giovedì 6 marzo 2014

Perché essere anarco-capitalisti?





di Llewellyn H. Rockwell, Jr.


Oggi un gran numero di persone – probabilmente più che in passato – si definisce sostenitrice del libero mercato, nonostante l'implacabile propaganda contro di esso. E' una cosa grandiosa. Tali dichiarazioni di sostegno, tuttavia, sono seguite da un inevitabile ma: abbiamo bisogno dello stato per garantire la sicurezza e la risoluzione delle controversie, i servizi più importanti di tutti.

Quasi senza pensarci, quelle persone che sostengono il mercato desiderano assegnare allo stato la produzione dei beni e dei servizi più importanti. Molti favoriscono un monopolio statale sulla produzione del denaro, e tutti sostengono un monopolio statale sulla produzione di legge e dei servizi di protezione.

Questo non vuol dire che queste persone siano stupide o ottuse. Quasi tutti noi siamo passati attraverso un periodo di stato limitato – o "minarchico" – e non ci è mai capitato di esaminare da vicino le nostre premesse.

Per cominciare, dovremmo riflettere su alcuni principi economici di base prima di definire auspicabile l'intervento dello stato:

  • I monopoli (lo stato stesso ne è un primo esempio) portano nel tempo a prezzi più elevati e servizi più scarsi.
  • Il sistema di prezzi del libero mercato dirige costantemente le risorse laddove i desideri dei consumatori vengono serviti in maniera meno costosa (es. costo di opportunità minimo).
  • Lo stato, come spiegò Ludwig von Mises in Bureaucracy, non può essere "gestito come un'impresa." Senza il test profitti/perdite, con il quale l'impresa ratifica le decisioni di allocazione, un ente governativo non ha idea di cosa produrre, in quali quantità, in quale posizione, con quali metodi. Ogni sua decisione è arbitraria, un problema direttamente analogo a quello affrontato dalla pianificazione socialista (come analizzò anche Mises, questa volta nel suo famoso saggio “Economic Calculation in the Socialist Commonwealth”).

In altre parole, quando si tratta di prestazione statale abbiamo buone ragioni per aspettarci una scarsa qualità, prezzi elevati e un'allocazione delle risorse arbitraria e dispendiosa.

Ci sono molte altre ragioni per cui il mercato, l'arena delle interazioni volontarie tra individui, merita il beneficio del dubbio rispetto allo stato, e per cui non dovremmo affrettarci ad affermare che lo stato sia indispensabile senza aver prima indagato come l'ingegno umano e le armonie economiche del mercato possano fare a meno di esso. Per esempio:

  • Lo stato acquisisce le proprie entrare aggredendo individui pacifici.
  • Lo stato incoraggia la popolazione a credere che ci siano due regole morali: una che impariamo da bambini (astensione dalla violenza e furto) e un'altra che si applica solo al governo (che può aggredire gli individui pacifici in ogni modo).
  • Il sistema educativo, dominato dagli stati, incoraggia le persone a considerare moralmente legittima la predazione dello stato e moralmente sospetto lo scambio volontario.
  • Il settore pubblico è dominato da interessi che (non credo che "interessi" sarebbero stati intesi nel senso di persone) fanno pressione per prestazioni speciali a spese della collettività, mentre il successo nel settore privato arriva solo dopo aver soddisfato quello pubblico.
  • Il desiderio di accontentare i gruppi di pressione supera quasi sempre quello di compiacere le persone che vorrebbero veder ridotta la spesa pubblica (e la maggior parte di queste persone la vuole ridotta solo marginalmente).
  • Negli Stati Uniti la magistratura ha sfornato per più di due secoli decisioni assurde, con poco o nessun collegamento "all'intento originale."
  • Gli stati insegnano ai loro sudditi come sventolare bandiere e cantare canzoni in loro onore, contribuendo in tal modo all'idea che resistere ai loro espropri e alla loro grandezza equivale al tradimento.

Questo elenco potrebbe andare avanti all'infinito.

E' comprensibile che le persone non riescano a capire come la legge, che presumono debba essere fornita in modo top-down, possa emergere in assenza di uno stato, anche se c'è un sacco di materiale storico che dimostra proprio questo. Ma se nel corso della storia lo stato avesse monopolizzato la produzione di un qualsiasi bene o servizio, avremmo sentito grida di panico semmai qualcuno avesse voluto privatizzare di nuovo tale bene o servizio. Se lo stato avesse monopolizzato la produzione delle lampadine, per esempio, ci avrebbero detto che il settore privato non avrebbe potuto produrre lampadine. I critici avrebbero insistito che il settore privato non sarebbe stato in grado di produrre la dimensione o il wattaggio che la gente voleva; che il settore privato non avrebbe prodotto lampadine in assenza di un mercato limitato, poiché ne avrebbe tratto poco profitto; che il settore privato avrebbe prodotto lampadine pericolose e dannose per la salute; e così via.

Dal momento che finora abbiamo vissuto con produttori privati di lampadine, queste obiezioni sembrano risibili. Nessuno vorrebbe vivere in uno degli ipotetici scenari da cui ci mettono in guardia questi critici, quindi il settore privato non li produce.

In realtà, fonti di legge concorrenti sono state tutt'altro che rare nella storia della civiltà occidentale. Quando il re iniziò a monopolizzare la funzione legale, non lo fece per un desiderio astratto di ristabilire l'ordine, che già esisteva, ma perché raccoglieva tributi ogni volta che venivano dibattuti casi nelle corti reali. Le ingenue teorie sul bene della popolazione, che in qualsiasi altro contesto viene considerato insensato, non diventano improvvisamente persuasive.

Murray N. Rothbard amava citare Franz Oppenheimer, il quale identificò due modi per acquisire la ricchezza. I mezzi economici comportano un arricchimento attraverso lo scambio volontario: la creazione di un bene o un servizio per il quale le altre persone sono disposte a pagare volentieri. I mezzi politici, disse Oppenheimer, comportano "l'appropriazione del lavoro altrui."

