Bibliografia

martedì 8 ottobre 2013

Il Marxista Paul Krugman





di James E. Miller


Qualcuno una volta ha scritto che criticare l'economista ed opinionista del New York Times Paul Krugman è il passatempo preferito su Internet. Anche io mi sono dato a questo sport – senza riuscire a cambiare quello che Robert Higgs chiama il "volgare Keynesismo" che sporca le pagine editoriali del Grey Lady. A migliorare il mio orgoglio, pero', c'è il fatto che nessun altro ha avuto molta fortuna in questo ambito. Krugman continua a portare la fiaccola delle scuse per il Partito Democratico mentre ridicolizza il GOP bigotto, razzista, vecchio, bianco e ricco.

Inoltre, il professore di Princeton è rimasto fedele alla causa dell'azione del governo affinché potesse impedire che l'economia finisse impantanata. Grandi spese fiscali, stimolo monetario aggressivo, aumento dei privilegi legali per il lavoro organizzato ed aumento del grado di saccheggio dello stato – Krugman è la caricatura di un guardiano del tiranno che difenderà a tutti i costi la causa dello statalismo dilagante. E' stato accusato di essere un comunista, un socialista, un imbonitore Democratico e qualsiasi altro insulto di sinistra che potrebbe esistere. Molte di queste etichette gli sono state affibiate in uno stile ironico. Nonostante ciò l'accusa di fondo, secondo cui Krugman è un veemente statalista disposto a giustificare ogni azione del governo, rimane valida. In sostanza, non vi è attività che possa fare lo zio Sam senza che lui non la approvi.

Ma ora sembra che Krugman si sia spinto oltre con i suoi lamenti progressisti. In un recente articolo, si lamenta, ancora una volta, per il fatto che alcune persone fanno più soldi di altre. La balla della disuguaglianza di ricchezza – favorita da tutti i sinistroidi – è diventata una fandonia fastidiosa a questo punto. Penso che Krugman lo sappia, così procede a giustificare la sua indignazione portando alcuni nuovi elementi di prova. Ora le cose cominciano a farsi interessanti.

Intitolando il suo ultimo sermone "Profitti e Produzione," Krugman ci dice come l'economia del XXI secolo sia cambiata in "maniera fondamentale." I fattori che causano il malessere del mercato dovrebbero, come suggerisce il discepolo di Keynes, costringerci a porre meno enfasi sugli episodi storici e cambiare il nostro modo di pensare. In sintesi, Krugman sta dicendo che questa volta è davvero diverso e che le risposte politiche a cose come la Grande Depressione e l'infame Decennio Perduto del Giappone non sono molto utili.

E' buona regola munirsi di una sana dose di scetticismo quando un commentatore fa menzione di qualcosa che è "nuova" e quindi destinata a cambiare radicalmente i principi esistenti. In un primo momento, il ragionamento di Krugman è simile alla citazione di John Maynard Keynes: "Quando i fatti cambiano, io cambio idea." E ad un certo livello tale modo di pensare ha senso quando si tenta di dedurre le ragioni causali che stanno dietro ad ogni situazione. Ma Krugman non sembra usarlo in questo modo. Per il premio Nobel, l'abbondanza di rendite da monopolio – "profitti che non rappresentano ritorni sugli investimenti" – sta disegnando un cuneo distruttivo tra "profitti e produzione." Poi arriva il trabocchetto: i lavoratori non stanno più beneficiando del tipo di beni di consumo che si vendono nell'economia moderna. Utilizzando l'esempio della diabolica e capitalista Apple, Krugman dice che nonostante non impieghi una notevole forza lavoro come la General Motors a metà del ventesimo secolo, il gigante dei gadget fa soldi in abbondanza. Perché questo dovrebbe essere un male? Poiché la Apple siede su un grande mucchio di soldi mentre si rifiuta di investirli nella propria capacità produttiva. Così, il flusso di cassa rimane intatto senza essere riciclato nell'economia. Le altre aziende come la Apple si comportano come avvoltoi sulla ripresa economica, in quanto portano meno reddito nelle mani delle famiglie che lavorano.

Ci sono una miriade di errori in questo ragionamento che potevano essere portati alla luce e demoliti se ci si sforza di farlo. Per esempio, l'idea di rendite monopolistiche che permettono ai produttori di ricavare un profitto senza dover esercitare molto sforzo è una sciocchezza. Secondo tale condizione rimanere in un mercato libero richiede l'intervento dello stato: ad esempio, brevetti sulla proprietà intellettuale o contratti statali. In caso contrario i componenti del capitale che producono beni e servizi devono auto-pagarsi, altrimenti il ​​proprietario corre il rischio di andare in bancarotta. Solo perché la Apple, secondo le parole di Krugman, "sembra vagamente legata al mondo materiale" non significa che il lavoro ed il capitale impiegati possiedano una sorta di  potere infinito di generare soldi. Se Krugman etichetta questo modello di business come un "monopolio," allora ogni azienda è di fatto un monopolio dato che una persona non può lavorare fisicamente in due posti contemporaneamente.

