Bibliografia

mercoledì 12 marzo 2014

Miti e lezioni sulla "crisi valutaria" dell'Argentina

«[...] Un governo non può inflazionare la sua valuta a dismisura, negarlo e pretendere che i propri imprenditori producano a prezzi stabiliti “per legge” viola le fondamentali leggi dell’economia, e del buon senso. Solo qualche stato riesce a farlo, perché impone l’utilizzo della propria valuta a tanti altri paesi, gode di tutto il beneficio, ma solo in parte dell’inflazione dei prezzi (leggi Stati Uniti).
Il Venezuela dovrebbe far riflettere tutti quelli che sostengono che basta stampare denaro per produrre ricchezza. Anzi tra i più “originali” oggi ne troviamo alcuni che sostengono che la vera ricchezza passi solamente dal deficit dello Stato coperto da emissione di nuova valuta. Qui siamo talmente lontani dalla realtà che forse è inutile discutere. Meglio limitarsi a fare degli esempi come questo e sperare che qualcuno cominci a studiare veramente l’economia o per lo meno la storia. Oppure può sempre provare ad aprire un’impresa in Venezuela!
Quando dobbiamo scegliere un luogo dove fare business, è opportuno evitare quei paesi perennemente a deficit e che svalutano allegramente la propria moneta. Perché prima o poi diventeranno molto aggressivi imponendo tasse e condizioni coercitive inaccettabili. Per esempio: l’Italia.»


~ Il Venezuela fallirà e ha tanto da insegnare, Roberto Gorini, 20 febbraio 2014.
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di Joseph T. Salerno


Dopo che il mese scorso il peso argentino  è crollato, possiamo decretare la fine dell'ennesimo esperimento fallimentare del populismo di sinistra in Sud America. La "svalutazione" del 15% del peso rispetto al dollaro USA nel mese di gennaio rappresenta il suo declino più ripido dopo la svalutazione del 2001, quando l'Argentina andò in default per il proprio debito estero. Dal 21 gennaio alla chiusura delle contrattazioni il 23 gennaio, il peso è sceso da 6.88 a 8.00 al dollaro sul mercato ufficiale. Sul mercato nero il peso è diminuito del 6% il 23 gennaio (13 al dollaro). Negli ultimi dodici mesi il peso è diminuito del 35%.

In un tentativo sciocco e inutile di mantenere un tasso di cambio sopravvalutato, la banca centrale argentina ha venduto riserve di dollari al ritmo di $1.1 miliardi al mese l'anno scorso, acquistando i pesos in eccesso nei mercati dei cambi. Nel complesso, le riserve in dollari sono passate da un livello record di $52.6 miliardi dollari nel 2011 ad un minimo di $29.3 miliardi. Inoltre dal 2011 il governo Fernández de Kirchner ha implementato controlli valutari altamente restrittivi, tra cui ritardi nell'approvazione del rimpatrio dei dividendi delle imprese estere, nonché restrizioni sugli acquisti dei turisti, imposte sugli acquisti con carta di credito, e, recentemente, limiti di spesa online che hanno reso quasi impossibile ottenere dollari da accumulare o investire all'estero. Naturalmente queste misure draconiane non sono riuscite a tamponare il deflusso di dollari, soprattutto grazie al funzionamento salutare del mercato nero nel quale erano liberamente disponibili al prezzo di equilibrio di 13 pesos a dollaro. Il governo ha finalmente gettato la spugna il 22 gennaio e il 23 si è rifiutato di intervenire sui mercati valutari per sostenere il peso, il quale è diminuito del 10% in un solo giorno. Il 24 gennaio il governo è andato oltre e ha annunciato un allentamento dei controlli sui cambi. Ora agli argentini sarà permesso acquistare pesos in proporzione al loro reddito, mentre l'imposta sulla conversione dei pesos è stata ridotta dal 35% al 20%.

