Bibliografia

venerdì 4 luglio 2014

Dall'a priori kantiano alla critica dello stato





di Francesco Simoncelli


Partiamo da un assunto principe sulla natura umana: l'uomo è nato libero. Questo è un assioma vero a priori. Kant, nella Metafisica dei Costumi, arrivava a questa conclusione attraverso il ragionamento logico-deduttivo. Più in generale, con tale ragionamento arrivava a mettere in discussione l'auctoritas che negli anni aveva caratterizzato l'entità all'apice della piramide sociale. Quest'ultima mendiante l'ipse dixit incarnava l'autorità massima alla quale era destinato grande rispetto e riverenza. Una volta denudata da questo alone di onniscenza, essa veniva ridotta ad un semplice apparato coercitivo che dirige secondo i suoi capricci le sorti degli individui. In questo modo, il ragionamento di Kant conferisce agli uomini quella dose di responsabilità che giustamente spetta loro. Non è necessario elogiare la cosiddetta schiavitù "volontaria" per dimostrare come sia vero a priori questo principio; il suicidio è l'esempio massimo che si possa portare qualora ci sia ancora qualche scettico che metta in dubbio questo assioma.

Pensateci. Chi possiede il vostro corpo se non voi stessi? Ma questo non perché siete in grado di proferirlo a parole, altrimenti chiunque potrebbe rivendicarlo con un semplice gesto della mano o l'emissione di un semplice fonema dalla bocca. Le azioni, i pensieri, le riflessioni sono esclusivamente di proprietà di coloro che li hanno in mente. In virtù di tale possesso, ogni individuo esprime desideri e pulsioni attraverso i quali interagisce con i suoi pari. Come è possibile dimostrare incofutabilmente questa verità? Nessuno conosce i vostri pensieri tranno voi stessi. Solo l'individuo è in grado di trasformare lo stato di quiete in cui si trova il proprio corpo in uno stato di azione; sebbene gli impulsi per tale pessaggio possano essere scanditi da stimoli esterni, solo ognuno di noi, attraverso il pensiero e il ragionamento, può determinare suddetta trasformazione.

Adunque, avendo raggiunto codesta conoscenza apodittica, possiamo iniziare a vedere cosa ne scaturisce in basse alle varie situazioni che ci si presentano innanzi.

Da questo a priori derivano altri concetti che definiscono quel mondo di leggi che regola l'azione degli uomini. Non esistono per il bene degli individui, ma perché sono giuste. Arrivare a carpire questa conoscenza è possibile, il ragionamento deduttivo ci abilita a raggiungerne l'essenza attraverso la ragion pura, la quale ci apre le porte a quelle relazioni che possiamo definire imperativi categorici. Queste leggi sono particolarmente auto-evidenti e sempre vere. E' possibile, come per tutte le leggi, aggirarle ma la loro natura impedisce agli individui di negarle o abrogarle del tutto. Causa ed effetto in economia, ad esempio, rappresentano un imperativo categorico dal quale ci si può discostare, ma non per sempre. Quando accade, la ragion pura cede il passo alla ragion pratica, la quale apre i cancelli agli imperativi ipotetici.

Questi ultimi sono legati puramente alle azioni degli individui e dall'esperienza che ne deduciamo attraverso di esse, questo perché la ragion pura è connessa alla ragion pratica attraverso l'azione propositiva. In altre parole, i nostri pensieri vengono espressi in forma materiale mediante l'interazione che gli esseri umani esplicano quando passano da uno stato di quiete ad uno stato di azione. L'esperienza che viene acquisita dall'apprendimento estratto da questa sequenza di azioni, è figlia della ragion pratica; la rielaborazione con la nostra individualità pensante va a costituire quel comparto mentale definito ragion pratica pura. La ragion pratica, spogliata dalle sue valenze imeprfette, si fonde con le facoltà logico-deduttive dell'intelletto umano per creare un atteggiamento mentale con cui guardare al mondo con un piglio privo di pregiudizi fallaci.

Sebbene l'uomo in quanto tale è nato libero, lo stesso non lo si può dire per le sue azioni. Infatti, nonostante siamo liberi, non sempre siamo in grado di veicolare questa libertà attraverso le nostre azioni. La nostra sopravvivenza personale non è qualcosa che può essere considerata un diritto naturale, perché in fin dei conti nessuno è strettamente costretto a far sopravvivere qualcun altro. Il diritto naturale scaturisce dall'estensione della volontà individuale al mondo reale, quindi da una necessità affermativa di sopravvivere. Ma se qualcuno volesse porre fine alla propria vita? Potrebbe farlo, andando a ricercare il proprio bene personale mediante la cessazione della propria vita, ma questo non rappresenterebbe altro che un imperativo ipotetico. Certo, io che sono uno spettatore di questa azione continuerei ad essere libero ed a soddisfare i miei desideri in accordo con la libertà altrui, ma la manifestazione di una volontà negativa alla vita andrebbe ad inficiare i rapporti tra gli individui.

