Bibliografia

giovedì 31 ottobre 2013

Come smantellare il socialismo e come non farlo





di Murray N. Rothbard


[Questo articolo è apparso su The Review of Austrian Economics nel 1992.]



Introduzione

E' generalmente riconosciuto che i burocrati ostacolano questo processo, ma la confusione abbonda tra gli stessi sostenitori del libero mercato. Quello che non aiuta è che gli economisti occidentali, ai quali l'ex-blocco orientale si vuole ispirare, non hanno fatto praticamente nulla per studiare, e tanto meno risolvere, questo problema durante i sessanta anni da quando Stalin ha istituito il socialismo in Unione Sovietica e durante il mezzo secolo da quando i sovietici l'hanno imposto in Europa orientale.

Sin dalla metà degli anni '30, quasi tutti gli economisti occidentali hanno accettato l'idea che non vi è alcun problema col calcolo economico sotto il socialismo, e la maggior parte ha accettato la conseguente idea che l'economia sovietica ha avuto successo e presto potrebbe superare quella degli Stati Uniti.[1]



Come Non Smantellare il Socialismo

Possiamo dapprima chiarire il modo con cui smantellare il socialismo esaminando i vari sentieri che sono diventati popolari, e tuttavia non sono la strada per arrivare alla nostra meta presumibilmente comune.

Come non smantellare il socialismo può essere evidenziato dalla storia di un mio amico, il quale mi ha raccontato di un suo collega sovietico di dipartimento che è venuto negli Stati Uniti per studiare diligentemente come realizzare un mercato dei futures nell'URSS. Si è impantanato perché non è riuscito a capire quali leggi o decreti dovevano essere definiti dallo stato sovietico, in modo da replicare il mercato dei futures degli Stati Uniti. In breve, non è riuscito a trovare un modo per pianificare un mercato dei futures.

Ecco allora un punto fondamentale: non è possibile pianificare i mercati. Per loro stessa natura, bisogna lasciare libera la gente in modo che possa interagire e scambiare, e in tal modo sviluppare i mercati stessi. Allo stesso modo molti dei paesi socialisti, vedendo l'importanza dei mercati dei capitali in occidente, hanno cercato di sviluppare mercati azionari, ma con scarso successo. In primo luogo, perché i mercati azionari non possono essere pianificati, e, in secondo luogo, perché, come vedremo più avanti, non possono esistere mercati di titoli di capitale se praticamente ci sono proprietari privati ​​dei capitali esistenti.


Non procedere per fasi

Ancora una volta, è generalmente accettato che i mercati liberi debbano arrivare ​​in fretta, e che farli accettare in modo lento e graduale ritarderà solamente il fine preposto. E' ben noto che l'enorme burocrazia socialista sfrutterà tale ritardo per ostacolare il fine stesso. Ma ci sono ulteriori ragioni importanti per velocizzarsi. Ad esempio, perché il libero mercato è una rete interconnessa; è fatto di innumerevoli parti che si intersecano strettamente insieme attraverso una serie di produttori ed imprenditori che scambiano titoli di proprietà, motivati dalla ricerca di profitto e dall'evitare le perdite, operando tale calcolo mediante un sistema di prezzi liberi.

Trattenersi, liberando solo poche aree alla volta, non farà che imporre continue distorsioni che paralizzeranno il funzionamento del mercato e lo screditeranno agli occhi di un pubblico già timoroso e diffidente. Ma c'è anche un altro punto fondamentale: come non si possono pianificare i mercati, non si può nemmeno pianificare la loro liberazione dall'influenza statale. In caso contrario molti potrebbero illudersi: i governi ed i loro consulenti economici non ricoprono il ruolo di Dei saggi sopra l'arena economica che progettano attentamente per liberare i mercati passo dopo passo, che decidono cosa fare prima, cosa per secondo, ecc. Gli economisti ed i burocrati non sono buoni quando bisogna procedere per fasi, come non lo sono quando si trovano a dettare qualsiasi altro aspetto del mercato.

Per arrivare ad una vera libertà, il ruolo del governo e dei suoi consiglieri deve limitarsi a liberare i loro soggetti il più velocemente possibile in modo da rompere le loro catene. Dopo di che il ruolo corretto del governo e dei suoi consulenti sarebbe quello di non mettere i bastoni tra le ruote dei soggetti.


Non reprimere il mercato nero

Un percorso verso la libertà che adottò anche l'ex-presidente Gorbachev, è stato quello di reprimere il mercato nero. Potremmo concludere che la mentalità del blocco orientale ne ha di strada da percorrere prima di iniziare a comprendere la libertà, salvo poi scoprire che ci sono solo pochi occidentali che capiscono questo problema. Il mercato nero non è un nemico; se a volte sembra e si comporta da nemico, è solo perché le sue attività imprenditoriali sono state rese illegali. Il "mercato nero" è semplicemente il mercato, quel mercato che i sovietici affermano di cercare ma che è stato trasformato in "nero" proprio perché dichiarato illegale. E' il mercato paralizzato e distorto, ma è qui, in questa zona disprezzata, che i sovietici troveranno più facilmente il mercato. Invece di un giro di vite, i governi dovrebbero immediatamente rendere libero il mercato nero.


Non confiscare il denaro della gente

L'Unione Sovietica soffre del cosiddetto "eccesso di rubli," cioè troppi rubli rispetto a troppo pochi beni. E' generalmente ammesso che "l'eccesso" sia il risultato di un controllo dei prezzi, con il quale lo stato ha fissato i prezzi ben al di sotto dei livelli di un mercato non ostacolato. Nel corso degli anni lo stato sovietico ha stampato rapidamente nuovo denaro per finanziare le sue spese, e questo aumento dell'offerta di moneta, accoppiato ad un'offerta sempre più scarsa di prodotti a causa dal collasso della pianificazione socialista, ha creato gravi carenze ed un'enorme offerta di denaro rispetto ai beni disponibili.

È comunemente riconosciuto che è possibile far scomparire carenze ed eccedenze, se i prezzi sono liberi di aggiustarsi. Ma lo stato teme l'ira dei consumatori infelici. Difficilmente si può chiamare una soluzione quello che ha fatto Gorbachev, cioè seguire il percorso del presidente brasiliano Collor de Mello il quale nella primavera del 1990, nel tentativo di invertire l'iperinflazione, congelò arbitrariamente l'80% di tutti i conti bancari. Gorbachev si superò rendendo improvvisamente inutili tutti i rubli di grosso taglio, consentendo la circolazione di cartamoneta di taglio più piccolo. Questo non è il modo per eliminare un'eccedenza; nella migliore delle ipotesi, la cura è peggio del male.

In primo luogo, in questa presunta lotta al mercato nero, è stato distrutto il risparmio del cittadino sovietico medio, dato che il mercato nero era abbastanza scaltro da essersi già mosso verso metalli preziosi e valute estere. Ma ancora più importante: con questa azione lo stato sferra il secondo pugno al cittadino medio ed all'economia. Il primo pugno è stato quello di gonfiare l'offerta di moneta in modo da gozzovigliare nelle sue solite spese inutili. Poi, dopo che il denaro è stato speso e che i prezzi sono saliti — sia in modo aperto o represso — lo stato, nella sua saggezza, ha cominciato ad inorridire davanti agli orrori dell'inflazione, incolpando il mercato nero, i consumatori avidi, i ricchi o qualsiasi altra cosa, e sferrando il secondo pugno: confiscare il denaro nelle tasche dei cittadini privati. Anche se qualcuno si azzarda a definire questo processo "libero mercato," si tratta lo stesso di una serie di imposte ed oneri impliciti sull'economia ingiusti, violenti e statalisti.


Non aumentare le tasse

Purtroppo, una delle "lezioni" che molti europei dell'est hanno assorbito dagli economisti occidentali è la presunta necessità di un forte aumento delle tasse e la loro progressività. Le tasse sono parassitarie e stataliste; sprecano energie, risparmi e produzione. Le tasse invadono e aggrediscono i diritti della proprietà privata. Più sono alte le tasse, più l'economia diventa socialista; più sono basse, più l'economia si avvicina alla vera libertà ed alla vera e propria privatizzazione, il che significa un sistema di diritti completamente legati alla proprietà privata. Il tentativo di Mazowiecki di raggiungere la privatizzazione ed il libero mercato in Polonia, è stato fortemente ostacolato dall'imposizione di tasse molto alte e progressive.

Come parte del cambiamento verso la libertà e lo smantellamento del socialismo, quindi, le tasse dovrebbero essere drasticamente ridotte, non aumentate.


Aziende statali che hanno partecipazioni condivise non significa privatizzare

Sono a conoscenza di questa informazione grazie al dottor Yuri Maltsev: il tanto decantato piano Shatalin per l'Unione Sovietica, che avrebbe dovuto portare la privatizzazione ed il libero mercato in 500 giorni, non aveva nulla a che fare con la privatizzazione. A quanto pare tutte le imprese statali in ogni settore invece di essere effettivamente privatizzate — cioè, cedute a proprietari privati — sarebbero divenute di proprietà (all'80%) di altre imprese nello stesso settore. Ciò significa che le imprese monopolistiche statali sarebbero rimaste imprese gestite dal monopolio dello stato e dalle stesse oligarchie di prima. Privatizzazione deve significare proprietà privata.[2]



Come Smantellare il Socialismo

I seguenti punti su come smantellare il socialismo devono necessariamente essere scritti o letti in modo sequenziale, ma non devono essere esplicati in tal modo: tutti i seguenti punti potrebbero, e dovrebbero, essere istituiti immediatamente e tutti in una volta.


Legalizzare il mercato nero

Le prime due mosse sono implicite ed, ovviamente, contrarie alle loro parti speculari citate in precedenza. Una è quella di legalizzare il mercato nero, cosa che significherebbe rendere tutti i mercati liberi e legali. Ciò significa che la proprietà privata di tutti coloro immersi in tali mercati deve, insieme a quella di tutti gli altri, essere protetta dalla depredazione dello stato. Significa anche che tutti i beni e servizi fino ad allora illegali ora diventerebbero legali, nonostante in Occidente lo siano o meno, e che tutte le operazioni dovrebbero essere svolte liberamente, cioè, che i prezzi dovrebbero essere impostati volontariamente attraverso gli scambi. Quindi deve essere abolito immediatamente il controllo dei prezzi.