Preferirei non impantanarmi nell'imbecillità economica che straborda dalle diatribe bisettimanali di Krugman. Vi è un errore più marcato in questa ultima teorizzazione. Quello che Krugman sta abbracciando nel suo ultimo attacco ha molto più a che fare con la propensione epistemologica dell'uomo e l'approccio nei confronti dell'economia. Sostenere la predominanza di capitalisti sfaticati cambia come ognuno dovrebbe pensare all'economia, accantonando così la relativa capacità di giudizio; è puro Marxismo. E no, questo non è un errore descrizionale.

L'idea di Marx della storia e dell'evoluzione deriva dalla proposizione che tutti i principi metafisici sono mutevoli e non assoluti – l'eccezione è la sua versione materiale della dialettica Hegeliana. Questa contraddizione non è mai stata affrontata né dal padre del comunismo o né dai suoi seguaci. E' stata accettata come vera, ponendo così le basi su cui costruire la rivoluzione intellettuale del proletariato. Marx sosteneva che sarebbe inevitabilmente arrivato il giorno in cui l'uomo si sarebbe liberato dalle sue catene borghesi ed avrebbe ripreso la sua produzione da chi l'aveva parassitariamente raccolta. Questa inesorabile e potente onda della storia non poteva essere arrestata in alcun modo. La vita sarebbe proseguita, come disse Murray Rothbard, "verso quella fase in cui avrebbe dato luogo inevitabilmente ad una fase successiva ed opposta." Questa persistenza di un cambiamento fluido significava che nulla – incluse le verità delle scienze sociali – era permanente. Come scrisse Friedrich Engels, finanziere e compagno intellettuale di Marx:

"Per la filosofia dialettica nulla è definitivo, assoluto, sacro. Essa rivela il carattere transitorio di tutte le cose; nulla può resistervi, tranne il processo ininterrotto del divenire e della scomparsa, dell'infinita ascesa dal basso verso l'alto."

Questa è la lente attraverso cui Marx vedeva il mondo, ed il processo di transizione mediante il quale il capitalismo dà vita al comunismo. I capitalisti avrebbero infine espropriato i guadagni dei lavoratori ad un punto in cui l'intero sistema sarebbe crollato. Per Marx e per la sua teoria del materialismo storico, la forza trainante del cambiamento era l'avanzamento nella capacità produttiva. L'estensione della divisione globale del lavoro avrebbe delineato la nascita di classi sociali tra la popolazione – vale a dire, i lavoratori contro i capitalisti. La coscienza del modo in cui l'uomo vedeva se stesso veniva spiegata, secondo le parole di Marx, "attraverso le contraddizioni della vita materiale." Quindi se i lavoratori avessero capito la terribile sorte che aspettava loro nel mercato, sarebbe scoppiata una rivolta per adempiere al corso della storia. Ricorda vagamente il concetto secondo cui la proliferazione delle rendite da monopolio nel XXI secolo abbia ribaltato tutte le conoscenze precedenti, e richiede una revisione completa del dilemma a portata di mano.

Non sono in grado di dire se Krugman creda davvero che un comunismo utopico finirà per inghiottire il pianeta, ma la base su cui fonda la sua ultima tesi affonda le radici nella filosofia di Karl Marx. Denunciare il successo della Apple e della sua presunta guerra contro i lavoratori della classe media è dimostrativo della logica del professore di Princeton: vede lo sfruttamento sotto forma di un modello di business efficiente, lasciando il posto ad un bisogno di interferenza dello stato. Le regole prasseologiche dell'economia non hanno voce in capitolo, sono solo finzioni.

La migliore confutazione della teoria del materialismo storico è il fatto che i guadagni capitalisti non hanno schiavizzato le masse, ma in realtà le hanno liberate dalla scarsità moribonda che ha caratterizzato molta della precoce esistenza del genere umano. Non riusciremo mai a raggiungere uno stato di sovrabbondanza come predetto dai seguaci di Marx. Ma l'ignoranza infinita che proviene dalle profondità della mente di Paul Krugman potrebbe effettivamente pensarla così – se si crede che lo stato possa fornire qualcosa in cambio di niente.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


3 commenti:

  1. Ciao Francesco.
    Vedrai che con questo brano scatenerai lo stesso putiferio che accadde con quello su Keynes.
    Te lo vai a cercare... :b
    Come osi bestemmiare contro il paraguru dei paraguru mainstream?

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  2. son ancora alla prima riga, ma non mi trattengo: bigotto e razzista, in qualche sua parte (non tutta) il gop lo è. piu bigotto che razzista, che è un po eccessivo. ma quanto a vecchio ricco e bianco, beh, lo stesso si puo dire di K (l innominabile)

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  3. Sono stato assente negli ultimi due giorni, ma grazie alle pubblicazioni automatiche Freedonia è riuscita ad andare avanti. I vostri commenti, poi, hanno continuato a tenere alta la qualità del materiale. :)

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