Infatti, la mia sopravvivenza va a tutto vantaggio di quella intricata relazione di interazioni che costituiscono il corpo funzionale del successo evolutivo dell'essere umano. E' stato attraverso la cooperazione che l'uomo è riuscito a battere le angustie della vita primitiva e le insidie insite nell'indole oscura degli uomini. E' stato attraverso la divisione del lavoro che il successo dell'essere umano ha portato ad un cambiamento significativo nelle condizioni di vita: la specializzazione che ogni individuo intraprende per migliorare le sue capacità, va a vantaggio dell'intera comunità in cui vive. In questo modo è specificamente concentrato a portare a termine il compito che si è prefissato quando ha deciso, tramite la sua creatività, di soddisfare i desideri degli altri, soddisfacendo di conseguenza anche i suoi. Maggiore è il grado di specializzazione, maggiore sarà la cura finale con cui verranno svolti i lavori. Maggiore è la libertà di cui gode, maggiore sarà la creatività e la passione che vi riverserà.

Quindi, se l'uomo è nato libero, attraverso le sue azioni riesce a trasferire al mondo circostante la sua libertà? Ovvero, quello che reputo un bene per me è altrettanto un bene per gli altri? Se il compito del mio essere ha tra le sue priorità la preservazione della vita, questo non rende le mie azioni un mezzo attraverso il quale è possibile elargire giustizia e al contempo libertà?

Non proprio. Sebbene ogni uomo sia decisamente orientato alla preservazione della propria vita, le sue azioni riflettono il grado di giustizia di cui beneficia solamente la sua persona. Ad esempio, l'omicidio può essere giustificato qualora qualcuno rappresenta una minaccia davanti ai nostri occhi, quando invece davanti ai suoi (quelli dell'omicida) non lo è. La libertà di cui necessita un individuo va a scontrarsi con la libertà di cui necessita un altro, e ne nasce un conflitto. Potremmo proporre lo stesso esempio con il furto, e rimarremo comunque in quel vicolo cieco rappresentato dallo scontro di azioni. Ovvero, la mescolanza tra ragion pura e ragion pratica.

Siamo a conoscenza dell'erroneità di un'azione riprovevole, ma allo stesso tempo costretti dalle circostanze in cui ci troviamo a dover agire in linea con l'ambiente che ci circonda. Questa non è una giustificazione valida affinché la nostra libertà si possa esprimere mediante atti che possano ledere la libertà altrui. Quindi se il meccanismo di trasmissione tra la nostra libertà ed il mondo esterno è quello che ci permette di unire ragion pura e ragion pratica, esso non è un veicolo a prioristico di libertà. La ragion pratica intorbidisce quello che la ragion pura conosce già. E' questo intorbidimento che permette agli imperativi ipotetici di far deragliare il perseguimento degli imperativi categorici. L'imperativo ipotetico, attraverso una concezione limitata di ciò che è bene per noi, oscura quello che è giusto.

Come detto in precedenza, la nostra libertà non coincide con quella altrui. Come riuscire, quindi, a recuperare quel legame presente nella nostra mente ma che evapora una volta che viene a contatto con le azioni propositive di un altro individuo?

La risposta più plausibile e verosimile è il confronto attraverso la stesura delle proprie necessità insieme a quelle di coloro con cui ci mettiamo a confronto. Il modo relativamente più giusto con cui si possa portare a buon fine questa operazione è tramite la scrittura di un contratto. La forma fisica di cui è costituito questo accordo tra varie parti, non rappresenta altro che l'incontro tra la libertà di ogni individuo. La ragion pratica viene depurata dai pregiudizi insiti nelle nostre azioni per essere ragion pratica pura.

Questo non è un concetto strettamente vero di per sé, rappresenta semplicemente il ricongiungimento tra ragion pura e ragion pratica al di fuori della nostra sfera mentale. E' l'imperativo categorico che viene raggiunto intelligibilmente e dimostra la sua veridicità. La pacificazione dei conflitti, ovviamente, non può essere affidata esclusivamente a quegli individui presenti alla stipulazione dei contratti. La mutevolezza dell'indole umana esige una monitorazione costante degli impulsi istintivi degli individui, i quali possono cedere sempre alla ragion pratica per soddisfare le proprie necessità. La fenomenologia con cui vengono espresse le azioni è decisamente differente dalla noumenologia con cui vengono pensate ed interpretate da altri.

