«[...] I salari reali, che tengono in considerazione l'inflazione dei prezzi, sono diminuiti dell'1.9% a febbraio, un calo continuo da otto mesi a questa parte.
Il primo ministro Shinzo Abe e la sua amministrazione hanno pressato pubblicamente le aziende affinché aumentassero i salari, poiché questo viene considerato un fattore cruciale a completamento dell'enorme stimolo monetario e fiscale designato a tirare fuori l'economia dalla deflazione.»
-- Japan February wages steady, winter bonuses up for the first time in five years, Reuters, 1 aprile 2014.
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da Zerohedge
Nei 16 mesi in cui il primo ministro giapponese Shinzo Abe ha lanciato il suo piano audace per contrastare la contrazione dell'economia giapponese, lo yen si è deprezzato del 22% nei confronti del dollaro, il 28% nei confronti dell'euro e il 24% nei confronti del renminbi. La speranza era quella di stimolare il commercio. Tuttavia, si è verificato l'opposto. La posizione estera del Giappone è peggiorata a causa della crescita anemica delle esportazioni e della crescita dei costi delle importazioni: a gennaio ha fatto registrare un record nel deficit commerciale mensile di ¥2.8 bilioni ($27.4 miliardi). Dopo aver avuto un avanzo delle partite correnti dello 0.7% nel 2013, il Giappone quest'anno potrebbe finire in deficit per la prima volta sin dal 1980. Allora perché la cura non funziona?
La risposta standard ruota attorno a problemi di tempistica: di solito il cosiddetto effetto J-curve implica che la spinta alle esportazioni, dopo una svalutazione della moneta, ritardi l'aumento del valore delle importazioni di circa 12-18 mesi. Inoltre, i consumatori potrebbero acquistare beni in vista degli aumenti fiscali di aprile, facendo temporaneamente levitare le importazioni. Da un punto di vista più strutturale, vi è anche il sospetto che le esportazioni non stiano beneficiando di uno yen più economico, in parte perché la produzione è stata spinta per la maggior parte all'estero.
Tutto cio' puo' anche essere vero, ma c'è di più oltre ai dati del commercio. Dopo tutto, una grande svalutazione ha un effetto di rimbalzo nell'economia più ampia, andando a cambiare le prospettive di produttori, consumatori, governo e finanziatori. Il meccanismo di trasmissione può essere pensato nel modo seguente: i consumatori vengono immediatamente colpiti da una "tassa" implicita poiché le merci importate costano di più, mentre le aziende orientate all'esportazione ottenengono un sussidio. Nei mercati dei capitali, l'effetto è quello di ridurre il valore delle obbligazioni nazionali in termini di valuta estera, con il risultato di un aumento dei rendimenti. Ciò significa che aumenta il costo di finanziare il proprio deficit, forzando una riduzione della spesa pubblica. Come risultato, le risorse vengono spostate dalle famiglie e dal governo al settore aziendale. L'effetto di questa riallocazione delle risorse dovrebbe essere quello di aumentare la produttività, che a sua volta dovrebbe avviare un circolo virtuoso di aumento dei redditi e dei consumi.
Purtroppo il Giappone sfugge a questo paradigma, perché oltre alla svalutazione è anche impegnato in un massiccio quantitative easing. Ciò mantiene bassi i rendimenti obbligazionari, consentendo al governo di finanziare il proprio deficit a costi esigui. Non vi è dunque alcun incentivo affinché il governo tagli le spese — e in effetti l'aumento delle tasse sul consumo verranno compensate da una spesa più elevata. Inoltre, i rendimenti obbligazionari bassi sopprimono i proventi finanziari dei risparmiatori interni.
Il risultato finale è che l'aggiustamento economico finisce per pesare esclusivamente sulle spalle delle famiglie, attraverso importazioni più costose e minori proventi finanziari. Con la diminuzione del potere di spesa delle famiglie, le aziende non hanno alcun incentivo ad investire nella produzione interna. Invece, tutto il loro investimento verrà orientato alle esportazioni — mercantilismo sotto steroidi.
Una politica mercantilista puo' sembrare una panacea in periodi in cui la forte crescita globale permette alle esportazioni in eccesso di essere assorbite senza cadute di prezzo rovinose. Tra il 2001 e il 2006 lo yen è stato svalutato di quasi il 40% e le partite correnti del Giappone sono migliorate nettamente. Il Giappone poteva non aver riacquistato la sua competitività a livello mondiale (la sua quota mondiale di esportazioni è scesa di 1.5 punti percentuali), ma le forti condizioni esterne avevano permesso alle esportazioni di crescere del 9% l'anno in termini di dollari.
Oggi, gli esportatori giapponesi non affrontano tali condizioni benigne e il successo di una spinta mercantilista può verificarsi solo mangiando le quote dei rivali.
Poiché tutte le principali economie attuano politiche che sostengono la produzione piuttosto che il consumo, il mondo sta producendo più beni di quanti ne possa assorbire. Il risultato è il calo dei prezzi, che ha l'effetto di differire al massimo la ripresa globale.
Ciò significa che l'ultra-mercantilismo del Giappone è controproducente. In un contesto globale di domanda debole e disinflazione, qualsiasi aumento del volume delle sue esportazioni dovrà essere pagato tramite riduzioni di prezzo. Nel breve termine è probabile che la bilancia commerciale possa migliorare un po', come conseguenza dell'effetto J-curve. Ma nel lungo periodo il Giappone incontrerà difficoltà crescenti che lo faranno crollare.
C'è una speranza che tutto questo possa ancora finire bene. Il Giappone potrebbe abbracciare un programma di riforma strutturale che aumenti la produttività, aumenta i salari e spinga verso l'alto la domanda interna. In alternativa, potrebbe riapparire la crescita mondiale andando a creare una replica del 2001-06. I prezzi dell'energia potrebbero scendere, permettendo una fine del deficit commerciale del Giappone e la riduzione degli incentivi per la politica mercantilista. Ma non ci aspettiamo nessuna di queste possibilità.
Molto probabilmente il percorso del Giappone sarà quello in cui lo yen verrà svalutato ulteriormente, la BoJ continuerà a stampare denaro e il valore in dollari delle esportazioni resterà stazionario, mentre la svalutazione e i tagli di prezzo compenseranno eventuali aumenti di volume. E così, paradossalmente, le partite correnti continueranno a deteriorarsi in un deficit permanente, nonostante l'ultra-mercantilismo. A questo punto il gioco dovrà cambiare e l'Abenomics avrà manifestamente fallito nel raggiungere i suoi obiettivi.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
Bibliografia
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mercoledì 30 aprile 2014
martedì 29 aprile 2014
La tossicodipendenza dell'Inghilterra: cinque anni di bassi tassi di interesse
Il tasso di interesse è uno dei segnali di mercato più fondamentali che ci siano. Esso è cruciale soprattutto nell'allocazione del capitale, ma questo concetto sfugge alle scuole d'economia mainstream come quella keynesiana e di Chicago. Solo la scuola austriaca propone ai suoi studenti una teoria del capitale che, diversamente dagli approcci delle suddette scuole che tendono a vedere il mondo attraverso aggergati, divide la struttura del capitale in diversi "ordini" di beni in base alla loro distanza dal consumo. Per chiarirvi le idee, vi consiglio di osservare il cosidetto "triangolo hayekiano." Un calo nei consumi ed un aumento dei risparmi, diminuisce la pendenza dell'ipotenusa (ovvero, il tasso di interesse). Ciò intensifica gli investimenti negli stadi iniziali della produzione, favorendo il consumo futuro rispetto a quello presente. Allo scoppio di una bolla, la pendenza dell'ipotenusa aumenta perché aumenta il tasso di interesse re-indirizzando le risorse scarse verso quegli stadi della produzione più vicini al consumo. In questo processo, pero', si è inserita la banca cetrale con la politica monetaria allentata e lo stato con la sua politica fiscale. Entrambi hanno deformato il triangolo hayekiano impedendo al meccanismo dei prezzi di allocare le risorse scarse in accordo con i desideri degli attori di mercato. Questo è il risultato. Gli investimenti improduttivi che scaturiranno da questa deformazione distruggeranno capitale e diminuiranno la ricchezza delle nazioni. E' una spirale autodistruttiva prché le popolazioni saranno sempre meno in grado di risparmiare, investire, produrre e consumare.
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di Douglas Carswell
Cinque anni fa, la Banca d'Inghilterra ha tagliato i tassi di interesse al minimo storico: 0.5%. E lì sono rimasti.
Se i tassi sono stati tenuti così per cinque anni, significa che i nostri banchieri centrali li hanno tagliati per molto tempo. È necessario tornare indietro di quasi nove anni per trovare un periodo in cui i tassi di interesse reali sono aumentati. Quasi un milione di titolari di mutui ipotecari non ha mai conosciuto un aumento dei tassi.
E tutto questo è una Cosa Buona, secondo l' ortodossia a SW1. Certo, i tassi bassi potrebbero danneggiare i risparmiatori (che non vedono premiati i loro sforzi con buoni rendiementi), ma per proprietari di immobili ed imprese è una benedizione.
Non basta confrontare i vincitori con i perdenti, dicono gli esperti. Pensate a tutta l'economia. I tassi sono stati abbassati poco dopo che le banche hanno cominciato a fallire. Secondo loro, ridurre il costo ufficiale dei finanziamenti le ha tolte dai guai.
Non sono d'accordo. Bassi tassi di interesse non hanno tolto dai guai finanziari l'economia britannica. Bassi tassi di interesse hanno contribuito a causare la crisi -- e continuare a mantenerli bassi significa ulteriori squilibri cronici.
Per capire perché, pensate al 1997 e alla decisione di Gordon Brown di consentire alla Banca d'Inghilterra di impostare i tassi di interesse senza una qualsiasi supervisione ministeriale.
Perché il Cancelliere Brown l'ha fatto? Per paura che i politici populisti non avessero avuto abbastanza disciplina. Nel disperato tentativo di ingraziarsi l'elettorato, i ministri avrebbero potuto dimostrarsi dei comuni mortali, tagliando i tassi come una tangente elettorale.
Le cose sono andate al contrario invece. Dopo l'indipendenza, i superuomini presso la banca centrale hanno abbassato i tassi molto di più di qualsiasi altro ministro del passato. E i risultati dell'aver voluto lasciare queste decisioni nelle mani di tecnocrati apparentemente benigni, sono stati abbastanza disastrosi.
Abbassare i tassi di interesse è semplicemente una forma di controllo dei prezzi. Cercate di abbassare artificialmente il prezzo di qualsiasi cosa – pane, caffè, affitti – e la prima cosa che vi ritroverete sarà un'eccedenza, poiché tutto ciò che è disponibile viene comprato.
Poi arriva la carenza. Con meno incentivi a produrre questa cosa, l'offerta si prosciuga. La stessa cosa vale per il credito.
Con tassi di interesse bassi, c'è meno incentivo a risparmiare. Dal momento che i risparmi di una persona significano l'indebitamento di un'altra, meno risparmi significano meno credito reale nel sistema. Senza credito reale, la festa per le banche commerciali finisce – e sappiamo cosa succede dopo. Pensate a Northern Rock...
Quando i politici lodano i bassi tassi di interesse, ma lamentano la mancanza di credito, dimostrano uno straordinario analfabetismo economico.
Troppi politici e banchieri centrali credono che il credito a basso costo sia una delle cause del successo economico, piuttosto che una conseguenza. Pagheremo un prezzo terribile per questa presunzione.
Bassi tassi di interesse potrebbero stimolare l'economia nel breve termine, ma non in un modo che è buono per la crescita a lungo termine. Come dimostro nel mio documento sulla politica monetaria, il credito a buon mercato incoraggia il consumo eccessivo, e spiego anche perché restiamo più che mai dipendenti da una crescita indotta dal consumo (e dal credito).
Il credito a buon mercato non può riequilibrare l'economia. Incoraggiare un consumo eccessivo, porta ad ulteriori squilibri.
Pensate al credito a buon mercato come al colesterolo: intasa le nostre arterie economiche, creando strati su strati di "investimenti improduttivi."
"Salvati" da tassi bassi. . . ora un'impresa britannica su 10 rappresenta uno zombie, in grado di ripagare potenzialmente i propri debiti, ma nell'effettivo non ce la farà.
