Indietro non si torna -- A fine anno i generali chiedono il dato dell’imposta evasa constatata e lo confrontano con quello dell’anno prima. Il risultato non può essere inferiore a quello di 12 mesi prima. Se il dato scende bisogna dar conto al reparto centrale di Roma del perché si siano recuperati meno soldi e il comandante del reparto periferico rischia di vedersi bloccare la carriera. Per questo le nostre verifiche proseguono anche di fronte a evidenti illogicità. I nostri ufficiali parlano solo di numeri e quando hanno sentore di un risultato, magari per una previsione affrettata di un ispettore, corrono dai loro superiori anticipando che da quella verifica potrà venir fuori un certo risultato: a quel punto non si può più tornare indietro. Il verbale diventa subito una statistica, una voce acquisita e ufficiale di reddito non dichiarato. Quando si prospetta un ventaglio di possibilità per risolvere una contestazione si concentrano le energie sempre su quella che porta il risultato più alto. Che sarebbe poco grave se fosse la strada giusta. Ma spesso non lo è. Per la Finanza quello che conta è il dio numero. Il nostro unico problema è come tirarlo fuori.»
~ Confessioni di un finanziere: "Incasso tangenti per lo Stato", Libero, 27 aprile 2014.
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di James E. Miller
L'aforisma di Mark Twain, "ci sono le bugie, le dannate bugie, e le statistiche", ha il privilegio di essere usato molto spesso e mai abbastanza. Tale detto viene sfoderato quando si ha a che fare con persone che sono troppo ottuse per capire cosa succede oltre il loro naso. Sono quelli che fingono scetticismo, ma accettano avidamente qualunque evidenza empirica a sostegno del loro dogma.
Questi criminali contro l'intelletto sono in larga parte statistici, vale a dire gli economisti. Passano le loro giornate in attesa di avventarsi sui loro detrattori, non appena entrano in possesso di qualche dato che giustifica il loro collettivismo. La disoccupazione si è spostata lentamente in su? C'è bisogno di maggiori stimoli statali! La disoccupazione scende leggermente? Grazie al cielo Washington sta spendendo così tanti soldi da dare un posto di lavoro alle persone!
Il punto è che ogni dato può essere preso ed infilato in un discorso in modo da soddisfare un particolare percorso politico. Le statistiche del governo spesso forniscono un pot-pourri di finzioni facilmente modellabili. E poiché i fatti e le cifre provengono direttamente dalla bocca dello stato, sono spesso considerati come vangelo. Chi la pensa diversamente – che i burocrati potrebbero avere i propri motivi per falsificare le informazioni – è considerato come uno sciocco che gira con la carta stagnola in testa.
L'eccezione si ha quando un qualche funzionario pubblico canaglia viene colto a falsificare le statistiche per scopi politici.
Il New York Post, un giornale non proprio noto per il suo orgoglio nel dare notizie accurate, ha riportato di recente la storia di come il Census Bureau sapesse della manipolazione del rapporto sull'occupazione avvenuta durante la corsa alle elezioni del 2012. Pochi mesi prima che l'America confermasse Obama allo Studio Ovale, il tasso di disoccupazione nazionale scese dall'8.1% al 7.8%. Non rappresentava una diminuzione significativa, ma i mezzobusti l'hanno fatta passare come tale. Il NyPo – che si basa su una "fonte affidabile" ma sconosciuta – sostiene che la cifra è stata intenzionalmente falsificata.
Inutile dire che affermazioni basate su un'origine anonima non sono le più credibili delle fonti. Anche l'uomo della strada si guarda bene dal credere a fonti anonime. Vuole delle prove a sostegno, e non solo il sentito dire.
Il report del NyPo potrebbe essere tutto fumo e niente arrosto, ma non è lontano dal regno delle possibilità. I lavoratori nel settore pubblico hanno tutto l'interesse a mantenere i loro posti di lavoro. Nel 2010 Julius Buckmon, dipendente del Census Department, è stato licenziato per aver falsificato alcuni risultati. Sostiene di averlo fatto perché arrivarono ordini dall'alto.