Sorge la necessità di un'entità garante atta a far rispettare gli accordi pratici impressi nei documenti venuti fuori da una volontà reciproca di eliminare i conflitti e trovare una via pacifica all'espressione delle proprie azioni. Anche perché, l'imperativo categorico (es. costi/benefici) del conflitto porta con sé una serie di svantaggi che richiedono sforzi maggiori ed un impiego di tempo maggiore prima della loro completa risoluzione. L'imperativo ipotetico del breve termine non deve distogliere la ragione dall'imperativo categorico del lungo termine. Una volta eliminato il conflitto e l'ipoteticità delle azioni espresse, una volta che fuoriescono dal campo noumenico, ci troviamo di fronte ad una particolare simmetria grazie alla quale riusciamo a scorgere ciò che è giusto per quegli attori che decidono di interagire con gli altri. Lo scopo di questo saggio, infatti, è quell odi dimostrare con l'uomo sia al contempo libero e in grado di esprimere la sua libertà (in accordo con quella altrui) al di fuori del campo soggettivo. Colui che scrive sta semplicemente prendendo in prestito concetti filosofici di altri grandi pensatori del passato, i quali attraverso il loro ragionamento hanno tracciato quella via grazie alla quale si può giungere ad una società fondata sostanzialmente sulle responsabilità individuale e su una possibile autodeterminazione personale. Nel tentare di raggiungere il mio scopo, ho ritenuto opportuno prendere qualche spunto dal pensiero kantiano.

Il razionalismo ideologico su cui fondare l'a priori è la base per dimostrare come l'individuo sia al contempo libero e libero di rifiutare quelle condizioni in cui la sua libertà viene "ingiustamente" limitata da chi, sfruttando trucchi semantici, magnifica il ruolo di un presunto controllore il quale pretende di sfruttare una certa aura riverenziale e autoritaria per raggiungere i suoi fini. Fu infatti il secolo dei lumi che costituì uno spartiacque significativo tra l'ipse dixit dell'autorità dello stato e le decisioni individuali degli attori economici. L'auctoritas dello stato veniva sfiduciata di fronte all'acquisizione della responsabilità dell'individuo davanti alle sue azioni. La rivoluzione intellettuale di quegli anni ebbe i suoi natali circa un secolo prima in Olanda, dove iniziò a serpeggiare una visione della vita più orietanta al futuro (tutto ciò anche grazie ad una popolazione in aumento). Questa infusione di ottimismo spinse gli individui a concentrarsi sul loro "domani". Tale rivoluzione nel pensiero fu la scintilla anche di quella industriale, la quale fece sperimentare al genere umano uno dei periodi storici più floridi.

In questo contesto siamo testimoni di un conseguente rimpicciolimento delle aree controllate da un potere centrale. L'innovazione tecnologica, la creatività individuale e un cambiamento nell'etica permisero alla visione individualista di veicolare alle persone la quitenssenza della loro esistenza: la sintonia con un imperativo categorico piuttosto che uno ipotetico. La libertà individuale garantiva una vita scevra dalle insistenze petulanti di un qualche manipolatore centrale, spogliando quindi un qualsiasi sovrano o re della sua aura di onnipotenza. Non erano più, soggettivamente, percepiti come tali. Fu questo il periodo in cui Carl Menger sviluppò la sua teoria soggettiva del valore. Negli equilibri individuali non c'è posto per l'interferenza di un'entità esterna. A meno che non si tratti della risoluzione di conflitti, la necessità di una terza parte, che volesse imporre le proprie disposizioni, in un qualsivoglia atto di mercato tra due individui che interagiscono, è superflua nonché nociva ad un sano accordo tra le parti a confronto.

La presenza di una qualche realtà "super partes" è sempre stata richiesta per sopire le divergenze che emergevano in caso di diatribe. L'organizzazione del mercato ha quindi trovato la soluzione alle necessità degli individui, e un governo è stata la risposta alle esigenze di una certa garanzia per assicurare l'adempimento completo degli scambi performati nell'ambiente di mercato. Si badi bene, l'esistenza di un governo non significa necessariamente l'esistenza di un ente coercitivo attivo; come diceva anche Albert Jay Nock:

L'origine del governo è la comprensione comune ed il comune accordo di una società; [...] [Il] Governo mette in pratica il comune desiderio della società, primo, per la libertà, e secondo, per la sicurezza. Non si spinge oltre; non contempla alcun intervento concreto sull'individuo, ma solo un intervento passivo. Il codice del governo dovrebbe essere quello del leggendario re Pausole, che prescrisse solo due leggi per i suoi sudditi, la prima, Non fare del male a nessun uomo, e la seconda, Poi fa come vuoi; e [...] l'unico interesse del governo dovrebbe essere quello di mettere in atto tale codice.

Al contrario, Nock diceva che lo stato:

non si originò dalla comune comprensione e dall'accordo in una società; si originò dalla conquista e dalla confisca. La sua intenzione, lontana dall'assicurare "libertà e sicurezza", non contemplava niente del genere. Contemplava principalmente lo sfruttamento economico continuo di una classe su un'altra e si preoccupava della libertà e della sicurezza in coerenza con questa intenzione. La sua funzione primaria non era incentrata su [...] interventi puramente passivi sull'individuo, ma su innumerevoli interventi concreti molto onerosi, tutti allo scopo di mantenere la stratificazione della società in una classe sfruttatrice e proprietaria ed un'altra dipendente e senza proprietà. L'ordine di interesse che viene riflesso non è sociale, ma puramente antisociale; e coloro che lo amministrano, giudicati dal comune senso dell'etica o perfino dal comune senso della legge applicata alle persone, sono indistinguibili da una classe professionista di criminali.