Queste imprese zombie possono vendere alla loro base di clienti, impedendo l'entrata di nuovi concorrenti. Ma quello che non possono fare è spostarsi in nuovi mercati o ristrutturarsi e riorganizzarsi. Questo potrebbe aiutare a spiegare gli scarsi risultati delle esportazioni e della produttività della Gran Bretagna?
Quella che doveva essere una misura di emergenza per far superare all'UK la tempesta finanziaria, ha assunto un aspetto permanente. Siamo assuefatti al credito a buon mercato. Anche un modesto aumento dei tassi, diciamo dell'1%, avrebbe gravi conseguenze.
Prima o poi i tassi di interesse dovranno salire. I tassi di interesse bassi hanno solo ritardato il doloroso momento della resa dei conti, il che ci impedisce di vedere una ripresa reale.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
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di Douglas Carswell
Cinque anni fa, la Banca d'Inghilterra ha tagliato i tassi di interesse al minimo storico: 0.5%. E lì sono rimasti.
Se i tassi sono stati tenuti così per cinque anni, significa che i nostri banchieri centrali li hanno tagliati per molto tempo. È necessario tornare indietro di quasi nove anni per trovare un periodo in cui i tassi di interesse reali sono aumentati. Quasi un milione di titolari di mutui ipotecari non ha mai conosciuto un aumento dei tassi.
E tutto questo è una Cosa Buona, secondo l' ortodossia a SW1. Certo, i tassi bassi potrebbero danneggiare i risparmiatori (che non vedono premiati i loro sforzi con buoni rendiementi), ma per proprietari di immobili ed imprese è una benedizione.
Non basta confrontare i vincitori con i perdenti, dicono gli esperti. Pensate a tutta l'economia. I tassi sono stati abbassati poco dopo che le banche hanno cominciato a fallire. Secondo loro, ridurre il costo ufficiale dei finanziamenti le ha tolte dai guai.
Non sono d'accordo. Bassi tassi di interesse non hanno tolto dai guai finanziari l'economia britannica. Bassi tassi di interesse hanno contribuito a causare la crisi -- e continuare a mantenerli bassi significa ulteriori squilibri cronici.
Per capire perché, pensate al 1997 e alla decisione di Gordon Brown di consentire alla Banca d'Inghilterra di impostare i tassi di interesse senza una qualsiasi supervisione ministeriale.
Perché il Cancelliere Brown l'ha fatto? Per paura che i politici populisti non avessero avuto abbastanza disciplina. Nel disperato tentativo di ingraziarsi l'elettorato, i ministri avrebbero potuto dimostrarsi dei comuni mortali, tagliando i tassi come una tangente elettorale.
Le cose sono andate al contrario invece. Dopo l'indipendenza, i superuomini presso la banca centrale hanno abbassato i tassi molto di più di qualsiasi altro ministro del passato. E i risultati dell'aver voluto lasciare queste decisioni nelle mani di tecnocrati apparentemente benigni, sono stati abbastanza disastrosi.
Abbassare i tassi di interesse è semplicemente una forma di controllo dei prezzi. Cercate di abbassare artificialmente il prezzo di qualsiasi cosa – pane, caffè, affitti – e la prima cosa che vi ritroverete sarà un'eccedenza, poiché tutto ciò che è disponibile viene comprato.
Poi arriva la carenza. Con meno incentivi a produrre questa cosa, l'offerta si prosciuga. La stessa cosa vale per il credito.
Con tassi di interesse bassi, c'è meno incentivo a risparmiare. Dal momento che i risparmi di una persona significano l'indebitamento di un'altra, meno risparmi significano meno credito reale nel sistema. Senza credito reale, la festa per le banche commerciali finisce – e sappiamo cosa succede dopo. Pensate a Northern Rock...
Quando i politici lodano i bassi tassi di interesse, ma lamentano la mancanza di credito, dimostrano uno straordinario analfabetismo economico.
Troppi politici e banchieri centrali credono che il credito a basso costo sia una delle cause del successo economico, piuttosto che una conseguenza. Pagheremo un prezzo terribile per questa presunzione.
Bassi tassi di interesse potrebbero stimolare l'economia nel breve termine, ma non in un modo che è buono per la crescita a lungo termine. Come dimostro nel mio documento sulla politica monetaria, il credito a buon mercato incoraggia il consumo eccessivo, e spiego anche perché restiamo più che mai dipendenti da una crescita indotta dal consumo (e dal credito).
Il credito a buon mercato non può riequilibrare l'economia. Incoraggiare un consumo eccessivo, porta ad ulteriori squilibri.
Pensate al credito a buon mercato come al colesterolo: intasa le nostre arterie economiche, creando strati su strati di "investimenti improduttivi."
"Salvati" da tassi bassi. . . ora un'impresa britannica su 10 rappresenta uno zombie, in grado di ripagare potenzialmente i propri debiti, ma nell'effettivo non ce la farà.
Queste imprese zombie possono vendere alla loro base di clienti, impedendo l'entrata di nuovi concorrenti. Ma quello che non possono fare è spostarsi in nuovi mercati o ristrutturarsi e riorganizzarsi. Questo potrebbe aiutare a spiegare gli scarsi risultati delle esportazioni e della produttività della Gran Bretagna?
Quella che doveva essere una misura di emergenza per far superare all'UK la tempesta finanziaria, ha assunto un aspetto permanente. Siamo assuefatti al credito a buon mercato. Anche un modesto aumento dei tassi, diciamo dell'1%, avrebbe gravi conseguenze.
Prima o poi i tassi di interesse dovranno salire. I tassi di interesse bassi hanno solo ritardato il doloroso momento della resa dei conti, il che ci impedisce di vedere una ripresa reale.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
lunedì 28 aprile 2014
Janet Yellen vince l'oro nella gara olimpica di stimolo del vomito
di Richard Daughty (alias The Mogambo Guru)
Mi ricordo, perché è scolpito nella mia memoria, ogni dettaglio del giorno in cui ho guardato (con totale incredulità e urlando di indignazione) giurare Janet Yellen davanti al Congresso. Lei è il nuovo grande capo della Federal Reserve, prendendone le redini dopo il clamoroso fallimento del suo predecessore: il ridicolo ottenebrato Ben Bernanke. I miei ultimi e preziosi neuroni sono andati a farsi friggere ("zzzt!") quando ha detto: "L'inflazione rimane sotto il nostro obiettivo di lungo termine," che secondo lei equivale al 2% di inflazione nei prezzi!!
Se non capite il significato dei due punti esclamativi, allora non siete un Junior Mogambo Ranger (JMR) e quindi non conoscete la scuola austriaca d'economia, e non sapete neppure che il 2% di inflazione è qualcosa di terribile, poiché il limite storico dell'inflazione è sempre stato il 3%.
Sopra questa soglia ci sono solo calamità e non eventualità. Cosa che fa anche rima quindi deve essere vera per forza, soprattutto se la storia del mondo non dovesse essere sufficiente a convincervi che chiunque persegua deliberatamente il veleno pernicioso dell'inflazione dei prezzi o è malvagio o è un deficiente, ed essere guidati da una disperazione derivante da comportamenti idioti nel campo monetario non è una scusa.
Naturalmente Janet Yellen è stata a lungo una sostenitrice di un obiettivo dell'inflazione, e questo è uno dei motivi per cui sono così sprezzante riguardo la sua intelligenza bizzarra e reversibile; ma lei sembra essere concentrata a vomitare tutta quella brodaglia keynesiana sullo "stimolo della spesa," nonostante Keynes sia stato screditato così tante volte, e per così tanto tempo, che sembra impossibile che qualcuno possa ancora definirsi un economista keynesiano.
Quindi perché fa così? Dato che in questo periodo ci sono le Olimpiadi invernali, forse è per questo che ho pensato allo "stimolo del vomito" come sport olimpico, il che ci porta ad una questione importante: "Come si vince e quali sono le regole dello stimolo del vomito?"
La domanda sembra stupida, e lo è infatti, ma... perché no? Basta semplicemente annotare quanta inflazione nei prezzi viene causata dall'inflazione monetaria ogni 4 anni!
Ahimè, nonostante Janet Yellen cerchi di vincere una medaglia d'oro in questo sport, ancora non si spiega perché sia così volutamente, così spudoratamente, così orribilmente malvagia da essere disposta a punire i poveri e la classe media con prezzi sempre più alti, anno dopo anno, dopo anno! Una cosa terribile, datemi retta!
Ironia della sorte (anche se non sono più sicuro di cosa voglia dire "ironia") ha effettivamente detto questo: "Voglio l'inflazione, perché odio voi ed i vostri brutti figli" mentre ribadiva orgogliosa le "missioni" della Federal Reserve, la prima delle quali è, ovviamente, "la stabilità dei prezzi," ed è, ovviamente, definita come "inflazione dei prezzi pari a zero."
Forse non lo sapete, ma state leggendo un tipo che sembra sapere per certo — per certo! — che stabilità significa "zero cambiamenti," e lo so per certo — per certo! Soprattutto a causa di una Quarterly Review Employee molto imbarazzante nei miei confronti, in cui il mio supervisore ha scritto che mentre la mia presenza ed il mio atteggiamento erano "nettamente peggiorati, la prestazione sul lavoro è stabile," il che significa, come ho poi appreso nel corso della valutazione, "Nessun cambiamento. Sei ancora il peggior dipendente che ho."
Lasciando da parte, per il momento, il danno fatto al mio fragile ego da una valutazione del genere, compilata da qualche capo che raramente posso vedere visto che ogni volta che viene a cercarmi (probabilmente per piagnucolare su alcune scadenze che ho mancato, o per qualche stupida relazione che ho dimenticato di scrivere, o per qualche cliente squilibrato che si lamenta di qualcosa che ho fatto o non fatto) io sono a bighellonare altrove, vorrei farvi osservare che — ergo! — "stabilità = zero cambiamenti"!
La Yellen, che cerca il 2% di inflazione, sta ammettendo di non capire questo concetto, ma compensa questa mancanza odiando il vostro coraggio e tutta la vostra famiglia. E se aveste assistito ad almeno uno dei suoi discorsi, annuireste senza pensarci se vi dicessi che dal modo in cui gesticola nervosamente sarebbe in grado di venire a casa vostra, uccidere tutta la vostra famiglia (compresi i gattini e i coniglietti) e rubarvi la casa. Un esito veloce ed indolore, senza il fastidio di dover difendere una politica monetaria disastrosa come quella perseguita dalla Federal Reserve nell'ultimo mezzo secolo... (pausa per riprendere fiato)... ed è per questo che Siamo Dannatamente Fregati (SDF).
Invece lei si assicurerà che tutti i vostri asset (compresi i soldi, il piano di pensionamento, la casa e tutti i vostri investimenti), denominati in dollari, PERDERANNO almeno il 2% del loro potere d'acquisto Ogni Dannato Anno (ODA).
L'inflazione dei prezzi è già così alta che il salario minimo verrà nuovamente aumentato per "necessità," il che non farà altro che peggiorare il problema: pagare salari più alti significa che i datori di lavoro aumenteranno i prezzi per ripristinare i margini di profitto, o sostituiranno i lavoratori con i robot, o entrambe le cose.
Così, alla fine della giornata, alcuni dipendenti avranno più soldi ed alcuni dipendenti perderanno il lavoro, ma ognuno si ritroverà a pagare prezzi più alti.
E non è solo la folle inflazione monetaria che sta causando l'inflazione dei prezzi, anche la vecchia dinamica domanda/offerta è stata drasticamente sconvolta!
Michael Snyder che scrive su theeconomiccollapseblog.com chiede: "Lo sapevate che lo stato americano che produce la maggior parte delle verdure sta attraversando la peggior siccità che abbia mai sperimentato, e che la dimensione totale del patrimonio bovino degli Stati Uniti è ora la più piccola mai vista sin dal 1951?" Follia! Catastrofe! Siamo tornati all'era della pietra!
E ci sono un sacco di prove che la California sia stata straordinariamente piovosa per la maggior parte del XX secolo, ed è possibile, almeno statisticamente, che la siccità in California possa continuare per altri 200 anni! Che IMPATTO avrà sui prezzi? Hahaha! Sono sorpreso che me lo chiediate!
