l’emergere successivo di una crisi in tali settori. Fontana però non lo capisce tant’è che proseguendo nella sua personale costruzione di una giustificazione all’operato di Draghi cita ancora Hayek:
La prima cosa che è necessario fare, ora (1975, ndr), è fermare la crescita della quantità di moneta, o perlomeno ridurne il tasso di crescita, fino a portarlo al livello del tasso di crescita reale della produzione.
Pur non avendo trovato in rete la frase originale di Hayek, anche qualora sia stata tradotta correttamente, ciò non muta comunque il senso di quanto ha precedentemente realmente affermato il premio Nobel austriaco, anzi tale terza citazione rafforza a sua volta la seconda affermazione, sconfessando l’assurda ipotesi di un Hayek maestro di Draghi!
Benché Massimo Fontana interpreti tale citazione addirittura come una legittimazione keynesiana della manipolazione creditizia in funzione e alla luce della crescita del PIL (curioso, l’Archeoblogger reputa la quantità di moneta in funzione del PIL, cioè se il PIL non cresce ed è fermo allo 0% secondo lui sarebbe legittimo spostare i tassi d’interesse sul denaro allo stesso livello, cosa in sé assurda quanto attendersi che la neve si raffreddi se messa in forno), Hayek è in realtà contrario all’espansione monetaria e allo stimolo economico keynesiano, dunque egli sarebbe contrario alla politica dei tassi d’interesse negativi promossi da Mario Draghi.
Hayek in termini economici austriaci afferma che è necessario fermare/ridurre la quantità di moneta creata dal nulla messa in circolo; dunque egli ha affermato che è necessario non ridurre il tasso d’interesse sul denaro.
Il tasso di crescita da ridurre è quello della massa monetaria, dunque egli propone la riduzione della crescita quantitativa degli stimoli economici, l’esatto contrario di ciò che ha fatto Bernanke e di ciò che stanno facendo Yellen e Draghi.
La crescita quantitativa denunciata (e da interrompere) è in realtà quella della crescita della massa monetaria. Il tasso di interesse da arrestare è dunque quello della massa monetaria stessa in circolazione, questa deve essere rapportata alla crescita reale della produzione ovvero alla struttura produttiva del mercato, dunque essa deve essere conseguenza della sua spontanea domanda ed offerta generata sul libero mercato della moneta.
Il confuso blogger invece strumentalizza tale frase affermando che «l’inflazione deve crescere al tasso di crescita del pil», sostenendo (senza alcuna prova) che Hayek si riferirebbe per crescita reale della produzione al PIL (una misura statistica macroeconomica).
Ma nella frase riportata dallo stesso Fontana, Hayek non ha scritto PIL, egli ha invece testualmente scritto «crescita reale della produzione», il che nella sua concezione austriaca economicamente anti-interventista ed anti-keynesiana significa che la quantità di moneta deve essere stabilita dal mercato.
L’autore del libro La denazionalizzazione della moneta è perfettamente consapevole che il mercato è l’ambito in cui opera una sana struttura produttiva economica imprenditoriale, ed è dunque il mercato che deve scoprire il tasso di interesse sul denaro (e dunque la quantità di tale merce) al fine di consentire una successiva corretta formulazione del calcolo economico imprenditoriale per poter produrre maggiori beni capitali.
Come ha spiegato l’economista spagnolo di scuola austriaca Jesús Huerta De Soto nelle sue lezioni universitarie:
Il tasso di interesse è il prezzo più importante di una economia di mercato. Orienta tutti gli agenti economici, coordinandone il comportamento relativo. (….) Cosa succede se si manipola e si riduce artificialmente il tasso di interesse attraverso una espansione creditizia dovuta alla riserva frazionaria? Il movimento dei tassi verso il basso è lo stesso generato dall’aumento del risparmio nel sistema che invece di fatto non c’è! Ciò nonostante gli imprenditori avviano nuovi investimenti, nei quali impegnano i loro sforzi e la loro creatività, compiendo un tragico errore di valutazione.
Peraltro è bene evidenziare come anche un innalzamento artificiale del tasso di interesse del denaro ad opera della banca centrale comporti una pur sempre scorretta allocazione di risorse (influenzando i processi economici imprenditoriali) come in parte è avvenuto storicamente con il repentino innalzamento dei tassi d’interesse voluto da Paul Volcker sul finire degli anni ’70 del secolo scorso.
L’analisi economica austriaca, a differenza di quella monetarista, non si limita a definire una soglia di riferimento ottimale di regolazione del costo del denaro da parte dei pianificatori centrali, ma mira radicalmente a togliere alla banca centrale il monopolio sul denaro, dunque mira sostanzialmente a liberalizzare sul mercato il tasso di interesse sul denaro e dunque la produzione stessa dell’offerta di moneta.
Giunti a questo punto appare alquanto evidente come Hayek non c’entri nulla con Mario Draghi. L’intento di Massimo Fontana è di difendere l’interventismo monetario più sfrenato mascherando il tutto con la giustificazione circa la sedicente esistenza di un filone della Scuola Economica Austriaca (a suo giudizio personale rappresentato da Hayek) a favore dell’operato espansivo di ogni banca centrale al fine di evitare l’emergere dei segnali di una crisi economica (ovvero di una correzione da parte degli attori di mercato degli errori dei pianificatori).
Ovviamente tale filone pro-banca centrale non esiste all’interno della Scuola Economica Austriaca misesiana ed Hayek non ha mai sostenuto tali tesi, dunque appare evidente che quando questo economista si scaglia contro la deflazione, non lo faccia in ottica keynesiana e neppure sinceramente in termini monetaristi (benché egli abbia detto il contrario in un’intervista del 1979 citando Milton Friedman).