Se i prezzi risultanti dalle transazioni reali saranno superiori agli pseudo-"prezzi" stabiliti dalle operazioni inesistenti dello stato, allora così sia. Le lamentele dei consumatori devono essere semplicemente ignorate; gli eventuali consumatori che ancora preferirebbero il precedente sistema di prezzi fissi per beni inesistenti, saranno naturalmente liberi di boicottare quelli nuovi e cercare di trovare fonti di approvvigionamento più economiche altrove. La mia impressione, tuttavia, è che i consumatori si adatteranno abbastanza presto a questi cambiamenti, soprattutto perché l'abbondanza di beni di consumo si riverserà velocemente sui mercati.

A proposito, con "legalizzare" io intendo l'abolizione di uno status considerato come fuorilegge in precedenza; non propongo di impegnarsi in esercizi semantici che cercano di distinguere tra "legalizzazione" e "depenalizzazione."


Ridurre drasticamente tutte le tasse

Un'altra implicazione della nostra analisi precedente è che la tassazione dovrebbe essere diminuita drasticamente. Esistono lunghe dissertazioni, nella letteratura in materia di tassazione, su quali tipi di tasse debbano essere imposte e chi le debba pagare e perché, pero' non ne esistono abbastanza sull'ammontare o la quantità da riscuotere. Se il tax rate è abbastanza basso, allora la forma o i principi della distribuzione fiscale fanno davvero poca differenza.

Per dirla crudamente, se tutte le aliquote fiscali sono mantenute al di sotto dell'uno per cento, allora non importa se le tasse sono sul reddito, sulle vendite, sulle accise, sulla proprietà o sulle plusvalenze. E' importante, invece, concentrarsi su quanto del prodotto sociale debba essere dirottato nelle fauci improduttive dello stato, e mantenere tale peso a livello ultra-minimale.

Mentre la forma della tassazione non avrebbe importanza economica, sarebbe comunque importante politicamente. Una tassa sul reddito, per esempio, per quanto bassa, conserverebbe un sistema di polizia oppressivo disposto ad indagare il reddito e la spesa di tutti e di conseguenza l'intera vita di una persona. L'opinione degli economisti, al contrario, è che non esiste alcuna imposta o sistema di imposte che potrebbe essere neutrale per il mercato.[3]

Qualunque sia la forma della tassazione, dopo lo smantellamento del socialismo dovrebbe essere la più neutrale possibile. Ciò significa, in aggiunta a tassi ed importi molto bassi, che la tassazione dovrebbe essere la più discreta ed innocua possibile, nonché imitare il mercato. Tale imitazione potrebbe includere la cessione volontaria di beni e servizi ad un prezzo, o la fissazione di un prezzo per la partecipazione al voto. La vendita di beni o servizi da parte dello stato, naturalmente, verrà drasticamente limitata nel nostro sistema privo di socialismo, a causa dell'enorme portata della privatizzazione riguardante le attività dello stato. La privatizzazione verrà trattata qui di seguito.


Abolire la capacità dello stato di creare denaro

Lo stato può generare entrate in tre modi: tassazione, creazione di nuova moneta e vendita di beni o servizi.[4] Non può esistere un mercato veramente libero o senza socialismo finché allo stato viene permesso di falsificare il denaro, cioè creare nuovo denaro dal nulla, che si tratti di biglietti di carta o di depositi bancari. Tale funzione è una forma nascosta e insidiosa di tassazione e di espropriazione della proprietà e delle risorse dei produttori. Porre fine alla contraffazione significa estromettere lo stato dal business del denaro, cosa che a sua volta implica l'eliminazione della moneta cartacea statale e della banca centrale. Significa anche denazionalizzare unità monetarie come il rublo, il fiorino, lo zloty, ecc., e restituirli nelle mani del mercato privato.

Denazionalizzare la valuta è un processo che deve passare solo attraverso la ridefinizione della cartamoneta in unità di peso di un metallo, preferibilmente l'oro. Quando verranno eliminate le banche centrali, potrebbero rilasciare le loro orde d'oro; come loro ultimo atto sulla terra, potrebbero riscattare tutti i loro biglietti di carta al peso ridefinito in monete d'oro.

Data la volontà di smantellare il socialismo, mentre questo processo di denazionalizzare la moneta non è così complesso e difficile come può sembrare a prima vista, potrebbe essere più lungo rispetto alle altre parti del nostro piano.[5] Potrebbero quindi esistere passaggi di transizione della durata di pochi giorni: cioè, il rublo o il fiorino potrebbero essere autorizzati a fluttuare liberamente ed essere convertibili in altre valute ai tassi di cambio di mercato.

Sarebbe comunque indispensabile togliere dalle mani dello stato il potere di creare moneta; un possibile modo di farlo, ed una seconda fase di transizione, sarebbe quella di rendere convertibile il rublo in valute più sonanti, come il dollaro, ad un certo tasso fisso. In attesa di un ritorno ad un gold standard puro ed alla chiusura della banca centrale, sarebbe anche importante limitare il potere dello stato di creare denaro congelando in modo permanente tutte le attività delle banche centrali tra cui le operazioni di mercato aperto, i prestiti e le emissioni obbligazionarie. E' il caso di aggiungere che una legge o un editto che limitano o bloccano lo stato in sé non rappresenta un atto di intervento nell'economia o nella società. Piuttosto il contrario.

Non appena verrebbero liberati i mercati neri e tutti i mercati privati, anche gli istituti di credito privati sarebbero liberi di prestare i risparmi.


Licenziare la burocrazia

Al lettore potrebbe sorgere un dubbio: se la tassazione deve essere drasticamente abbassata, e lo stato deve essere privato del suo potere di stampare o creare denaro, allora come finanzierà le sue spese e le sue operazioni?

La risposta è: non dovrebbe, perché per lo stato ci sarebbe ben poco da fare. (Ciò sarà spiegato ulteriormente nella discussione sulla privatizzazione.)

L'economia socialista è una economia di comando, composta e gestita da una gigantesca burocrazia. Tale burocrazia verrebbe immediatamente licenziata ed i suoi membri sarebbero liberi di trovare posti di lavoro produttivi o di sviluppare qualsiasi abilità produttiva in un settore privato in rapida espansione.

Questo ci porta ad un problema affascinante che, mentre viene covato a lungo nel cuore e nella mente dei soggetti oppressi dal socialismo, diviene improvvisamente un problema politico. Che cosa fare con la parte alta del partito comunista, con la nomenklatura, con il vasto apparato della polizia segreta una volta onnipotente? Potranno essere portati in giudizio attravero una serie di prove della loro criminalità ed essere condannati ad una pena adeguata? O dovremmo metterci una pietra sopra, dichiarare un'amnistia generale e permettere che gli ex-KGB vengano assunti come guardie private o investigatori? Confesso una certa ambiguità nel soppesare le rivendicazioni concorrenti di giustizia e di pace sociale. Fortunatamente la decisione può essere lasciata ai popoli dell'ex-Unione Sovietica e dell'Europa orientale. Non c'è molto che un economista, anche un economista di libero mercato, possa dire per risolvere questo problema.


Privatizzare o abolire le operazioni statali

Questo ci porta al punto finale, ma non meno importante, della nostra piattaforma di smantellamento del socialismo: privatizzare le operazioni dello stato. Dal momento che in teoria tutta, o in pratica la maggior parte, della produzione nei paesi socialisti è nelle mani dello stato, il desideratum più importante, la via fondamentale per arrivare ad un sistema di proprietà privata e libero mercato, deve essere quello di privatizzare le operazioni dello stato.

Ma dire semplicemente "privatizzare" non è sufficiente. In primo luogo, ci sono molte operazioni statali, soprattutto negli stati socialisti, che non vogliamo privatizzare ma piuttosto abolire completamente. Ad esempio, in quanto libertari non desidereremmo privatizzare i campi di concentramento o i gulag, o il KGB. Dio non voglia che si debba mai avere un'offerta efficiente di campi di concentramento o di "servizi" della polizia segreta!

Ecco un punto che deve essere sottolineato. L'assunto di base del prodotto interno lordo e dell'analisi del PNL è che tutte le operazioni statali sono produttive, che le spese dello stato contribuiscono alla produzione nazionale ed al bene comune. Ma se veramente crediamo nella libertà e nella proprietà privata, dobbiamo concludere che molte di queste operazioni non sono affatto "servizi" sociali, ma disservizi per l'economia e la società, "mali" invece che "beni."

Questo significa che lo smantellamento del socialismo deve coinvolgere l'abolizione, non la privatizzazione, di operazioni quali (oltre ai campi di concentramento e le strutture della polizia segreta) tutte le commissioni di regolamentazione, le banche centrali, le agenzie fiscali e, naturalmente, tutte le agenzie che amministrano quelle funzioni che stanno per essere privatizzate.[6]


Principi della privatizzazione

Beni e servizi utili, quindi, devono essere privatizzati. Come ci si può arrivare a farlo? In primo luogo, non ostacolare la concorrenza privata con i precedenti monopoli dello stato. Questo non solo legalizzerebbe il mercato nero, ma tutta la concorrenza con le operazioni statali esistenti. E per quanto riguarda le varie aziende statali ed i beni capitali stessi? Come devono essere privatizzati?

Sono possibili diversi itinerari, ma possono essere raggruppati in tre tipi. Uno sono le dispense egualitarie: ogni cittadino sovietico o polacco riceve per posta una quota di proprietà dei vari possedimenti precedentemente in mano allo stato. Così se l'acciaieria XYZ deve diventare di proprietà privata, e se esistono 300 milioni di azioni della compagnia XYZ e 300 milioni di abitanti, ogni cittadino ne riceve una, la quale diventa immediatamente trasferibile o scambiabile a seconda della propria volontà. Che questo sistema sarebbe incredibilmente ingombrante, è evidente. Il numero di persone sarebbe troppo e le azioni troppo poche per permettere ad ogni persona di avere una quota, e ci sarebbero azioni di enorme consistenza e di varia natura che scenderebbero velocemente sulla testa del cittadino medio.

Gran parte di questo caos si potrebbe eliminare seguendo il suggerimento del ministro delle finanze ceco Vaclav Klaus, il quale propone che ogni cittadino riceva certificati che potrebbero essere scambiati con un certo numero o tipi di azioni di proprietà di aziende presenti sul mercato. Ma anche sotto il piano di Klaus ci sono gravi problemi filosofici. Sancirebbe il principio di elargizioni statali, e dispense egualitarie, a cittadini immeritevoli. La base stessa di un nuovo sistema di diritti di proprietà libertari si verrebbe a formare da questo principio sfortunato.