CBSNews.com riferisce che: "Mentre il governo dice che i prezzi sono in crescita del 6.4% rispetto al 2011," al che io aggiungo che il governo sta mentendo, ingannando e manipolando quegli imbecilli con un basso QI. Detto questo e sentendomi meglio per averlo esternato, continuiamo dove avevamo lasciato: "Il prezzo del pollame è aumentato del 18.4%, quello della carne macinata del 16.8% e quello pancetta è salito del 22.8%," numeri che combaciano abbastanza bene con quelli di shadowstat.com dove si calcola che l'inflazione dei prezzi è, ed è stata, intorno all'8 o 9%.
Come riportato da breitbart.com, i costi più alti non vengono compensati con un aumento del reddito, poiché: "Il reddito medio è aumentato solo dell'1% all'anno, mentre il costo delle tasse universitarie è salito dal 6% all'8% all'anno per almeno 40 anni." Quaranta anni!
E ricordate lo stimolo del vomito, il nuovo sport olimpico citato poco più sopra? Bene, un altro modo per segnare punti è attraverso il risultato dell'inflazione dei prezzi (in particolare rispetto ai redditi stagnanti) che costringe un alto numero di adulti sotto i 35 anni a vivere con i propri genitori invece di andarsene per i fatti loro, così da poter organizzare feste selvagge che durano tutto il weekend fino a quando non si vomita anche l'anima e ci si sdraia sul divano.
Sono arrivati ormai al 29%, o almeno così dicono. Quasi uno su tre!
Il coacervo di notizie deprimenti non si ferma qui, l'aumento dei prezzi riduce il reddito disponibile e parte dell'effetto ricade sui concessionari d'auto che per vendere una macchina nuova devono fare i salti mortali. Diversamente dal 2008, anno in cui le cose andavano ancora bene. O almeno prima che i decenni di mala gestione della Federal Reserve le facessero perdere completamente la testa ed iniziasse un quantitative easing su vasta scala, seguendo la folle teoria keynesiana secondo cui due torti (creare debito e aumentare l'offerta di moneta per tenerlo a galla) fanno una ragione.
Ed i permessi edili sono crollati.
E il debito totale (pubblico e privato) ha fatto registrare nuovi record.
E l'idiozia dell'Obamacare continua a distruggere un sesto del PIL.
In sintesi, semmai ci fosse Un Segno Universale (USU) per comprare oro, argento e petrolio, la linea rossa del mio Termometro della Paranoia E della Paura (TPEP) potrebbe benissimo fare al caso nostro. Se tutto dovesse crollare domani, o anche quest'anno, allora lo sapremo per certo. Infatti è un indicatore affidabile.
Con una prova indiscutibile come questa, dovreste comprare oro, argento e petrolio come se colti da una qualche frenesia disperata e selvaggia, un percorso chiaramente indicato dall'infallibile TPEP del paragrafo precedente.
Ed essendo questo il miglior consiglio che abbiate mai ricevuto, difficilmente potrete dire di esservelo dimenticato!
Whee! E di nuovo dico "Whee!" E anche per la terza volta dico "Whee!" Come di consueto "Whee! Questa roba dell'investire è facile!"
Saluti,
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
venerdì 25 aprile 2014
Christine Lagarde non ha la minima idea di quello che dice: 74 sciocchezze keynesiane in una sola frase
di David Stockman
Le istituzioni economiche del mondo sono gestite da persone che credono nelle favole. Le 74 parole qui sotto sono state pronunciate dal capo del FMI Christine Lagarde. Afferma che una nuova parola, "lowflation," si stia facendo strada nel panorama economico moderno, e che rappresenti il principale ostacolo ad una crescita economica in Europa. Può essere curata dalla banca centrale con una maggiore stampa di denaro.
Il primo ostacolo è [...] il rischio emergente di quella che io chiamo "lowflation," in particolare nella zona euro. Un periodo potenzialmente prolungato di bassa inflazione può sopprimere la domanda, la produzione, la crescita e l'occupazione. Nell'area euro è necessario un maggior allentamento monetario, anche attraverso misure non convenzionali, per raggiungere l'obiettivo della stabilità dei prezzi della BCE. Anche la Banca del Giappone dovrebbe persistere con la sua politica di quantitative easing.
Non c'è uno straccio di prova credibile che una bassa inflazione prolungata porti i lavoratori a produrre di meno, le imprese ad investire di meno o gli imprenditori ad inventare meno. Dato che questi sono gli ingredienti fondamentali della crescita economica in un mercato libero, uno si chiede il motivo per cui keynesiani come la Lagarde (e lo staff di economisti del FMI) possano credere che erodere il valore dei risparmi dell'1% invece che del 2% l'anno possa "sopprimere la domanda e la produzione."
Ovviamente anche loro non riescono a credere che il solo calo dei prezzi sia la causa di una "domanda" abbattuta. Dopo tutto, i prezzi di TV a schermo piatto, iPad e iPhone sono scesi nel corso degli ultimi anni, ma la loro domanda è aumentata vertiginosamente. Nel corso degli ultimi 27 mesi, per esempio, i ricavi di Apple sono aumentati da $29 miliardi a $58 miliardi.
E non sono solo i gadget tecnologici. Ormai sono anni che l'azienda Wal-Mart abbassa il prezzo dei mobili, dei tostapane e delle vernici, ma non si è mai lamentata che la crescita dei propri ricavi — implacabile per decenni — fosse stata compromessa perché i suoi clienti richiedevano costantemente prezzi più bassi.
Infatti, a livello di prodotto e di materie prime il concetto di "lowinflation" è decisamente ridicolo. Le vendite di auto negli Stati Uniti sono calate dai 17 milioni del 2005 a circa 11 milioni nel 2009, ma questo è avvenuto a causa di un calo dei redditi e di una compromissione del credito tra gli acquirenti marginali di auto. Durante tale periodo i prezzi delle auto non sono calati, ma sono aumentati.
In generale, le vecchie regole non sono state abrogate: la domanda scaturisce dal reddito; il reddito segue la produzione; l'aumento dei prezzi (tranne tra i beni più anelastici) tende a scoraggiare la domanda; e il calo dei prezzi tende a stimolarla.
Tutto è alla rovescia solo nel mondo keynesiano degli aggregati. I panieri dei prezzi (ossia, gli indici dei prezzi come il CPI) stanno aumentando lentamente rispetto al trend classico, causando quel misterioso fenomeno chiamato "calo della domanda aggregata." Inutile dire che i professori non hanno mai identificato il meccanismo di trasmissione in base al quale il comportamento logico di un consumatore che acquista più beni a prezzi inferiori — si possa trasmettere a tutti i consumatori in modo che ritardino la spesa a fronte di un'inflazione più debole.
Non c'è bisogno di scervellarsi su questo enigma, perché l'anello mancante è facile da trovare. Il misterioso fenomeno che i keynesiani non riescono a carpire risponde al nome di espansione del credito. E' andata avanti per circa quattro decenni prima della crisi finanziaria, e ha dato gas alle cifre del PIL in cui le allegre statistiche del governo ci inserivano "le spese e le entrate."
Create dai keynesiani degli anni '30 e '40, queste statistiche hanno rappresentato la quintessenza dell'aggregazione, del sotterfugio e delle identità contabili. Ma, ahimè, soffrivano di un enorme difetto: i conti del PIL non contenevano bilanci; si basava tutto sui flussi, il che significa assenza di dati storici ed ogni trimestre contabile rappresenta un nuovo inizio.
Dopo gli anni '70, l'economia statunitense ha iniziato la salita della curva debito/entrate. Il rapporto debito/entrate nazionali nel mercato del credito aggregato si è mantenuto stabile a 1.5x per quasi un secolo, poi è salito quasi continuamente fino a 3.5x alla vigilia della crisi finanziaria del 2007. Come ho dimostrato altrove, questi altri due giri di debito ammontano a circa $30 bilioni di debito incrementale.
Nel settore delle famiglie, la situazione si è fatta altrettanto drammatica. Ad ogni nuovo ciclo economico, l'indebitamento delle famiglie è salito ad un nuovo livello: è passato dall'80% del salario nel 1970 ad un picco del 210% nel 2007, per poi scendere leggermente a circa 180% a causa della liquidazione (o il default) di mutui insostenibili e di debito delle carte di credito.
Per farla breve, abbiamo raggiunto il picco del debito ed è finito il periodo in cui si poteva spendere sulla base di indici di indebitamento in ascesa. I keynesiani non l'hanno mai visto arrivare, perché i loro modelli DSGE non hanno mai preso in considerazione un bilancio — per non parlare dell'LBO degli ultimi 40 anni.
E così si ostinano ad infilare una quantità di debito insostenibile in un mercato ormai saturo. Questa è l'essenza della folle stampa monetaria intrapresa da tutte le principali banche centrali del mondo.
I responsabili politici keynesiani presso le banche centrali lavorano per spronare ancora una volta la domanda, ma non riescono a capire che il canale di trasmissione della politica monetaria era solo un espediente una tantum. Dopo quasi cinque anni di tentativi, dunque, ora hanno disperatamente bisogno di una spiegazione per questo fallimento, e ne hanno semplicemente inventata una: "lowflation."
Va da sé che questa variante del catechismo keynesiano è particolarmente pericolosa. Concede alle banche centrali la licenza di definire e ridefinire un "optimum" per l'inflazione — una cifra che già sta strisciando dal 2% al 3%, e addirittura arriverà al 4% secondo alcune tra le colombe più aggressive. Dal momento che i numeri dell'inflazione pubblicati dal governo sono farlocchi (es. fitti imputati, medie geometriche, rettifiche edoniche, ecc.) — saranno sempre inferiori a questi obiettivi arbitrari. I banchieri centrali hanno sostanzialmente inventato un pretesto per un'espansione monetaria senza fine.
Ciò significa che, purtroppo, i canali di Wall Street saranno inondati con dosi maggiori di denaro per mantenere intatti i carry trade, fino a quando le bolle finanziarie non raggiungeranno il loro asintoto naturale e crolleranno nuovamente. La cosa spaventosa è che il mondo è gestito da banche centrali, FMI e burocrati che, come Christine Lagarde, sono all'oscuro del fatto che le dottrine momentanee (come la "lowflation") sono semplicemente aria fritta.
La formula keynesiana per l'elisir del debito non è sempre stata così pretestuosa. Una volta era quasi onesta, perché si diceva che la magia del debito operasse principalmente attraverso la politica fiscale. Secondo il grande pensatore, le masse avevano una spiacevole abitudine: risparmiavano troppo — quindi la soluzione per le autorità fiscali era quella di assorbire questi bacini fetidi e ri-immetterli nell'economia attraverso i deficit pubblici.
Queste politiche fiscali sotto forma di trasferimenti di denaro, lavori pubblici, attrezzature belliche e persino buche scavate e riempite, avrebbero generato moltiplicatori fiscali — vale a dire, il denaro preso in prestito da un bacino di risparmi stagnante e speso dai beneficiari della spesa pubblica, sarebbe diventato nuovo reddito per imprenditori e venditori, i quali avrebbero ri-speso i proventi ed avrebbero alimentato un circolo virtuoso di crescita.
Inoltre, questo tipo di prosperità mediante l'emissione di titoli di stato, doveva essere perseguita in modo aggressivo finché la macroeconomia non avrebbe assorbito ogni singolo lavoratore inattivo ed ogni risorsa di capitale, e quindi avrebbe generato un nirvana keynesiano chiamato "piena occupazione." Solo allora si sarebbe potuto arrestare l'indebitamento, permettendo al bilancio di oscillare in un surplus. A quel punto, la vasca macroeconomica sarebbe stata riempita fino all'orlo e l'elisir del debito avrebbe fatto il suo lavoro.
Non è andata così. Le politiche fiscali "guns and butter" di Johnson hanno fatto sversare la vasca macroeconomica, scatenando un decennio di Grande Inflazione. Il tasso di disoccupazione scese sotto al 4% alla fine degli anni '60, dando luogo a pressioni virulente sui salari che alimentarono una spirale inflazionistica dei costi.
Allo stesso modo, l'eccesso di domanda interna stimolata dai medici keynesiani di Kennedy-Johnson, si riverso' nel mercato internazionale inducendo un massiccio afflusso di importazioni e un deficit delle partite correnti. Ben presto ci fu una crisi monetaria. Nixon poi tolse la spina al sistema monetario che J.M. Keynes aveva progettato a Bretton Woods, permettendo ai seguaci di Milton Friedman di prendere il controllo della banca centrale.