Questi sono i fatti così come sono stati riportati, ma molti commentatori hanno commesso errori nella loro interpretazione della situazione.[1]

In primo luogo, il forte calo del valore del peso non rappresenta l'inizio di una cosiddetta "crisi valutaria," ma piuttosto il mezzo per risolvere una crisi già da tempo in atto. La "svalutazione" del peso da parte delle autorità monetarie argentine non fa altro che rimuovere i controlli dei prezzi che hanno mantenuto il prezzo del peso (rispetto al dollaro) al di sotto di quello di mercato, e che hanno quindi generato in Argentina una persistente domanda di dollari. In altre parole, la svalutazione è semplicemente l'ammissione che il peso era già stato derubato di una parte significativa del suo valore. I controlli dei prezzi hanno subdolamente mascherato questa situazione, infatti i prezzi delle importazioni erano artificialmente bassi in termini di pesos mentre le esportazioni argentine erano più costose e meno competitive sui mercati esteri. Il governo argentino ha cercato di sopprimere il deficit commerciale risultante e la carenza di dollari con controlli sui cambi, cioè, con misure intese a razionare i dollari a disposizione dei suoi compari. Inoltre le persone hanno aumentato la loro domanda di dollari, poiché hanno anticipato l'inevitabile "svalutazione" del peso e la conseguente perdita di potere d'acquisto in termini di beni. Permettendo al tasso di cambio di variare dal prezzo controllato di 6.88 al prezzo di mercato di 8.00 pesos a dollaro, i prodotti esteri sono diventati più costosi per gli argentini ed i prodotti nazionali sono diventani meno costosi per l'estero (es. con una data quantità di dollari possono essere acquistati più pesos).

Se il governo rimane sulla rotta di tale cambiamento, diminuiranno le importazioni ed aumenteranno le esportazioni fino a quando si avvicineranno all'equilibrio. Così il deficit commerciale scomparirà, o diventerà abbastanza piccolo da poter essere finanziato dall'afflusso di invetimenti esteri nel settore privato. In realtà, dal momento che l'Argentina deve ancora cominciare a saldare circa $6.5 miliardi di debiti scaduti con le nazioni creditrici, è più probabile che avrà un surplus commerciale, con le esportazioni in eccesso che genereranno i dollari necessari per saldarli. Ripeto: questo non è l'inizio di una crisi, ma la risoluzione di una crisi già esistente causata da una grande varietà di controlli dei prezzi.

In secondo luogo, molti commentatori nei media ed anche economisti insistono sul fatto che la svalutazione non faccia altro che peggiorare una crisi interna perché genera un ampio aumento dei prezzi in pesos dei beni importati e dei prodotti nazionali esportabili, i quali ora sono venduti all'estero in quantità maggiori, riducendo l'offerta per i compratori nazionali. Dunque secondo loro questo aumento generale dei prezzi danneggia i consumatori argentini. Ma questa risposta non tiene conto delle conseguenze e dei benefici della rimozione di qualsiasi controllo dei prezzi. E' ovviamente vero che, per esempio, l'abolizione dei controlli sugli affitti riduca il benessere degli affittuari esistenti, che devono sborsare canoni più elevati, e vada a beneficio dei proprietari degli appartamenti. Ma è anche vero che ci sono molti altri che ne beneficiano, compresi tutti quegli affittuari che sono stati esclusi dal mercato a causa della scarsità di appartamenti nonostante fossero disposti a pagare affitti più alti; o quelli che pagano leasing molto superiori rispetto agli affitti nel mercato nero. Allo stesso modo, la soppressione di un controllo dei prezzi che sopravvaluta il peso va a vantaggio di imprese esportatrici argentine e dei loro lavoratori e fornitori, nonché di quei consumatori a cui era stato impedito di importare beni o fare investimenti esteri (o che erano solo in grado di fare ricorrendo al mercato nero dei dollari e pagando un prezzo più elevato).