Noi nel campo Rothbardian come vediamo lo stato? Non come il fornitore indispensabile di legge ed ordine, o di sicurezza, o di altri cosiddetti "beni pubblici." (La teoria dei beni pubblici fa comunque acqua da tutte le parti.) Lo stato, invece, è un'istituzione parassita che vive depredando la ricchezza dei suoi sudditi, nascondendo la sua natura predatoria ed anti-sociale sotto una patina di interesse pubblico. Si tratta, come disse Oppenheimer, dell'organizzazione dei mezzi politici per arrivare alla ricchezza. "Lo Stato," scrisse Rothbard,

è quell'organizzazione della società che cerca di mantenere il monopolio dell'uso della forza e della violenza in una determinata area territoriale; in particolare, è l'unica organizzazione nella società che ottiene le sue entrate non dal contributo volontario o dal pagamento per i servizi resi, ma con dalla coercizione. Mentre altri individui o istituzioni ottengono il loro reddito dalla produzione di beni e servizi e dalla loro vendita pacifica e volontaria ad altri, lo Stato ottiene le proprie entrate mediante l'uso della coercizione; cioè con l'uso e la minaccia della prigionia e delle armi. Dopo aver usato la forza e la violenza per ottenere le sue entrate, lo Stato si spinge oltre regolando e dettando le altre azioni dei suoi sudditi [...]. Lo Stato fornisce un canale legale, ordinato e sistematico per la predazione della proprietà privata; rende certa, sicura e relativamente "pacifica" la linfa vitale della casta parassitaria della società. Dato che la produzione deve sempre precedere la predazione, il libero mercato è antecedente allo Stato. Esso non è mai stato creato da un "contratto sociale," ma è sempre nato dalla conquista e dallo sfruttamento.

Se questa descrizione dello stato è vera, e penso che abbiamo buone ragioni per credere che lo sia, è lontanamente possibile limitarlo o addirittura auspicabile farlo? Prima di licenziare tale possibilità, dovremmo almeno considerare se possiamo vivere senza di esso: il libero mercato, l'arena della cooperazione volontaria, potrebbe davvero essere il grande motore della civiltà così come la conosciamo?

Qualcuno potrebbe dire, torniamo alla Costituzione ed ai Padri Fondatori. Sarebbe un miglioramento, senza dubbio, ma l'esperienza ci ha insegnato che lo "stato limitato" è un equilibrio instabile. Gli stati non hanno alcun interesse a rimanere limitati, quando invece possono espandere il loro potere e la loro ricchezza attraverso l'incremento del loro potere.

La prossima volta che vi trovate ad insistere sul fatto che abbiamo bisogno di uno stato limitato, chiedetevi perché mai non rimane tale. Forse state dando la caccia ad un unicorno?

Ed "il popolo"? Non è adatto a mantenere limitato uno stato? La risposta a questa domanda è tutta intorno a voi.

A differenza del minarchismo, l'anarco-capitalismo non si prefigge aspettative irragionevoli. Il minarchista deve capire come convincere il popolo che anche se lo stato ha il potere di ridistribuire la ricchezza e finanziare progetti simpatici che piacciono a tutti, in realtà non dovrebbe farlo. Il minarchista deve spiegare, uno alla volta, i problemi con ogni singolo intervento dello stato, mentre nel frattempo la classe intellettuale, le università, i media e la classe politica si uniscono contro di lui per trasmettere il messaggio opposto.

Invece di insegnare a tutti cosa c'è di sbagliato con i sussidi agricoli, cosa c'è di sbagliato con i salvataggi della Federal Reserve, cosa c'è di sbagliato con il complesso militare-industriale, cosa c'è di sbagliato con il controllo dei prezzi – in altre parole, invece di insegnare a tutti gli americani l'equivalente di tre corsi di laurea in economia, storia e filosofia politica – la società anarco-capitalista richiede che il popolo comprenda solo le idee morali di base: non danneggiare persone innocenti e non rubare. Crediamo che tuto il resto possa derivare da questi semplici principi.

C'è un enorme letteratura che scandaglia le obiezioni più frequenti – ad esempio, la società non finirebbe in un conflitto violento a causa di bande armate che lottano per primeggiare? Come verrebbero risolte le controversie se il mio vicino di casa ha scelto un arbitro ed io un altro? Un breve saggio non può rispondere a tutte le obiezioni, quindi vi rimando alla bibliografia anarco-capitalista di LRC, assemblata da Hans-Hermann Hoppe.

C'è una battuta che di recente gira molto: qual è la differenza tra un minarchista ed un anarchico? Risposta: sei mesi.

Se in linea di principio apprezzate la coerenza e la giustizia, e vi ooponete alla violenza, al parassitismo ed al monopolio, non vi costerà fatica. Cominciate a leggere, e vedrete dove vi porteranno queste idee.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


36 commenti:

  1. E pensare che sta gia' nell'uomo la saggezza dell'anarcocapitalismo. Ma il potere opera per reprimerla.

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  2. "A differenza del minarchismo, l'anarco-capitalismo non si prefigge aspettative irragionevoli"
    ora lo spieghiamo ai russi, agli americani, ad israele, all europa ed a tutti. ho grande simpatia e stima della dottrina morale per i libertaria. quanto all irragionevolezza delle aspettative ho i miei dubbi :)… la frase riportata mi fa sorridere. si, dna, nell uomo ci sta la saggezza dell anarcocapitalismo, ma anche la brama di quello che chiami il potere, che è frutto dell azione umana, a meno di non credere ai rettiliani. l essere umano è devastante, lo dicevano pure nel pianeta delle scimmie (originale). e prima o dopo si estinguerà. speriamo dopo, che vado a cena fuori

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    1. Per una volta che volevo vedere il bicchiere mezzo pieno... :D

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  3. Gli anarco capitalisti sono un po' come i pacifisti: è giusto che inseguano la loro utopia (hai visto mai..) Un mondo senza guerre sarebbe bellissimo, così come un mondo senza stati (che spesso sono l'origine di quelle stesse guerre), ma la natura umana è complicata, c'è il Lato Oscuro (e sempre ci sarà) e l'anello del potere è fortemente seduttivo. A volte il meglio è nemico del bene. Mi accontenterei di uno stato che garantisse la vita, la proprietà e la libertà ( e non mi pare poco). Ma forse devo aspettare ancora sei mesi ; )

    Stefano

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    1. Ciao Stefano.

      Un mondo senza guerre non so se sia possibile, ma uno senza stati credo proprio di sì. O perlomeno il loro crollo è inevitabile. Ma vorrei proporre una visione alternativa a quella che si chiede: "Ma gli uomini sarebbero buoni o cattivi senza stato?" Oggi siamo portati a credere che la società funzioni (bene o male che sia) perché c'è lo stato, e che quindi la mancanza dell'anarchia sia quella di non considerare le conseguenze di un'assenza dello stato. Io contesto alacremente questo punto di vista. Gli uomini non si uccidono a vicenda non perché c'è lo stato che glielo impedisce, ma perché lo sentono come moralmente corretto. Pensate agli USA, dove lo stato (sotto forma di polizia e carceri) è presente in dosi enormi e la criminalità violenta è ben più presente e virulenta che in Italia. Pensate anche agli scioperi bianchi. Non è la gerarchia che manda avanti una fabbrica, ma la divisione del lavoro.

      lo stato ha solamente una funzione repressiva. Non nel senso di squadre di bastonatori, ma perché può solo intervenire su chi ha già violato le regole, non riuscendo ad impedirne la violazione. Credo che l'anarchia abbia già risolto il problema post-stato, perché la realtà ci ha presentato la soluzione: possiamo vivere senza bisogno dello stato, ma crediamo che ci sia necessario perché ci è stato insegnato. Eliminando lo stato non si eliminerebbe alcun connettivo sociale, soltanto un apparato repressivo che non ha alcuna utilità pratica. Non è banalmente una questione di ordine organizzativo-sociale, quanto un atteggiamento di ogni singolo, che è libero e responsabile. Per questo anarchia non è caos: anarchia è responsabilità.