Col passare del tempo, scomparve lo spauracchio del risparmio: la discesa del tasso di risparmio delle famiglie USA dall'11% a circa il 3%, non importo' a nessuno. Il testimone keynesiano era già stato passato ai banchieri centrali dell'era Greenspan. Quest'ultimo ha proceduto ad alimentare una massiccia espansione del credito, fino a stressare oltremodo i bilanci.
Alla fine della fiera, la grande idea keynesiana dell'elisir del debito è stata ridotta ad una stampa di denaro senza criterio e il mito del risparmio e del sottoconsumo sono stati ridotti a qualcosa di peggio — "lowflation."
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
giovedì 24 aprile 2014
Democrazia e spesa pubblica
di Gregory Bresiger
Negli ultimi 80 anni o giù di lì, si è sperato che gli stati divenissero erogatori di maggiori servizi. Ciò significa conti sempre più salati per i contribuenti di questa generazione e delle generazioni non ancora nate. Dal momento che gli stati hanno i bilanci quasi costantemente in rosso, spesso assomigliano a dei tossicodipendenti alla disperata ricerca della dose successiva. La dose, nel caso degli stati, è il continuo bisogno di denaro a scapito della ricchezza dell'intera economia.
Una delle illusioni alimentate dallo stato è la sindrome "pagherà il prossimo." Di solito, negli stati democratici maturi, i legislatori guardano ai cicli elettorali e capiscono che non c'è mai abbastanza denaro per sostenere le loro promesse. Spostano, quindi, i problemi nel futuro stampando denaro ed emettendo obbligazioni che non scadranno fino a dopo la vittoria alle elezioni.
Tuttavia, nella maggior parte delle democrazie, per dirla con le parole dell'ex-allenatore di calcio George Allen: "Il futuro è adesso." Decine di milioni di persone negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone sono andate in pensione, dopo una vita passata a pagare le tasse per fondi pensione statali scorretti. Le democrazie si trovano in difficoltà nel mantenere le vecchie promesse fatte dai politici precedenti, la maggior parte dei quali ora gode di grosse pensioni statali mentre i contribuenti lottano per pagare i conti accumulati alle loro spalle. Quindi, pagare i conti è un problema perenne per i politici che devono fronteggiare le elezioni.
Ad esempio, nel corso degli anni i governi di destra e di sinistra negli Stati Uniti si sono attribuiti la presenza di eccedenze nei fondi fiduciari della Previdenza Sociale e del Medicare. Li hanno usati per pagare i debiti politici e per far sembrare più piccoli i deficit. Tuttavia il presidente Bill Clinton ha implicitamente ammesso la truffa. Alla fine della sua presidenza esortò i legislatori "a salvare" la Previdenza Sociale. Perché doveva essere salvata? Dove erano finiti anni di tasse elevate sui salari?
Fortunatamente per i poltici, la maggior parte degli elettori non sembra capire che la spesa del passato ora minaccia i loro stili di vita ed il valore delle loro valute. La truffa va avanti, mentre gli stati impongono nuove tasse per mantenere vive le promesse dei governi passati. Così oggi l'ultima trovata fiscale è un rimaneggiamento di un vecchio adagio: "Pagheranno i ricchi."
Mentre una vasta ricchezza finirà nelle casse dello stato, il resto di noi non sarà minimamente sfiorato secondo questa affermazione. I servizi pubblici — tutto, dai servizi medici gratuiti ad un'istruzione gratuita fino a servizi di trasporto superbi e così via — saranno garantiti ad un prezzo basso o nullo perché pagheranno i ricchi — chiunque essi siano.
Qui a New York City, un nuovo sindaco con forti legami sindacali vuole ampliare i programmi della scuola pubblica imponendo tasse maggiori su coloro che guadagnano $500,000 o più l'anno. A livello nazionale, il presidente Obama ha sottolineato che coloro che guadagnano $250,000 o più l'anno dovrebbero pagare più tasse. Questa tesi si basa anche sull'idea che lo stato debba intervenire per curare il problema della cosiddetta "uguaglianza dei redditi."
Secondo questo modo di pensare, alcune squadre non dovrebbero vincere altri campionati (i New York Yankees, il Real Madrid, i Green Bay Packers, i Boston Celtics) perché ne hanno vinti molti di più rispetto alla maggior parte delle altre squadre. La logica è la seguente: la lega, o lo stato, deve correggere le disparità. Ma le disuguaglianze tra gli esseri umani sono molte e sono impossibili da definire, poiché ogni individuo è unico. Infatti questi tipi di politiche non solo non funzionano, ma fanno male alla nostra economia. Sono state discusse ed in alcuni casi provate. In effetti, viene "spontaneo" dire: "Stai facendo troppo bene. Dobbiamo fermarti."
Mi ricorda molto la politica fiscale post-seconda guerra mondiale, quando la sua natura progressiva dominava il sistema prima che l'amministrazione Kennedy la sopprimesse nei primi anni '60. Negli Stati Uniti tra gli anni '40 e '50, c'era un tax rate marginale del 94%. Pensateci: eravate in grado di trattenere solo sei centesimi di ogni dollaro che guadagnavate. Perché uno dovrebbe scomodarsi a guadagnare quel dollaro in più? Questo è ciò che accadde tra gli anni '40 e '50. In una situazione del genere, le persone con un reddito alto smetterebbero di lavorare quando si avvicinerebbero a quel 94%.
Come potrebbe aiutare la società una cosa simile?
Infatti danneggia l'economia ed il talento delle persone. Che dire dei ricchi? Per loro voglio la stessa cosa che voglio per tutti gli altri. Voglio che continuino a spendere ed investire quanto vogliono, senza preoccuparsi di ciò che J.S. Mill definiva "una tassa sul successo." Voglio che consumino o contribuiscano a sostenere la produzione avviando imprese, le uniche in grado di generare "lavori" (obiettivo questo con cui si riempiono la bocca i nostri politici, nonostante una disoccupazione record e una debole crescita del lavoro).
Ma per quanto riguarda il resto di noi — quelli che guadagnano $250,000 o meno? Dubito che aumentare le tasse ai ricchi, che costituiscono una piccola percentuale della società, farà molta differenza. Considerate che molti stati occidentali hanno deficit nel range delle centinaia di miliardi di dollari ogni anno. Il concetto di spennare il ricco è stupido e controproducente. In primo luogo, consideriamo le persone che hanno già la ricchezza. Se gli stati continuano ad aumentare le tasse, queste persone possono smettere di lavorare poco prima di raggiungere la soglia che decreta la loro "appartenenza" alla classe ricca. A differenza del resto di noi, i ricchi non bisogno di lavorare per i salari, hanno già una notevole ricchezza.
E per il resto di noi, individui a medio e basso reddito, qualcuno per caso pensa che lo stato una volta incassato il bottino voglia redistribuirlo diminuendoci le tasse?
Potete smettere di ridere adesso.
La confutazione della sindrome "pagheranno i ricchi" è questa: in primo luogo, anche il più alto tax rate marginale sui ricchi non potrà mai generare la quantità di denaro che lo stato si aspetta. Al salire delle tasse diminuisce l'impegno delle persone nel lavoro, o, nel caso di persone con redditi modesti, lavoreranno in nero. Questo è un problema enorme in una nazione con una fiscalità alta come l'Italia. In secondo luogo, la storia dei tanti programmi del governo centrale ci ricorda che gli enormi proventi del fisco vengono consumati in spese amministrative.
La burocrazia è dannatamente costosa. Soprattutto quando parliamo di portaerei o di Previdenza Sociale. Tempo fà ho preso parte alla conferenza dell'economista Jeffrey Burnham, il quale ha detto: ogni volta che la Previdenza Sociale ha avuto un surplus, i governi se lo sono mangiato tutto. Ecco un altro esempio del solito "magna magna" che caratterizza gli stati democratici: negli Stati Uniti, durante gli anni '80, c'era l'esigenza di bonificare discariche piene di rifiuti tossici. Il governo, attraverso la tassazione, raccolse centinaia di miliardi di dollari. Cosa è successo alle discariche? Poche sono state bonificate.
Perché?
La maggior parte del denaro è stato speso in costi amministrativi. Lo stato non deve aumentare le tasse ai ricchi, o al resto di noi. Dovrebbe tagliarle chiudendo interi reparti pubblici e vendendo i suoi beni. Lasciate che gli individui, tutti, portino a casa più dei loro soldi guadagnati duramente. Con la Previdenza Sociale ed altri programmi del welfare di fronte ad incredibili lacune di bilancio, è più importante che mai permettere alle persone di avere risparmi privati e di fare investimenti. Intendo asset sotto il loro controllo, e non dipendenti da un programma statale che può cambiare i livelli di pagamento con un tratto di penna di un politico.
Lasciate che la gente non dipenda dal prossimo, o dai voti dei politici. Lasciate che le persone costruiscano le proprie attività e prendano il controllo delle loro vite attraverso un sistema meraviglioso — più proprietà privata.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
mercoledì 23 aprile 2014
In occidente è aumentata la disuguaglianza economica sin dal 1897? Probabilmente no.
L'articolo di oggi è l'ennesima piccola perla da annoverare tra quelle che già North ci ha fornito nel corso degli anni. E' bene integrare questo articolo con quello pubblicato a novembre dello scorso anno: "Capitalismo clientelare e welfare state: culo e camicia." E' importante rileggerlo perché impariamo una lezione fondamentale sul vero obbiettivo del welfare state: non ha affatto cambiato la redistribuzione della ricchezza, ha solo cambiato chi raggiunge il vertice e con quali regole. Perché? Perché il principio di Pareto è ancora vero nonostante tutte le lagne dei benpensanti sulla tassazione e sulla spesa del governo. Se ai tempi di Pareto questo principio era vero perché guidato da un mercato pressoché privo di ostacoli che premiava coloro che meglio servivano i clienti, oggi è vero perché coloro al vertice sfruttano il potere dello stato per rimanerci e prosperare. La propaganda odierna per una redistribuzione più equa della ricchezza per mano di pistole e distintivi, non farà altro che sostituire i pezzi grossi al vertice. Loro vanno e vengono, quelle poltrone rimangono. La popolazione è mossa dall'invidia. E' accecata dall'invidia. Non riesce a vedere che l'ente a cui si rivolge per cercare più "equità," è lo stesso che la distrugge. Allo stato sta a cuore la propria clientela; la popolazione comune non ne fa parte.
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di Gary North
Molte persone hanno sentito parlare della legge 80/20. Questa è la famosa legge di Pareto.
Vilfredo Pareto era un economista italiano che insegnava in Svizzera nel tardo XIX secolo. In quello che rimane il più importante libro di economia mai tradotto inglese, pubblicato nel 1897, Pareto osservò che la distribuzione della ricchezza in ogni paese europeo esaminato era così ripartita: circa il 20% della popolazione possedeva circa l'80% del capitale del paese.
Questa distribuzione è anche applicabile in molti campi al di fuori della distribuzione del reddito e della distribuzione della ricchezza. Nessun economista o altro teorico sociale sa spiegare chiaramente perché esista questa distribuzione. E' uno dei motivi per cui gli economisti raramente ne discutono in dettaglio. Sembra di finire di fronte alla realtà statistica: la curva a campana. Ma è così universale, e lo è stata per tanto tempo, che chi la liquida come irrilevante probabilmente sta commettendo un errore.
Una delle critiche al capitalismo, sia di libero mercato del 1900 sia di quello odierno, è che crea enormi disuguaglianze della ricchezza. Ecco il problema: ci viene detto che stiamo vivendo in un'epoca di crescente disuguaglianza di ricchezza. Ma le statistiche lo confermano? C'è stato un cambiamento significativo?
Ecco l'esempio di un pezzo propagandistico che si basa su uno studio sulla disuguaglianza di ricchezza e che è del tutto ignaro di ciò che Pareto scoprì nel tardo XIX secolo. In un recente articolo sulla disuguaglianza di reddito, che è stato pubblicato dal quotidiano britannico di sinistra, The Guardian, veniamo a conoscenza di una relazione pubblicata da un'organizzazione di sinistra, Oxfam, la quale afferma:
Non ho alcun dubbio che qualcosa di simile a questa distribuzione sia vera. Ciò dimostra quanto segue: nel corso dell'ultimo secolo ci può essere stato un calo della disuguaglianza.