Ad onor di cronaca non è solo Massimo Fontana a travisare l’autentico pensiero di Hayek, analoghe erronee interpretazioni sono persino comparse in un articolo pubblicato sul sito Taking Hayek Seriously dedicato alla divulgazione del pensiero dell’economista austriaco. In quest’ultimo, Greg Ransom si limita a citare le solite frasi tratte da Hayek (estrapolate anche da Archeo-finanza nel suo articolo) per poter giustificarne la sua presunta precocità di opinione rispetto a quanto poi postulato nel 1978 dal neokeynesiano James Meade (premio Nobel nel 1977).
Appare del tutto evidente come anche in ambito anglosassone e in siti in teoria dedicati nominalmente alla divulgazione del pensiero di Hayek, latiti una coerente e corretta chiave di lettura ed interpretativa del pensiero originale di questo economista esponente della Scuola Economica Austriaca.
Sovente Hayek viene interpretato alla luce del monetarismo, del keynesismo o in funzione delle opinioni politico-economiche di altri singoli suoi colleghi alla luce dell’interpretazione terminologica e delle problematiche d’ambito economico sollevate e canonizzate dall’élite accademica dei commentatori mainstream.
Molto spesso vi è la tendenza strumentale ad interpretare questo economista austriaco di libero mercato alla luce delle sue successive riflessioni prettamente politiche (si pensi a The Constitution of Liberty) o sulla base di sue opinioni concesse in interviste o in sue successive pubblicazioni valorizzandole maggiormente rispetto a quelle iniziali prettamente d’ambito economico (The Road to Serfdom).
Hayek al pari di tutti gli individui era un essere umano dotato di proprie idee e propri principi, esse e i suoi interessi potevano anche divergere da quelli di altri economisti di Scuola Economica Austriaca circa le funzioni e il ruolo che uno stato avrebbe dovuto assolvere, ma benché Hayek da liberale classico propendesse per una visione giuridica evoluzionistica del diritto e spontaneista della società libera, è indubbio come anche per tale pensatore non si possa asserire che vi sia una contraddizione tra la sua visione economica di scuola austriaca (inerente la teoria del ciclo economico in opposizione agli interventi delle banche centrali) e il suo successivo pensiero politico più politologico (anche laddove egli successivamente postula o commenta in termini meramente descrittivi, paradossali o esemplificativi alcune proposte o provvedimenti politici del suo tempo).
Inoltre, come ha denunciato Philipp Bagus, molto spesso alcuni economisti sostenitori del free banking a riserva frazionaria temono irrazionalmente la deflazione giungendo alla “curiosa” conseguenza di aver appoggiato il salvataggio di Bernanke di Wall Street attraverso i QE. E’ del tutto probabile che Ransom sia tra coloro i quali propongono una cattiva interpretazione della teoria economica e del pensiero di Hayek alla luce di tale erronea ricezione del messaggio hayekiano.
Tale loro reazione, assai incoerente, viene sovente giustificata citando impropriamente Hayek, dimenticando il fatto, non irrilevante, che questi avendo proposto la denazionalizzazione della moneta era certamente contrario all’esistenza di un’autorità centrale monopolistica tesa ad espandere una moneta a corso forzoso.
Come abbiamo dimostrato, Hayek denunciando gli effetti della deflazione e della ‘deflazione secondaria’, era ben lungi dal sostenere automaticamente i quantitative easing, e le altre forme interventiste di stimolo economico o d’espansione monetaria creditizia. Egli non era affatto persuaso che la deflazione della struttura produttiva giustificasse l’esistenza e l’operato di una banca centrale, anzi la prima era da lui considerata conseguenza della seconda.
Come ha spiegato anche Jörg Guido Hülsmann in Deflation and Liberty sul piano del sistema dei prezzi la deflazione dei beni di consumo non è una evento negativo in economia. Ad ogni modo l’interpretazione hayekiana sul fenomeno non corrisponde a quella keynesiana.
A differenza di Ransom, Fontana non si limita ad evidenziare che Hayek sia un anti-deflazionista (non comprendendo però neppure lui cosa Hayek intendesse per deflazione) ma si spinge fino a giustificare l’operato anti-ciclico di Mario Draghi etichettandolo come “hayekiano” arrivando perfino ad elogiare Ben Bernanke per tali suoi precedenti interventi definendoli “austriaci”!
Quindi, riassumendo, visto che agli inizi del 2009, quando l’inflazione americana viaggiava a -2% annuo, e Ben Bernanke mise in essere il primo imponente quantitative easing per contrastare la deflazione, come esattamente ottenne, non solo fece la cosa giusta, ma fece la cosa giusta anche sotto il framework teorico austriaco. Almeno quello più ancorato alla realtà.
Peccato che Bernanke si sia sempre dichiarato un monetarista allievo di Milton Friedman e non un economista della Scuola Economica Austriaca. Il suo modello di riferimento per affrontare le depressioni economiche è desunto da A Monetary History of the United States scritto da Milton Friedman e da Anna J. Schwartz non da La Grande Depressione di Rothbard o dai testi di Mises ed Hayek.
Il QE promosso da Bernanke da intervento “a pioggia” temporaneo di tipo friedmaniano è divenuto di lunga durata e dunque neo-keynesiano. Bernanke non ha fatto nulla di teoricamente ed economicamente austriaco e di hayekiano.
Fontana giunge strumentalmente a confondere addirittura Milton Friedman con Friedrich von Hayek al solo scopo di voler omologare la Scuola Economica Austriaca a quella dei monetaristi e (a stretto giro di boa con la seconda) anche con quella dei neo-keynesiani.