La volontarietà di dare origine ad una organizzazione sociale che si occupi solamente di garantire la continuità della proprietà privata e della risoluzione dei conflitti, di pende totalmente dalla spontaneità degli individui. Rispetto dei contratti e difesa dei diritti di proprietà contro atti di aggressione, sopperire a queste richieste rappresenta un imperativo categorico mediante il quale gli attori di mercato possono sfruttare al massimo le loro capacità umane al servizio degli altri. Significa riconciliare la libertà individuale con la libertà degli altri. Possiamo affermare, senza paura di essere smentiti, che è giusto. In questo modo la sicurezza e la possibilità di massimizzare i propri sforzi, conferiscono alla società un certo grado di benessere che è possibile sfruttare a proprio vantaggio. Nessuno soverchia l'altro, il reciproco vantaggio di soddisfare i desideri individuali permette agli individui di elevare la propria individualità ad un nuovo livello nel quale trovare nuova ispirazione e nuove necessità. E' questa catena di eventi che apre le porte al progresso, alla creatività, all'evoluzione sociale. L'imperativo ipotetico del bene individuale, seppur corroborato dalla ragion pratica e da considerazioni miopi di breve termine, viene abbandonato perché consapevoli di un maggiore benessere attraverso un'azione economica.

Sebbene queste "leggi" siano auto-evidenti, l'indole umana è imperfetta. Come abbiamo visto in precedenza, con l'esempio dell'omicidio, sappiamo come esso sia un'azione riprovevole. Eppure l'omicida non la considera tale. Per lui è un bene che una determinata persona sparisca e cessi di vivere, e quindi è ipoteticamente legittimato a compiere una tale azione. La ragion pratica che sta alla base di questo tipo di esperienza annebbia le considerazioni di lungo periodo legate a questo tipo di azione. Il caso dell'omicidio, come qualsiasi altra azione che vuole aggirare un imperativo categorico, porta con sé una serie di conseguenze che non rappresentano altro che il prezzo da pagare per un tale comportamento. La ragion pura (sapendo che uccidere è sbagliato) si viene a confrontare con la ragion pratica (uccidere è un "vantaggio" secondo l'ottica dell'assassino), facendo emergere la ragion pratica pura la quale riporta in carreggiata il corso degli eventi: applicazione di sanzioni. I costi/benefici non rappresentano altro che l'espressione "materiale" della ragion pratica pura e l'apoditticità degli imperativi categorici. Quindi tutte quelle misure prese nei confronti dell'omicida sono semplicemente un modo attraverso il quale possiamo toccare con mano le penalità a cui andiamo incontro se si tenta di aggirare gli imperativi categorici.[1]

Dopo questa breve digressione esplicativa, torniamo ora alla questione legata allo stato. Un'organizzazione governativa stabile e limitata come quella enunciata poco sopra, sarebbe quindi una situazione auspicabile, e per un certo periodo di tempo negli Stati Uniti è stata una realtà concreta.[2] Per quanto fosse limitato il ruolo del governo, gli individui sono invece spinti da pulsioni che vanno ben oltre la rigidità delle leggi cedendo alle lusinghe degli imperativi ipotetici i quali trasformano un'organizzazione da auspicabile a deplorevole. L'imperativo categorico degli incentivi è al lavoro, caratterizzando la vita degli individui in ogni loro azione. Quindi, nel caso di un governo limitato, ciò che è giusto viene sostituito da ciò che è bene, partorendo di conseguenza il cosiddetto "bene superiore" a cui fa appello lo stato per giustificare l'ampliamento della sua sfera d'azione. E' semplice ragion pratica: essendoci una scappatoia, perché non sfruttarla?

Arrivati a questo punto è doveroso tracciare, almeno per sommi capi, le origini dello stato moderno. Senza paura di essere smentiti, possiamo rintracciarne la nascita nell'Inghilterra del XVII secolo quando iniziò a farsi strada un nuovo modo di gestire gli affari.[3] I grandi proprietari terrieri dell'epoca iniziarono a dedicarsi progressivamente ad una miriade di attività, le quali richiedevano parecchio del loro tempo. Gli impegni ufficiali a cui dovevano prestare prestare presenza ne avrebbero risentito. Il loro stile di vita ne avrebbe risentito, quindi decisero di delegare ai propri avvocati il compito di attendere per loro a suddetti meeting. Sulla scia di questa pratica, nacque il cosiddetto power of attorney col quale una determinata persona delegava un proprio individuo fidato il quale ne gestiva proprietà e commerci. Sembrava all'apparenza un documento abbastanza innocuo, in cui determinati individui si servivano di certe figure professionali per gestire quella parte di vita che non riuscivano a gestire in prima persona. Seguendo le linee del vantaggio comparato di matrice ricardiana, gli uomini si specializzano in quei campi in cui le loro arti eccellono in maniera fulgida. Dividendosi, di conseguenza, i compiti essi riescono a sviluppare un modello di produzione in grado di sostenere e soddisfare i vari desideri espressi dagli attori economici in modo sempre più sofisticati.