Sarebbe di gran lunga preferibile sancire il principio dell'homesteading alla base del nuovo sistema di proprietà. O, per far rivivere il vecchio slogan marxista: "tutte le terre ai contadini, tutte le fabbriche agli operai." Verrebbe riaffermato il principio di Locke secondo cui la proprietà deve essere acquisita "mischiando il proprio lavoro con il suolo" o con altre risorse senza proprietario.

Lo smantellamento del socialismo è un processo che vuole privare lo stato della sua attuale "proprietà" o controllo, e devolverla a soggetti privati​​. In un certo senso, l'abolizione della proprietà dello stato su vari asset li pone immediatamente ed implicitamente in uno status senza proprietario, status che l'homesteading può rapidamente convertire in proprietà privata. Il principio dell'homesteading afferma che tali asset non devono finire nelle mani del ​​generico ed astratto pubblico secondo il principio dell'elargizione, ma nelle mani di coloro che hanno effettivamente lavorato con queste risorse: cioè, i loro rispettivi lavoratori, contadini e manager. Naturalmente, questi diritti devono essere veramente privati; cioè, la terra ai singoli contadini, mentre i beni strumentali o le fabbriche a lavoratori sotto forma di azioni negoziabili​​. La proprietà non deve essere concessa ai collettivi o alle cooperative o ai lavoratori o ai contadini in modo olistico, cosa che riporterebbe indietro i mali del socialismo in una forma sindacalista decentrata e caotica.

Va da sé che queste quote di proprietà, veramente di proprietà privata, devono essere trasferibili e scambiabili secondo la volontà dei relativi titolari. Molti piani attuali nei paesi socialisti prevedono "azioni" che devono essere possedute dal lavoratore o dal contadino e, dopo un periodo di anni, possono essere vendute allo stato. Questo viola chiaramente il punto stesso dello smantellamento del socialismo. Altri piani proposti impongono severe restrizioni al trasferimento di proprietà a stranieri. Ancora una volta, una privatizzazione genuina richiede la proprietà privata completa, compresa la vendita agli stranieri.

Inoltre, non c'è nulla di male nel "vendere il paese" agli stranieri. In realtà più gli stranieri acquistano "il paese," meglio è perché significherebbe rapide iniezioni di capitale straniero, e quindi una rapida prosperità e crescita economica nel blocco socialista impoverito.

Si pone immediatamente un problema quando si procede ad assegnare le quote ai lavoratori delle fabbriche, un problema simile alla domanda che ci siamo posti prima sul KGB: la gestione della nomenklatura dovrebbe essere suddivisa in quote di proprietà?

In un discorso a Mosca all'inizio del 1990, l'economista Paul Craig Roberts osservò che il popolo sovietico poteva o tagliare le gole della nomenklatura o dividerla in quote di proprietà; per il bene della pace sociale e la transizione verso un'economia libera, raccomandò la seconda. Come ho scritto in precedenza, non vorrei essere così veloce nel contrastare le esigenze della giustizia; ma vorrei ancora far notare la possibilità di una terza via: non fare nessuna delle due, e permettere alla nomenklatura di trovare posti di lavoro produttivi nel settore privato. Il punto filosofico è fino a che punto le attività dei manager della vecchia economia sovietica sono stati produttivi e in che misura fossero paralizzanti e controproducenti, e pertanto meritevoli solamente di un brusco licenziamento.[7]

Invece merita di essere respinta una terza via comunemente suggerita: che il governo venda tutti i suoi beni all'asta al miglior offerente. Un difetto enorme in questo approccio è che il governo possiede quasi tutte le attività, quindi la popolazione dove andrebbe a prendere il denaro per acquistarle, se non ad un prezzo molto basso che equivarrebbe ad una distribuzione gratuita?

Ma non è stato sufficientemente sottolineato un altro difetto ancora più importante: perché lo stato meriterebbe di trattenere i proventi della vendita di questi beni? Dopo tutto, una delle ragioni principali per smantellare il socialismo è che lo stato non merita di possedere le attività produttive del paese. Ma se non se le merita, perché alllora meriterebbe di possedere il loro valore monetario? E non abbiamo neanche considerato questa di domanda: Che cosa dovrebbe fare lo stato con i fondi incassati?[8]

Non dovrebbe essere trascurato un quarto principio della privatizzazione, anzi, dovrebbe avere la priorità. Purtroppo, a causa della sua natura questo quarto percorso non può essere trasformato in un principio generale. Lo stato dovrebbe restituire tutti i beni rubati e confiscati ai proprietari originari, o ai loro eredi. Anche se questo può essere fatto con molti appezzamenti di terreno, o con particolari gioielli, nella maggior parte dei casi, in particolare con i beni capitali, non ci sono proprietari originari identificabili a cui restituire la proprietà.[9] Trovare i proprietari terrieri originali è più facile nell'Europa orientale che nell'Unione Sovietica, in quanto è trascorso molto meno tempo dal furto originale. Nel caso dei beni capitali costruiti dallo stato, non esistono proprietari identificabili. Il motivo per cui questo principio dovrebbe avere la priorità è perché i diritti di proprietà implicano soprattutto la riassegnazione dei beni rubati ai proprietari originali. O, per dirla in altro
modo: una risorsa diventa filosoficamente senza proprietario, e quindi disponibile per l'homesteading, solo quando un proprietario originale, semmai fosse esistito, non può essere rintracciato.

C'è un ultimo problema fastidioso: Quanto grandi dovrebbero essere le nuove imprese private? Ogni industria nei paesi socialisti è generalmente trincerata in un blocco di monopolio, quindi se ogni impresa viene privatizzata in un'azienda di pari dimensioni, la dimensione di ciascuna sarà di gran lunga superiore all'optimum del libero mercato. Un problema fondamentale, naturalmente, è che in un'economia socialista non esiste un modo per capire quale sia la dimensione o il numero ottimale di imprese.

In un certo senso, gli errori fatti nel passaggio verso la libertà tenderanno ad emergere dopo l'istituzione di un libero mercato, con tendenze di rottura o di consolidamento nella direzione della dimensione e del numero ottimale. D'altra parte, non dobbiamo commettere l'errore di presumere che i costi o le inefficienze di questo processo possano essere trascurate. Sarebbe preferibile avvicinarsi il più possibile all'optimum nella privatizzazione iniziale.

Forse ogni stabilimento, o ogni gruppo di stanilimenti in una zona, può essere inizialmente privatizzato come un'impresa separata. Va da sé che un aspetto molto importante di un libero mercato e di questo processo di ottimizzazione, è quello di consentire al mercato di operare in completa libertà: ad esempio, unire o sciogliere le imprese così come si dimostrerà redditizio.



Conclusione

Ora le dimensioni del Piano Rothbard per smantellare il socialismo dovrebbero essere chiare:

  1. Riduzione enorme e drastica delle tasse, dell'occupazione statale e della spesa pubblica.

  2. Completa privatizzazione degli asset pubblici: dove possibile restituirli ai proprietari espropriati o ai loro eredi; in loro assenza, concedere quote ai lavoratori produttivi ed ai cittadini che ci avevano lavorato.

  3. Onorare e proteggere i diritti di proprietà di tutti i proprietari di proprietà private. Dal momento che i diritti di proprietà implicano la completa libertà di fare scambi e trasferire la proprietà, non ci devono essere interferenze statali in questi scambi.

  4. Privare lo stato del potere di creare nuovo denaro, meglio farlo con una riforma che nello stesso tempo liquida la banca centrale ed utilizza il suo oro per rimborsare le sue banconote ed i depositi in una nuova unità valutaria aurea.

Tutto questo potrebbe e dovrebbe essere fatto in un giorno, anche se la riforma monetaria potrebbe richiedere fasi che prenderebbero qualche giorno.

Un punto che non abbiamo specificato: esattamente quanto in basso dovrebbero andare le tasse o le occupazioni statali o la spesa, e quanto completa dovrebbe essere la privatizzazione? La risposta migliore è quella del grande Jean-Baptiste Say, che dovrebbe essere noto per molte altre cose oltre alla legge di Say: "Il miglior programma di finanza [pubblica] è spendere il meno possibile; e la tassa migliore è sempre quella più leggera."[10] In breve, il governo migliore è quello che spende, tassa ed assume poco, e privatizza di più.

Un ultimo punto: sono stato criticato da colleghi libertari per proposte di questo tipo, perché coinvolgono l'azione dello stato. Non è incoerente e statalista per un libertario sostenere qualsiasi azione del governo di qualunque tipo? Questo mi sembra un argomento stupido. Se un ladro ha rubato la proprietà di qualcuno, come minimo si dovrebbe invocare che il rapinatore ceda la refurtiva e la restituisca ai suoi proprietari. In uno stato socialista, il governo si è arrogato praticamente tutte le proprietà e il potere del paese. Lo smantellamento del socialismo, ed il passaggio ad una società libera, comporta necessariamente che il governo ceda la sua proprietà ai soggetti privati​​, e liberi le persone dalla rete dei controlli statali. Sbarazzarsi dello stato socialista richiede che lo stato effettui un ultimo, rapido, glorioso atto di auto-immolazione, dopo di che sparirà dalla scena. Si tratta di un atto che può essere applaudito da tutti gli amanti della libertà, nonostante si tratti di un atto compiuto
dal governo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


__________________________________________________________________________________

Note

[1] Murray N. Rothbard, "Ludwig von Mises and the Collapse of Socialism," tenuto all'incontro annuale dell'Allied Social Science Association, a Washington, D.C., 1990, e pubblicato come "The End of Socialism and the Calculation Debate Revisited," Review of Austrian Economics, 5, no. 2 (1991): 51–76.

[2] Come scrive Maltsev: "Quando i sovietici parlano di privatizzazione, tuttavia, non intendono quello che intediamo noi con tale termine. Il piano [Shatalin] imporrebbe che l'80% dello stock di qualsiasi impresa finisca nelle mani di altre aziende nello stesso campo, non in quelle pubbliche. Per usare un'analogia negli USA, sarebbe come se la General Motors possedesse l'80% delle azioni di Ford e viceversa, e fosse illegale se accadesse in altro modo." Maltsev nota che Stanislav Shatalin e l'autore originale del suo piano per la Repubblica Russa, Grigory Yavlinsky, "sono entrambi econometrici che hanno speso... le loro vite a trasformare in formule matematiche le illusioni del marxismo-leninismo. Sono entrambi pianificatori centrali di lunga data che si sono lasciati abbagliare dal socialismo." Yuri N. Maltsev, "A 600-Day Failure?" The Free Market 8 (November 1990): 6.

[3] Vedi Murray N. Rothbard, "The Myth of Neutral Taxation," Cato Journal 1 (Autunno 1981): 519–64.