      (Facciamo felice anche gdb, perché questi concetti l iritroviamo in Kant quando esorta l'individuo a liberarsi dal principio di autorictas che fino all'illumismo aveva caratterizzato le vite delle persone. Attraverso il ragionamento la persona è in grado di raggiungere la veritas, la quale dirada le nebbie dell'ipse dixit a cui aveva legato la sua esistenza. E' questo il primo barlume di anarchismo, in cui l'uomo si rende responsabile di fronte al mondo.)

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  4. In realtà il ragionamento fa leva su una serie di premesse errate, o indimostrate e accettate come assiomi:

    "Lo stato acquisisce le proprie entrare aggredendo individui pacifici"
    sarebbe interessante capire cosa si intende qui col termine "aggredire". Se sta a significare (come sembra da tutto il testo) una qualsiasi forma di coercizione allora sarebbe aggressione tutto il complesso del vivere sociale, ovvero l'educazione dei genitori o delle istituzioni (pubbliche o private che siano) nei confronti dei figli o degli studenti, la tutela della sicurezza pubblica (polizia, esercito, ecc.), l'amministrazione della giustizia (giudici e tribunali) ecc. Forme di società organizzate in questo modo, se sono esistite, appartengono a stadi pre-agricoli e pre-industriali della civiltà in cui il rapporto popolazione/mezzi di sussistenza offerti dall'ambiente è ottimale. Tuttavia anche in società di questo tipo esiste qualche forma di coercizione, seppure (apparentemente) lieve nei confronti dell'individuo, anche di tipo culturale (ad esempio vengono stigmatizzati comportamenti "sopra le righe" e uno "spirito capitalista" per dirla con Max Weber, sarebbe di sicuro censurato). Questo ci fa concludere che non esiste organizzazione sociale che non contempli in qualche modo la coercizione e dunque l'autorità, sia questa rappresentata dal potere di uno stato o di altri soggetti o strutture sociali.
    Inoltre è tutta da dimostrare l'immoralità della coercizione, intesa in senso lato. Perché? su quali basi?

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    1. Ciao Matteo.

      Stasera sarò più olistico del solito evitando di smembrare a pezzetti i commenti e poi confutarli. Inizio col dire che il ragionamento portato da Rockwell è basato su deduzioni logiche e realtà osservate, quindi non c'è niente di avulso con quello che vediamo. Nel caso di specie, con "aggressione" si intende quella pratica attraverso la quale un soggetto costringe un altro ad agire contrariamente ai suoi desideri, trascinandolo di conseguenze verso uno scambio forzato. La leva militare è un esempio. L'adesione a norme burocratiche assurde ne è un altro. Ma l'aggresione principe che lo stato esercita sull'individuo è quella derivante dal fisco. Il pagamento coercitivo di tributi per mantenere in vita un apparato presumibilmente necessario, in assenza del quale, si dice, regnerebbe il caos.

      In realtà, il pagamento dei tributi non è altro che la forma con cui ha avuto inizio lo stato (come ci insegna Oppenhaimer). E lo stato non rappresenta altro che il monopolio della violenza di un determinato gruppo su di un altro. Attenzione a non confondere anarchia o libero mercato con "mancanza di autorità." Soprattutto, meglio non tirare in ballo Weber il quale non ha fatto altro che generare confusione con la sua presunta critica al capitalismo.

      L'immoralità della coercizione è derivata direttamente dal concetto aprioristico di possesso esclusivo del proprio corpo da parte di un determinato individuo; da qui ne deriva il possesso di tale individuo del frutto del lavoro del proprio corpo, quindi l'ingiustificata intromissione di unità terze nei suoi desideri di scambio ed interazione. Attenzione, questo non significa che in tale senso ogni uomo è avulso da qualsiasi legge agendo senza freni; no, sarebbe ancora sottoposto a quell'ordinamento giuridico denominato rule of law.

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    2. Alcuni esempi in cui "un soggetto costringe un altro ad agire contrariamente ai suoi desideri, trascinandolo di conseguenze verso uno scambio forzato":
      I genitori o tutori nei confronti dei minori tutelati; gli insegnanti nei confronti degli allievi; le forze di polizia e i tribunali nei confronti del colpevole e/o sospettato; i datori di lavoro nei confronti dei lavoratori in presenza di alta disoccupazione (il lavoratore non può rifiutare l'offerta). I primi due di questi esempi non hanno a che vedere niente con lo stato: si può immaginare una società in cui lo stato non esista ma esistano gli obblighi familiari e istituzioni (non statali) educative. Potremmo anche immaginare una società in cui le forze di polizia siano private (qualche problema lo avremmo già con i tribunali). L'ultima opzione è l'unica che non sarebbe possibile senza stato (e questo non perché lo stato sia incompatibile con la piena occupazione ma per ragioni che non sto a spiegare in questo contesto). Quello che mi interessa è che la coercizione o l'"aggressione" o come vogliamo chiamarla (io preferisco usare il primo termine dando al secondo una diversa accezione) esiste anche senza stato ed è connaturata all'esistenza in società. Ovviamente la società deve poi anche offrire come contropartita benefici che altrimenti non si avrebbero. La differenza non è tra stato coercitivo e una condizione "naturale" non coercitiva, ma nelle forme in cui questa coercizione si esercita.

      "Attenzione a non confondere anarchia o libero mercato con "mancanza di autorità."" Volendo essere empiristi questa frase non avrebbe molto senso, poiché "anarchia" e "libero mercato" sono delle astrazioni pure. Non si danno esempi storici di nessuno dei due per come sono stati teorizzati. Possono esistere degli esempi pratici che al massimo possono avvicinarsi il più possibile a questi concetti (e anche qui ci sarebbe da discutere). Ma immaginiamo pure che la teoria si concretizzi in pieno. In questa anarchia utopica ci sarebbe autorità ma senza coercizione. Ma come è possibile ciò? Come è possibile avere un'autorità che non sia in qualche modo anche solo minimamente coercitiva? Se per autorità si intende nella lingua italiana "Potere legittimo di emanare disposizioni vincolanti per i destinatari" è evidente che è implicita nella definizione la possibilità di un'azione di tipo coercitivo. E che l'autorità si fondi proprio su questa coercizione che in certi casi viene attuata.