Ma se è possibile creare una scappatoia, perché non sfruttarla? L'uomo viene incentivato a perseguire questa strada, andando dietro un ragionamento basato sulla ragion pratica. Questo significa che la pratica della rappresentanza utilizzata dai grandi proprietari terrieri, si trasformò in qualcos'altro all'alba della dittatura di Cromwell. Infatti, quando quest'ultimo sciolse il Rump Parliament per sostituirlo con il suo protettorato, impostò il nuovo assetto affinché il Parlamento si riunisse molto più spesso rispetto agli usi precedenti. Se prima i rappresentanti dei proprietari terrieri  si riunivano in nome dei propri rappresentati solo di rado e solo per problemi denunciati dai primi, con Cromwell questa pratica iniziò ad avere una frequenza costante arrivando ad avere rappresentanti per ogni villaggio presente sul suolo inglese. Un solo individuo rappresentava un'intera comunità per tutte le questioni presentate in Parlamento. Questa disposizione permise all'apparato statale di intevenire sempre più spesso in tutti quegli aspetti che riguardavano la vita degli individui, andando a intromettersi in tutte le loro attività che portavano avanti. La degenerazione di questa organizzazione sociale portò lo stato ad avere il controllo non solo degli affari economici dei singoli individui, ma anche della libertà dei loro corpi.

Oggi lo stato ci possiede. La nostra libertà viene negata dalla cosiddetta rappresentanza in Parlamento che può prendere decisioni riguardanti il nostro destino, senza considerare la nostra volontà. Lo scrutinio dei singoli individui viene calpestato dalla presunta onniscenza di coloro che siedono comodamente ai cosiddetti "posti di comando", i quali approvano o abrogano leggi senza avere rispetto alcuno per il pensiero ed i desideri di ogni individuo presente sul suolo amministrato. Come è possibile che una miniranza ristretta di individui possa asapere cosa voglia la maggioranza? Non può. Come detto prima, nessuno sa cosa pensate se non voi stessi. Sebbene sia stato aggirato l'imperativo categorico del diritto al proprio corpo, esso non è stato abolito. Certo, i pianificatori centrali possono anche dire cosa dovreste fare, ma ogunno di noi in pieno possesso del proprio corpo decide liberamente cosa fare davvero. L'ipoteticità del ragionamento statalista, viene annientata dalla libertà individuale insita indissolubilmente nel nostro essere.

Con essa noi esprimiamo le nostre necessità reali, con essa comunichiamo coi nostri pari ed indirizziamo le informazioni economiche affinché vadano a segnalare l'urgenza di determinati eventi. Sebbene l'apparato statalo possa costringere gli individui a conformarsi con le sue necessità, adottando un ragionamento pratico nell'atto, esso non può scappare dalla categoricità della libertà umana. La società si spaccherà in due formando una corsia ufficiale ed una ufficiosa. Più si faranno distanti queste vie, più probabilità ci sarà che la ragion pratica soccomba a favore della ragion pura. Infatti, l'apprato statale ragiona secondo quella linea presumibilmente logica seconda la quale sotttrarre risorse all'economia possa guidare la società verso la prosperità. Ovvero, una ristretta cerchia di persone può riuscire ad indirizzare le sorti di un grande bacino di persone. Ciò sarebbe possibile se fossimo automi, ma non lo siamo. Solo ognuno di noi sa cosa vuole, e in quanto tale rappresenta col resto degli altri quelle forze di mercato che vanno ad erodere costantemente ed inesorabilmente i piani ben congeniati dei pianificatori centrali. La volubilità della nostra volontà è l'acido che corrode qualsiasi tentativo di limitare le azioni propositive degli individui.

Queste ultime, infatti, non sono altro che l'estensione della volontà umana nel mondo reale. Esse sono indirizzate principalmente a trasferire un pezzo del proprio essere a qualcosa al di fuori del nostro corpo. Sebbene Kant sostenesse come ognuno di noi non sia proprietario di qualcosa fino a quando non ha ottenuto il consenso del resto della razza umana[4], sono incline a concludere che la visione Lockeana del possesso sia più in linea con l'acquietamento dell'indole umana che può tendere a ragionare sfruttando la ragion pratica e gli imperativi ipotetici. Il diritto al possesso di quegli elementi a cui ha esteso la sua volontà, ovvero, a cui ha mescolato tempo e sforzo, permettono agli individui di godere appieno del lavoro che hanno profuso per trasformare un bene precedentemente non posseduto in uno di loro proprietà. In questo modo possono garantire alla propria esistenza una certa sicurezza futura senza ricorrere al furto o alla sussistenza giornaliera. Aumentando il proprio grado di soddisfazione, l'uomo cerca di solidificare lo status raggiunto in quel preciso istante passando successivamente a migliorarlo ulteriormente. In questo modo aumenta la propria specializzazione, forte del fatto che può contare su una base di beni sempre disponibili che possono soddisfare le sue esigenze basilari.