Ovviamente tale mistificazione mira a voler ridimensionare l’apporto teorico caratteristico e peculiare della Scuola Economica Austriaca, e in particolare la sua opposizione alle banche centrali, facendone una sorta di fazione addomesticabile da parte dei sedicenti “liberali” di “libero mercato” monetaristi e keynesiani, per poter gattopardescamente giustificare lo status quo economico e la tendenza monetaria espansiva in atto da parte della BCE e FED.
Ormai completamente auto-suggestionato dalle proprie menzogne propugnate, Fontana arriva persino ad attribuire ad Hayek assurde tesi palesemente neo-keynesiane:
Il tasso inflattivo di intere aree europee è negativo e quello generale è prossimo allo zero. Non abbiamo il minimo dubbio che almeno Hayek, memore dei disastri economici, politici e infine umani, che la deflazione tedesca dei primi anni ’30 ha imposto all’Europa intera, sosterrebbe senza se e senza ma la politica monetaria della Bce, che di espansivo per’altro ha ancora ben poco.
Hayek non concorderebbe con Draghi sul tasso negativo dato che la deflazione secondaria è inevitabile e sarà frutto proprio di tali durature politiche monetarie espansive anti-cicliche promosse dalla Bce. Altra strampalata affermazione su cui lo stesso Hayek non concorderebbe con il suo sedicente esegeta, è il fatto che abbia mai parlato di deflazione tedesca nei primi anni ’30.
Hayek nel saggio del 1975 fa riferimento alla Grande Depressione americana post-1929. In realtà in Germania negli anni ’20 del secolo scorso vi fu l’iperinflazione del Reichsmark la quale causò il crack up boom del sistema monetario tedesco, così come denunciato da Mises per tempo in Teoria della moneta e dei mezzi di circolazione. Il dissesto del sistema produttivo tedesco fu dunque causato non da una deflazione dei prezzi al consumo, quanto semmai da una distruzione del sistema produttivo causato da una precedente espansione monetaria.
Dunque più che una mera deflazione secondaria hayekiana dovuta all’espulsione dei cattivi investimenti, nella Germania di Weimar vi fu in primo luogo una distruzione del valore monetario del Reichsmark. La crisi di Wall Street del 1929 e l’iperinflazione tedesca sono due fenomeni distinti e differenti quanto a gradiente di conseguenze e loro peculiare fenomenicità.
Calata la maschera keynesiana e ormai giunto alla difesa più sfacciata del ruolo espansivo della politica monetaria, il tenutario di Archeo-finanza ritorna ad elogiare l’uomo di Francoforte ritenendo addirittura che la BCE stia facendo troppo poco a causa del suo statuto!
La BCE per statuto ha solo la responsabilità della stabilità dei prezzi.
Peccato che questa sua responsabilità e tale limite statutario non stia impedendo alla BCE di agire al pari della FED preoccupandosi anche dei livelli occupazionali nell’eurozona. Inoltre avendo promosso misure di salvataggio degli stati in crisi per i debiti sovrani, ha già ampiamente superato il proprio mandato statutario, come denunciato da Philipp Bagus in La tragedia dell’euro, attuando una unione dei trasferimenti nel settore statale-bancario dai paesi ricchi del nord a quelli in difficoltà mediterranei.
Ovviamente per chi difende il ruolo della banca centrale la minaccia all’operato di Draghi proviene dalle teorie euroscettiche promosse dai libertari e da quegli economisti austriaci che puntano all’uscita dall’euro per tornare al gold standard.
La BCE usa la teoria monetarista e basa anche se in via non esclusiva la sua politica sul controllo a valori minimali del tasso di crescita della quantità di moneta. Quindi? Quindi se il gold standard è un sistema a tasso di crescita della quantità di moneta positivo e basso e l’euro è un sistema a tasso di crescita della quantità di moneta positivo e basso è con tutta evidenza che l’euro è perfettamente assimilabile ad un gold standard.
Come abbiamo già scritto, le operazioni di salvataggio nell’eurozona e il LTRO dimostrano come la politica monetaria della BCE sia già da tempo espansiva, l’euro non è quindi una moneta rigida come in teoria avrebbe dovuto essere.
L’euro non è paragonabile all’oro, dato che l’emissione di tale fiat money non fa riferimento ad alcuna politica di redimibilità sonante. Quanto sostenuto dall’economista austriaco Huerta De Soto in difesa dell’euro è dunque una sua ipotesi teorica, la quale è del tutto ideale ma peregrina quanto all’odierna situazione e quale sua realizzazione e fattibilità.
L’Archeofinanziere ovviamente teme follemente l’uscita dall’euro promossa dagli economisti austriaci euroscetttici (ignorando volutamente come anche Hayek non avrebbe mai sostenuto l’introduzione di una moneta come l’euro, propugnando il free banking, il quale implica l’assenza di un monopolista centrale nell’emissione di fiat money) e in particolare dai promotori del metallo giallo.
Quindi, austriaci che chiedono la morte dell’euro e l’uscita dell’Italia dall’euro semplicemente non sono austriaci visto che chiedono la scomparsa dell’unica cosa che monetariamente più si avvicina al loro pensiero.
Dopo essersi inventato un inesistente Hayek favorevole all’espansione monetaria anti-ciclica, Fontana asserisce, a partire da tale sua fantasiosa idea sul premio Nobel del 1974, che coloro i quali non si conformano al suo personale Hayek immaginario (propugnante una falsa versione della Scuola Economica Austriaca) sono dei falsi economisti austriaci.