Inoltre, il metodo ufficiale che usa lo stato per misurare la disoccupazione è già abbastanza opaco. I lavoratori presso il Bureau of Labor Statistics chiamano le famiglie e si informano sulle condizioni di lavoro degli abitanti. Non attaccano gli intervistati ad una macchina della verità. Il tutto si basa sull'affidabilità dell'imbranato comune. E anche quando i dati vengono raccolti, i media utilizzano la misura meno rigorosa sulla disoccupazione, nota come U3, per i titoli dei loro articoli. Tale misura non tiene conto dei lavoratori scoraggiati, i quali sono gettati nello scaglione U6 insieme ai lavoratori part-time in cerca di un lavoro a tempo pieno. Così il biochimico che lava i piatti nel ristorante locale, mentre ogni mattina visiona gli annunci in cerca di una nuova posizione, viene lasciato fuori. Fin dall'inizio della depressione America cinque anni fa, il tasso di disoccupazione U6 non è riuscito a scendere sotto le due cifre. Ma evidenziando solo i numeri da "prima pagina", il presidente ed i suoi burocrati buttano una luce su un quadro altrimenti buio.
La manipolazione dei dati da parte del governo non è una novità. Per decenni Stalin trasse in inganno gli economisti occidentali con rapporti errati sulla crescita economica nel suo paradiso comunista. Nel 1989 Paul Samuelson, senza dubbio il più influente economista accademico della fine del XX secolo, scrisse nel suo famoso libro: "l'economia sovietica è la prova che, contrariamente a quanto molti scettici avevano creduto in precedenza, l'economia socialista può funzionare e persino prosperare". Due anni dopo, l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche si è disintegrata. Non è mai stato pubblicato nessun mea culpa.
Nonostante le carenze filosofiche dell'empirismo, la società considera i dati come un feticcio. La ragione è semplice: i numeri e le statistiche non solo ci sollevano dal dover proporre argomentazioni coerenti, rendono più facile non pensare.
Questo è il problema con lo scientismo radicale e l'empirismo in generale: l'idea che la logica non sia necessaria per interpretare le informazioni e comprendere appieno il mondo circostante. Le statistiche e le cifre sono modellabili. Possono essere utilizzate per supportare il laissez faire, lo statalismo, l'interventismo, o qualsiasi altro "-ismo" che vi viene in mente.
I dati sono inutili senza una solida teoria per interpretarli. Altrimenti può anche trattarsi di un foglio con numeri a caso. Eppure i positivisti empirici sono pronti a respingere l'idea che le cose possono essere dimostrate senza prove osservabili. Come si chiese Murray Rothbard nel suo saggio “In Defense of Extreme Apriorism”:
Qual è stata finora la "prova" vantata degli empiristi, se non una proposizione oscura in bella vista?
Un approccio fatto solo di prove empiriche è destinato a morire sul manto della metodologia popolare. Qualunque cosa possono mostrare i dati, può essere facilmente spiegata con vuote pontificazioni ed ipotesi controfattuali. Gli aderenti allo scientismo vengono lasciati balbettanti nella loro logica incoerente. In sostanza, nessuna conferma fattuale convincerà i veri credenti nell'empirismo positivo. Parlano bene della verifica sensoriale, ma non hanno una scusa per il loro canone.
Non è paranoico affermare che i burocrati del governo distorcerebbero i numeri per assicurarsi che il loro cavaliere in armatura scintillante resti alla Casa Bianca. Nonostante quello che vorrebbero farci credere Nancy Pelosi, Paul Krugman e il consiglio editoriale del New York Times, i dipendenti pubblici non sono boy scout con distintivi di merito. Sono altrettanto egoisti e conniventi come i trader di Wall Street.
Questa è la lezione più importante da ricordare: i politici ed i loro scagnozzi pagati indebitamente mentono. Vi venderanno un macinino, non rispetteranno i patti, sguinzaglieranno le banche contro di voi e quindi richiederanno la vostra fedeltà eterna. Tutto quello che dicono deve essere preso con le pinze, compresi i rapporti mensili.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
Si dovrebbe discutere se il problema sia l'empirismo in se stesso. Perche io sono un empirista scettico e mi tutelo dalla presunzione di sapere e capire tutto con la consapevolezza che a diventare uno stronzo basta pochissimo.