Lasciatemi spiegare le statistiche della curva di Pareto. Abbiamo ancora a che fare con la suddetta distribuzione 20-80. Quindi se il 20% della popolazione possiede l'80% della ricchezza, allora il 4% della popolazione (cioè il 20% del 20%) possiede il 64% della ricchezza (80% moltiplicato .8). Andiamo avanti. Ciò significa che lo .8% della popolazione (cioè il 4% del 20%) possiede circa il 51% della ricchezza (64% moltiplicato .8). La normale distribuzione di Pareto indica che l'1% della popolazione dovrebbe possedere all'incirca il 55% della ricchezza, non il 46%. Pertanto, il 46% indica una diminuzione della disuguaglianza.
La distribuzione di Pareto può cambiare un po' -- da nazione a nazione, di generazione in generazione -- ma non di molto.
Eppure Oxfam dice che c'è stato un aumento della disuguaglianza. Fa ricadere la colpa sulla diminuzione della tassazione progressiva sul reddito. C'è stato un calo del carico fiscale in Gran Bretagna e negli Stati Uniti negli anni '80, ma negli Stati Uniti le tasse sono ri-aumentate leggermente sotto Clinton. In generale, le aliquote sono state ridotte un po' nel corso degli ultimi tre decenni in Occidente. Eppure ci viene detto che la disuguaglianza economica è aumentata negli ultimi 30 anni.
Quello di cui abbiamo bisogno per valutare gli effetti del welfare state è una serie di studi sulla distribuzione del reddito, paese per paese, ad un intervallo di 20 anni ognuno. Capire se la distribuzione di Pareto sia cambiata, quando e per quanto tempo. Questi risultati devono essere comparati con il carico fiscale di ciascun periodo. C'è qualche correlazione? La mia ipotesi: no. Ma prima che i difensori della redistribuzione della ricchezza vengano presi sul serio, devono fornire la prova di tale correlazione. Siamo ancora in attesa. E' da un secolo che aspettiamo.
Nella relazione di Oxfam non vi è alcuna menzione di Pareto. Non c'è mai in questi pezzi propagandistici. Sarebbe troppo imbarazzante. Altrimenti dovrebbero fornire la prova che qualcosa è cambiato. Dovrebbero spiegare perché dopo un secolo di tassazione per il welfare state, la ricchezza è stata ridistribuita di poco (se non affatto).
85 PERSONE AL VERTICE
Il comunicato stampa si riferiva ad uno studio di Oxfam sulla disuguaglianza nell'economica mondiale. C'è scritto che 85 persone possiedono tanta ricchezza quanto quella di 3.5 miliardi di persone. Questo era il titolo del Guardian e di decine di altri giornali. Era un titolo forte. Lo studio lo trovate qui.
Domanda: è vero? Abbiamo bisogno di prove dettagliate -- più di quelle riportate nella relazione. Altra cosa necessaria: si tratta di un passaggio rispetto alle generazioni precedenti? Anche ciò ha bisogno di prove.
In secondo luogo, anche se fosse vero, queste 85 persone sono più produttive, attraverso investimenti di capitale, della metà più povera della popolazione mondiale? In altre parole, se queste 85 persone fossero diventate insegnanti in scuole superiori, e se nessuno le avesse sostituite da questa posizione, la metà della popolazione mondiale avrebbe il doppio della ricchezza che ha oggi? Se sì, dove sono le prove che la loro produttività/ricchezza sarebbe raddoppiata se queste 85 persone non fossero mai diventate ricche?
Queste 85 persone si sono arricchite rubando da 3.5 miliardi di altre persone? Se sì, dove sono le prove? Come hanno fatto queste 85 persone a confiscare metà della ricchezza di queste persone che vivono in nazioni del terzo mondo o in zone rurali della Cina e dell'India?
Poi c'è la questione del reddito non monetario. L'economista P. T. Bauer ci disse una generazione fa che le statistiche monetarie emesse dai governi sottovalutavano il reddito reale.
Se queste 85 persone si sono arricchite grazie all'attuale sistema di welfare, che è stato imposto nel secondo decennio del XX secolo, come hanno fatto? Come è stato possibile che nonostante il massiccio aumento della tassazione e della regolamentazione economica sin dal 1914, i ricchi abbiano mantenuto la loro ricchezza e addirittura l'abbiano aumentata rispetto ai poveri? In altre parole, che differenza ha fatto il moderno welfare state nella distribuzione del reddito? La risposta statisticamente corretta sembra essere questa: "Poca." La disuguaglianza di oggi è vicina a dove era nel 1897.
Oxfam passa poi a fare un appello divertente ed ingenuo ai super-ricchi, affinché abbandonino il proprio interesse personale. Oxfam li supplica di smettere di usare i paradisi fiscali per schermare la loro ricchezza dalla tassazione delle nazioni in cui vivono. Oxfam accusa i paradisi fiscali. Ma dove sono le prove di questa presunta relazione di causa-effetto? Non c'è nella relazione.
LA SETTIMANA DI DAVOS
Oxfam ha pubblicato la sua relazione ed il suo comunicato stampa nella settimana della riunione annuale dei super-ricchi a Davos, Svizzera. Oxfam chiede a coloro che sono riuniti al WEF di impegnarsi a fare quanto segue:
Questo comunicato stampa è un ulteriore esempio di interventismo del welfare state, adottato in nome dell'aiuto ai poveri. Ma il welfare state ha ridotto la crescita economica, e quindi ha ridotto la ricchezza dei poveri. Viene richiesta più della stessa cosa. Tuttavia, la distribuzione del reddito non è cambiata molto sin dal 1897, nonostante la tassazione progressiva, i sistemi sanitari finanziati dal governo, i sistemi pensionistici finanziati dal governo e tutto il resto dell'interventismo del welfare state.
CONCLUSIONE
La disuguaglianza economica continuerà. L'unica domanda è questa: quanto grande sarà la torta economica complessiva? I ricchi otterranno la loro quota di ricchezza, il che significa che otterranno la distribuzione di Pareto. Chiunque dica che tutto ciò non è economicamente equo, deve dimostrare come sia possibile che in ogni società studiata ci sia qualcosa di simile. Certo, a livello mondiale questo non è cambiato molto, come rivela la relazione di Oxfam. Se questo non è giusto, allora perché i vari welfare state del mondo hanno prodotto praticamente la stessa distribuzione economica di quando non esistevano? Perché la stessa distribuzione di Pareto viene attaccata dalla sinistra, generazione dopo generazione, che ha visto approvate le sue politiche di tassazione progressiva e ha visto approvato il welfare state in ogni nazione occidentale? Perché questa distribuzione non è mai cambiata significativamente e permanentemente verso l'uguaglianza?
La sinistra non se lo chiede mai. La destra se non lo chiede mai. Ma io continuo a chiedermelo.
Quando vedete un appello per la politica dell'equità, dovete sapere che qualche gruppo politico organizzato sta puntando al vostro denaro in nome della tassazione dei ricchi. Ho scritto su questo argomento nel 1993, nel mio articolo "The Politics of Fair Share." Nulla è cambiato da allora.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
___________________________________________________________________________________
di Gary North
Molte persone hanno sentito parlare della legge 80/20. Questa è la famosa legge di Pareto.
Vilfredo Pareto era un economista italiano che insegnava in Svizzera nel tardo XIX secolo. In quello che rimane il più importante libro di economia mai tradotto inglese, pubblicato nel 1897, Pareto osservò che la distribuzione della ricchezza in ogni paese europeo esaminato era così ripartita: circa il 20% della popolazione possedeva circa l'80% del capitale del paese.
Questa distribuzione è anche applicabile in molti campi al di fuori della distribuzione del reddito e della distribuzione della ricchezza. Nessun economista o altro teorico sociale sa spiegare chiaramente perché esista questa distribuzione. E' uno dei motivi per cui gli economisti raramente ne discutono in dettaglio. Sembra di finire di fronte alla realtà statistica: la curva a campana. Ma è così universale, e lo è stata per tanto tempo, che chi la liquida come irrilevante probabilmente sta commettendo un errore.
Una delle critiche al capitalismo, sia di libero mercato del 1900 sia di quello odierno, è che crea enormi disuguaglianze della ricchezza. Ecco il problema: ci viene detto che stiamo vivendo in un'epoca di crescente disuguaglianza di ricchezza. Ma le statistiche lo confermano? C'è stato un cambiamento significativo?
Ecco l'esempio di un pezzo propagandistico che si basa su uno studio sulla disuguaglianza di ricchezza e che è del tutto ignaro di ciò che Pareto scoprì nel tardo XIX secolo. In un recente articolo sulla disuguaglianza di reddito, che è stato pubblicato dal quotidiano britannico di sinistra, The Guardian, veniamo a conoscenza di una relazione pubblicata da un'organizzazione di sinistra, Oxfam, la quale afferma:
Questa "cattura delle opportunità" da parte dei ricchi a scapito delle classi povere e medie, ha portato ad una situazione in cui il 70% della popolazione mondiale vive in paesi dove la disuguaglianza è aumentata sin dagli anni '80 e l'1% delle famiglie possiede il 46% della ricchezza globale -- quasi £70 bilioni.
Non ho alcun dubbio che qualcosa di simile a questa distribuzione sia vera. Ciò dimostra quanto segue: nel corso dell'ultimo secolo ci può essere stato un calo della disuguaglianza.
Lasciatemi spiegare le statistiche della curva di Pareto. Abbiamo ancora a che fare con la suddetta distribuzione 20-80. Quindi se il 20% della popolazione possiede l'80% della ricchezza, allora il 4% della popolazione (cioè il 20% del 20%) possiede il 64% della ricchezza (80% moltiplicato .8). Andiamo avanti. Ciò significa che lo .8% della popolazione (cioè il 4% del 20%) possiede circa il 51% della ricchezza (64% moltiplicato .8). La normale distribuzione di Pareto indica che l'1% della popolazione dovrebbe possedere all'incirca il 55% della ricchezza, non il 46%. Pertanto, il 46% indica una diminuzione della disuguaglianza.
La distribuzione di Pareto può cambiare un po' -- da nazione a nazione, di generazione in generazione -- ma non di molto.
Eppure Oxfam dice che c'è stato un aumento della disuguaglianza. Fa ricadere la colpa sulla diminuzione della tassazione progressiva sul reddito. C'è stato un calo del carico fiscale in Gran Bretagna e negli Stati Uniti negli anni '80, ma negli Stati Uniti le tasse sono ri-aumentate leggermente sotto Clinton. In generale, le aliquote sono state ridotte un po' nel corso degli ultimi tre decenni in Occidente. Eppure ci viene detto che la disuguaglianza economica è aumentata negli ultimi 30 anni.
Quello di cui abbiamo bisogno per valutare gli effetti del welfare state è una serie di studi sulla distribuzione del reddito, paese per paese, ad un intervallo di 20 anni ognuno. Capire se la distribuzione di Pareto sia cambiata, quando e per quanto tempo. Questi risultati devono essere comparati con il carico fiscale di ciascun periodo. C'è qualche correlazione? La mia ipotesi: no. Ma prima che i difensori della redistribuzione della ricchezza vengano presi sul serio, devono fornire la prova di tale correlazione. Siamo ancora in attesa. E' da un secolo che aspettiamo.
Nella relazione di Oxfam non vi è alcuna menzione di Pareto. Non c'è mai in questi pezzi propagandistici. Sarebbe troppo imbarazzante. Altrimenti dovrebbero fornire la prova che qualcosa è cambiato. Dovrebbero spiegare perché dopo un secolo di tassazione per il welfare state, la ricchezza è stata ridistribuita di poco (se non affatto).
85 PERSONE AL VERTICE
Il comunicato stampa si riferiva ad uno studio di Oxfam sulla disuguaglianza nell'economica mondiale. C'è scritto che 85 persone possiedono tanta ricchezza quanto quella di 3.5 miliardi di persone. Questo era il titolo del Guardian e di decine di altri giornali. Era un titolo forte. Lo studio lo trovate qui.
Domanda: è vero? Abbiamo bisogno di prove dettagliate -- più di quelle riportate nella relazione. Altra cosa necessaria: si tratta di un passaggio rispetto alle generazioni precedenti? Anche ciò ha bisogno di prove.