Ma la realtà è ben diversa dalle bislacche allucinazioni economiche presenti unicamente nella testa di Fontana. Philipp Bagus è un economista austriaco, allievo critico di Huerta De Soto. Ne La tragedia dell’euro, Bagus muove una critica indiretta alle tesi di De Soto sull’euro quale moneta rigida, evidenziando le ragioni austriache per uscire dall’euro, al contempo manifestando hayekianamente come tale uscita dall’euro non sarebbe comunque priva di iniziali conseguenze indolori (specie per paesi come l’Italia aventi una struttura economica e produttiva assai meno solida e libera rispetto alla Germania).
Giunto a questo punto, se per Fontana la banca centrale “è cosa buona e giusta” è ovvio che i suoi stanziamenti di denaro creato dal nulla alle banche in difficoltà siano da lui ritenuti “normale e doverosa amministrazione dell’esistente”, giustificando il tutto in nome dell’assenza di concorrenza perfetta.
Nel marginalismo la posizione sui fallimenti è chiara: in mercati perfettamente concorrenziali il fallimento è la via principale da percorrere. In mercati perfettamente concorrenziali. Ovvero in mercati nei quali nessun soggetto è grande a tal punto da influenzare i prezzi e i beni prodotti nel mercato nella sua totalità.
Tralasciando il non indifferente fatto che ragionando come fa Fontana la realtà sarebbe una dimensione statica in sé immutabile (dunque ben poco marginalista e prasseologica), dove ogni bencheminimo cambiamento dell’esistente status quo sarebbe in sé mera utopia in ragione del mancato raggiungimento ideale della concorrenza perfetta; ciò che apparentemente sfugge a tale blogger è il fatto che la concorrenza perfetta non sarà mai raggiungibile.
In realtà io credo che Fontana sappia perfettamente che la concorrenza perfetta sia una condizione mai raggiungibile, il suo menzionarla è per l’appunto un escamotage funzionale atto a giustificare il presunto vigente (e perpetuo) “necessario” salvataggio degli istituti bancari alla luce dell’assenza di tale “unicorno volante” quale prerequisito fondamentale per poter non salvare le banche.
In primo luogo è bene sottolineare come la concorrenza e l’equilibrio concorrenziale sono due concetti completamente differenti tra loro. Gli economisti austriaci propongono la libera concorrenza (si pensi anche al free banking), mentre i monetaristi e i neoclassici perseguono l’ideale di un equilibrio di mercato concorrenziale (comprensivo di authority anti-trust ed altre forme di regolamentazione per giungere ad una presunta invocata concorrenza perfetta in economia, in realtà assai ben poco perfetta e di mercato).
La concorrenza perfetta è infatti uno dei temi principali sostenuti dagli economisti della Scuola di Chicago. L’idea della concorrenza perfetta come finalità economica da realizzarsi artificialmente e sistematicamente a tavolino sul mercato (non solo nelle opportunità di ingresso di nuovi soggetti fornitori di servizi, ma anche come suo funzionamento e indotto prodotto) è la costante che accomuna le generazioni di Irving Fisher e di Milton Friedman.
Come ha spiegato Murray Rothbard, pur moderando e riformando il modello di Fisher, gli esponenti di Chicago restano promotori di una visione di egualitarismo economico e commerciale attraverso lo strumento di un mercato strettamente controllato nel suo funzionamento e nelle sue regole dallo stato anche attraverso lo strumento monetario.
In pratica l’intervento teorizzato dai Chicago boys risulta essere teso ad una forma di dirigismo e di mascherato social-corporativismo. Per costoro non è nella mano visibile del pubblico e nel monopolio dello stato il problema, quanto semmai nell’azione privata (addirittura umana) presente nelle scelte di mercato dei consumatori.
La Scuola di Chicago è quindi antitetica per finalità, soluzioni e punti di vista basilari da quella della Scuola Economica Austriaca. Per gli economisti della Scuola Economica Austriaca la concorrenza perfetta e un prezzo d’equilibrio costante non esistono (si veda qui, qui, qui, qui), ed esponenti come Rothbard e Mises non l’hanno mai sostenuta, dato che non vi è un prezzo di equilibrio oggettivamente riconoscibile, ma solo quello liberamente desunto dall’interazione tra domanda ed offerta.
Bruno Leoni, sulla scia di Rothbard, non ha mai sostenuto né sul piano giuridico né sul piano economico la concorrenza perfetta. Un economista che propugnava teoricamente l’equilibrio economico generale (venendo poi recepito anche sul piano della concorrenza), fu Léon Walras, economista francese assai apprezzato da Schumpeter, che benché ottemperasse criteri di utilità marginale, di fatto non è ascrivibile alla visione della Scuola Economica Austriaca.
Dunque se per la Scuola Economica Austriaca la concorrenza perfetta a priori è condizione che non potrà mai esistere e realizzarsi, è del tutto assurdo pretendere/attendere che essa vi sia per poter eventualmente giustificare la successiva assenza di salvataggi bancari ad opera della banca centrale.
La Scuola Economica Austriaca reputa che i profitti e le perdite siano degli indicatori economici in grado di selezionare e definire spontaneamente una corretta valutazione delle attività degli attori sociali in competizione tra loro. Profitti e perdite caratterizzano le attività economiche, dunque anche l’attività bancaria, ne consegue che se un istituto bancario ha delle perdite e rischia la bancarotta, per la Scuola Economica Austriaca è controproducente operare un salvataggio che perpetui e aggravi le sue perdite (e dunque il suo cattivo operato).
La Scuola Economica Austriaca è dunque favorevole ai fallimenti degli istituti bancari commerciali proprio perché l’assenza di concorrenza perfetta non è un alibi in grado di giustificare l’incremento dell’espansione dello stato mediante i salvataggi di istituti dediti al moral hazard.