RispondiEliminaIl problema non sono neppure i dati. Ma l'interpretazione degli stessi. Il problema e' il razionalismo applicato a dati tratti da imprevedibili azioni individuali. Il problema non e' la realta' ma l'osservatore. Principio di non mi ricordo che dice che un qualsiasi fenomeno cambia non appena viene osservato. Principio di indeterminazione di Heisemberg mi pare.
Pertanto contesto la supremazia della ragione sulla realta'. Abbiamo il mondo come dovrebbe essere invece del mondo come e'. Costruttivismo massonico al posto della semplice constatazione che non sappiamo e non dobbiamo pretendere di dominare gli altri.
Come sempre comprensione e disincanto per i sottoposti inconsapevoli. Disprezzo totale per tromboni e prevaricatori.
Ciao Dna.
EliminaCredo che il modo "più semplice" per tracciare una linea tra un empirismo scettico (come lo chiami anche tu) e l'empirismo convenzionale sia quello di anteporre la logica ai dati. Tanto per fare un esempio recente, basta riportare alla mente il mio commento di qualche giorno fa su MPS. Il ragionamento deduttivo in base al quale ho assemblato il mio articolo verteva fondamentalmente su una serie di assiomi apodittici che la scuola austriaca mette a disposizione nella sua struttura di pensiero. Poi, invece, c'è stato chi ultimamnente s'è preso la briga di dimostrare attraverso i numeri come l'attuale aumento di capitale di MPS sia un escamotage per tenere in piedi una banca al capolinea.
Se ci fossero stati solo i numeri, perché ognuna delle parti avrebbe potuto rivendicare per sé la ragione di un visione della realtà corretta. In questo caso, mi sembra che il fenomeno "lowflation" sia calzante a quanto detto.
perché quasi tutti sono ideologizzati, e se ne trovano anche tra e liberisti o libertari (leggo cose repellenti in alcuni siti. meno male mai qui :) ), e perché solo in pochi conoscono e capiscono le cose e comprendono la complessità :( ? la prima liberta è quella da sé stessi (ribadisco). per essere libero devi andare litre te, i tuoi limnit, il tuo pensiero, i tuoi condizionamenti. è possibile? si, in parte. è un cammino, non un arrivo. noi siamo anche i nostri pensieri ed i nostri condizionamenti. senza non avremmo storia, non esisteremmo. ma se ne restiamo intrappolati non avanziamo. nessun problema ad avere un sistema per una visione, non si vede senza occhi. ma andare oltre il nostro sguardo attuale è sempre avanzare verso più liberta.
RispondiEliminaSe trovate un momento ed un po' di frescura, leggetevi questo:
RispondiEliminahttp://www.filosofico.net/inattuale/heisenberg.htm
Pensate quanto e' arretrata la mentalita' dirigista.
Gdb concordo. Siamo in viaggio ed il viaggio conta piu dell'arrivo. E poi il nostro comune inevitabile arrivo e' una conclusione non un porto.
non ho tempo, ma l ho messo da parte. in breve? sono andato alla conclusine, e quello che si evince, men non poteva essere altrimenti, è il ripudio della casalinga lineare (in filosofia ermeneutica è il concetto di circolo ermeneutico di gadamer), ma non di per sé ovviamente il ripudio della possibilità di conoscenza scientifica. che oggi passano attraverso le scienze del caos. per questo più volte ho detto che keynes avrà ragione se saremo padroni del bosone di higgs. allora, cosa possiamo conoscere? tutto no, ma dobbiamo rinunciare a conoscere anche "qualcosa"? cosa pesiamo sapere? dobbiamo rinunciare? (ps il che comunque vuol dire umiltà, non arroganza. e non fare esperimenti sulle persone viste come aggregati ed usate come cavie)
RispondiEliminaPiu o meno quello.
EliminaLa cultura del dubbio e' l'empirismo scettico dei liberali. La diffidenza verso tutti i poteri. E pure la consapevolezza dei propri limiti e di dover poter provare a superarli.