L'imprescindibilità di questa catena permette agli attori economici di formare una società complessa, la quale attraverso la divisione del lavoro si sforza per migliorare la propria condizione e attraverso ciò migliora anche quella dei propri compagni grazie al livello di sofisticazione nei prodotti offerti. Quindi, come abbiamo scoperto finora, l'uomo è nato libero e può estendere la sua libertà nel mondo circostante attraverso l'azione propositiva. Nel caso in cui si relazione con una proprietà o bene in precedenza non posseduto egli trasferisce la sua libertà incondizionatamente a quel bene. Ogni sua azione nei suoi confronti è sinonimo di libertà. Estendendovi la sua volontà è come se diventasse parte di lui. Il modo in cui può essere trasferita, di conseguenza, è mediante lo scambio. Ovvero, se qualcun altro volesse estendervi la propria volontà o libertà dovrebbe stipulare un accordo con colui che ne detiene i diritti. La separazione contro volontà di un individuo dal suo diritto a possedere quegli elementi a cui ha esteso la sua volontà senza ledere quella altrui, comporta una serie di sanzioni negative che si espanderanno a macchia d'olio all'interno della società man mano che questa ingiustizia andrà avanti. L'imperativo ipotetico del benessere temporaneo di coloro che vogliono godere di determinati beni senza sforzo alcuno, li trae in inganno sull'effettiva continuità di una situazione simile. In questo caso non solo si lede il diritto dell'individuo a godere della propria opera creata con tanto sudore, ma soprattutto si viene a negare la sua libertà.

Scrisse Frank Chodorov in The Rise and Fall of Society:

Se i ladri minacciano i suoi [del produttore, nda] possedimenti [egli] dovrà mettere in conto un'ulteriore spesa non redditizia, perché dovrà dedicare più energie alla difesa e meno alla produzione. Analogamente, quella parte del suo salario a cui deve rinunciare affinché possa sopravvivere, dandola ad esempio ad esattori delle tasse o a chiunque altro abbia una pretesa sulla sua produzione, non è più la sua; dal momento che non ce l'ha, non può investirla in soddisfazioni. [...]

Questa legge della proprietà è operativa anche se la proprietà scambiabile viene offerta da persone che ne hanno acquisito il possesso mediante il furto, l'imbroglio, o il regalo. Finché hanno la proprietà immeritata a loro disposizione, la produzione andrà avanti. Tuttavia tali persone non portano sul mercato un sostituto per i beni che prendono, si limitano a scambiare quello che il produttore avrebbe scambiato, quindi il processo produttivo viene rallentato dalla quantità del loro consumo. Solo la produzione genera produzione; il semplice consumo, o la spesa, non stimola la produzione. Le persone non producono per denaro, ma per le cose che il denaro permetterà loro di acquistare. Se la spesa da sola potesse mantenere attivo il mercato, allora una Società composta da ladri dissoluti sarebbe più ricca di una costituita esclusivamente da produttori. L'idea dell'opulenza attraverso la dissolutezza presuppone che il consumo sia il carburante che alimenta il vapore della caldaia e che debba essere regolato con metodi coercitivi; ma il consumo si prenderà cura di se stesso, se il processo produttivo non verrà interrotto da una qualsiasi violazione del diritto morale sulla proprietà.

Scrive Bill Bonner:

[...] Se un'assemblea nazionale potesse rendere ricche le persone approvando leggi, saremmo tutti miliardari, perché le assemblee hanno approvato una moltitudine di leggi e sembrano in grado di emanare qualsiasi atto legislativo proposto loro. Se le leggi potessero rendere ricche le persone, sarebbero spuntati da qualche parte gli editti magici — semplicemente per caso.

Ma invece di renderle più ricche, ogni legge le rende un po' più povere. Ogni volta vengono utilizzati i mezzi politici per interferire con la sfera privata (la quale permette alle persone di ottenere ciò che vogliono).

Un uomo produce scarpe. Un altro coltiva patate. Il coltivatore di patate va dal calzolaio per comprare un paio di scarpe. Deve scambiare due sacchi di patate per un paio di mocassini.

Ma poi si presentano i ficcanaso e gli dicono che deve chiedere tre sacchi... in modo che possa pagarne uno in "tasse" per i ficcanaso stessi. E poi deve montare un sistema di allarme nel suo negozio, acquistare un elmetto, pagare il salario minimo al suo aiutante e compilare i moduli per tutti i tipi di scopi lodevoli. Quando il coltivatore di patate si presenterà finalmente dal ciabattino, scoprirà che le scarpe costeranno sette sacchi di patate!