I vari attacchi di Massimo Fontana: verso la deflazione; nei confronti dei difensori del gold standard e in chi propugna l’abolizione della banca centrale per una visione anti-interventista durante una crisi economica o bancaria; il suo astio personale rivolto verso Mises; la sua sedicente retorica in favore di un fantasioso Hayek (ben lontano dal pensiero di quello realmente esistito) mirano unicamente a definire il vero bersaglio preso di mira in tutto il suo articolo.
La persona nel mirino del sito Archeo-finanza è ovviamente l’irrefrenabile Murray Rothbard. D’altrocanto è sovente in uso tra i pseudo-liberali italioti (siano essi liberal o liberaldemocratici) e tra i sedicenti LINO (Libertari In Name Only) ammantarsi da seguaci di Hayek (salvo non contestare poi la pianificazione monetaria centrale, il legal tender dell’euro e l’inutile esistenza d’operato dei burocrati e tecnocrati dell’UE) per poter muovere patetiche crociate di moderatismo e ruffianeria verso il Palazzo scagliandosi contro quegli austro-libertari i quali sul piano economico e politico sono i promotori di idee abolizioniste coerenti ed autenticamente tese alla promozione di maggior libertà economica ed individuale.
Murray Rothbard fa paura agli economisti statolatri che in Italia amano fingersi come liberali “pragmatici e realisti” al solo scopo di poter accampare posizioni politicanti di rendita analoghe a quelle dei socialisti di centrodestra e di centrosinistra. Le stringenti logiche aprioristiche, quali argomentazioni propugnate da ‘Mr. Libertarian’, smascherano le “finte anime candide” che amano per opportunità ed interesse personale non denunciare quei temi economici fondamentali per poter invece auspicare una vera società libera.
Gli economisti sedicenti liberali amano segretamente conservare ed accrescere la presenza dello stato italiano, pur continuando retoricamente a difendere il mercato. Il gold standard o la riserva frazionaria sono ovviamente dei temi tabù per ogni intellettuale di corte propenso a fare della spesa pubblica la propria fonte di guadagno e reddito; non stupisce quindi che Rothbard venga attaccato in maniera infantile e scomposta pure dal sito Archeo-finanza di Massimo Fontana.
Innanzitutto, tralasciando il fatto che comunque tutto il discorso di Rothbrad, anche fosse giusto e non lo è, si basa sull’inesistente gold standard.
Tralasciando il fatto non secondario che Fontana non spieghi perché quanto storicamente ed economicamente sostenuto da Rothbard sia sbagliato, il ragionamento contro i salvataggi bancari ad opera dello stato denunciato dall’economista americano è valido aldilà che oggi sia assente il gold standard.
L’argomentazione rothbardiana si basa sui principi della Scuola Economica Austriaca, ovvero sull’opposizione alle espansioni monetarie derivanti dalla riserva frazionaria delle banche commerciali e dall’attività della banca centrale, le quali influenzano il ciclo economico distorcendo la struttura produttiva e il calcolo imprenditoriale.
Nella fattispecie è l’espansione derivante dal meccanismo della riserva frazionaria che causa il fallimento delle banche commerciali e la necessità di un loro successivo salvataggio, con ulteriori dosi di liquidità immesse nel sistema, da parte della banca centrale. Fontana invece non si preoccupa di questo, egli è tutto intento a fornire patentini di sedicente hayekiano austrismo a Draghi e a Bernanke costruendo una stucchevole dialettica tra Rothbard ed Hayek perfino laddove non è presente tra i due!
(…) ma vediamo subito che però la posizione è in pieno contrasto con quella di Hayek. Come visto sopra Hayek dice esplicitamente che la deflazione va evitata.
In realtà, in questo caso specifico, non c’è alcun contrasto su tale questione da parte di Hayek e da parte di Rothbard, come in precedenza qua dimostrato, ambedue da coerenti economisti della Scuola Economica Austriaca si oppongono all’espansione monetaria e sono favorevoli alla deflazione. Terminata la fase espansiva del ciclo economico la deflazione è necessaria per il ripristino di una successiva corretta allocazione imprenditoriale delle risorse.
Hayek dice esplicitamente che gli effetti della pulizia dai cattivi investimenti non sono indolori, il che è quanto evidenzia anche Rothbard ne La grande depressione (citata in nota nell’articolo di Fontana ma evidentemente non da lui letta). Rothbard senza dubbio a differenza di Hayek pone una maggior enfasi sull’aspetto della deflazione alla luce della questione dei prezzi al consumo, quale rivalutazione monetaria del potere d’acquisto della moneta da parte dei consumatori.
Rothbard è inoltre più chiaro nel definire il problema espansivo monetario quale problema all’origine dei problemi successivi alla fine di un ciclo economico espansivo. Ad ogni modo, Hayek pur delineando una propria spiegazione della teoria del ciclo economico austriaca non si distanzia di molto da Rothbard in tale specifico tema.
Hayek pone in evidenza come con la fine di un ciclo economico espansivo, con la necessità di una selezione operata dal mercato tra gli investimenti produttivi da quelli cattivi improduttivi, si riducano temporaneamente (e logicamente) le possibilità di crescita e di moral hazard. Dunque come vi sia una riduzione (la deflazione secondo Hayek) della presenza complessiva degli investimenti esistenti rispetto alla situazione antecedente allo scoppio della crisi.
In ogni caso Hayek non ha mai sostenuto né gli stimoli monetari artificiali anti-ciclici né una concorrenza bancaria perfetta (nemmeno in ottica free banking), dunque tale economista non avrebbe rimpianti nel mancato prosieguo delle politiche monetarie inflattive attuate da Draghi né nell’abolizione della BCE stessa.