      "L'immoralità della coercizione è derivata direttamente dal concetto aprioristico di possesso esclusivo del proprio corpo da parte di un determinato individuo" Questo è il classico errore che deriva dal ragionare in termini astratti invece di considerare la società nel suo complesso. Può essere che sia svantaggioso per un determinato individuo essere sottoposto a una istituzione coercitiva, piuttosto che non esserlo. Ma la teoria contrattualista e anche la teoria dei giochi ci insegnano che uno svantaggio individuale può essere un vantaggio sociale. Un'istituzione sociale deve minimizzare gli svantaggi o massimizzare i vantaggi o entrambe le cose. Singoli svantaggi possono essere compensati da vantaggi collettivi più grandi e minori vantaggi individuali possono essere accettabili in cambio di minori svantaggi sociali.

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    3. Certo, essendo un tratto insito nel comportamento umano la coercizione non sparirebbe magicamente in assenza di uno stato, ma sarebbe drasticamente limitata. Gli esempi che porti alla nostra attenzione possono essere anche congrui, ma nulla vieta agli individui protagonisti di abbandonare quelle entità in grado di nuocere alla nostra persone o ai nostri desideri. Nella situazione attuale di oggi, dobbiamo sovvenzionare nostro malgrado sprechi ed inefficienze dello stato. Se davvero lo stato fosse un'istituzione che si preoccupa davvero della "collettività," allora renderebbe facoltativo il pagamento delle tasse ed entrerebbe in concorrenza leale con il resto degli attori economici presenti nel panorama del mercato. Ma questa è una contraddizione con la sua natura predatoria, perché la sua linfa deriva proprio dalla coercizione non solo dal punto di vista fiscale, ma anche dal punto di vista del debito. Perché io devo ripagare un debito che non ho mai contratto e dover sottostare ad un presunto contratto che mi obbliga a ripagare con i frutti del mio lavoro un prestito che non mi sono mai sognato di contrarre?

      In una società libera il rule of law sarebbe lo spartiacque tra le azioni lecite e quelle sanzionabili. Il lato oscuro dell'uomo verrebbe limitato, ed è questo lo scopo delle sanzioni negative in un libero mercato. Inoltre, quest'ultimo, non è affatto un'entità astratta. Un esempio? I mercati neri. Quello dei dollari in argentina per esempio. Se parliamo di società, invece, ricordo le fiere di Champagne, le colonie americane, ecc.. Tra gli esempi contemporanei c'è la Zomia, ad esempio.

      Infine, il tuo ragionamento non intacca il principio aprioristico del possesso esclusivo del proprio corpo, altrimenti io potrei dire "io possiedo il tuo corpo" ed appropriarmene dicendolo solamente ad alta voce. (E diconseguenza il diritto di matrice lockeana a possedere i frutti del proprio lavoro.) Lo stato sovverte questo principio attraverso la coercizione che esercita sugli individui e sulle sue proprietà, ed è per questo che è immorale ed ingiustificato.

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    4. Mi sembra un po' utopistico quello che sostieni. Se le tasse fossero facoltative nessuno le pagherebbe. Del resto non sarebbero nemmeno tasse ma al massimo donazioni che sono un'altra cosa. Ma a parte questo il sistema sarebbe insostenibile, perché senza tasse non si potrebbe controllare il flusso di moneta e ci sarebbe iperinflazione. Lo stato non deve entrare in concorrenza con nessuno come tu dici. E' proprio questa la differenza tra pubblico e privato. Il ruolo dello stato non è di concorrere col privato, ma di supportarlo. Il fine non è competitivo ma cooperativo. In un sistema di per sé competitivo come il capitalismo lo stato è l'unico che può dirigere gli individui verso fini comuni. Non c'è nessun debito e nessun contratto. Io non sono un contrattualista. Le tasse negli stati moderni non sono il "pegno" da pagare allo stato, ma semplicemente un tecnica monetaria che adotta lo stato per garantire a tutti il benessere economico. L'espressione "pagare" è fuorviante. Io non pago niente. Semplicemente lo stato mi sottrae quella parte della moneta inutile e inflattiva. Ed essendo inutile non commette nessun delitto a togliermela. Diverso è il caso se mi tassa più del necessario. In questo caso le tasse sono davvero un furto. Ma non perché lo siano di per sé, ma perché gli amministratori pubblici non le mantengono al giusto livello. La soluzione qual è? abolire lo stato? Non mi pare molto sensato. Piuttosto cambiare quegli amministratori con altri migliori e dare ai cittadini il potere di farlo.

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    5. «Se le tasse fossero facoltative nessuno le pagherebbe.»

      A dimostrazione della loro inutilità.


      «Del resto non sarebbero nemmeno tasse ma al massimo donazioni che sono un'altra cosa. Ma a parte questo il sistema sarebbe insostenibile, perché senza tasse non si potrebbe controllare il flusso di moneta e ci sarebbe iperinflazione.»

      Per chi sarebbe insostenibile? Non per me. Non per tutti quelli che si incontrano ogni giorno e fanno affari. Per chi campa col clientelismo dello stato? Ci puoi scommettere. E poi scusa, come fa a controllare il flusso di moneta? Stai confondendo un fenomeno prettamente monetario con l'inverosimile drenaggio di risorse da parte dello stato. L ostato spende, non accumula. Perché credi che i populisti oggi rimpiangano così tanto la lira?


      >«E' proprio questa la differenza tra pubblico e privato. Il ruolo dello stato non è di concorrere col privato, ma di supportarlo.»

      Non è vero. Se affermai ciò significa che o ignori o non hai mai sentito parlare di crowding out.


      «In un sistema di per sé competitivo come il capitalismo lo stato è l'unico che può dirigere gli individui verso fini comuni. Non c'è nessun debito e nessun contratto. Io non sono un contrattualista.»

      No, no, no, lo stato non sa niente. Presume di sapere, ma non sa niente in realtà. Questa è la stessa fallacia che invoca John Galbraith quando suggerisce di costruire tante "belle" cose che in realtà nessuno vuole.


      «Le tasse negli stati moderni non sono il "pegno" da pagare allo stato, ma semplicemente un tecnica monetaria che adotta lo stato per garantire a tutti il benessere economico. L'espressione "pagare" è fuorviante.»

      Certo, se sei un dipendente pubblico non paghi niente. Loro sono tax consumer, a differenza di coloro nel settore privato che invece sono tax producer.


      «Ma non perché lo siano di per sé, ma perché gli amministratori pubblici non le mantengono al giusto livello.»