[4] Una quarta forma di entrate, prendere in prestito dalla popolazione, è strettamente dipendente dalle altre tre forme.

[5] Vedi Yuri N. Maltsev, "A One Day Plan for the Soviet Union," Antithesis 2 (Gennaio/Febbraio 1991): 4, ed in precedenza, "The Maltsev One-Day Plan," The Free Market (Novembre 1990): 7.

[6] È importante rendersi conto che se un'attività di governo è cattiva, vorremmo che il suo esercizio, finché esiste, sia il più inefficiente possibile. Una delle organizzazioni più odiate all'inizio dell'Europa moderna era il "tax farmer," il quale acquistava dal re il diritto di riscuotere le tasse per un certo periodo di anni. Potremmo considerare: vorremmo imposte sul reddito privatizzate e raccolte con il potere dello stato da IBM o McDonald piuttosto che dall'IRS? L'industriale Charles F. Kettering si suppone che abbia sorriso ad un amico in ospedale, il quale si lamentava della crescita accelerata dello stato: "Coraggio, Jim, grazie a Dio non otteniamo tanto stato quanto paghiamo."

[7] Yuri Maltsev raccomanda l'adozione del piano homesteading, adottando invece lo schema di Vaclav Klasu quando l'homesteading non sarebbe praticabile. Maltsev, "A One-Day Plan for the Soviet Union."

[8] Un argomento importante a favore della vendita degli asset dello stato è che questo processo avrebbe un effetto anti-inflazionistico fermando il terribile "eccesso di rubli." La fallacia di questo ragionamento è che, a meno che i funzionari statali non proporranno un falò pubblico di rubli, l'eccesso non verrebbe affatto ridotto. Lo stato spenderebbe i rubli, e rimarrebbero in circolazione.

[9] In Ungheria è stato costituito il Partito dei Piccoli Proprietari per sottolineare la priorità della privatizzazione, così da restituire i terreni ai proprietari terrieri espropriati dell'Ungheria meridionale.

[10] Jean-Baptiste Say, A Treatise on Political Economy, 6th ed. (Philadelphia: Claxton, Remsen & Haffelfinger,1880), p. 449. Vedi anche Rothbard, "The Myth of Neutral Taxation," pp. 551–554.

__________________________________________________________________________________


mercoledì 30 ottobre 2013

Anarchia: La base per una società civilizzata, parte 2





di Chris Mayer


[Qui la prima parte dell'articolo.]


Troppo spesso viene data per scontata l'affermazione che ci sia bisogno di uno stato.

Il corpo principale del libro di Sartwell, Against the State, è dedicata a distruggere le tesi a favore di uno stato come quello di Hobbes, Rousseau e Hegel. In effetti, una cosa che diventa cristallina nel leggere il libro di Sartwell è quanto siano sconclusionate le teorie classiche a favore dello stato.

"Incredibilmente negative," ha detto Sartwell. "E' scioccante, davvero. Il libro è nato quando tenni un corso di filosofia politica di base per tre o quattro anni. Ogni volta che leggo Rousseau, Locke e Hobbes... dico a me stesso: 'Queste cose sono davvero negative. Possibile che non ci si renda conto di quanto?' Penso che queste figure — Locke o Hobbes o Hume — siano così certe della loro posizione [che debba esistere uno stato] che tutto quello che devono fare è indicare una direzione e la gente li seguirà. Una funzione dell'anarchismo, mi sembra, è proporre sfide nei loro confronti. Ci sono stati alcuni che ci hanno provato. Robert Nozick almeno ha cercato di articolare un'alternativa. Ci sono state persone che hanno cercato di portare l'anarchismo nel mainstream, ma è sempre stato emarginato perché per le persone suona folle."

Ho chiesto a Sartwell quale fosse l'argomento più forte a favore dell'anarchismo: una tesi morale contro la forza e la violenza o una difesa più utilitaristica basata sui risultati.

"Penso che la questione morale sia la più forte," ha detto. "Questo è il centro del mio impegno, in ogni caso. Il problema con gli argomenti utilitaristici è come si possano giudicare. Guardate quello che sta succedendo ora. Come si possono sapere quali saranno gli effetti di ciò che sta facendo ora il governo degli Stati Uniti, per esempio, tra più di un secolo? Non lo si può sapere. Mi piace rigirare tali argomenti utilitaristici contro lo stato. Si inizia a parlare dei disastri degli stati: olocausti, genocidi, guerre mondiali."

Nel suo libro Sartwell cita il lavoro di Matthew White sulle uccisioni di massa del XX secolo. E' un atto d'accusa contro gli stati. E' difficile immaginare una tale macellazione su larga scala in un mondo senza stati.

"Non è del tutto inimmaginabile," ha detto Sartwell, "ma deve esserci un corpo molto organizzato di persone che arrivi con armi nucleari o la Soluzione Finale. In ogni caso sarebbe qualcosa che, in effetti, rassomiglia ad uno stato. Ed infatti gli unici corpi di persone che hanno perpetuato una morte di tale portata sono gli stati."

Concordo che gli argomenti morali siano più forti. Ho menzionato uno dei miei scrittori preferiti, Lysander Spooner (1808-1887), al quale Sartwell fa riferimento nel suo libro. Spooner è un anarchico vecchio stile amante dei diritti naturali, basando il suo linguaggio ed i suoi concetti su quelli dei Padri Fondatori e dalle figure dell'Illuminismo.

"Spooner è sorprendente su questo," ha concordato Sartwell. "Si forniscono alcuni concetti minimali sui diritti naturali, e da ciò ne deriva tutto il resto. E' quasi Euclideo. Come professore di filosofia, mi preoccupo delle basi concettuali. Non riesco ad immaginare una filosofia senza diritti naturali."

Nel suo libro Sartwell propone una tesi morale a favore dell'anarchismo. Mi piace un esempio: scrive come lui sappia che non vuole essere torturato, così presume che anche altri non lo vogliano.

"Non è necessario avere un concetto basato sui diritti naturali per dirlo," sottolinea Sartwell. "Ma i diritti naturali sono un modo convincente per formulare il motivo per cui dovrebbe esserlo."

Questo ci ha portato ad uno degli autori preferiti da Sartwell, Josiah Warren (1798-1874), una figura notevole e meravigliosa nella tradizione anti-autoritaria. Josiah spesso si prende il merito di essere stato il primo anarchico americano.

Sartwell ha curato un grande libro sui suoi scritti con una introduzione lunga ed utile, così come le varie note. Consiglio vivamente di leggerlo. (Si chiama The Practical Anarchist: Writings of Josiah Warren. Un vero lavoro d'amore, Sartwell ha editato tutti gli scritti di Warren e li ha condensati in un campione unico in cui ci sono quelli più importanti. Ciò che rimangono sono scintille di chiarezza ed uno dei filosofi individualisti più coerenti che troverete nella letteratura americana.)

Anche Warren costruisce il suo individualismo su motivi morali.

"Lo costruisce sulla realtà dell'individualità umana e sulla realtà delle differenze umane," spiega Sartwell.

Ho detto che Warren è il primo anarchico secolare in America, almeno per quello che sappiamo. Ma molte persone non conoscono la storia del pensiero anti-autoritario in America e quanto di esso sia scaturito dalla Riforma Protestante. Sartwell spiega l'affascinante legame:

"Ho una certa letteratura di questa tradizione libertaria o anti-autoritaria americana che parte dalla Riforma Protestante. L'insegnamento di Lutero era che ogni persona è il suo sacerdote e che non c'è bisogno di alcuna gerarchia tra un il credente e Dio. Era un'idea molto radicale e molto anti-cattolica, ovviamente. Anche se elementi di questo tipo di dissenso esistevano anche dai primissimi tempi del Cristianesimo.

Per sopravvivere all'assalto della Chiesa Cattolica Lutero si alleò con i poteri dello stato e con i principi del nord Europa, fu questo il motivo per cui la Riforma ebbe più successo di altre ribellioni avvenute in precedenza. Ma molte figure radicali della Riforma estesero questo tipo di anti-autoritarismo alle istituzioni politiche. Ciò includeva i gruppi che in seguito arrivarono negli Stati Uniti, come ad esempio i Mennoniti; gli Anabattisti; e, anche più tardi, i Quaccheri.

Si tratta di gruppi radicali che vennero qui con un tipo di ethos individualista. Esisteva una geografia religiosa immensamente complicata quando nacque l'America, ma si trattava soprattutto di Protestanti inglesi di un tipo o di un altro. Questo è un fatto importante per l'intera tradizione politica americana e cruciale per l'idea dei diritti naturali. John Locke, per esempio, aveva un background Puritano. Ma questo anti-autoritarismo americano primordiale è una versione più emozionale, mirata e meno istruita nell'individualismo, ed è basata sulla fede...

E' un modo di articolare i diritti individuali che si concentra sulle pratiche religiose e sul rispetto dei credi diversi. Questo produce una concezione completamente diversa dell'essere umano e di quello che deve a qualsiasi autorità. Ognuno di noi deve rispondere alla porpria coscienza e deve condurre la propria vita morale.

"Per esempio, un Quacchero crede che 'La mia coscienza non risponde ad alcuna autorità esterna.' Questo pensiero ha guidato Lucretia Mott [una grande femminista ed abolizionista del XIX secolo], ha guidato il primo femminismo ed il primo abolizionismo, e si è secolarizzato nella disobbedienza civile di Thoreau...

Questa è la storia che sto cercando di far riscoprire, non che io sia il primo che ci prova. Voglio estrapolare queste connessioni dai primi movimenti di riforma del XIX secolo... e le si ritrova anche nella crescita del libertarismo. E' una storia molto nobile, in realtà."

Abbiamo parlato di varie figure, come William Lloyd Garrison (1805-1879).

"William Lloyd Garrison è una figura affascinante," ha dichiarato Sartwell. "E' una delle più importanti figure politiche nell'America del XIX secolo. Fu un pacifista assoluto, uno dei primi ad articolare tale pensiero, ed un individualista radicale. Stravedeva per Gesù. Lysander Spooner, al contrario, era un deista o ateo, forse... Aveva un orientamento del tutto diverso, ma emerge dalla stessa tradizione e ha lo stesso amore per l'individualismo."

Abbiamo anche parlato di come queste figure anti-autoritarie tendevano ad essere dalla parte giusta della storia.

"Avevano la tendenza ad esserlo," ha detto Sartwell . "Assolutamente. Non si può essere un individualista ed un sostenitore della schiavitù."