La deformazione concettuale operata da Fontana del pensiero di Hayek mira a creare una scappatoia ad uso e consumo di monetaristi e pseudo-assertori di libero mercato italiani, nel tentativo di squalificare Mises e Rothbard e i successivi suoi allievi, il tutto allo scopo di svuotare la Scuola Economica Austriaca della sua vera identità, per poter poi riempirla di idee ben poco attinenti con i suoi principi originari e fondamentali.
Appellarsi impropriamente alla figura di Hayek descrivendolo quale economista favorevole alle banche centrali è semplicemente demenziale ed è una strumentalizzazione distopica infame degna del peggior bispensiero orwelliano.
La risposta è semplice: Hayek, al contrario dello storico Rothbard, era un economista.
L’informatissimo Minimax (alias di Massimo Fontana) ignora che Rothbard oltre ad essere stato uno storico, un filosofo, un politologo era anche un economista. Rothbard si laureò in matematica (1945) e in storia economica (1956) alla Columbia University (il che lo rende un economista a tutti gli effetti senza necessità di millantare falsi titoli accademici), e fu allievo di Ludwig von Mises alla New York University.
Voler squalificare Rothbard dal ruolo di economista e di esponente di spicco della Scuola Economica Austriaca è grottesco quanto voler rendere la pioggia non bagnata! Ma tant’è che a tanto sono giunti i finti liberali italioti, i quali al pari dei complottisti sugli OGM, sulle scie chimiche, sul signoraggio o ai seguaci della MMT propugnano narrazioni francamente imbarazzanti per l’intelletto di buon senso, al solo scopo di voler inquinare i pozzi e creare nicchie parassitarie per poter continuare a galleggiare sull’ignoranza dei loro seguaci, tutelando così il loro ruolo di cortigiani e le loro discrete fonti di reddito.
La critica mossa nei confronti di Rothbard, in virtù della sua opposizione ai salvataggi bancari, è davvero esilarante. Sicché dopo aver ignorato quanto scrisse Hayek e Mises, e perso ogni contatto con la realtà, Massimo Fontana arriva a scrivere che:
in un sistema non concorrenziale parlare di fallimenti semplicemente è sbagliato: all’interno di qualsiasi scuola economica compresa quella austriaca.
Non sapendo se Fontana detenga azioni di MPS o di Carige, sicuramente le sue argomentazioni sono prive di ogni valore economico austriaco. In un sistema non concorrenziale, parlare di fallimenti è sbagliato solo in ragione della presenza/esistenza di un ente supervisore centrale (banca centrale) che opera salvataggi discrezionali “too big to fail” verso taluni istituti commerciali.
Ma questo non ha nulla a che fare con la Scuola Economica Austriaca, la quale non crede alla concorrenza perfetta pur essendo a favore della libera concorrenza, e si oppone ai salvataggi bancari essendo favorevole all’abolizione della banca centrale.
Ovviamente in Italia i sedicenti liberali e i pseudo-liberisti vogliono conservare il corporativismo e il socialismo costruitosi nel corso degli ultimi 150 anni, sicché appare evidente che non vogliano ridurre il peso dell’interventismo pubblico statale né ridimensionare il potere dei quartierini e delle élite bancario-finanziarie.
Denunciare ed opporsi, come fa Rothbard, alla riserva frazionaria (ovvero il meccanismo con il quale legalmente le banche commerciali falsificano i loro certificati di credito e i loro bilanci, stanziando in prestito a terzi denaro a loro depositato dai clienti correntisti delle banche) risulta essere anche in Italia un “reato di lesa maestà” nei confronti di uno schema Ponzi a danno dei risparmiatori perpetrato dai banchieri.
Sicché non stupisce che si arrivi a mistificare lo stesso pensiero rothbardiano asserendo che tale economista menta sulle sue stesse idee propugnate:
E, postilla finale, di questo fatto deve essersene accorto anche se non completamente pure Rothbard se scriveva: “L’enorme incremento dei fallimenti bancari fece rallentare l’attività delle banche, in particolare perché i banchieri sapevano in cuor loro che nessuna banca (al di fuori dell’INESISTENTE E IDEALE riserva del 100 per cento) può mai resistere ad una corsa allo sportello”. A questo punto, visto che lo stesso Rothbard dice che banche a non riserva frazionaria non esistono e che in simile situazione il fallimento è assicurato per tutte in ogni caso, non si capisce come consigli come cura per la crisi quei fallimenti che lui stesso ritiene sempre ingestibili.
In realtà Murray Rothbard sostiene che con una riserva integrale aurea al 100% diminuisce l’incentivo al moral hazard d’investimento da parte dell’istituto bancario. Nella fattispecie viene nullificato quello di prestito bancario sui risparmi in deposito bancario, dunque è ovvio che con tale regole, in assenza di una banca centrale, gli istituti bancari commerciali con scarse riserve in cassa si troverebbero in difficoltà nel dover affrontare una corsa agli sportelli, e molti fallirebbero riducendo temporaneamente la concorrenza qualora la loro attività di prestito bancario si estenda eccessivamente sulla base del meccanismo della riserva frazionaria.
Proprio come al termine della fase espansiva del ciclo economico, anche in ambito bancario l’assenza di salvataggi comporterebbe un periodo in cui il numero di banche commerciali attive diminuirebbe, venendo chiuse quelle insolventi. Di fatto vi è un parallelismo tra la deflazione secondaria hayekiana nella struttura economica produttiva derivante dall’emergere della crisi derivante dall’espansione monetaria e le conseguenze descritte da Rothbard nella struttura bancaria commerciale qualora gli istituti di credito dovessero affrontare le conseguenze di una loro crisi derivante dall’espansione creditizia dei prestiti mediante riserva frazionaria.