      Ti sbagli, non esiste un livello giusto delle tasse. Attenzione, abolizione dello stato non coincide con l'abolizioen di un governo.

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  5. "Il settore pubblico è dominato da interessi che (non credo che "interessi" sarebbero stati intesi nel senso di persone) fanno pressione per prestazioni speciali a spese della collettività, mentre il successo nel settore privato arriva solo dopo aver soddisfatto quello pubblico".
    1. E perché mai il settore privato non dovrebbe essere dominato da interessi?
    2. L'interesse del settore pubblico è la collettività e quello del privato sono i singoli individui o gruppi di individui. Il problema nasce quando le istituzioni pubbliche invece di massimizzare i vantaggi di tutti gli individui e gruppi, lo fanno solo per alcuni a scapito di altri. Quindi il problema si crea quando è L'INTERESSE PRIVATO A PREVALERE SU QUELLO PUBBLICO IN FASE DI REALIZZAZIONE DI FINALITA' COLLETTIVE (quelle che si propone un'istituzione pubblica, ovvero un'autorità che esercita forme di coercizione per raggiungere determinati scopi, come dicevo prima).

    "Il desiderio di accontentare i gruppi di pressione supera quasi sempre quello di compiacere le persone che vorrebbero veder ridotta la spesa pubblica"
    Vale quanto dicevo prima. Ma a me sembra che dire una cosa del genere significa vivere su Marte. Chiunque sa che le lobby fanno pressione o per RIDURRE la spesa pubblica, non per aumentarla, o al più per far spendere allo stato solo per tutelare interessi privati e non quelli pubblici (es. salvataggio incondizionato delle banche mentre milioni di persone perdono il lavoro).

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    1. Il settore privato è dominato da interessi personali così come il settore pubblico. Problema: il settore pubblico è composto da cosiddetti tax consumers, mentre quello privato da tax producers. Gli interessi privati devono concentrarsi sulla soddisfazione dei desideri dei clienti a cui si rivolgono affinché le loro attività possano definirsi redditizie e quindi prosperare. Questo ovviemnte non va solo a loro vantaggio, ma anche a vantaggio di tutta la società:

      1. vengono creati posti di lavoro;
      2. aumenta l'offerta di beni e servizi disponibili.

      Il settore pubblico invece è avulso dalel regole in cui si muove un'impresa comune. Infatti i lavori governativi sono scarsamente produttivi. Possono essere liquidati? No. Il monopolio dello stato permette a questo pachiderma di ergersi al di sopra delel regole di mercato e pensare di poterle aggirare per sempre. Non è così. Alla fine i polli da spenanre finiscono. E no, l'interesse, del settore pubblico non è la collettività (qualunque cosa significhi questo termine).

      Inoltre, se proprio vogliamo essere pignoli e voler credere che lo stato attraverso la spesa aiuterebbe i poveri, basterebbe una spesa pubblica del 5% del PIL per sostenere (almeno in Italia) lo strato sociale più povero. Invece nel corso degli anni la spesa pubblica è aumentata e con essa la disuguaglianza di reddito degli individui, prova del fatto che la cosiddetta spesa welfaristica non va a vantaggio dei più deboli. (Vedi questo articolo di North per ulteriori delucidazioni).

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    2. C'è solo un'istituzione che può creare posti di lavoro e aumentare l'offerta di beni e servizi. Ed è lo stato.
      E può farlo aumentando la spesa pubblica al di sopra del livello di tassazione (o viceversa abbassando le tasse al di sotto della spesa pubblica). In entrambi i casi si creano più beni e servizi. Se lo stato smettesse domani di tassare si avrebbe inflazione. Fino a che punto le tasse devono essere abbassate? (o fino a che punto la spesa aumentata?) fino al punto di creare piena occupazione. Poi dal punto di vista economico non conta quali beni e servizi siano prodotti lavorando direttamente per lo stato e quali invece lavorando per il settore privato. Queste sono scelte inerenti alla politica.

      Per quanto riguarda il "welfare" dipende cosa si intende con questa parola. Se si intendono le spese per la previdenza sociale non fa alcuna differenza in termini di produttività che sia privata o pubblica. Il problema resta sempre quello di dover garantire a una quantità di persone che non produce beni e servizi una quantità di beni e servizi. Che le pensioni siano private o pubbliche il problema resta. A meno di non pensare come Attali di istituire l'eutanasia di massa per gli anziani improduttivi. Ma penso che questa sia una forma di coercizione assai peggiore di quella delle tasse.
      Se per welfare si intendono i servizi garantiti direttamente dallo stato ai propri cittadini (sanità, istruzione, ecc.) anche qui non fa alcuna differenza in termini di produttività che sia lo stato o il privato a farlo. Uno stato paga gli stipendi degli impiegati in cambio della produzione di un servizio e lo stesso fa il privato. Cosa c'è di diverso?
      Se per welfare però si intendono le politiche di sostegno all'occupazione bisogna intendersi. I sussidi di disoccupazione sono qualcosa di veramente improduttivo perché garantiscono un reddito a chi non lavora. Altra cosa sono piani nazionali per il lavoro che assicurerebbero una crescita per il raggiungimento della piena occupazione. Lo stato non deve produrre disoccupati, ma lavoratori.

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    3. No, perdonami, ma questo non è vero. Lo stato crea lavori, ma non sono in accordo con il volere del mercato. L'apparato fiscale ad esempio è andato a creare figure professionali che devono "aiutare" i commercianti a districarsi tra le selve del sistema fiscale/burocratico dello stato. Non solo, ma con il sostituto d'imposta il datore di lavoro deve svolgere un compito che sottrae molto tempo ed energie al suo vero scopo. I ltu oragionamento è fallace perché fa appello al cosiddetto moltiplicatore keynesiano, ma con questo i lavori vengono distrutti perché tolgono risorse da coloro il cui compito è soddisfare i clienti (e sono loro il vero motore della prosperità delle aziende). La piena occupazione è un altro mito keynesiano. Così come la presunta produttività della spesa pubblica.

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    4. La spesa non toglie risorse a nessuno. Semmai le aggiunge. Il mio ragionamento fa appello prima che a Keynes a un fatto elementare di contabilità. E cioè che il disavanzo dello stato è uguale al risparmio netto del settore privato. Non è Keynes, è un'identità. Poi semmai Keynes fa leva su questo per sviluppare il suo discorso, ma ciò è un'altro paio di maniche. Purtroppo oggi non capiamo questo perché pensiamo che lo stato per spendere debba prima tassare. Se fosse così potrei infatti concordare con te sul fatto che le tasse sono un furto. Ma è' esattamente il contrario: lo stato per tassare deve prima spendere.