Nella sua eccellente introduzione incentrata su Josiah Warren, Sartwell descrive quasi poeticamente la bellezza dell'individualismo in contrasto con le astrazioni degli statalisti:

"Ogni astrazione dal mondo... è una digressione o una distrazione da esso ed una sua svalutazione. Per millenni abbiamo costruito cose per cercare di comprenderle; ora è arrivato il momento di apprezzare le loro stranezze, i loro eccessi di categorizzazione. L'individualismo è un tentativo di rimodellare il mondo affermandolo."

Sebbene Sartwell stia descrivendo la filosofia di Warren, sembra che ci abbia messo molto del proprio. Ed è uscita la solita frase: non c'è filosofia politica, solo autobiografia.

"Sì, sembra che l'abbia scritto io" ha detto. "Josiah Warren approfondisce molto l'individualismo. Non è solo una filosofia, è una metafisica. Apprezza le cose nella loro specificità. Vedete la stessa cosa in Thoreau. Il suo impegno per l'osservazione del mondo reale era totale, e questo era il suo maggior interesse. E' un modo di comportarsi universale. Si tratta di capire quale sia la propria posizione e non coprirla con astrazioni."

Pensieri nobili come questi sembrano lontani anni luce dal mondo in cui viviamo oggi fatto da protagonisti come Snowden-Manning-Abu Ghraib-droni. Abbiamo finito la nostra conversazione dove era iniziata, ammirando Snowden e meravigliandoci delle usurpazioni del potere statale.

"Cosa avrebbe pensato Thomas Jefferson?" Gli ho detto. "Cosa avrebbe pensato Thomas Paine? E' questa la nostra tradizione americana?"

"Purtroppo ci sono troppe poche persone che si fanno queste domande!" ha detto Sartwell.

Quando ho detto che forse stavamo combattendo una battaglia di retroguardia come anarchici, Sartwell ha detto: "Forse no. Forse siamo il futuro."

Speriamo.

Cordiali saluti,


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/





martedì 29 ottobre 2013

Anarchia: La base per una società civilizzata, parte 1





di Chris Mayer


Crispin Sartwell è qualcuno che dovreste conoscere. Sta facendo un lavoro importante nel recuperare grandi figure dimenticate della tradizione anti-autoritaria americana. Tra le altre opere, ha presentato un libro snello e potente intitolato Against the State.

In ciò che segue, capirete perché lui è il mio filosofo vivente preferito. Sartwell vi condurrà in un tour de force intellettuale raccontando di politiche eccentriche e persone di una parte trascurata della storia dell'America.

Sono andato a trovare Crispin Sartwell a casa sua, una ex-scuola del XIX secolo che si trova su una tranquilla strada di campagna in mezzo a campi di grano lussureggianti a nord-est di Gettysburg. Sartwell è professore presso il Dickinson College, ma dubito che l'avreste mai indovinato. Era modesto e del tutto spontaneo. E' stato come se avessi incontrato un vecchio amico.

Una volta dentro, Sartwell mi ha servito una tazza di tè e ci siamo seduti al tavolo della cucina vicino alla finestra, sul quale c'era un cesto di frutta pieno di deliziose pesche locali, ed abbiamo parlato in libertà.

Abbiamo iniziato con il quadro generale.

La copertina dell'Economist includeva una storia dal titolo "Il Decennio Perduto della Libertà," che considerava il 9/11 come l'inizio di una grande perdita di libertà negli Stati Uniti. Ho iniziato chiedendo a Sartwell se pensava che la libertà stesse perdendo terreno a favore dello stato.

"Assolutamente," ha detto. "Vorrei che la struttura della storia si muovesse verso la libertà, ma temo che non sia così. Dopo il 9/11 il potere dello stato si è consolidato in un modo spaventoso negli Stati Uniti."

Eppure ci sono movimenti di controbilanciamento. Gli ho chiesto di movimenti come quello di Occupy e del Tea Party, per esempio. Ha detto:

"Sono stato molto rincuorato da fenomeni come quello di Occupy e del Tea Party. E' difficile trovare persone che li apprezzino entrambi, perché la maggior parte delle persone vede tutto secondo uno spettro destra-sinistra. Ma secondo me hanno un sacco di punti in comune. Entrambi hanno dei limiti, o sono stati cooptati da altre forme mainstream, ma penso che siano entrambi incoraggianti.

Personalmente mi piace vedere l'ascesa di Rand Paul. Sono stupito che quell'uomo sia nel Senato degli Stati Uniti. E' stato eccezionale che Ron Paul sia rimasto nel Congresso per tutti quei decenni. Eleggere qualcuno nel Senato degli Stati Uniti che sia praticamente un libertario rappresenta un grande successo per quel lato dello spettro politico. Ma le persone sono così disorientate dalla diatriba sinistra-destra che invece di considerare Rand Paul come un importante uomo politico lo credono un pazzo lunatico di destra."

La diatriba destra-sinistra è qualcosa di cui Sartwell ha scritto nel suo blog e nei libri. E' il canale principale attraverso cui le persone tendono a setacciare l'opinione politica. E ha grossi difetti. Sartwell spiega:

"Penso che il modo sinistra-destra di intendere la politica sia incredibilmente fuorviante. Oscura molte somiglianze e nasconde molte differenze da entrambi i lati. La diatriba destra-sinistra è stata inventata dalla sinistra più o meno nel tardo XIX secolo. Il suo primo uso in senso moderno, in inglese, è riconducibile a Thomas Carlyle nel 1837. Il concetto risale un po' prima di quello in Francia. Fu utilizzata per spiegare le diverse fazioni nella Rivoluzione Francese.

Questo modo di pensare alla politica è anche associato al Marxismo nel tardo XIX secolo come capitalismo vs. anti-capitalismo. Suppongo che questo sia un modo di pensare alla diatriba, ma applicandola alle posizioni contemporanee, la diatriba destra-sinistra costringe tutti al sostegno di un tipo gerarchia o un'altra. E' sia una gerarchia capitalista-corporativa sia una gerarchia politica orientata dallo stato. Sembra essere una propria scelta, ma ci devono essere luoghi al di fuori di questa diatriba in cui si è scettici di tutte le forme di potere e di gerarchia. Ed è quello che sto cercando."

Questo ci porta ad uno dei libri più belli di Sartwell, Against the State: An Introduction to Anarchist Political Theory. L'anarchismo non rientra nella diatriba destra-sinistra. Sartwell ha dato la sua opinione:

"Beh, le persone cercano di farcelo entrare. Un sacco di anarchici che conosco sono a disagio con la mia opinione sull'anarchismo perché tante persone che si identificano con l'anarchismo sono anti-capitalisti. Per lo più sono giovani, gente di Occupy e no global. Quando pensano all'anarchismo, pensano ad un anti-capitalismo di estrema sinistra. Sono meno preoccupati del potere statale, questione che per un sacco di anarchici tradizionali sarebbe fondamentale.

Considero il libertarismo e l'anarchismo di sinistra come posizioni potenzialmente compatibili. Hanno punti in comune evidenti. Entrambi sono molto scettici circa il potere dello stato o dell'autorità in generale. Questa è la ragione per cui sto guardando a queste figure che sono nate prima che nascesse la diatriba sinistra-destra. Persone come Thoreau, diciamo. Non potreste definirlo progressivo perché non esisteva una tale categoria nel 1850. Ma era un abolizionista e certamente sosteneva il femminismo. Sosteneva tutto ciò che poteva essere considerato una riforma progressista, ma era un individualista.

Thoreau combina questi elementi che sono centrali nella tradizione politica americana, ma ora sono oscurati. Fondeva un individualismo che oggi saremmo portati a definire di destra con varie posizioni di liberazione umana che saremmo portati a definire di sinistra. Questa, per me, è una filosofia perfettamente coerente. Non sembra esserci alcuna tensione concettuale."

Gli ho fatto notare che gli anarchici possono coesistere con molti stili sociali e politici. Il punto fondamentale, mi sembra, è che nessuno è costretto a far parte di qualcosa. Potrebbero esistere tutti i tipi di assetti sociali.

"Precisamente," ha concordato Sartwell. "Questo è un vantaggio della teoria politica anarchica, a mio avviso. Non dobbiamo progettare il futuro. Possiamo cercare di scoprire come la gente voglia vivere e vedere quale organizzazione avrebbe successo."

Questo ci porta alla domanda su quanto sia pratico l'anarchismo. L'obiezione principale che fronteggiano tutti gli anarchici è l'accusa di essere dei tipi folli. Ma anche se l'anarchismo non fosse pratico, non ne consegue che non abbia alcun valore.

"Lo scetticismo nei confronti del potere insito nella posizione di base dell'anarchismo è qualcosa di cui abbiamo davvero bisogno," ha detto. "Penso che una vena anti-autoritaria sia sempre utile alla discussione."

Questo non significa mettere da parte la questione dell'applicazione pratica.

"In qualche modo, ho sottovalutato le possibilità positive dell'anarchismo," ammette Sartwell.

Entrambi abbiamo condiviso su una simile evoluzione. Ha indicato le opere di antropologi come James Scott e David Graeber, il cui lavoro indipendente ha dimostrato come l'anarchismo abbia funzionato in una varietà di scenari.

"[Leggendo Graeber e Scott] si viene a conoscenza dei modi anti-autoritari o non autoritari con cui le persone si sono effettivamente organizzate," dice Sartwell, "tra cui le nostre vite di adesso."

Le leghe di bowling, per usare un esempio dal libro di Sartwell, sono organizzazioni anarchiche. Sono completamente volontarie. Nessuno è costretto ad aderirvi. Quindi se uno ci riflette, le nostre vite sono piene di organizzazioni anarchiche che poggiano su basi volontarie. Improvvisamente, l'anarchismo non sembra un'idea tanto radicale. Si arriva a capire che la base della società civile è anarchica.

"C'è tutta questa storia anti-autoritaria. E' solo che non è stata scritta," ha detto Sartwell.

Un punto importante di cui abbiamo parlato è fino a che punto si possa spingere la filosofia politica anarchica. Il più delle volte, gli anarchici sembrano dei critici implacabili degli enti esistenti e delle strutture sociali. La gente tende a pensare agli anarchici come a dei distruttori senza cervello. Ma Sartwell ha una risposta a tono.

"L'anarchismo non è distruzione consapevole," scrive nel suo libro. "E' proprio il suo rifiuto di formare ed imporre un futuro che distingue l'anarchismo dalle ideologie.

Non penso che dovrebbe esistere una filosofia politica anarchica che vi dirà come sarà il futuro una volta che ci si libererà dal potere statale o da qualsiasi altra cosa," ha detto Sartwell.