Questo è proprio quello che deve far pagare per avere i due sacchi di prima. "No, grazie," dice l'uomo delle patate, "A questo prezzo non posso permettermi un paio di scarpe."

Data l'evoluzione del sistema statale qui descritta, e dato l'impianto teorico-filosofico qui descritto, ritenete ancora "giusto" pagare le tasse? Ritenete ancora "giusto" permettere ad una siffatta organizzazione di finanziarsi attraverso un qualunque altro modo di finanziamento? Può essere un "bene", secondo le linee di pensiero finora descritte, ma solo per alcuni. L'imperativo ipotetico a cui strizza l'occhio l'impianto teorico a supporto dello stato, è destinato a perire sotto i colpi dell'imperativo categorico delle forze di mercato le quali condanneranno inesorabilmente quelle categorie di pensiero facenti riferimento alla ragion pratica. E lo stato non è altro che un assemblamento di concetti relativi a questo tipo di ragionare, non tenendo conto, o aggirando in un modo o nell'altro, quelle leggi incancellabili. Perché, come si è dimostrato, gli imperativi categorici sono delle verità apodittiche e nonostante possano essere aggirati, "lavoreranno" per riportare in equilibrio e quindi riconciliare la ragion pratica con la ragion pura.

Il sostegno, intellettuale o materiale, dell'apparato statale è un sotterfugio per mantenere in piedi un colosso che fa della sua grandezza pachidermica il solo spauracchio contro l'inossidabile potenza corrosiva della ragione umana.


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Note

[1] Oltre alle penalità inflitte dal sistema giudiziario esistono altri tipi di penalità per la società. Rimuovere dalla società un elemento rappresenta un duro colpo, sia dal punto di vista produttivo sia dal punto di vista affettivo. Quindi i modi in cui si possono manifestare queste penalità, qualora l'assassino malauguratamente non dovesse essere punito, sono molteplici. Tale ragionamento vale per qualsiasi tipo di reato. Anche il ladro può pensare di poter rubare per sempre. Ma una volta che tale pratica va a sfilacciare irrimediabilmente il tessuto produttivo di una società, come possono i ladri continuare a rubare? Anche se si astenessero quel tanto che basta da permettere una vita decente al resto dei depredati, cosa impedirebbe alla società di vivere al limite della sussistenza costringendola ad un lento ed inesorabile declino economico? Erodere la produzione, o eroderla più lentamente, non ne stimola la generazione di altra.

[2] Si veda Robert Higgs, The Transformation of the American Economy 1865-1914, Ludwig von Mises Institute 2011 Edition.

[3] L'evoluzione dell'apparato statale è vecchia di migliaia di anni, alternando le sue forme nel corso della storia dell'uomo. A questo proposito si veda il saggio di Franz Oppenheimer, La genesi dello stato.

[4] Nella Metafisica dei Costumi Kant comprende come un tale assetto sia alquanto improbabile (tanto per essere ottimisti) da raggiungere, quindi suggerisce che l'individuo può "prendere in prestito" tutte quelle proprietà precedentemente senza proprietario mentre cerca di ottenere l'approvazione del resto degli altri.

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16 commenti:

  1. Che bello esser sbarcato qui!

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    1. E quanti doni preziosi.

      Purtroppo l'esperienza storica dimostra che la deresponsabilizzazione, la rinuncia alla propria individualita', rappresenta un incentivo molto potente per la nostra specie. Lo vediamo nella ripetizione compulsiva degli errori. Diabolica.
      Forse fa parte di un lunghissimo conflitto evolutivo insito nella imperfezione della nostra specie. Un conflitto che ha fasi alterne ma non si e' ancora risolto.
      Storia, geografia, cultura nel senso piu vasto e forse dna si mescolano nel plasmare realta' diverse.
      E' davvero un problema quando yi rendi conto di trovarti per caso dalla parte sbagliata, dove non condividi altro che le forme della convivenza per convenienza e non puoi spostarti altrove. Capita allora di rassegnarsi alla cooperazione minima. A negarsi allo scambio fasullo e disonesto. Ad attendere l'improbabile, consapevole dell'inevitabile.
      Ma questa e' vita?