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    5. Scusami Matteo, ma le chiacchiere stanno a zero perché lo stato ottiene le sue entrate in tre modi: tasse, emissione di bond, stampa di denaro. Tutti e tre sono deleterei, disastrosi ed ingiustificati.

      Capisco, quindi affinché i slettore privato possa accumulare ricchezza finanziaria deve esserci qualcuno che prima si indebiti (lo stato). Visto che questo è un desiderio irrefrenabile, il governo deve spendere per saziare tale fame. In questo modo si ritrova tanti bei soldi da spendere per portarci tanto benessere ed infrastrutture. E' davvero così? Facciamo un esempio.

      Immaginiamo che l'Italia sia divisa in tre settori: estero (in pareggio), io e il resto d'Italia. Questi ultimi due devono essere uguali a zero qualora sommati, quindi se il resto d'Italia vuole arricchirsi io devo indebitarmi (seguendo la logica dell'identità contabile da te enunciata). Decido di emettere tanti allegri IOU per indebitarmi nei vostri confronti, così avrò soldi da spendere dandomi alla pazza gioia in giro. Mentre io mi indebito voi, si suppone, state accumulando ricchezza finanziaria comprando i miei IOU. Dopo aver accumulato tante belle carabattole alle Bahamas decido di partire a prendere il sole da quelle parti e non ripagare i miei debiti, lasciandovi crogiolare in quella "ricchezza" finanziaria a cui tanto teneva il resto d'Italia.

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  6. "Negli Stati Uniti la magistratura ha sfornato per più di due secoli decisioni assurde, con poco o nessun collegamento "all'intento originale" Che significa? qual è l'intento originale? Dire che un'istituzione certe volte è fallace vuol dire che essa deve cessare di esistere? Non sarebbe più logico pensare che, sebbene imperfetta, la sua estinzione porterebbe molti più danni di quanti siano i benefici (sempre che ve ne siano)?
    E' interessante quello che diceva David Hume in proposito: alcune decisioni singole di un giudice possono essere ingiuste se prese singolarmente, ma viste nel loro complesso sono funzionali al funzionamento delle regole di giustizia per conseguire finalità di benessere sociale.
    Ci sono altre affermazioni altamente discutibili e dogmatiche che andrebbero confutate, ma mi limito alla più importante: l'idea che senza stato sarebbe possibile l'esistenza di un "libero mercato" nel senso moderno del termine (è interessante notare che nessun economista riesca a dare una definizione soddisfacente di questa espressione) che garantirebbe di per sé ricchezza sociale.
    Ma nella società moderna non esiste ricchezza senza moneta. Chi è che produce moneta? lo Stato. Togli lo stato e hai tolto la moneta e quindi la ricchezza (perché sarebbe impossibile scambiare i beni e i servizi).
    Certo potrebbe esistere il baratto. Ma dubito che una forma di economia così "rudimentale" possa essere definita di "libero mercato" Forma di scambio in queste società sono molto limitate (sempre che esistano). La ricchezza qui è data (per usare la terminologia degli economisti classici) soltanto dal valore d'uso dei beni, non dal valore di scambio. Nelle società complesse moderne, industriali o post-industriali, la ricchezza si fonda invece sul valore di scambio dei beni. E perciò è necessaria la moneta. E la moneta come abbiamo detto viene dallo stato.

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    1. Sulla magistratura Rockwell non ha intenzione di criticarla al fine di erdaricare la sua disciplina sull'ordine pubblico, bensì la critica come spesso connivente con le influenze statali. Inoltre, se ci riflettiamo, lo stato non può essere portato al banco degl iimputati. ne sanno qualcosa quelli che, ad esempio in Italia, aspettano soldi dalle amministrazioni pubbliche. Il problema non è quindi la magistratura, bensì (ancora una volta) lo stato ed il suo potere monopolistico.

      Per quanto riguarda la moneta dici una castroneria. Essa non nasce con lo stato, e se lo stato dovesse crollare domani la moneta non sparirebbe. La moneta si genere dagli scambi di mercato, attraverso le azioni degli individui che mediante le loro scelte in un ambiente privo di vincoli o ostruzioni decidono spontanemanete cosa debba o non debba essere denaro. Così come in altri campi, lo stato si èavvalso del suo potere monopolistico per emettere banconote. Ti consiglio, quindi, di andarti a spulciare il menù a tendina in alto dove trovi la sezione "Per iniziare" e poi scegli la voce "Origine del denaro."

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    2. Non mettiamo insieme cose che non c'entrano niente. I pagamenti in arretrato della pubblica amministrazione ai danni delle imprese sono dovuti al patto di stabilità europeo, al vincolo di bilancio inserito in Costituzione, e altri "lacci e lacciuoli" imposti da autorità sovrastatali e sovranazionali (UE) non c'entrano nulla con la magistratura e con lo stato nazionale.
      Uno stato di per sé paga sempre i propri debiti e non avrebbe alcun motivo per fare il contrario. A meno che non gli si mettano vincoli legali che gli impediscono di farlo.
      Per quanto riguarda la moneta: la mia non era un'analisi storica. Non entro nella questione se sia comparsa prima la moneta o prima lo stato. Quello che dico è che nella società moderna non si dà moneta senza stato e che il capitalismo senza uno stato è destinato presto a crollare (come avevano già capito Marx e Keynes).
      "La moneta si genera dagli scambi di mercato, attraverso le azioni degli individui che mediante le loro scelte in un ambiente privo di vincoli o ostruzioni decidono spontanemanete cosa debba o non debba essere denaro"
      Ma come si fa a "generarsi" questa moneta? Puf! come per magia compare la moneta? Dev'esserci qualcuno che la crea proprio materialmente.
      I privati possono creare credito. Non possono creare moneta. La moneta può crearla solo lo stato (esiste l'eccezione europea ma su questo tornerò in seguito).
      Possiamo immaginare un sistema di "free banking" come ipotizzato da alcuni teorici (Hayek, Von Mises, ecc.) senza una banca centrale.
      Un sistema di questo tipo si è avuto storicamente solo per brevissimi periodi, ed è normale. Non ci sarebbero più le riserve obbligatorie, ma non ci sarebbe nemmeno la possibilità di risanare eventuali "buchi". Una crisi finanziaria come quella che stiamo attraversando, senza un'ingente spesa pubblica tesa a colmare le perdite (che è invece moneta, non credito!) avrebbe spazzato via il sistema bancario e per questo è stato un'ipotesi presto abbandonata.
      Immaginiamo invece di avere una banca centrale, ma senza stato. Questa banca centrale potrebbe emettere moneta. Le banche avrebbero comunque i loro conti di riserva e le BC interviene a sanare le perdite. Tutto ok? NO! perché la BC non può tassare e perciò non è in grado di regolare il flusso monetario. Quindi stiamo punto e a capo un'altra volta. In Europa la BCE è sganciata da qualsiasi controllo pubblico, ma esistono lo stesso gli stati che tassano. E anche così il sistema si trova in seria difficoltà.
      No, non può funzionare. Per avere un'economia di tipo capitalistico devi emettere moneta (non basta il credito). Ma devi poi anche tassare, e quindi non basta una banca centrale da sola. Non si scappa. Se fosse sostenibile un sistema di solo credito bancario non pensi che lo avrebbero già fatto?