Questo può essere un punto debole quando si discute con gli statalisti, gli ho fatto notare, che vorrebbero farci dire come potrà essere un mondo anarchico.

"Mia madre mi martellava di domande quando avevo 12 anni," Sartwell ha riso. "Conosco queste cose!"

In tal senso, finiamo per oggi. Domani tenete d' occhio il blog per la seconda parte della mia intervista.

Cordiali saluti,


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/

[Qui la seconda parte dell'articolo.]





lunedì 28 ottobre 2013

La benedizione di una valuta forte

Questo è uno di quegli articoli che avrei dovuto presentare tempo addietro, uno che cerca di instillare un pizzico di buon senso nel lettore. Dopo tutto sono qui per questo; soprattutto ora che le sirene della svalutazione monetaria si fanno più rumorose e squillanti. Un certo pool "accademico" italiano continua a rompere i timpani dei suoi ascoltatori con continue note stridule circa la bellezza di una valuta deprezzata. Oggi, quindi, vedremo perchè questo non è vero, bensì è vero il contrario. Ma prima di procedere vorrei analizzare brevemente una domanda spesso sorvolata: perché essere disposti ad accettare una svalutazione monetaria? Davvero banchieri, speculatori ed imprenditori sono così "stupidi"? La risposta è ovviamente no; ogni qual volta c'è un'espansione artificiale dell'offerta di denaro il mercato è come se finisse vittima del cosiddetto dilemma del prigioniero. Infatti chi si volesse estraniare dalla gozzoviglia fornita dai persunti pasti gratis, perderebbe profitti e quote di mercato rispetto a chi vi si butterebbe a capofitto (e in caso di necessità verebbe salvato dal denaro del contribuente, es. TARP). L’emissione di credito a buon mercato, e la relativa distorsione del panorama economico, incentiva le banche a concedere prestiti rischiosi (es. finanziamenti bellici, finanziamenti dei deficit, ecc.) ma proficui. Per non parlare dei prestiti ipotecari su cui si è fondata la bolla immobiliare; sono stati concessi mutui pericolosi perché c’era la consapevolezza che entità spalleggiate dal governo (come Fannie Mae e Freddie Mac) avrebbero rastrellato la monnezza in circolazione con l’aiuto di un cartello di agenzie di rating che vi avrebbe apposto il bollino “AAA." Allora, diventa chiaro che il problema non risiede tanto nelle banche piuttosto in due altre entità: il governo e la banca centrale. Sono loro i “garanti” del nostro attuale casino finanziario.
___________________________________________________________________________________


di David Howden


Se si ascoltano alcuni commentatori, si potrebbe pensare che i dolori del deficit commerciale americano potrebbero essere miracolosamente leniti da una rapida svalutazione. Un greenback molto apprezzato rende le importazioni "troppo a buon mercato" e incentiva gli americani a comprare dai loro concorrenti stranieri. Il corollario è che un dollaro costoso renderà poco attraenti gli esportatori americani agli occhi del resto del mondo. Il risultato è un deficit commerciale, in base al quale gli americani importano di più di quanto esportano ogni anno, un fenomeno che sembra essere peggiorato soprattutto all'inizio degli anni '70.




Eppure val la pena commentare due effetti del rapporto standard tra una valuta debole e la salute economica di un paese. In primo luogo, è vero che il tasso di cambio indebolito rende le proprie esportazioni più economiche? In secondo luogo, esistono effetti secondari nocivi se si persegue una politica di indebolimento della moneta? Cerchiamo di affrontare entrambi i punti usando il Giappone e lo yen come esempio.

Una moneta forte è generalmente vista come un'arma a doppio taglio. Mentre la maggior parte delle persone gode a guardare il proprio estratto conto bancario con tanti soldi dentro, possono continuare ad agire così solo se quei soldi significano qualcosa. Le valute forti consentono ai possessori di denaro di godere di merci importate in quantità maggiore — viaggi all'estero, o elettronica esotica più accessibile. Il rovescio della medaglia è che i produttori di questi beni — coloro con una moneta relativamente in rafforzamento — sono in genere visti come uno svantaggio di costo.

Alcune evidenze aneddotiche dal Giappone degli ultimi anni 20 mettono in dubbio questo ragionamento.

Lo scorso ottobre il dollar/yen ha raggiunto un minimo storico di circa 76.5. Dal momento che una moneta forte richiede un minor numero di unità per acquistarne un'altra, più è bassa questa cifra, più forte sarà la moneta. Questo ha segnato un apprezzamento del 55% negli ultimi dieci anni, ed un apprezzamento del 75% negli ultimi 40 anni. Eppure in tutto questo periodo il mercato delle esportazioni giapponesi è rimasto notevolmente resistente. Dal 2000 l'economia giapponese è riuscita a mantenere in media un saldo commerciale positivo, a circa il 6% del PIL, anche con questa moneta forte.

Confrontiamo tutto ciò con l'America, la quale è insuperabile in due aspetti. In primo luogo, sin dal 2000 il dollaro ha costantemente subito ribassi sui mercati dei cambi. In secondo luogo, la bilancia commerciale degli Stati Uniti ha solo visto un piccolo miglioramento. Dopo aver raggiunto un livello negativo del 6% del PIL nel 2008, la bilancia commerciale ha mostrato un miglioramento marginale, ma rimane ancora pesantemente in territorio negativo.

Il tasso di cambio rappresenta solo una parte del costo totale che uno straniero deve pagare per importare un bene. Non meno importante è il costo effettivo del bene nella propria unità monetaria nazionale. Esattamente un secolo fa Ludwig von Mises dedicò un intero capitolo a questo problema, delineando la fallacia del perché una valuta deprezzata non si tradurrebbe necessariamente in forti esportazioni.

Un modo — il modo sostenuto dalla maggior parte degli esperti — per indebolire la propria valuta è quello di svalutarla. Tuttavia tale processo produce due effetti. Uno è l'ambito deprezzamento del tasso di cambio. L'altro, e forse l'effetto più importante, è un aumento dell'inflazione interna. Che differenza fa per l'importatore dei nostri beni se il dollaro americano vale ora il 5% in meno e l'inflazione americana ha aumentato del 5% il prezzo che l'importatore paga in dollari? L'effetto è nullo.

A questo proposito il Giappone fornisce un'interessante caso di studio. Nonostante decenni di rafforzamento dello yen, il livello dei prezzi interni è rimasto stagnante. La deflazione in Giappone ha recentemente eroso il prezzo interno delle merci. Gli stranieri, dal canto loro, devono pagare un prezzo più elevato grazie all'apprezzamento dello yen. Ma pagano il prezzo più alto con un minor numero di unità di denaro a causa della deflazione. Nessun danno, nessun fallo, si potrebbe dire.

Eppure l' effetto va oltre. I produttori giapponesi hanno accedono ai mercati delle importazioni sostenendo esborsi inferiori. Composto da una serie di isole ed una delle economie più grandi del mondo, il Giappone manca di molte delle risorse naturali necessarie per essere una potenza mondiale. Uno yen forte permette a questi produttori di accedere a risorse straniere ad un costo basso, pur mantenendo i loro prezzi di vendita. I profitti sono consistenti. Anche i consumatori ne beneficiano. Molti giapponesi sono viaggiatori ben stagionati, in grado di girare il mondo con i loro preziosi yen. La qualità della vita dei consumatori giapponesi è elevata — completa di grandi foto delle vacanze — grazie alla forte posizione che hanno nel mondo. Questa posizione è riconducibile allo yen.

Se vogliamo una buona immagine dell'effetto netto di queste due forze, possiamo rivolgere la nostra attenzione al tasso di cambio reale. Il livello dei prezzi giapponese rispetto a quello degli Stati Uniti mette in evidenza la storia della competitività.




Mentre il tasso nominale continua a salire, il tasso reale è diminuito costantemente per oltre 15 anni. In effetti, in termini reali, lo yen è a buon mercato oggi come lo era nel 1986. Solo un'analisi superficiale che si concentra esclusivamente sul tasso nominale vi farebbe pensare che i produttori giapponesi sono in svantaggio.

Se oggi i politici americani sono preoccupati che senza un dollaro debole le imprese americane falliranno, dovrebbero prendere una lezione dal Giappone. Una valuta costosa non si traduce in prodotti costosi. Infatti, spesso può significare esattamente l'opposto. Mentre le pressioni inflazionistiche si affievoliscono, i prezzi rallentano la loro ascesa, o nel caso del Giappone, declinano un po'. Poiché questi prezzi diminuiscono, ci vuole un minor numero di unità di valuta per acquistare un bene. Anche se si potrebbe pagare un po' di più per comprare ogni yen, ne sono richiesti di meno per gli acquisti di beni.

Per finire con un punto logico, e per introdurre una reductio ad absurdum, i politici americani dovrebbero riflettere sul perché non sostengano un'inflazione galoppante. Certo, se inflazionano a sufficienza il dollaro esso diminuirà sicuramente di valore sui mercati dei cambi. Ma a quale costo? L'americano medio ne uscirebbe impoverito, e lo straniero medio probabilmente noterebbe pochi effetti: il guadagno sul mercato dei cambi, potrebbe essere cancellato da un prezzo maggiorato sul mercato americano interno.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


venerdì 25 ottobre 2013

Il dirupo alla fine della terza via





di Francesco Simoncelli


[Questo articolo è apparso anche sul magazine online The Fielder.]


E' generelamente conosciuto come l'uomo d'acciaio. Tutti i fan dei fumetti DC capiranno al volo di chi sto parlando: esatto, Superman. Ma potremmo rifarci a qualsiasi altro supereroe della tradizione fumettistica affinché si possa aver chiaro il concetto che esporrò a breve. Sappiamo benissimo, infatti, che il loro ruolo all'interno dell'universo di cui sono protagonisti è quello di sempiterni vigilanti che monitorano le attività criminali in modo da porvi limite o, nel migliore dei casi, fine. E' una lotta ardua che richiede molto del loro tempo e soprattutto energie; sono a disposizione degli altri. Un compito tanto nobile quanto massacrante a livello nervoso. Perché? Perché capita spesso che nella carriera di ogni supereroe ci sia il classico momento in cui lo sconforto prende il sopravvento sugli intenti valorosi. Batman e gli X-Men sono pingui di momenti simili. Ma non siamo qui per fare la storia dei fumetti, ci interessano solo questi particolari momenti.