Sia la cattiva allocazione delle risorse economiche nel sistema produttivo imprenditoriale a causa della manipolazione dei tassi d’interesse da parte delle banche centrali che la cattiva allocazione delle risorse creditizie ad opera del sistema bancario commerciale, sono entrambe conseguenze di una espansione artificiale del flusso monetario; in entrambe avviene un incentivo al moral hazard (ovvero gli operatori economici possono sentirsi incentivati a intraprendere comportamenti eccessivamente rischiosi, qualora essi possano contare su una significativa probabilità che i costi associati a un eventuale esito negativo delle loro azioni ricadano sulla collettività, o su altri operatori o categorie di operatori).
Leggendo l’effettiva frase scritta da Rothbard a pagina 304 in America’s Great Depression si può notare come anche in questo caso Fontana cerchi di spacciare nozioni fallaci di Economia Austriaca al fine di poter sostenere le proprie erronee convinzioni economiche:
This enormous increase in bank failures was enough to give any bank pause—particularly when the bankers knew in their hearts that no bank (outside of the nonexisting ideal 100 percent bank) can ever withstand a determined run. Consequently, the banks permitted their commercial loans to run down without increasing their investments.
Qualsiasi persona di buon senso e non in malafede capirebbe che Rothbard laddove parla di inesistenza ideale di una banca a riserva integrale al 100% sta retoricamente parlando in terza persona, illustrando in forma indiretta come ragionano i banchieri sulla riserva integrale.
Dunque se i banchieri credono in cuor loro (volutamente per opportunità) che non potrebbe/dovrebbe esistere alcuna banca a riserva integrale al 100%, è ovvio che costoro continueranno ad aumentare i prestiti bancari senza incrementare i loro investimenti di riserva, ovvero senza avere sufficienti riserve (in special modo oro quale bene per la redimibilità) in caso di corsa allo sportello.
Dunque non è Murray Rothbard a sostenere che non possa esistere una banca a riserva integrale al 100%, quanto semmai il tipico modus ragionandi dei banchieri. Rothbard invece sapeva bene che una banca a riserva integrale è storicamente fattibile sul piano commerciale dato che ne ha scritto in vari saggi (ad esempio in What Has Government Done to Our Money? o nel Il mistero dell’attività bancaria).
Anche Huerta De Soto ha scritto in favore della riserva integrale bancaria in Moneta, Credito Bancario e Cicli Economici così come spiegato anche da Francesco Carbone nel libro A scuola d’economia desunto dalle sue lezioni universitarie a Madrid.
Giunto alla conclusione del suo articolo, l’autore dell’articolo ci ricorda ciò che dovremmo tenere “bene a mente”:
Riassumendo abbiamo visto che alcuni assunti della scuola austriaca in generale sono non corretti, mentre altri sono come minimo male interpretati da alcuni esegeti postumi. Questo è un peccato. Un vero peccato, perché la distorsione verso posizioni da un lato errate anche all’interno della stessa scuola, dall’altro col rifiuto di ogni impegno matematico di prova delle proprie posizioni relega una scuola che comunque ha importanti cose da dire verso la marginalità antiscientifica che la avvicina più ad una religione che ad una disciplina anche solo umanistica.
Riassumendo il blogger Massimo Fontana ha scarsa comprensione della lingua inglese e tende a trollare i veri fondamenti teorici della scuola economica austriaca. Questo comporta che alcuni assunti della scuola austriaca da lui interpretati e riportati non siano corretti o non siano da lui volutamente compresi per ciò che testualmente essi in realtà esprimono.
La distorsione è dunque tutta ed unicamente dell’autore di Archeo-finanza, egli insinuando false dicotomie e false interpretazioni concettuali impedisce una corretta conoscenza della Scuola Economica Austriaca, riducendola ad un sottoprodotto del keynesismo/monetarismo, ovvero all’oppio dei popoli instillato dai banchieri centrali e dai politicanti pseudo-liberali e non.
Suggerisco a lui minor supponenza e una maggior approfondita lettura dei siti e dell’ampia bibliografia scritta dagli esponenti della Scuola Economica Austriaca prima di lanciarsi nel commento su di essi. La Scuola Economica Austriaca mostra senza dubbio al suo interno degli approcci metodologici e concettuali differenti a seconda degli autori presi in considerazioni, tali differenze concettuali senza dubbio mostrano filoni di indagine e di riflessione che sono peculiari al singolo economista analizzato.
In tal senso è senz’altro possibile che su alcuni temi politico-economici specifici vi possano essere delle difformità di giudizio tra il pensiero, ad esempio, di Rothbard e quello di Mises o di Hayek, ma tutto questo non implica in tali autori e nei loro scritti una differenza tale da comportare un totale stravolgimento concettuale in antitesi coi precetti di base riconosciuti come peculiari a tali membri di questa Scuola Economica.
L’articolo di Fontana è una summa di strafalcioni economici, di cattiva divulgazione e di mera disinformazione; sicché se ciò è quanto solitamente da lui divulgato è francamente ridicolo che il suo blog si prefigga di essere strumento di indagine atto a “rivelare” ai suoi lettori la realtà economica con tale incipit:
Su come le cose non sono mai come sembrano, su come bisogna sempre scavare, scavare, scavare per capire. E per finire su come non esistano investimenti sicuri.
Sicuramente la Scuola Economica Austriaca è differente da come la descrive Massimo Fontana ai suoi lettori. I contenuti sono da lui stati palesemente trattati in malafede; nonostante una certa sua conoscenza di alcuni rudimenti della teoria economica austriaca appare evidente come egli mirasse a scavare, scavare, scavare la fossa a tale scuola economica.
In ogni caso se Massimo Fontana e i suoi amichetti pseudoliberali monetaristi/keynesiani pensavano di poter segnare un punto a loro favore travisando palesemente Hayek, attaccando alcuni dei principali esponenti economici austriaci (Mises e Rothbard) e i fondamenti di tale Scuola, hanno commesso un grosso fatale errore di presunzione.