In secondo luogo, anche se fosse vero, queste 85 persone sono più produttive, attraverso investimenti di capitale, della metà più povera della popolazione mondiale? In altre parole, se queste 85 persone fossero diventate insegnanti in scuole superiori, e se nessuno le avesse sostituite da questa posizione, la metà della popolazione mondiale avrebbe il doppio della ricchezza che ha oggi? Se sì, dove sono le prove che la loro produttività/ricchezza sarebbe raddoppiata se queste 85 persone non fossero mai diventate ricche?
Queste 85 persone si sono arricchite rubando da 3.5 miliardi di altre persone? Se sì, dove sono le prove? Come hanno fatto queste 85 persone a confiscare metà della ricchezza di queste persone che vivono in nazioni del terzo mondo o in zone rurali della Cina e dell'India?
Poi c'è la questione del reddito non monetario. L'economista P. T. Bauer ci disse una generazione fa che le statistiche monetarie emesse dai governi sottovalutavano il reddito reale.
Se queste 85 persone si sono arricchite grazie all'attuale sistema di welfare, che è stato imposto nel secondo decennio del XX secolo, come hanno fatto? Come è stato possibile che nonostante il massiccio aumento della tassazione e della regolamentazione economica sin dal 1914, i ricchi abbiano mantenuto la loro ricchezza e addirittura l'abbiano aumentata rispetto ai poveri? In altre parole, che differenza ha fatto il moderno welfare state nella distribuzione del reddito? La risposta statisticamente corretta sembra essere questa: "Poca." La disuguaglianza di oggi è vicina a dove era nel 1897.
Oxfam passa poi a fare un appello divertente ed ingenuo ai super-ricchi, affinché abbandonino il proprio interesse personale. Oxfam li supplica di smettere di usare i paradisi fiscali per schermare la loro ricchezza dalla tassazione delle nazioni in cui vivono. Oxfam accusa i paradisi fiscali. Ma dove sono le prove di questa presunta relazione di causa-effetto? Non c'è nella relazione.
LA SETTIMANA DI DAVOS
Oxfam ha pubblicato la sua relazione ed il suo comunicato stampa nella settimana della riunione annuale dei super-ricchi a Davos, Svizzera. Oxfam chiede a coloro che sono riuniti al WEF di impegnarsi a fare quanto segue:
Sostenere la tassazione progressiva e non evadere le tasse;
Astenersi dall'utilizzare la propria ricchezza per cercare favori politici che indeboliscono la volontà democratica dei loro concittadini;
Rendere pubbliche tutte le partecipazioni in società e trust di cui sono i proprietari ed i beneficiari finali;
Sfidare i governi ad utilizzare le entrate fiscali per fornire assistenza sanitaria universale, istruzione e protezione sociale per i cittadini;
Richiedere un salario di sussistenza in tutte le aziende di loro proprietà o che controllano;
Sfidare gli altri membri dell'élite economica ad unirsi a loro in questi impegni.
Questo comunicato stampa è un ulteriore esempio di interventismo del welfare state, adottato in nome dell'aiuto ai poveri. Ma il welfare state ha ridotto la crescita economica, e quindi ha ridotto la ricchezza dei poveri. Viene richiesta più della stessa cosa. Tuttavia, la distribuzione del reddito non è cambiata molto sin dal 1897, nonostante la tassazione progressiva, i sistemi sanitari finanziati dal governo, i sistemi pensionistici finanziati dal governo e tutto il resto dell'interventismo del welfare state.
CONCLUSIONE
La disuguaglianza economica continuerà. L'unica domanda è questa: quanto grande sarà la torta economica complessiva? I ricchi otterranno la loro quota di ricchezza, il che significa che otterranno la distribuzione di Pareto. Chiunque dica che tutto ciò non è economicamente equo, deve dimostrare come sia possibile che in ogni società studiata ci sia qualcosa di simile. Certo, a livello mondiale questo non è cambiato molto, come rivela la relazione di Oxfam. Se questo non è giusto, allora perché i vari welfare state del mondo hanno prodotto praticamente la stessa distribuzione economica di quando non esistevano? Perché la stessa distribuzione di Pareto viene attaccata dalla sinistra, generazione dopo generazione, che ha visto approvate le sue politiche di tassazione progressiva e ha visto approvato il welfare state in ogni nazione occidentale? Perché questa distribuzione non è mai cambiata significativamente e permanentemente verso l'uguaglianza?
La sinistra non se lo chiede mai. La destra se non lo chiede mai. Ma io continuo a chiedermelo.
Quando vedete un appello per la politica dell'equità, dovete sapere che qualche gruppo politico organizzato sta puntando al vostro denaro in nome della tassazione dei ricchi. Ho scritto su questo argomento nel 1993, nel mio articolo "The Politics of Fair Share." Nulla è cambiato da allora.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
martedì 22 aprile 2014
Spronare il bust
di Thorsten Polleit
La Causa Principale della Crisi è il Sistema Creditizio
I dati economici suggeriscono che le grandi economie di tutto il mondo – Stati Uniti, Europa e Giappone – stiano uscendo dalle crisi finanziarie. La produzione è in aumento, lo "stress" del mercato finanziario è diminuito ai livelli pre-crisi, gli spread creditizi sono in calo e, forse più importante, i prezzi delle azioni continuano a salire.
Tuttavia, questi sviluppi ci suggeriscono davvero che è in corso una sana ripresa economica? In realtà, dovremmo prendere per buona questa storia della ripresa? Per rispondere a questa domanda occorre una solida teoria economica. Perché non si può dare un senso ad un qualsiasi dato senza impiegare una teoria; un'interpretazione dei dati senza una teoria è semplicemente impossibile.
La scuola austriaca d'economia, come prescrisse Ludwig von Mises (1881-1973), fornisce una teoria economicamente solida. Si basa sulla logica dell'azione umana, un asioma inconfutabilmente vero. Mises definì prasseologia la sua ricostruzione dell'economia lungo le linee della logica dell'azione umana. C'è molto da imparare, soprattutto in vista degli attuali sviluppi economici in tutto il mondo.
Un'analisi prasseologica rivela che la causa principale della recente crisi finanziaria ed economica può essere ritrovata nel sistema monetario creditizio, o denaro fiat. In un tale sistema monetario, le banche commerciali, con l'aiuto delle banche centrali, continuano ad espandere lo stock di moneta attraverso l'estensione del credito, il quale non è sostenuto da risparmi reali. E' esattamente qui che risiede il problema.
La creazione di nuovo denaro fiat attraverso l'espansione del credito bancario, sopprime artificialmente i tassi di interesse. Questo, a sua volta, mette in moto un boom artificiale. Tuttavia, prima o poi il boom deve giungere al termine: è un esito inevitabile del sistema monetario creditizio che il boom prima o poi si traduca in un bust.
Ama il Boom, Ingiuria il Bust
È un dato di fatto, però, che la gente ami il boom. Sembra portare prosperità. Aumenta i profitti delle imprese, porta nuove opportunità di lavoro, crea redditi più elevati ed aumenta i prezzi degli asset (come ad esempio le azioni ed i prezzi degli immobili). Il boom fa sentire bene imprenditori, lavoratori e politici.
Vale l'opposto con il bust. Fa sentire male le persone, in quanto è in genere un'esperienza piuttosto deludente. Riporta le persone coi piedi per terra. Rivela gli investimenti improduttivi delle imprese, causa perdite aziendali, riduce l'occupazione e il reddito, e semina terrore tra coloro che detengono asset. I governi finiscono sotto pressione poiché le entrate fiscali iniziano a diminuire.
Quello di cui spesso la gente non si rende conto, tuttavia, è che il boom stesso rappresenta il periodo in cui si generano i problemi: è durante il boom che le risorse scarse vengono sprecate, con conseguente emersione di investimenti improduttivi. Ed è il bust che li corregge e riporta l'economia verso l'equilibrio.
In questo contesto possiamo capire che cosa rappresenta l'attuale ripresa economica: nella migliore delle ipotesi mette in moto un'altra ripresa artificiale, un boom, alimentato da tassi di interesse artificialmente soppressi e da un aumento dello stock di moneta fiat.
La struttura produttiva e occupazionale che si forma in questo ambiente di tassi di interesse artificialmente soppressi ed interferenze di mercato da parte del governo, puo' essere sostenuta solo se i tassi di interesse vengono ridotti a livelli sempre più bassi. Questo, a sua volta, genera una dinamica disastrosa.
Boom e Bust come Conseguenza del Denaro Fiat
Suddetta dinamica disastrosa conduce alla ricomparsa del ciclo boom/bust. Fu Mises, nel suo Theorie des Geldes und der Umlaufsmittel del 1912, che scoprì le conseguenze delle ripetute iniezioni di denaro creato attraverso l'espansione del credito:
Il movimento ondulatorio che interessa il sistema economico, il ripetersi di periodi di boom che sono seguiti da periodi di depressione, è il risultato inevitabile dei tentativi, ripetuti più e più volte, di abbassare il tasso di interesse lordo mediante l'espansione del credito.
Nel tentativo di sfuggire al malessere causato dall'espansione della moneta fiat, la gente finisce per sostenere la stessa politica a dosi maggiori: è d'accordo, e addirittura richiede, una politica monetaria più allentata, destinata a superare gli attuali ostacoli economici (e politici).
Mentre non ci dovrebbero essere dubbi sugli esiti di queste azioni, resta ancora una grande incertezza: non si può dire nulla in anticipo sui tempi del boom e del bust.
Lo scoppio della prossima crisi dipenderà da condizioni particolari che non possono essere previste in anticipo su una base scientifica. La tempistica del bust non può essere calcolata con una formula. Tale calcolo è al di là della scienza economica .
Tuttavia, la scuola austriaca offre ad imprenditori ed investitori preziose conoscenze che altre teorie non possono offrire: fintanto che il sistema monetario fiat rimane al suo posto, le economie ed i mercati finanziari rimarranno afflitti da cicli boom/bust ricorrenti.
Per di più, la teoria austriaca fornisce l'intuizione preziosa secondo cui il sistema monetario fiat, ad un certo punto, raggiungerà il suo limite: la politica di creare boom artificiali non può andare avanti per sempre. Mises lo disse in poche parole:
"Non vi è alcun mezzo per evitare il collasso finale di un boom causato dall'espansione del credito. L'alternativa è se la crisi debba arrivare prima come risultato di un abbandono volontario di un'ulteriore espansione del credito, o successivamente, come catastrofe totale del sistema valutario."
In questo senso la ripresa congiunturale in atto, fortemente alimentata dalle politiche delle banche centrali che hanno tenuto artificilmente bassi i tassi di interesse, sta gettando i semi del prossimo bust – che potrebbe tradursi in un malessere superiore a quello osservato nel 2008 e nel 2009.
Una cosa è certa: le banche centrali continuano a lavorare con successo verso il rafforzamento della prossimo bust.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
venerdì 18 aprile 2014
Riesumare vecchie sciocchezze
di Francesco Simoncelli
«Incolpare l'avidità per la crisi finanziaria, è come incolpare la gravità per un incidente aereo.» ~ Lawrence White
L'ultimo marmittone di cui ci occuperemo, il terzo in ordine cronologico dopo gli MMTers e Keynes, risponde al nome di Karl Marx. Nell'articolo di oggi andremo a dissezionare un pezzo che di recente è uscito sulla rivista musicale Rolling Stones e ha fatto molto scalpore. Soprattutto perché si pensava che certe sciocchezze fossero ormai morte e sepolte, invece tocca rimboccarsi le maniche, prendere una pala e sotterarle ancora una volta. Il nome del pezzo è alquanto bizzarro: Marx Was Right: Five Surprising Ways Karl Marx Predicted 2014. Di sorprendente c'è solo la cecità dell'autore nel riassumere una serie di punti presenti nel pensiero marxiano ed incollarli a dei riferimenti odierni; il risultato lascia sbigottiti per la superficialità con cui sono trattati certi temi. A questo giro, purtroppo, di divertente ci sarà ben poco ma solo molto materiale per cui rilasciare una cascata di lacrime.