E' qui che notiamo un fenomeno spesso trascurato e nascosto dall'audacia dei nostri eroi: il caos cittadino. Subentra l'immancabile scena della povera donna o del pover'uomo che all'angolo di un vicolo cieco vengono presi d'assalto dal malvivente di turno. Coltello alla mano hanno la meglio sui questi poveri inermi che non fanno altro che cedere il bottino in lacrime al grido: "Ma dov'è [supereroe a caso]?" L'intervento dell'eroe provoca una reazione a catena negli individui che li porta ad adagiarsi e cementificarsi su una consapevolezza: ci sarà sempre qualcuno disposto a salvarmi. In caso di sua assenza ci si sente abbandonati, traditi. E' una nenia tediante quella che infatti è divampata ultimamente e percorre incessantemente la maggior parte dei media: "lo stato ci ha abbandonato." Au contraire, lo stato c'è sempre stato e c'è tuttora solo che si è giunti inevitabilmente a quello che Mises "profetizzò" circa 93 anni fa: il fallimento della burocrazia. Il fallimento del capitalismo clientelare.

Così come con l'intervento costante del supereroe, l'assuefazione degli individui all'oppio dell'interventismo statale è diventato strabordante al crescere della sua influenza all'interno dei mercati. Cosa ha generato questo interventismo? Lassismo. Gli individui si sono abituati all'idea di una rete di protezione a loro disposizione qualora fossero finiti nei guai. Ciò ha rimosso le classiche sanzioni restrittive e prudenti che caratterizzano una corretta gestione degli affari in un mercato senza interferenze.



TRE ESEMPI ITALIANI

Per sottolineare come questo comportamente abbia permeato l'indole umana, rifacciamoci ad alcuni esempi che ultimamente hanno tenuto all'erta l'opinione pubblica italiana: Telecom, Alitalia e svalutazioni competitive. Queste tre vicende evidenziano con una spietatezza spiazzante il grado di sfascio che ormai ha ricoperto irreversibilmente la struttura politico/economica italiana. La cultura interventista ed il culto statalista iniziarono a viziare l'aria economica italiana all'incirca negli anni '60, quando il PSI e la sua traduzione arrivarono ad impregnare le sale del governo italiano (es. nazionalizzazione energia elettrica). Da quel periodo in poi il paese si mosse a passi decisi per evitare in ogni modo e in ogni forma la competizione ed un mercato quanto più libero.

Ad oggi siamo arrivati al capolinea. Alitalia rappresenta un investimento improduttivo perchè qualsiasi somma venga versata al suo interno andrà sprecata, il mercato ha decretato la sua fine anni fa ma l'intervento dello stato ha rinviato il dolore di questa decisione. Risultato? Dolore maggiore in futuro. Ma la pianificazione centrale si ostina ancora a mettere pezze ovunque; una volta intervenuta non può più fermarsi. Ed ecco che entrano in gioco le Poste Italiane con il risparmio postale a tenere a galla la baracca per qualche mese e le banche (es. Intesa) ad esporre i depositi nel disperato tentativo di evitare che le sue precedenti esposizioni vadano a male (es. bad loans).

Ad apporre la classica ciliegina sulla torta la mandira di pecoroni capeggiata dai sindacati i quali applaudono per qualsiasi intervento nell'economia, e purtroppo non riescono ad afferrare (nonostante siano esseri umani con, si presume, piene facoltà celebrali) che salvaguardare questa dolina rappresenta solo uno spreco di risorse, rinviando nel tempo l'inevitabile fallimento. Ma finché si potrà calciare il barattolo alle persone non importerà. Si crogiolano nell'idea che sia moralmente giusto togliere a Mario per dare a Maria. Per questo non si opporrano. Non si opporranno ai pasti gratis.

Così si fideranno di nuovo dell'azione del governo, incolpando Air France per voler lasciar fallire la compagnia di bandiera. La strategia di Air France non è materia di questo saggio, piuttosto ci interessa come il modello di business di Alitalia non abbia futuro. Come mai ci dovrebbe importare se un'azienda venga diretta da azionisti italiani o esteri? Se tale azienda offre un prodotto per cui sono disposto a sborsare denaro non fa differenza la nazionalità. Perché altrimenti licenzierebbe dipendenti? Capisco. Questi dipendenti sono qualificati? Si presuppone che lo siano. Hanno competenze specifiche nei loro campi di lavoro? Credo che i loro curriculum parlino per loro. Quali difficoltà avrebbero a trovare un nuovo posto di lavoro in base alle suddette ipotesi? Nessuna, a meno che non ci sia di mezzo una terza parte che si frappone tra offerta di lavoro e domanda di lavoro distruggendone le connessioni e le informazioni che si scambiano. La genuina frase di libero mercato "facciamo un affare ad un determinato prezzo" è stata cambiata in "facciamo un affare ad un determinato prezzo deciso da altri."

Chi ci perde? I consumatori. Scrive Carlo Lottieri:

[...] Soprattutto, però, sono i consumatori a non essere interessati alla nazionalità degli azionisti. Cosa importa, infatti, a quanti devono volare o telefonare che il passaporto dei detentori di questa o quell’azienda sia italiano, francese o spagnolo? Quello che interessa, ma questo deve starci a cuore veramente, è che vi sia un sistema concorrenziale e aperto, in grado di permettere alle varie imprese di stare sul mercato solo se soddisfano le esigenze dei consumatori. Solo in tal modo avremo buoni servizi e a prezzo contenuto. E qui, ahinoi, casca l’asino. Per più di un motivo. Tutti questi “liberali all’amatriciana” di un centro-destra zeppo di socialisti e tutti questi moralizzatori di un centro-sinistra analogamente dirigista oggi si tracciano le vesti perché arrivano i capitali europei, ma non hanno mai detto nulla di fronte allo scandalo di aeroporti in mano pubblica che non seguono logiche di mercato e, al contrario, favoriscono questa o quella compagnia sulla base di valutazioni che, nei fatti, peggiorano la qualità dei servizi.

Stessa cosa per il sistema telefonico. In questo caso – ma analogo discorso si potrebbe fare per le ferrovie e altri servizi “in rete” – ci si sarebbe dovuti preoccupare di accompagnare l’uscita dal Moloch statale, la vecchia Sip, adottando strategie che mettessero sullo stesso piano le vecchie e le nuove compagnie. Invece non si è fatto nulla, o quasi. Salvo oggi accorgersi che gli oligarchi che detengono Telecom hanno goduto finora del beneficio del monopolio della rete fissa, senza che mai nessuno abbia pensato di accompagnare la transizione verso un modello più inglese e aperto alla telecom alitaliacompetizione. D’improvviso ora tutti i politici sentono l’urgenza di operare lo “scorporo”, ma solo perché – pur senza mettere un solo euro in queste aziende – in tal modo essi possono continuare a intralciare il mercato e far prevalere i loro interessi di clan. Quegli stessi interessi che li spingono a non mettere in vendita colossi come Rai, Enel, Finmeccanica, Cassa depositi e prestiti, Eni e via dicendo.

Ma quanto detto è politicamente doloroso. Non porta voti. Non sostiene l'apparato statale. Anzi, tenderebbe a smembrarlo e per coloro che vi hanno investito la propria vita non è accettabile. Ecco quindi che entra in gioco una sordida proposta che non fa altro che ritardare il dolore economico dovuto a decisioni sbagliate mettendo i bastoni tra le ruote ad un processo di purificazione dagli errori passati: svalutazione monetaria. Si pensa che attraverso la diluizione del potere d'acquisto della moneta si possa stimolare artificialmente il processo economico incanalandolo di nuovo verso binari di crescita.

Un palliativo che permetterebbe a coloro che prendono temporaneamente parte alla classe dirigente del paese di illudere le persone di aver trovato la pietra filosofale a tutti i problemi economici; di poter condurre il paese fuori da qualsiasi crisi; di poter garantire lavoro e redditi a chiunque. Promesse che avranno conseguenze nefaste più avanti nel tempo, quando quella classe dirigente probabilmente avrà lasciato la carica. Ma le persone illuse rimangono, e dovranno pagare le conseguenze.

Ovviamente nessuno è disposto a fare la figura del fesso, quindi verranno richieste alla nuova classe dirigente misure decise per affrontare i problemi scaturiti da un apparato che incide profondamente nelle vite e nel tessuto del mercato, ma di cui nessuno ormai pare farne a meno. Il direzionamento artificiale dei mercati è diventato una droga, quindi nessun problema verrà reciso alla radice fin quando persiste l'attuale stato di cose. La manifestazioni di piazza non fanno altro che rendere scottante questa dipendenza. Una volta che si ricorre all'intervento dello stato e lo si invoca, si cede alla credenza che esiste da qualche parte un individuo che possa garantirci un pasto gratis, uno scambio di qualcosa per niente. Quando iniziano ad affiorare le inevitabili conseguenze della pianificazione centrale, quando iniziano ad affiorare inesorabilmente le impossibilità di conciliare un ambiente di mercato manipolato, c'è una richiesta maggiore di intervento e manipolazione. Settori ed aree maggiori del mercato vengono manipolati per impedire che le storture nate dell'interventismo originale facciano crollare il castello di carte su cui si fondano le giustificazioni e le macchinazioni di coloro tanto presuntuosi da immaginare il funzionamento genuino di un mercato ostacolato.

Fare impresa non è un qualcosa che è possibile stimolare attraverso un sussidio al settore delle esportazioni. Questo crea lassismo. Dipendenza. E soprattutto depreda di nascosto i lavoratori del potere d'acquisto della moneta in modo da abbassare artificialmente i loro stipendi. Questo è il significato dell'espressione: "L'inflazione è un trasferimento di ricchezza dalle classi povere verso le classi ricche." La classe imprenditoriale occidentale, ed anche quella italiana, non aveva solo il know-how e le tecnologie, ma anche idee per nuovi beni e servizi ed intuizioni individuali su dove sarebbe "andato il mercato." Le capacità degli individui che sceglievano la via dell'imprenditoria erano poi amplificate dagli ambienti economici in cui operavano: disponibilità di capitali, situazione monetaria "stabile," nuove tecnologie. La società aveva un orientamento ed una fiducia verso il futuro che le permettevano di godere di una produzione in ascesa con conseguente abbassamento dei prezzi; una vittoria per il consumatore.

Purtroppo l'occidente, ad anche l'Italia, ad un certo punto ha iniziato a lasciarsi travolgere dalla possibilità di mettere in pratica quell'aforisma per cui Bastiat è conosciuto: "lo stato è quell'illusione attraverso la quale ognuno cerca di vivere sulle spalle degli altri." Le imprese vedevano sottrarsi la possibilità di operare genuinamente il calcolo economico, e solo per sostenere una folla di sussidiati di stato, in modo da costituire una coorte di scalmanati pronti a giustificare e difendere le briciole che cadevano dalle tavole di coloro al comando. Ma non bastava, la struttura avrebbe iniziato a scricchiolare a causa di queste decisioni quindi è stata spacciata la favoletta del "fallimento del mercato" per imporre maggiori regolamentazioni e restrizioni. Ma anche questo non bastava, perché la forza sottostante del mercato è superiore a qualsisi volontà individuale o oligarchica. Quindi, ecco lo step successivo: divieti e leggi liberticide.