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    3. No, non è vero, se davvero avessero avuto intenzione di ripagare le passività, il debito italiano sarebbe diminuito. E la UE non c'entra niente con i ritardi dei pagamenti da parte della PA.

      Credo non ci siano dubbi che sia nata prima il denaro che lo stato... Inoltre il punto di vista di Keynes e Marx sul capitalismo è fallace: Il mito del fallimento del capitalismo.

      Comunque ti avevo suggerito di leggerti l'articolo di Menger sull'origine del denaro e se hai ancora dubbi simili significa che non l'hai letto, altrimenti non diresti che la moneta appare in un "puf." Qui un esempio contemporaneo di come il Tide, un detersivo, sia diventato una delle merci più commerciate in America e quindi mezzo di scambio indiretto.

      Sul free banking un ottimo esempio storico deriva dalla Banca d'Amsterdam, che per 150 anni è rimasta in attività sostenendo i principi di una riserva al 100% dei depositi. Non appena sgarrò da questo punto di vista, è andata a gambe all'aria. Poi, beh, quando dice che c'è bisogno di spesa pubblica per colmare i presunti "buchi" cadi nella fallacia keynesiana di presumere che la recessione sia il "male" da combattere, quando invece è il boom artificiale l'evento da combattere per evitare le crisi.

      Infine:

      >In Europa la BCE è sganciata da qualsiasi controllo pubblico

      Falso. Leggiti lo statuto della BCE e scoprirai che non è così.

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    4. Il debito pubblico non è un indicatore affidabile dell'economia di un paese. L'unico modo per ridurre il debito in maniera efficace sarebbe quello di abbassare i tassi di interesse. Ma ciò non possiamo farlo nella situazione attuale in cui lo stato è espropriato della sovranità monetaria. Così, ironicamente, si avvera quello che tu sostieni: lo stato si riduce ad essere un soggetto economico privato come gli altri che deve andare dalla banche a chiedere credito e per ripagare il suo debito crescente è costretto a ridurre il disavanzo o addirittura creare avanzo primario (senza però che questo riduca il deficit, entrando in una spirale perversa) come accade in Italia. Questo sì che è un furto! Questo si ché vuol dire depredare la nazione! Ma la colpa di questo non è dello stato come categoria politica o economica, ma dell'espropriazione delle sue funzioni da parte di istituzioni sovranazionali, queste sì che non hanno alcuna legittimazione.
      Dire che la recessione non è un male mi pare francamente assurdo. Le conseguenze della recessione (che ormai si è "europeizzata") sono sotto gli occhi di tutti.
      Io non ho detto che la moneta appare in un "puf". La mia era una domanda retorica. Volevo semplicemente dire che se non c'è lo stato a creare moneta, chi può farlo? le banche possono solo creare credito, ma questa è un'altra cosa.
      La BCE è al di fuori e al di sopra degli stati europei. Essa (e tutte le banche centrali europee) non possono comprare titoli di stato sul mercato primario (anche se poi in pratica lo ha fatto, per evitare agli stati il default). Questo significa che il debito dei singoli paesi viene di fatto privatizzato e che lo stato diventa dipendente dal credito delle banche.

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    5. «Il debito pubblico non è un indicatore affidabile dell'economia di un paese. L'unico modo per ridurre il debito in maniera efficace sarebbe quello di abbassare i tassi di interesse. Ma ciò non possiamo farlo nella situazione attuale in cui lo stato è espropriato della sovranità monetaria.»

      Prego? E perché no? Se fossi un creditore sarei molto preoccupato. Soprattutto quando il debitore spende più di quello che incamera, e continua a chiedere prestiti per ripagare altri prestiti. Capirai che un atteggiamento simile è sconsiderato e richide tassi di interesse alti a segnalazione del rischio che si corre a dare fiducia ad un soggetto simile. Abbassarli artificalmente distorcerebbe la realtà delel cose e lancerebbe un messaggio sbagliato in tutto l'ambiente economico: esistono i pasti gratis. Non è così.

      Il tasso di interesse è un importante fonte di informazioni e coordinazione nell'ambiente economico , e deve essere lasciato libero di fluttuare in base al cambiamento delle situazioni che si vengono a creare in base ai desideri degl iattori economici. Creare denaro o sottrarlo per distorcere questi segnali è un grave perciolo per l'eqilibro con cui si muovono gli scambi, andando a perturbare un equilibrio di azioni che avrebbero come risultato una serie di errori. Errori che prima o poi dovranno essere ripuliti.

      Gli errori dell'Italia non sono dovuti ai paesi del nord Europa cattivi, ma alle sue azioni sconsiderate che partono da molto lontano e non dall'entrata nell'euro. La crisi che oggi stiamo vivendo è figlia proprio della manipolazione dei parametri economici di cui ti ho parlato prima, e continuano ad essere manipolati. E ' per questo che la crisi continua, perché se la recessioen avesse avuto modo di spazzare quelle entità non in accordo con i desideri degli attori economici ne saremmo già usciti. Bisogna temere il boom, non il bust.

      Infine, un appunto sulla BCE. Leggiamo dallo statuto della BCE, articolo 16:

      «[..] stabilisce che la BCE e le banche centrali nazionali possono emettere banconote e che tali banconote sono le uniche ad avere corso legale nella Comunità.»

      Poi l'articolo 29.2 ci informa che il capitale della BCE appartiene alle abnche centrali nazioni degli stati membri. Poi l'articolo 33.1 dice:

      «Il profitto netto della BCE deve essere trasferito nell'ordine seguente:

      a) un importo stabilito dal consiglio direttivo e che non può superare il 20% del profitto netto viene trasferito al fondo di riserva generale entro un limite pari al 100% del capitale

      b) il rimanente profitto netto viene distribuito ai detentori delle quote BCE in proporzione alle quote sottoscritte»


      Essendo le azioni in mano alle banche centrali nazionali, questo significa che l'80% dei profitti della BCE viene girato a queste ultime. NIent'altro finisce in altre società, soprattutto private. E i profitti delle banche centrali nazioni a chi vengono girati? Esatto, agli stati. Lo scopo delle banche centrali è quello di fungere da cartelli per il settore bancario commerciale e proteggere l'entità che rende legale questo cartello, ovvero, lo stato.