Il miglior punto di partenza è questo articolo di Richard Heilbroner apparso sul New Yorker il 10 settembre del 1990: After Communism. Dopo aver passato una vita a decantare le lodi dei sistemi socialisti a pianificazione centrale, a sostenere la superiorità di un'economia di controllo e a profetizzarne un futuro di successo, fu costretto a sottoscrivere quello che un economista tedesco aveva detto circa 70 anni prima: "Mises aveva ragione." Il presunto successo di un'economia socialista aveva aperto le porte a carriere accademiche, aveva assegnato premi Nobel, aveva gettato discredito su coloro che osavano affermare il contrario. Un'altra giornalista, Judy Shelton, nel 1987 avvertì di un imminente crollo dell'Unione Sovietica: venne ignorata.
Il mondo accademico accolse garbatamente la sua opinione e la accompagnò alla porta. A puntare il dito verso l'uscio fu Paul Samuelson, il quale scrisse in uno dei suoi libri sull'URSS: "Contrariamente a quello che dicono molti scettici, l'economia sovietica è la prova che [...] un'economia socialista può funzionare e perfino prosperare." Poi, due anni dopo l'allarme della Shelton, il crollo del muro di Berlino rappresentò la fine dell'esperimento socialista e tutta la propaganda che per 72 anni si portò dietro.
Da quell'anno in poi tutti quegli economisti che si sarebbero professati marxisti sarebbero stati accolti con risa e scherni: erano ormai degli zimbelli. Non ne rimangono molti in giro. La vergogna ha preso il sopravvento. Salvo sporadiche apparizioni, come quella su Rolling Stones, le teorie marxiste sono morte e sepolte. La loro riesumazione non ha gli effetti sperati: riguadagnare la dignità perduta. Questi tentativi falliscono prima ancora di vedere la luce.
L'ORDINE CAPITALISTICO E IL DISORDINE SOCIALISTA
L'articolo di Rolling Stones parte in quarta sostenendo che, nell'ottica marxiana, esistono cinque punti fondamentali attraverso i quali Marx è riuscito a predire con successo gli esiti che ci hanno condotto allo sfacelo di oggi. Lasciatemi dire subito una cosa: l'autore tralascia subito un fatto importante, ovvero, il suicidio del Partito Comunista nel 1991. Non ce n'è menzione. Il lettore viene velocemente catapultato in un calderone propagandistico che vuole convincerlo di come sia necessario ripartire da zero, senza badare al passato. Se c'è una lezione che dobbiamo apprendere qui è solo una: bisogna imparare dagli errori del passato e non ripeterli. Sean Mcelwee pare non aver fatto tesoro di questo consiglio.
Il primo punto ci dice che le crisi sono causate da una sorta di shock finanziario dovuto a strumenti intrinsecamente maligni come le azioni e i credit default swap. Ad un certo punto il mercato raggiunge un punto di saturazione tale da respingere qualsiasi altra immissione di suddetti strumenti. Lo stesso lo si puo' dire per i debiti ipotecari contratti dalle persone di Main Street. Hanno cercato di compensare le loro disuguaglianze di reddito attraverso una costante immersione nei debiti, finché non ce l'hanno più fatta e la bolla immobiliare è scoppiata.
Quindi la sola esistenza di questi strumenti finanziari è foriera di una crisi. Questa pseudo-spiegazione pecca di una descrizione dettagliata dei cicli economici, pecca di una teoria del capitale e pecca di superficialità. I derivati, ad esempio, non sono quel pericolo ambulante che vogliono farci credere che siano. Sono utili nella loro funzione di protezione e minimizzazione dell'incertezza, ma diventano pericolosi quando esiste un ente in grado di distorcere i segnali di mercato. (Soggetto fortemente auspicato da Marx.) La mancanza di una teoria riguardo i cicli economici espone a critiche severe le tesi marxiste, le quali incolpano eventi esogeni al sistema a moneta fiat senza indagarne le cause. Non c'è nessuna menzione alle politiche monetarie di Greenspan. Non c'è alcuna menzione alle politiche monetarie di Bernanke. Da dove provenivano i soldi resi disponibili nelle mani della cosiddetta "speculazione"?
Ci si limita ad incolpare il cosiddetto "capitalismo." Esso non è un sistema sociale, è semplicemente un sistema produttivo che prevede la proprietà privata dei mezzi di produzione. Perché? Perché solo gli individui attraverso le loro azioni imprenditoriali riescono a districarsi nelle nebbie dell'incertezza dell'azione umana. Un sistema a pianificazione centrale è incapace di farlo. E quello di oggi non è altro che un ibrido, in cui l'intervento di pianificatori centrali scavalca le scelte imposte dalle forze di mercato, ovvero, i consumatori. Le scavalca ma non le annulla.
Scrisse Ludwig von Mises:
Sotto il capitalismo la proprietà privata dei fattori di produzione è una funzione sociale. Gli imprenditori, i capitalisti ed i proprietari terrieri sono mandatari, per così dire, dei consumatori, ed il loro mandato è revocabile. Per essere ricchi, non è sufficiente aver risparmiato ed accumulato capitale. E' necessario investire di nuovo e di nuovo in quelle linee in cui vengono meglio soddisfatti i desideri dei consumatori. Il processo di mercato è un plebiscito ripetuto ogni giorno, ed espelle inevitabilmente dalle fila delle persone proficue coloro che non utilizzano la loro proprietà in accordo con gli ordini impartiti dalla gente. Ma gli affari, il bersaglio dell'odio fanatico da parte di tutti i governi contemporanei e dei sedicenti intellettuali, acquisiscono e conservano grandezza solo perché lavorano per le masse. Gli stabilimenti che si rivolgono al lusso di pochi non raggiungono mai grandi dimensioni.
Il difetto di storici e politici del XIX secolo è stato quello di non essere riusciti a rendersi conto che i lavoratori sono stati i principali consumatori dei prodotti dell'industria. A loro avviso, il salariato era un uomo che lavorava ad esclusivo beneficio di una classe parassitaria. Lavoravano sotto l'illusione che le fabbriche avevano alterato la sorte degli operai. Se avessero prestato attenzione alle statistiche avrebbero facilmente scoperto la fallacia di questo argomento. La mortalità infantile calò, la durata media della vita aumentò, la popolazione si moltiplicò, e l'uomo comune godeva di servizi che il benestante di epoche precedenti nemmene si sognava.
Tuttavia, questo arricchimento delle masse senza precedenti era soltanto un sottoprodotto della rivoluzione industriale. Il suo principale risultato fu il trasferimento della supremazia economica dai proprietari terrieri alla totalità della popolazione. L'uomo comune non era più una bestia da soma che doveva accontentarsi delle briciole che cadevano dai tavoli dei ricchi. Le tre caste di paria che caratterizzavano l'età pre-capitalista — gli schiavi, i servi della gleba, e quelle persone che autori patristici e scolastici, nonché la legislazione Britannica dal XVI al XIX secolo, denominavano poveri — scomparvero. I loro rampolli divennero, in questo nuovo stato di affari, non solo lavoratori liberi, ma anche clienti.
Il ruolo dell'imprenditore è quello di anticipare il livello del consumo futuro, nella sua ricerca del profitto è indirizzato a produrre quegli elementi che i clienti desiderano di più. Il calcolo imprenditoriale richiede capacità che non tutti hanno e deve essere operato in un ambiente economico il più scevro possibile da manipolazioni. Ovviamente, gli imprenditori cercano sempre di pagare il meno possibile i loro input (tra cui anche i lavoratori), ma la concorrenza tra di loro permette di far salire i salari a quei livelli in cui viene soddisfatto il valore marginale del prodotto. La manodopera, così come ogni altra risorsa, viene retribuita in base al suo contributo alla produzione. E diversamente dalle previsioni di Marx, la classe proletaria non è finita in povertà. (Certo, non si è arricchitta come altre persone, ma rispetto al passato sta molto meglio.)
Come mai? Perché nella società è sempre persista una disuguaglianza di reddito definita dalla legge 80/20 di Pareto. Nonostante l'avvento del welfare state questa situazione non è cambiata, sono solo cambiati destinatari: quei gruppi con interessi particolari più vicini alla stampante monetaria. Se prima questa divisione era marcata dalla soddisfazione dei clienti attraverso la produzione di beni, adesso è influenzata dai capricci della pianificazione centrale. Non c'è niente di tutto questo nell'analisi di Mcelwee. Non c'è nessuno sforzo per cercare di inquadrare la situazione fiananziaria attraverso le motivazioni individuali. Non c'è alcuna menzione dell'azzardo morale.
Il sistema marxista non è altro che il prodromo di quello keynesiano.
CONTRADDIZIONI E CONFUSIONE
Poi l'autore del pezzo passa a parlare di presunti "appetiti immaginari" che guidano verso l'irrazionalità gli individui, soprattutto quel tipo di irrazionalità che sfocia nel consumo. E qui notiamo le classiche contraddizioni presenti nel pensiero marxista, poiché se Mcelwee qualche riga prima dipingeva i lavoratori come vittime di un impoverimento cavalcante, adesso fa dietrofront e afferma:
E' un modo duro ma accurato per descrivere l'America contemporanea, dove la popolazione possiede oggetti di lusso e nonostante tutto è guidata da un bisogno costante di comprare cose nuove.
Non essendoci un'indagine prasseologica seria e approfondita nel sistema marxista, l'azione umana viene snobbata e considerata irrazionale perché non consona con la visione del mondo dello scienziato chiamato a "migliorarlo." Così come Marx ed i suoi seguaci provavano disprezzo per il proletariato della loro epoca, Mcelwee veicola l'idea che i suoi compatrioti siano delle bestie grufolanti in attesa del prossimo pasto.
Diversamente da quello che sostiene implicitamente Mcelwee, gli individui non sono degli zombie senza cervello disposti a consumare qualsiasi cosa venga dato loro in pasto dalla pubblicità (pensateci, altrimenti non esisterebbero le ricerche di mercato). Gli individui rispondono agli incentivi. Ad esempio, durante la bolla immobiliare degli USA il costo del denaro è diminuito a causa dell'espansione artificiale dell'offerta di denaro. Oltre che nei tassi di interesse di riferimento, cio' si è riflesso nei tassi ipotecari. Il denaro costava di meno e quindi indebitarsi costava di meno. Era una decisione razionale. "Più case per lo stesso pagamento mensile -- che affare!"
Quando la politica monetaria è stata invertita ed indebitarsi non era più un affare, gli americani hanno smesso di contrarre debiti e hanno cercato di ripagare quelli vecchi. Pensare che le persone non agiscano così significa immaginarle sciocche. Non lo sono. Prendono decisioni razionali calcolando le variabili. Non fanno cose autodistruttive come lo stato, che sin dall'inizio della recessione ha continuato ad accumulare quantitativi ingenti di debito pubblico. Anche i dati dimostrano un comportamento razionale da parte delle famiglie americane.
All'indomani della recessione, il fardello di debito da ripagare che gravava sui redditi delle famiglie è iniziato a scendere, segno di un cambio di tendenza. Anzi, le persone sono state più lungimiranti delle corporazioni perché il dato raggiunge il picco nel quarto trimestre del 2007 per poi scendere inesorabilmente. Sono state stupide? No. Si sono fidate troppo di un mercato drogato dal denaro fiat? Sì.
Mcelwee prosegue aggiungendo maggiore confusione, definendo il FMI opera del capitalismo. Ho capito bene? Leggiamo da Wikipedia:
Il Fondo monetario internazionale (International Monetary Fund, di solito abbreviato in FMI in italiano e in IMF in inglese) è un'organizzazione composta dai governi di 188 Paesi e insieme al gruppo della Banca Mondiale fa parte delle organizzazioni internazionali dette di Bretton Woods, dalla località in cui si tenne la conferenza che ne sancì la creazione. L'FMI è stato formalmente istituito il 27 dicembre 1944, quando i primi 29 stati firmarono l'accordo istitutivo e l'organizzazione nacque nel maggio del 1945. Attualmente gli Stati membri sono 188.
A quanto pare questo doveva essere solo un titolo in neretto a scopo sensazionalistico, solo per intorbidire la mente del lettore il quale sarà invitato a credere che le corporazioni hanno il controllo delle strutture pubbliche. Chi ha il potere di scrivere le leggi ha il vero controllo. Le corporazioni possono avere il denaro e con esso influenzare il corso delle leggi. Questa pratica ha un nome: capitalismo clientelare. E' un processo che tende ad aumentare il potere e la giurisdizione dello stato, il quale è costretto a cercare nuovi partner per tenere a galla la sua rete di clienti.