Le idee ci sono, gli imprenditori in grado di attuarle anche, i lavoratori disposti a realizzarle anche. Cosa manca? La volontà del moloch statale di fare un passo indietro. Ridurre la tassazione sarebbe un buon inizio. Non mi aspetto la sua totale abolizione, ma è una cosa che potrebbe accadere se gli individui comprenderanno di nuovo cosa voglia dire ottenere servizi efficiente in accordo con i loro desideri. Quello sarà un gran giorno per la libertà perché le responsibilità individuali conteranno di nuovo sulla scena economica mondiale. Ma mi rendo conto che non si rinuncierà facilmente ad un apparato in grado di poter garantire privilegi arbitrari. Questa è la situazione bloccata in cui ci troviamo, ed è proprio questa situazione che rende impossibile alle nostre imprese di fare concorrenza e di aumentare la ricchezza dei paesi e l'occupazione.

Cento anni di credito e moneta fiat stanno dispiegando i loro effetti deleterei di lungo termine.



LA MADRE DI TUTTI GLI INTERVENTISMI

Uno degli esempi spesso preso in considerazione dagli interventisti è quello della Grande Depressioen degli anni '30. Friedman, in A Monetary History of the United States, contribuì a dare all'establishment la giustificazione che necessitava per farla franca: la FED non inflazionò abbastanza. In uno dei suoi migliori libri, La Grande Depressione, Rothbard ci mostra come le politiche espansive della metà degli anni '20 portarono al crollo del 1929. Ovvero, gli interventismi precedenti condussero ad una serie di investimenti improduttivi che culminarono col bust epico che tutti i libri di storia ricordano con una certa tinta scura.

E' uno degli esempi che spesso viene presentato come giustificazione a misure anticicliche da parte dei pianificatori centrali. E' uno degli esempi più fuorvianti e manipolati. Il problema, come insegnato dalla Scuola Austriaca, è il boom artificiale non il bust. La purificazione di quegli errori commessi durante la fase euforica in cui tutto sembrava roseo e positivo, è un processo di cui il mercato necessita per segnalare al panorama economico come l'informazione sia tornata genuina e non annacquata da presunte visioni presuntuose e prepotenti di un sistema oligarchico autorefernziale.

Nel 1920-1 la FED non fece proprio nulla dal punto di vista di interventi “quantitativi” e dopo due anni l’economia era di nuovo in carreggiata. Era invece intervenuta molto prima, dal 1914 al 1919, aumentando considerevolmente l’offerta di moneta e causando il boom che aveva provocato la recessione.




Invece la recessione del 1929 venne trasformata in depressione dall'intervento dello stato nell'economia. Come? Friedman disse al mondo accademico ciò che voleva sentire: che il rifiuto della Federal Reserve di inflazionare negli anni 1931-1933 fosse stata la principale causa della Grande Depresisone. Problema: la FED non deflazionò nel 1931 ed invece inflazionò nel 1932-1933. La contrazione monetaria di M1, ed il successivo credit crunch, furono causati dal fallimento di 9,000 piccole banche. La FED può agire solo sulla base moentaria, non può influenzare direttamente M1 (nonostante continuasse a sostenre il sistema bancario commerciale con vagonate di carta straccia) e gli assalti agli sportelli bancari continuavano imperterriti. Cosa li arrestò? Quattro lettere: FDIC.

L'economia statunitense iniziò a riprendersi solo nel 1946 quando tornarono in patria i soldati che andarono in guerra e la spesa federale scese del 40%. La paura dei crash, quindi, è fuori luogo: essi sono necessari per purificare il sistema economico da tutti quegli investimenti improduttivi nati dalle politiche interventiste/espansive della banca centrale e per permettere alle risorse di finire in quei settori dove saranno meglio utilizzate (es. in accordo con le scelte di mercato non ostacolate). La lezione da tenere a mente è, quindi, che i pianificatori centrali non devono mettere i bastoni tra le ruote al processo purgativo del mercato, altrimenti il presunto rimedio alla crisi si rivelerà un veleno.



FINIRA' MALE

Quali sono stati i risultati dei vari giri di interventi statali nell'economia? Un panorama economico in cui le distorsioni corrono veloci per tentare di stare al passo con la realtà. O per meglio dire, per tentare di mascherarla secondo i capricci di coloro che presentano lo stesso mantra: "Ci sarà una ripresa, prossimamente." Quindi si spingono le persone a percorrere quelle stesse strade che le hanno condotte sul sentiero della rovina: più debito.




Il supporto della FED attraverso l'acquisto di circa $85 miliardi di titoli obbligazionari statali e titoli garantiti da ipoteca per spingere artificialmente in basso i tassi di interesse a breve termine ha funzionato per stimolare questo percorso... ma fino al maggio scorso. Questo presunto pasto gratis da parte dello zio Ben ha permesso di gozzovigliare ancora di più nell'azzardo morale, perché una situazione in cui i debiti sovrastano le entrate, e nonostante tutto si consiglia di annegare ancora di più nel debito, è concettualmente possibile solo quando esiste un qualcosa/qualcuno che pone garanzie. In questo caso il "full faith and credit" degli Stati Uniti. Promesse.

Con tale sostegno non sorprende se sono state reflazionate vecchie bolle, come quella immobiliare e quella legata ai prestiti automobilistici. Ma quella più preoccupante, dopo quella legata ai Treasuries, rimane la bolla dei prestiti studenteschi.




Vi pare sostenibile a lungo termine una situazione propensa a continuare su questi binari? Il governo federale continua a crescere, continua a ricoprire e manipolare settori economici sempre più grandi per impedire che i vecchi errori conducano il suo apparato ad una resa dei conti.




La Federal Reserve, così come le altre banche centrali del mondo, hanno impedito che i loro relativi stati cadessero vittima del giudizio imparziale del mercato. Ma questo non significa che le forze di emrcato siano state soppresse del tutto. Hanno semplicemente guadagnato tempo calciando lungo la strada il barattolo del debito. Non dimentichiamo che lo zio Sam ha passività non finanziate per $222 bilioni legate a Previdenza Sociale e Medicare secondo le stime del professor Kotlikoff dell'Università di Boston. L'intervento anticiclico non ha fatto altro che rimescolare le carte in gioco, gettando le basi però per un dolore economico futuro di maggiore intensità. Le leggi dell'economia non possono essere infrante. Ignorate? Sì. Manipolate? Anche. Cacellate? Assolutamente no.

Quando l'accumulo di debito raggiugne livelli decrescenti scattano automaticanete sanzioni negative che bypassano qualsiasi intervento che tende ad ignorare i segnali di mercato o a re-indirizzarli. Questo significa tassi di interesse in ascesa. La domanda che quindi sorge spontanea è: chi pagherà?

Sin dall'inizio della crisi finanziaria è stato chiaro a tutto il mondo: il contribuente. C'è la sua figura dietro ai piani per salvare gli stati ed il settore bancario commerciale. Sono la garanzia collaterale dietro ogni azione volta a salvaguardare lo status quo. Ha investito e sta investendo molto su questo sistema, ci sono in gioco anni di promesse e pensa che alla fine potranno essere mantenute: i pianificatori centrali consegnaranno la luna come promesso. Tutto quello che vogliono è uscirne il prima possibile ed ottenere quello che coloro venuti prima di loro stanno ottenendo. Pensano che gli attuali pensionati abbiano battuto il sistema. Non è così. Sono in vantaggio sul sistema, ma non l'hanno battuto. Coloro che sono morti l'hanno battuto.

Infine i giovani staccheranno la spina: niente più sostegno allo status quo. Perché? Perché i pianificatori centrali, nella loro sfrenata sete di potere, diventeranno cani idrofobi disposti a tutto pur di continuare a manipolare a loro vantaggio il mercato. Gli inneschi sono ormai evidenti: la Polonia a settembre ha messo le mani nei fondi pensione privati per compensare problemi di bilancio, prima era stato il turno di Spagna e Portogallo; l'Argentina ha proibito l'utilizzo di dollari per i risparmi personali e richiede alle banche di concedere prestiti a tassi al di sotto di quelli dell'inflazione reale; l'Islanda impone ad imprese ed individui di richiedere un permesso speciale al governo prima di investire all'estero o di comprare valuta estera; prelievi forzosi nei conti bancari, come accaduto a Cipro, Grecia e di recente in Svizzera; il FMI pensa ad una tassa del 10% sui risparmi; ecc.

Stanno arrivando e hanno la bava alla bocca. La pressione a cui sono sottoposti i pianificatori centrali è vistosamente schiacciante: non hanno alcun piano B e le cartucce su cui hanno fatto affidamento fino ad ora sono risultate a salve.



CONCLUSIONE

"La Politica della Via di Mezzo Conduce al Socialismo." E' questo il tema di fondo in Planning for Freedom di Mises. E il socialismo conduce al Grande Default.

[...] L'impatto di questo stato di cose induce ad una certa inazione per preservare il sistema dell'impresa privata. Ci sono solo sostenitori della via di mezzo che pensano di avere avuto successo quando ritardano per qualche tempo una misura particolarmente rovinosa. Sono sempre in ritirata. Oggi attaccano misure che solo dieci o venti anni fa sarebbero state considerate come undiscutibili. Tra pochi anni acconsentiranno ad altre misure che oggi considerano come fuori questione. Quello che può impedire la realizzazione del socialismo totalitario è solo una profonda modifica delle ideologie. Quello che ci serve non è né anti-socialismo né anti-comunismo, ma l'approvazione positiva di quel sistema a cui dobbiamo tutta la ricchezza il quale distingue la nostra epoca dalle condizioni ristrette dei secoli passati.

Come ci insegna la storia, il socialismo ha una durata di circa 5-6 decenni e poi cade a pezzi sotto il peso delle sue pianificazioni presumibilmente "ben congeniate." Lo status quo occidentale è al capolinea. La sua implosione porterà indicibili sofferenze e tragedie umane.

Lo venderanno come un salvataggio della clase media. Lo venderanno come una sofferenza per un presunto bene superiore. Non credeteci. Non aprite la porta. Non invocate il loro aiuto.