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  2. Avendo un pezzo di terra su cui c'è una casa, è possibile SECEDERE da questo stato, dichiarandosi una libera repubblica indipendente? Non ci sono gli estremi di legge? in fondo io ho servito nell'esercito, ho giurato fedeltà fino alla morte, c'erano dei confini, una moneta mentre ora tutto è cambiato.
    Ho scoperto che ogni Governo è registrato presso la S.E.C. (US Securities and Exchange Commission) all’interno del suo relativo Database identificato con l’acronimo Edgar. Ed ogni documento di bilancio, ogni determinazione fiscale ogni cartolarizzazione di beni mobili ed immobili, l’elenco completo delle industrie strategiche, gli istituti finanziari, le banche nazionali e le emissioni/cessioni di titoli dello Stato vengono regolarmente inserite in carta intestata, recante lo “stellone” della Repubblica Italiana, a firma dei più alti titolari di Stato e titolari di dicasteri. E La Corporation così costituita, nel pieno rispetto delle regole della S.E.C. riporta nell’intestazione due riferimenti:
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    • SIC: 8888 - FOREIGN GOVERNMENTS
    State location: L6 | Fiscal Year End: 1231
    (Assistant Director Office: 99)
    File Number: 033-66360

    Allora io mi chiedo perché non possiamo Secedere da questa Spa che ci ingoia e distrugge generazioni di lavoro e risparmi. Siamo sicuri che hanno fatto tutto secondo legge? o ci potrebbe essere qualche motivazione con cui buttare all'aria tutti i loro piani di schiavitù?
    Luciano B

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    1. Ciao Luciano e grazie per le info.

      A gdb chiedo (gratis): se esiste, come si chiama un contratto privo di clausole rescissorie?
      Grazie!
      :)

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    2. domanda poco chiara. la "rescissione" è tecnicamente una ragione di invalidità del contratto per anomalie genetiche. la legge la prevede per "lesione" o per contratto "concluso in stato di pericolo". la risoluzione riguarda anomali funzionali (es. l inadempimento). poi ci sta il "recesso", forse ti riferisci a questo? il recesso è sempre previsto per i contratti di durata indeterminata.

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    3. Hai ragione. Volevo dire recesso. La clausola rescissoria e' la multa per i calciatori che se ne vanno prima del termine contrattuale.
      Recesso dal contratto sociale?
      E l'apolidia non dovrebbe essere lo status ideale per gli anarchici?
      Grazie gdb.

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    4. Sì. Proprio quello. E pensavo al contratto sociale.
      E poi l'apolidia non dovrebbe essere la condizione anarchica per antonomasia?
      Grazie ancora. ;)

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    5. è perché sapevo dove andavi a parare. non esiste nessun "contratto sociale". si, io vorrei tanto il passaporto di apolide!

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  3. Perdonate la mia assenza in questi giorni, ma ho avuto seri problemi con la linea internet. Spero di averli risolti.

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    1. L'NSA e la Fed ormai ti stanno col fiato sul collo... Per ora ti sabotano la linea...
      :D

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    2. Posso ritenermi onorato, il pulsante per disconnettermi è vicino a quello per lanciare il prossimo QE. :)

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  4. questa storia dello sviluppo parlamentare durante cromwell, ne avevamo parlato. va approfondita...

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    1. Ciao gdb.

      Gli sviluppi legati al power of attorney sono più connessi all'evoluzione della rappresentanza in Parlamento piuttosto che allo stato in sé. Tale istituzione, poiché già esistente, non ha fatto altro che reinventarsi, per così dire. Infatti come ogni rivoluzione ha reso chiaro, non c'è alcun cambiamento di paradigma all'interno della società in seguito ad una rivolta. Ciò che cambia è solo il modo e il nome del gruppo che parassita coercitivamente il resto della popolazione. La rivoluzioen di Cromwell, nel nostro caso, non fa eccezione. Il power of attorney venne sfruttato proprio per far credere alla popolazione che da quel momento in poi anch'essa avrebbe avuto in Parlamento qualcuno che la "rappresentasse". Così come i grandi proprietari terrieri, anche la gente comune avrebbe contato qualcosa, era questa l'essenza della propaganda con cui i "rivoluzionari" vendettero il loro prodotto.

      Un escamotage attraverso il quale delegare a qualcun altro le proprie volontà senza che chicchessia fosse stato interpellato. L'evoluzione di questa pratica ha portato alla situazione odierna, in cui i nostri "rappresentati" hanno carta bianca su tutto. Ma questo non è altro che l'essenza di ogni rivoluzione, la quale fonda la propria linfa vitale sulla centralizzazione del potere (diversamente dalla secessione, che invece è fondamentalmente decentrante).

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    2. E' vero.
      La rivoluzione americana fu in effetti una guerra di indipendenza. Mentre quella francese e quella russa furono vere rivolte di sostituzione al potere centrale. Ma Edmund Burke lo spiego' bene da subito.

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  5. La verita' sta nel Logos.
    Ed infatti l'etimologia aiuta a capire il significato.
    Così la domanda aggregata dei keynesiani altro non e' che la domanda del gregge. Etimologicamente parlando i keynesiani ci trattano come un gregge.

    Poi.
    Dagli anni 50/60 la Chiesa di Roma ha compreso che stava rischiando di perdere il gregge sempre piu affascinato dalle speranze statosocialiste. Cosi, tra concili ed aperture varie, siamo arrivati al pontefice attuale che punta alla riconquista del gregge puntando sui temi sociali e prendendo a confronto il marxismo.
    Ma l'aspirazione e' sempre il controllo del gregge.

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