Così l'aggiustamento dei prezzi argentini, in accordo con il vero valore di mercato del peso, non impoverisce l'intera nazione. Ridistribuisce semplicemente il reddito reale da quelli che traevano beneficio dalla distorsione del sistema dei prezzi attraverso controlli sui cambi (ovvero dipendenti pubblici, imprese privilegiate, ecc.) verso coloro senza legami politici che sono stati vittime dall'interventismo. Inoltre, nel caso dei controlli sugli affitti e del tasso di cambio, l'abolizione dei controlli si traduce in una maggiore efficienza nell'allocazione delle risorse e nella massimizzazione del volume di scambi (reciprocamente vantaggiosi al prezzo di equilibrio).

Lungo queste linee, è sorprendente e non poco divertente la testimonianza dell'economista premio Nobel Joseph Stiglitz, un Keynesiano convinto:

La realtà forzerà alcuni cambiamenti: l'espressione "bisogna vivere all'interno dei propri mezzi," qualora la valuta stesse andando giù, significa che si pagherà di più per le importazioni. Dovranno cambiare le loro politiche, e la questione è quando e come.

Stiglitz si sbaglia quando dice che tutti in Argentina staranno peggio perché "pagheranno di più per le [loro] importazioni." Come dimostra l'analisi precedente, sarà il governo ed i suoi compari privilegiati a stare peggio; ma quelli che in precedenza non avevano accesso ai dollari (se non attraverso il mercato nero), staranno meglio con un peso "svalutato."

In terzo luogo, è ridicolo come i media vogliano far passare come causa scatenante della crisi l'emorragia delle riserve in valuta estera della banca centrale argentina. Poiché non è la perdita di tali riserve la causa della crisi, bensì il fatto stesso che la banca centrale debba detenere riserve in dollari. L'unico motivo per cui ha bisogno di queste riserve è per sostenere il peso sopravvalutato, vendendo dollari e comprando gli inevitabili pesos in eccesso. Se il tasso di cambio dollaro/peso fosse fluttuato liberamente e in accordo con le forze di mercato, le autorità monetarie argentine non avrebbero avuto bisogno nemmeno di un solo dollaro, proprio perché l'offerta e la domanda di ogni valuta in termini di un'altra tornerebbe in equilibrio ad ogni momento e senza eccedenze o carenze. Se il governo argentino avesse avuto bisogno di fare acquisti all'estero o di saldare i suoi debiti esteri, avrebbe potuto ottenere i dollari necessari acquistandoli da banche commerciali o da altre istituzioni private nel mercato dei cambi. Avrebbe pagato ogni dollaro con pesos ricevuti da entrate fiscali o presi in prestito dalla popolazione o stampati dalla banca centrale. Nel mondo disordinato delle monete fiat, una nazione evita il caos e le crisi permettendo al mercato di determinare il valore della propria moneta in termini di altre valute fiat con diversi tassi di inflazione.

Questo mi porta al quarto punto. Molti politici ed altri osservatori di destra in Argentina (e altrove) attribuiscono la crisi ai programmi di spesa dissoluti del governo Fernández de Kirchner di sinistra. Essi sostengono che le sovvenzioni sociali, la nazionalizzazione delle imprese di proprietà estera, l'espansione dello stato regolatore, ecc., hanno scaraventato il bilancio statale nel deficit. Ma i disavanzi pubblici non sono la causa della sopravvalutazione di una moneta e della scarsità di valuta estera. Quindi se la spesa fosse stata finanziata aumentando le tasse o prendendo in prestito dalla popolazione, i prezzi argentini non sarebbero aumentati. Tuttavia, il governo argentino ha deciso di finanziare questi deficit con una rapida espansione della massa monetaria, ad un tasso medio del 30% l'anno negli ultimi quattro anni. Ciò ha determinato una rapida inflazione dei prezzi argentini che ha ufficiosamente raggiunto il 28% lo scorso anno, più del doppio dell'11% riferito dal governo argentino. L'inflazione e la sua anticipazione stimola le importazioni e la fuga di capitali all'estero e sopprime le esportazioni. La creazione di moneta, in combinazione con un cambio ancorato, è quindi l'unica causa di una cosiddetta "crisi valutaria."