In questo modo il consumatore non è più il re incontrastato del mercato, ma l'elettore la cui soddisfazione passa attraverso un sistema di violenza e coercizione. Quale elettore? Quello che è impiegato in quelle corporazioni di cui abbiamo parlato poco prima. Che tipo di sitema di produzione è mai questo? Uno che produce privilegi per alcuni a scapito di altri. Non esiste alcun vantaggio comparativo, solo sussidi per zombie affamati di porzioni di mercato.
Questo non è capitalismo. E' clientelismo. Il capitalismo prevede la soddisfazione del consumatore e questa puo' arrivare solo se la produzione si rivolge alla massa. Guadagna efficienza dalla specializzazione del lavoro e dalla divisione del lavoro, le quali aumentano il grado di soddisfazione dei desideri degli individui. Solidificano nella produzione di ogni giorno quegli oggetti che in passato erano consdierati dei lussi e perfezionano il loro funzionamento per guadagnare un vantaggio sulla concorrenza. Una singola nazione non è in grado di generare un tale grado di benessere, ma attraverso la cooperazione tra nazioni è possibile raggiungerlo.
Non è il protezionismo la strategia per la prosperità, non serve rinchiudersi all'interno di confini immaginari e cedere alla miope mentalità di dichiarare una guerra commerciale nei confronti di tutti i paesi circostanti. Il commercio e lo scambio sono sempre stati la chiave degli indiviui per riuscire a migliorare la propria condizione, sconfiggendo la miseria e sopravvivendo alle avversità della vita. Questo successo è stato anche garantito da quella che Ricardo chiamava legge dei vantaggi comparati, grazie alla quale la specializzazione del nostro vicino ci permette di migliorare il nostro stile di vita e a nostra volta di migliorare quello suo.
Marx non comprende tutto ciò perché il suo punto di vista non affonda le radici nello studio dell'azione umana. Crede che l'agire umano sia irrazionale. Non crede nel libero mercato, crede nelle pistole e nei distintivi.
IL PREZZO PIU' BASSO VINCE
Poi l'articolo passa a gettare catrame e penne sulla catena aziendale Walmart. Su quali basi? Aziende simili non fanno altro che costituire dei monopoli nel loro settore imprenditoriale. Domanda: e allora? Perché dovrebbe essere un problema se un'azienda, anche se detentrice di un monopolio in un certo settore, viene premiata dai consumatori? E' davvero un problema che in un determinato mercato ci sia una sola impresa che produca un determinato bene? Forse. Se prendiamo come esempi determinati segmenti di mercato ci accorgiamo di essere "circondati" da monopoli; ad esempio, la Asus ha il monopolio sui notebook Asus, la Fanta ha il monopolio sull'aranciata Fanta, ecc. Ma allora il “monopolio,” ci si potrebbe chiedere, non è un problema? Ovviamente si, ma non perché vi sia una sola azienda a produrre un determinato prodotto. Potrebbe farlo, eccezionalmente ed a prezzi bassi. Qual è quindi il dannato intoppo?
I problemi sorgono quando si tenta, e si ha successo, di impedire che altri concorrenti entrino in scena; ad esempio, attraverso vie giuridiche (cavilli legali e burocratici), attraverso la violenza (assoldare delle persone per operare minaccie ed intimidazioni verso coloro che si vuole escludere), ecc. In questi casi il “capitalista,” nonostante possa vendere degli ottimi prodotti e grazie ad essi essere arrivato al successo, vuole solidificare la sua posizione, ottenere "per legge" il diritto al profitto, ed impedire agli altri di fargli concorrenza. Questo è il monopolio da combattere.
Se alcune imprese si "mettono d'accordo" per vendere un determinato bene ad un determinato prezzo, ottenendo grandi guadagni, questo spronerà altri imprenditori ad entrare sul mercato presentando un prezzo minore per accaparrarsi la clientela. Se quelle stesse imprese in accordo impediscono ai nuovi imprenditori di presentarsi sul mercato, utilizzando mezzi legali, allora quel mercato non è più “concorrenziale” e quindi si genera quella situazione che bisogna ostacolare. Ogni imprenditore, essendo essere umano, mira ad ottenere una certa rendita da una posizione e tentare di proteggersi contro la possibile concorrenza; ma senza l’intervento dello stato in suo soccorso questi scopi non possono essere raggiunti.
Vediamo di portare un sempio concreto. Peter Schiff ha avuto una buona idea. Si è recato in un parcheggio di Walmart e ha provato a persuadere i clienti ad accettare un incremento del 15% per quello che avevano appena comprato. Perché? Per permettere agli impiegati di Walmart di guadagnare $15 l'ora.
Chi ha sottoscritto l'iniziativa? Nessuno. I clienti di Walmart sono lì per pagare prezzi bassi, non per pagare stipendi alti. Questa azienda non ha tra la sua clientela gente facoltosa, ma gente in una fascia di reddito medio-bassa ed impiega personale con basse capacità. Sfrutta un segmento di mercato che non avrebbe trovato soddisfazione, o che si sarebbe impoverito ulteriormente, in mancanza di una realtà come Walmart. Non solo, ma tutti quegli impiegati con scarse qualità lavorative sarebbero rimaste a spasso. Perché i marxisti se la dovrebbero prendere con quelle aziende che assumono personale con questo livello di qualificazione, e non con quelle che non lo assumono affatto?
Questo, ad esempio, è il problema con i sindacati che usano lo stato per costringere le aziende a pagare salari al di sopra del livello di mercato. Si rivolgono allo stato per impedire al lavoratore potenziale di lavorare per meno di quello che chiede il sindacato. Si rivolgono allo stato affinché renda illegali quelle aziende che pagano i lavoratori meno di quello che i loro membri ricevono.
I consumatori non vogliono pagare salari elevati. Vogliono prezzi bassi. Questa cosa non riguarda solo Walmart, ma tutto il mercato.
DA ADAM SMITH A MARX
L'articolo di Rolling Stones si chiude con una critica ai salari e ai profitti. E' chiaro che si vuole presentare al lettore la vecchia teoria dello sfruttamento del lavoratore a vantaggio del cosiddetto capitalista. Questa è una teoria che fa acqua da tutte le parti. L'idea che i profitti non siano altro che una parte tolta ai salari, risale ad Adam Smith. E' proprio in The Wealth of Nations che Smith sostiene come ai salari venga sottratto cio' che appartiene giustamente ai lavoratori, perché egli immagina una determinata situazione in cui il lavoratore svolge un certo tipo di lavoro ed il risultato è il relativo salario.
All'inizio, secondo Smith, esiste un'economia in cui ci sono lavoratori che producendo un certo bene guadagnano una remunerazione per i loro sforzi. A stravolgere questo equilibrio si presentano i cosiddetti capitalisti, che esponendosi attraverso i loro capitali, forniscono al lavoratore una spinta in più per migliorare il loro lavoro. Pero' devono guadagnare qualcosa da questo investimento, altrimenti non l'avrebbero intrapreso in prima istanza: il profitto. In questo senso è intesa la sopracitata sottrazione dei profitti ai salari dei lavoratori.
Il pensiero di Marx si muove intorno a questa struttura, spingendola verso le sue estreme conseguenze. E' qui che Marx entra a gamba tesa ed introduce una visione che sarebbe rimasta per sempre impressa nell'immaginario collettivo: paragono' i profitti che intascavano i capitalisti alla schiavitù. Secondo il suo punto di vista, tutto quello che producevano in eccesso veniva depredato dal capitalista il quale lasciava loro solo il necessario per la sussistenza. Il compito dei capitalisti, quindi, si riduceva ad un duplice obiettivo: aumentare le ore di lavoro per intascare più profitti possibili; diminuire al massimo il salario.
Bisogna subito precisare una cosa: Smith sbaglio' quando definì "salario" gli introiti guadagnati dai lavoratori quando eseguivano un lavoro in assenza di un finanziatore. Non avevano costi di produzione da sottrarre alla loro produzione perché essi stessi svolgevano il ruolo di capitalisti/lavoratori. In questo contesto non esisteva un salario, bensì un guadagno dalla potenziale vendita del proprio oggetto. Per farla breve, era esattamente il profitto. Quello che fanno invece i capitalisti, è creare il salario ed essere i responsabili dei costi di produzione. In questo modo si scinde la figura che prima era la stessa, dividendo il ruolo di finanziatore da quello di realizzatore dell'oggetto. Il lavoratore, quindi, si deve solo occupare della parte relativa alla creazione dell'oggetto (cosa per cui verrà retribuito attraverso il salario) mentre il capitalista si occuperà dei costi di produzione e delle attrezzature (cosa per cui guadagnerà un profitto alla vendita dell'oggetto).
Tale profitto, ovviamente, scaturirà dal successo che avrà sul mercato il prodotto presentato al consumatore, il quale rappresenta la figura principe da soddisfare. E' lui che decreta la "vittoria" o la "sconfitta" di una determinata impresa, è attraverso le sue scelte che premia o punisce le attività imprenditoriali presenti sulla scena economica. E' inutile pensare che solo perché una persona abbia immesso una certa dose di lavoro in un eterminato prodotto, egli debba essere remunerato per forza. Il valore con cui determiniamo l'utilità marginale di un oggetto è soggettivo, ed ognuno di noi presenta un diverso set di valori con cui predispone le proprie scelte.
Il ruolo del capitalista, quindi, non è solo quello di fornire attrezzature, salari e gestire i costi di un'azienda, ma anche individuare quei settori di mercato che possono essere sfruttati per trarre un guadagno. La creatività e le idee che possiede hanno bisogno di coordinazione e cooperazione per essere realizzate, quindi si circonda di tutta la manodopera di cui ha bisogno per dare forma alle sue invenzioni. Il compito del capitalista, quindi, è anche organizzativo. Non tutti riescono ad individuare settori di mercato validi da cui trarre un vantaggio pecuniario, ma soprattutto, non tutti sono in grado di avere idee che la maggior parte degli attori economici apprezzerà. Ovviamente, la figura del capitalista e dell'imprenditore possono anche non coincidere, perché l'organizzazione della produzione e la sua gestione richiedono risorse e non sempre chi ha le idee ha anche il denaro. In questo caso, il finanziatore dell'idea trarrebbe il suo profitto dal tasso di interesse sul prestito con cui viene finanziato il progetto dell'imprenditore.
Pensate un momento ad Ulisse, per cercare di capire meglio. Pensate a come la sua idea fece vincere ai greci la guerra contro Troia. Certo, ebbe bisogno dell'aiuto dei suoi compagni soldati per metterla in atto, ma la fonte dell'idea rimaneva lui. Aveva visto qualcosa che gli altri non erano riusciti a vedere, sconfino' in una regione strategica nella quale nessuno era ancora arrivato. L'idea era sua, ma aveva bisogno d'aiuto per metterla in atto. Questo aiuto svolge solamente il ruolo di esecutore dell'idea, il suo compito si esaurisce non appena viene completata l'azione materiale. Infatti, è Ulisse colui il quale viene associato al Cavallo di Troia, il suo profitto è stato entrare nella storia (mentre quello dei suoi compagni la fine della guerra).
Il capitalismo, quindi, funziona in maniera diversa da quella propagandata da Marx e dai suoi seguaci. Infatti, fu la rivoluzione industriale a migliorare le condizioni di vita di tante persone che nell'era pre-rivoluzionaria morivano di stenti e di miseria. Non solo, ma con essa vennero ridotte consistentemente anche le ore lavorative degli operai e, soprattutto, i bambini non avrebbero più dovuto lavorare. Grazie allo stipendio dei loro genitori e la produzione industriale che in due generazioni raddoppio', gli individui beneficiarono delle meraviglie del sistema produttivo capitalista. Non era un problema se i salari rimanevano costanti, quelli reali aumentavano a vista d'occhio grazie ad un'offerta di beni crescente e ad un sistema monetario stabile.
CONCLUSIONE
Una delle migliori confutazioni della teoria marxista venne presentata da Eugen von Böhm Bawerk nel libro La conclusione del sistema marxiano. Uno dei migliori libri che spiega senza pregiudizi le meccaniche capitalistiche è Capitalism: A Treatise on Economics di George Reisman. Comprendere quello di cui si parla è la chiave per non cadere vittima delle sciocchezze spacciate per verità. Mcelwee non ha fatto tesoro di questo suggerimento, spero che invece lo facciate voi.