E’ bene dunque rammentare a costoro quanto scrisse Rothbard sui sedicenti economisti da tastiera che amano straparlare di cose lontane dal loro orizzonte di interesse e conoscenza:
Non è un crimine essere ignoranti in economia, dopo tutto si tratta di una disciplina specializzata, considerata dalla maggior parte delle persone una triste scienza. Ma è totalmente irresponsabile fare la voce grossa ed esprimere opinioni in materie economiche mentre si persiste in tale stato di ignoranza.
Negli anni ’90, in un famoso sketch televisivo, il comico Walter Fontana, a fronte delle grottesche imprese economiche di un noto caricaturale commendatore milanese, commentava fuori campo ogni insano atto del protagonista con la frase-tormentone «… E la lira s’impenna!».
Oggi nel 2014 abbiamo il blogger Massimo Fontana il quale, a fronte delle grottesche sue caricaturali falsificazioni della teoria economica di scuola austriaca, auspica che le azioni di un noto contraffattore europeo producano ulteriori danni all’economia, dunque che in primo luogo l’inflazione monetaria dell’euro s’impenni!
In conclusione le cosiddette “argomentazioni” tese a sostenere la sedicente hayekianità di Mario Draghi o una qualche visione economica di scuola austriaca d’operato in altri attuali o passati banchieri centrali (nazionali e/o sovranazionali); l’esistenza di sedicenti esponenti economici della Scuola Austriaca d’Economia in difesa dei salvataggi bancari e/o a favore della necessità dell’interventismo monetario da parte delle banche centrali al fine di contrastare la crisi economica; sono tutte mere illazioni che obiettivamente risultano essere ben poco divertenti e per nulla attinenti con i veri contenuti riguardanti lo studio dell’economia dell’azione umana.
ottimo articolo, da persona seria, equilibrata, competente. bisogna ringraziare, perché si è sprecato a rispondere ad imbecillità. nel mio snobismo non l avrei mai fatto, non vedendone il bisogno: mica si può rispondere ad ogni cretinata di cui è pieno il mondo. ma poi, riflettendo, ebbene v'è bisogno di cil, altrimenti soffondendosi la menzogna. l autore puo ben altro che dialogare con fontana, quindi si è abbassato, e merita un grazie. ci sta una tendenza al mélange, laddove tutt è equiparabile in virtù di similitudini (magari effettivamente esistenti) ma riscontrate in frasi decontestualizzate ed estrapolate al fine di sostenere il proprio argomento. roba da avvocati di quart ordine. ma è una tendenza che si riscontra ovunque in virtù della degenerazione del linguaggio e della slealtà assurta a metodo. e per destrutturare la menzogna ci vuole tempo e pazienza, che a costruirla ci si mette poco. così, i monetaristi sono semplicemente keynesiani più severi contro i lavoratori, e null altro. in una reductio ad unum del pensiero. ed infatti alla fine fontana non dice nulla, ma nulla di nulla, solo creando una grande confusione. il che è il risultato del minestrone ideologico. sarà un inviato della massoneria :) ?
RispondiEliminaMi associo ai complimenti ed alle riflessioni di gdb.
EliminaIl dramma del nostro tempo e' che l'offerta di cazzate trova sempre una enorme domanda.
RispondiEliminaLa Scuola Austriaca guarda alla terra, al capitale per antonomasia. Il keynesismo ed il monetarismo sono per i cittadini alienati dal consumismo. Sono le giustificazioni teoriche di tesi come cogli l'attimo fuggente ed ogni lasciata e' persa. Roba da cicale. L'austrismo e' roba da formiche. Da conservatori del tempo. Da scarpe grosse e cervello fino. Keynes e Friedman sono i profeti del nichilismo gradito al potere.
EliminaUn grazie doveroso a Fusari, l'articolo è preciso e la lettura corre facilmente: perfino io sono riuscito ad anticipare alcune osservazioni a correzione delle scemenze: cosa che, data la mia preparazione quasi nulla, lascia capire tutto.
RispondiEliminaRiccardo Giuliani
Restando in tema di travisamenti della teoria austriaca, il buon vecchio Krugman ci riprova ancora: "[...] Mainly, though, there simply isn’t any macroeconomic case for claiming that interest rates are wildly depressed relative to fundamentals, and not much reason to believe that assets in general are overvalued."
RispondiEliminaSecondo il nostro supereroe, quindi, la FED non avrebbe alcuna colpa per un'eventuale scoppio di qualche bolla che si è venuta a gonfiare "casualmente". Non avendo una teoria del ciclo economico, il keynesismo offre queste "perle" accademiche che bisogna prendere per buone come un dogma. Guardate, adesso, questa immagine in cui vengono messi a confronto S&P 500, base monetaria e fed funds (tasso benchmark della FED): http://research.stlouisfed.org/fred2/graph/fredgraph.png?g=Fr6
"Nessuna coincidenza", secondo Krugman. E' ufficiale che le commissioni che si riuniscono per conferire il Nobel per l'economia debbano essere purgate da eventuali scimmie che a quanto pare si intrufolano nelle votazioni.
Metaforicamente questa crisi sta facendo emergere il valore, come il prezzo, ed il destino, come un segnale, dei singoli individui e dei popoli.
RispondiEliminaUna delle più belle esposizioni in lingua Italiana, sulla Scuola Austriaca di economia, che abbia mai letto; tutto limpido, chiaro e semplice, a differenza dei tanti troppi tecnicismi e relative formule matematiche ad uso ed abuso degli "interpreti" presuntuosi di questa materia, spesso privi di logica e reale spessore. Complimenti.
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