Il sistema monetario globale ideale è uno con una divisa scelta dal mercato, così come il gold standard classico del XIX secolo. Con questo sistema, gli squilibri nella bilancia dei pagamenti venivano aggiustati rapidamente perché ogni cambiamento nell'offerta di oro tendeva ad essere distribuito in modo uniforme su tutti i partecipanti al sistema e questo assicurava un tasso di inflazione più o meno uniforme tra tutti i paesi. Un po' come la situazione di oggi tra i vari stati negli Stati Uniti, dove tutti adottano il dollaro. Gli squilibri nella bilancia dei pagamenti tra, diciamo, il New Jersey ed il resto degli Stati Uniti, sono solo temporanei e si aggiustano rapidamente. La lezione da trarre dai miti analizzati qui sopra è che qualsiasi tentativo di replicare il funzionamento di una moneta unica mondiale, fissando i prezzi attraverso imposizioni statali su una valuta nazionale, è destinato al fallimento e non farà altro che aggravare il disordine monetario che ha schiaffeggiato l'economia mondiale sin dalla distruzione del gold standard internazionale nel 1914.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] The Guardian.com, Argentinian Peso in Freefall as Economic Crisis Deepens (23 gennaio),
http://www.theguardian.com/world/2014/jan/24/argentinian-peso-freefall-economic-crisis-deepens;
Daniel Cancel, “Argentina to Ease Currency Controls after Devaluation,” Bloomberg.com (24 gennaio),
http://www.bloomberg.com/news/2014-01-24/argentina-to-ease-fx-controls-after-peso-devaluation.html;
Jonathan Wheatley, “Argentine Peso Fall Threatens Government of Cristina Fernandez,” FT.com (24 gennaio),
http://www.ft.com/intl/cms/s/0/e0cd3f20-84d8-11e3-8968-00144feab7de.html#axzz2rLuT7yBF.


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9 commenti:

  1. Non tutto il male viene per nuocere. Dipende se sei un paraculo o meno. Cioè, se il tuo guadagno dipende da te o dalla coercizione su un altro.

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    1. Ciao Dna.

      Salerno comunque approva in questo caso la svalutazione perché in questo si riporterebbe la valuta ad una situazione più in accordo con la realtà del mercato. Suppone quindi che le autorità monetarie argentine si asterranno dal manipolare ulteriormente il mercato valutario (cosa per cui sono molto scettico).

      Rimanendo sempre in tema di miti e leggende (stavolta), oggi Renzi si è esibito in un nuovo spettacolo di giochi di prestigio: Renzi: giù l'Irpef per i redditi bassi. Irap -10%, tasse rendite finanziarie dal 20 al 26%. «I titoli di Stato non si toccano».
      Tutto è cambiato affinché non cambiasse nulla. Le coperture? Boh?! Intanto aumentano i prelievi sulle cosiddette rendite finanziarie, che non avendo sortito effetti utili dal punto di vista del bottino per lo stato, che si fa? Le si aumenta!! (Tranne sui bond, dio non voglia che qualcuno dovesse smettere di comprarli.)

      A quanto pare si punta sui capitali che dovrebbero tornare dalla Svizzera (a cui si applicherebbe una tassa del 20%) e sulle stime (stime!!!) che darebbero in ulteriore calo gli interessi sul debito pubblico. Insomma, una certezza (dehehe!)

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  2. Ciao Francesco
    Secondo te, l'andamento attuale dell'oro dipende dalla crisi in Ucraina? Perche' la crisi siriana di Settembre fece muovere il prezzo in modo diverso, secondo me. Stavolta, ci deve essere altro. Tanta liquidita' disponibile che tanto vale metterne un po' pure in metallii?