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  7. Infine: "Invece di insegnare a tutti cosa c'è di sbagliato con i sussidi agricoli, cosa c'è di sbagliato con i salvataggi della Federal Reserve, cosa c'è di sbagliato con il complesso militare-industriale, cosa c'è di sbagliato con il controllo dei prezzi – in altre parole, invece di insegnare a tutti gli americani l'equivalente di tre corsi di laurea in economia, storia e filosofia politica – la società anarco-capitalista richiede che il popolo comprenda solo le idee morali di base: non danneggiare persone innocenti e non rubare. Crediamo che tuto il resto possa derivare da questi semplici principi".

    Questa è un'idea completamente astratta. Perché la morale dovrebbe essere indipendente da considerazioni di ordine economico e politico? Se una società si basasse su principi che portano alla sua autodistruzione, sarebbero quei principi da considerarsi morali? E' assurdo vedere l'etica come qualcosa di staccato dalla società, basti vedere gli ultimi sviluppi delle filosofie utilitariste e contrattualiste.

    Matteo

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    1. L'etica è staccata dalla teoria economica, ma non dalla filosofia libertaria.

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    2. Quindi attuare una politica economica piuttosto che un'altra è moralmente indifferente?

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    3. La scuola austriaca, ad esempio, insegna ai propri allievi causa ed effetto di determinati fenomeni economici. Il libertarismo è una filosofia politica che isnegna ai relativi sostenitori quello che si dovrebbe e non si dovrebbe fare. Spero di essere stato chiaro.

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    4. Come fai a sapere quello che si dovrebbe fare prescindendo dai fenomeni economici? Tu dai una certa lettura dei fenomeni economici, per questo pensi che la tassazione sia immorale. Io ne do una opposta e per questo do anche un opposto giudizio di tipo morale.

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    5. Ti faccio un esempio. Prendiamo il salario minimo. Da economista Austriaco io so (agendo sostanzialmente come un controllo sul prezzo) che esso è un male perché porta ad una disoccupazione di quei lavoratori con basse capacità o con scarsa esperienza.

      Da libertario posso aggiungere che è sbagliato perché impone una base di partenza per una trattativa che intavolano lavoratore e datore di lavoro (oltre al fatto che potrebbe essere usato come discriminazione razziale dato che, negli USA, crea principalmente disoccupazione per i maschi neri in età adolescenziale).

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  8. Si è imprigionati in un sogno malato.
    Come spiegare agli altri sudditi che Carlo De Benedetti NON è un capitalista, né - più difficile - che lo stato italiano sia una sua vittima?

    Ho scoperto sulla mia pelle quanto siano bravi gli schiavi a rigirare la frittata, quando si tratta di difendere lo status quo di cui sono soliti lamentarsi: evidentemente la lamentela è uno sport indispensabile.

    Riccardo Giuliani

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    1. Ciao Riccardo.

      Qui abbiamo un classico esempio di turbocapitalismo accelerato dal liberismo.

      Credevo che l'attuale guerra mossa dallo stato nei confronti delle piccole imprese e del contribuente medio avrebbe dato uno scossono sulla realtà del fisco e delle sue conseguenze. Soprattutto a vedere le mani lorde di sangue di pannolone Napolitano e di tutto il carrozzone politico per i continui suicidi di cui ogni giorno siamo testimoni. Mi domando: ma quanto è stata persuasiva l'educazione civica? Forse i testimoni di geova odovrebbero trarre una lezione importante qui... dehehe!

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  9. dna coltivatore diretto di se stesso7 marzo 2014 alle ore 11:09

    Alla fine, e senza voler essere definitivo, vien fuori che si parli di cinema o di filosofia politica o di qualsiasi altro argomento, il liberale lo riconosci molto facilmente. E' quello che continua imperterrito ad applicare la cultura del dubbio, la consapevolezza del limite, proprio e pertanto altrui, che respinge qualsiasi opinione massimalista, qualsiasi totem come inattaccabile, ecc ecc
    Non e' relativista, ma realista. Non e' utopia quella anarcocapitalista, ma ragionevolezza, l'indicazione del male che deriva dal suo opposto. Lo stato e lo statalismo sono sempre mezzi per la costruzione ed il mantenimento di privilegi. Di ogni tipo. Beninteso, privilegi artificiosi, non naturali. Lo stato favorisce il piu funzionale, il piu adattato, conformato e conformista. Lo stato aiuta il sottomesso, la particella asservita, innocua, compresa. Scalare lo stato e' impresa ardua, attraente, spesso fruttuosa.
    Ma a noi liberali non ci attrae. Non ci interessa. Siamocostretti a confrontarci con questo moloch, ma lo vediamo per quello che e' realmente. E non ci piace. E ne vediamo le fragilita sempre piu palesi. E ne pronostichiamo il declino inesorabile, lento o rapido non ci importa, sappiamoche accadra', perche' lo stato e' innaturale, e' una strada senza sbocco, non rispetta l'essenza dell'umanesimo, ma la distorce, la opprime, la nega.
    Il liberale non sa cosa lo attende, ma certamente prova a difendersi, e siccome non ha mire di dominio, comincia nel piccolo e li' trova la dimensione di se stesso e delle cose, della realta'. Non egoismo, ma realismo, rispetto per se stesso e percio' per il simile. Soggettivita', marginalismo, reciprocita'.
    Nessuno deve avere cosi tanto potere da poter nuocere agli altri.

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  10. Ma sì, certo, lo Stato è l'orrendo mostro bulimico divoratore delle nostre fatiche, delle nostre speranze e delle nostre stesse vite ( e gli evasori sono dei patrioti). Lo Stato è impiego della violenza per costringere gli individui a comportarsi diversamente da come vorrebbero. Su questo siamo d'accordo: non è la diagnosi in questione ma la terapia. Che cosa deve o dovrebbe fare un liberale-liberista-libertario (o aspirante tale) per affamare, contenere, limitare la bestia? Semplicemente attendere il crollo del Leviatano e occuparsi dei fatti propri? Non ci sono azioni comuni, collettive, o meglio plurali, da intraprendere? Qual è il comportamento concreto? Invoco un "decalogo dell'etica libertaria" che ispiri non solo il pensiero, ma anche l'azione. Potrebbe sembrare una contraddizione in termini, ma il momento è drammatico: "essi" sono organizzatissimi e hanno una fortissima "coscienza di classe". Noi (mi permetto di iscrivermi al club) siamo pochi, divisi e in molti casi un po' "pazzerelli" ; )
    Stefano

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  11. Stupendo! Grazie mille. Mi appresto a leggere con calma.

    Stefano

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