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    1. Anch'io credo che ci sia qualcos'altro nell'aria a muovere il prezzo dell'oro, ma non bisogna sottovalutare il ruolo dell'Ucraina che indirettamente chiama in causa la Russia (senza dimenticare anche il coinnvolgimento degli USA). Per come la vedo io c'è molto fermento al LBMA dove le cinque banche che lo compongono (Bank of Nova Scotia, Barclays, Deutsche Bank, HSBC, Société Générale) stanno assistendo a come la storia della manipolazione del prezzo dell'oro stia diventando sempre più di dominio pubblico. Gli autori dello studio sulla manipolazione dei prezzi dell'oro, sono gli stessi che nel 2008 hanno lanciato la patata bollente dello scandalo del LIBOR.

      Non solo, Deutsche Bank sta abbandonando il tavolo del LBMA a favore di Standard Bank. Questa banca sudafricana non ha fatto neanche in tempo ad accettare che la ICBC (banca cinese) è subentrata al suo posto acquistandone la posizione. Curioso che i cinesi vogliano arrivare a quel tavolo, eh? Poi non scordiamo le dichiarazioni di Sergei Glazyev (consigliere presidenziale russo) che tirano in ballo il ruolo della Russia in questa serie di tumulti in Ucraina: "US sanctions may lead Russia to default on US debts."

      L'occidente è esposto enormemente al emrcato dell'oro fiat, e l'attività frenetica dell'oriente nel mercato del metallo giallo servirà come mezzo di persuasione (pena il dumping di dollaro e bond USA). Piano, piano le tessere del mosaico tendono a comporsi in un disegno più ampio...

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    2. Comunque il movimento rialzista dell'oro, iniziato a fine dicembre, una volta che romperà la soglia dei $1,360 avrà via libera per ritornare a superare i $1,400. E una volta che le quotazioni supereranno anche questa di soglia (tenendo un occhio anche ai movimenti storici dell'oro negli ultimi 5 anni), i minimi visti negli ultimi dodici mesi saranno solo un ricordo aprendo la porta a prezzi nel range dei $1,700 entro quest'anno.

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  3. A proposito di Fiat currency & svalutazione monetaria. Il Venezuela con il Bolívar fuerte (tutto dire...) è sulla stessa strada del Pesos argentino: two sides of the same coin. L'ancoraggio al dollaro ha fatto solo danni in Argentina e mi pare che in Venezuela non siano messi meglio ( hanno un bel pò di Brent in + rispetto all'altra)... Che ne dici Francesco?

    http://www.businessweek.com/articles/2014-03-12/venezuelan-businesses-starving-for-dollars-may-get-some-relief#r=nav-r-story

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    1. Ciao Nikolaj.

      Sulla situazione venezuelana c'è poco da dire. Infatti hai succintamente descritto le problematiche che stanno strangolando il paese, che tra l'altro sono le stesse che hanno demolito per l'ennesima volta l'Argentina. Ora, con i controlli dei prezzi, assistiamo all'emergere di mercati neri e di carenze sugli scaffali. Innanzitutto dovrebbero smettere di mettere mano alla stampante monetaria, ma non credo sia un esito probabile data la propaganda anticapitalista imperante nel paese. E da come vanno le cose, il nuovo presidente spingerà fino al limite le politiche espansionistiche mandando a gambe all'aria il Venezuela (incolpando però chissà quali forze oscure). Povertà e guerra civile, è questo il prezzo da pagare per coloro che hanno creduto al "sogno" chavista.

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  4. “[...] President Cristina Fernandez's leftist government has until now refused to pay the holdouts and says the court rulings make it impossible to meet the next payment to holders of restructured debt.”

    Ci siamo quasi...

    Argentina says it has no team for talks in debt battle

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