di Gary North
Remnant Review
Lo stato è l'unica vera forma di governo? E' il solo che possiede una sovranità legittima? I difensori dello stato moderno insistono sul fatto che le cose stanno così, e così dovrebbero andare.
Robert Nisbet, come sociologo, considerava le organizzazioni sociali come la fonte della tradizione politica. Ci spiegò che lo stato moderno nacque da una serie di conflitti tra i governi nazionali e le altre istituzioni all'interno del suo territorio geografico. Vide il sorgere dello stato moderno attraverso rivendicazioni di sovranità da parte dello stato stesso, una sovranità che si rifiutò di condividere con altre istituzioni. Queste ultime, infatti, possedevano una sovranità limitata. Spiegò anche l'ascesa dell'Atene classica secondo questa insistenza sulla sovranità statale. Spiegò l'Impero Romano sotto Augusto e gli imperatori successivi secondo questa ricerca di sovranità unitaria: uno stato di guerra.
Lo stato pretende di essere assoluto. In The Quest for Community (1953), scrisse:
Come la famiglia, o come il capitalismo, lo Stato è un complesso di idee, simboli e relazioni. A differenza della parentela o del capitalismo, lo Stato rappresenta, nel mondo contemporaneo, la fedeltà suprema dell'uomo e, in tempi più recenti, il più grande rifugio dalle insicurezze e dalle frustrazioni della vita. Dove il capitalismo ha avvolto tutto il mondo occidentale, e anche l'Oriente, in una nube fitta di sfiducia e di rinuncia, e dove la parentela, come la religione, è diventata sempre più priva di rilevanza istituzionale ed appeal simbolico, lo Stato si è inserito come forza dominante nella nostra società e come simbolo più evocativo dell'unità culturale e dello scopo (p. 92, ISI edition, 2010).
In questo ambiente, la guerra è fondamentale. "Se si deve individuare una singola origine dello Stato istituzionale, la si può ritrovare nelle circostanze e nelle relazioni di guerra. La connessione tra parentela e famiglia, tra la religione e la Chiesa, non è tanto stretta quanto quella tra la guerra e lo stato" (p. 93).
SOVRANITA' E DIRITTI (IMMUNITA' LEGALI)
Qual è il significato di sovranità? E' l'autorità legale e legittima di invadere tutte le istituzioni rivali e di essere immune dalla loro intromissione. Nel pensiero moderno è posseduta solo dallo Stato. In questo senso, lo stato possiede ciò che in epoche precedenti in Occidente sarebbe stato identificato con Dio. Ma si presumeva che la sovranità di Dio dovesse essere delegata alle istituzioni legittime: famiglia e chiesa. Inoltre era delegata al singolo. La sovranità dello stato non è delegata, tranne in condizioni di stress. Citò l'editorialista liberal più influente in America, Walter Lippmann, che nel 1929 scrisse:
Uno stato è assoluto, nel senso che ho in mente, quando rivendica il diritto ad un monopolio della forza all'interno della comunità per dichiarare guerra, per proporre la pace, per coscrivere, per tassare, per stabilire e separare la proprietà, per definire il crimine, per punire la disobbedienza, per controllare l'istruzione, per supervisionare la famiglia, per regolare le abitudini personali e per censurare le opinioni. Lo stato moderno sostiene tutti questi poteri e, in teoria, non c'è una vera differenza nella dimensione delle pretese di comunisti, fascisti e democratici. Ci sono tracce persistenti nel sistema costituzionale americano della vecchia teoria secondo cui ci sono diritti inalienabili che lo stato non può assorbire. Ma questi diritti non sono davvero inalienabili poiché possono essere portati via da una revisione costituzionale. Non vi è alcun limite teorico al potere delle maggioranze che creano il governo. Ci sono solo limiti pratici. Sono trattenuti dall'inerzia, dalla provvidenza e anche dalla buona volontà. Ma in ultima analisi, e teoricamente, rivendicano un'autorità assoluta contro tutte le chiese, le associazioni e le persone sotto la loro giurisdizione (p. 95).
Il problema è l'immunità dalla sovranità statale. Una dichiarazione di tale immunità è una dichiarazione di sovranità legittima. Lo stato nega tutte queste dichiarazioni. Nisbet scrisse:
Lo Stato moderno è monistico; la sua autorità si estende direttamente a tutti gli individui all'interno dei suoi confini. Le cosiddette immunità diplomatiche non sono altro che l'ultima manifestazione di un ampio complesso di immunità che una volta coinvolgeva un gran numero di autorità religiose, economiche, e di parentela. Per fini amministrativi lo Stato si può dislocare in province, dipartimenti, distretti, o "stati," proprio come l'esercito si divide in reggimenti e battaglioni. Ma a differenza dell'esercito, uno Stato moderno si basa su una unità residua di potere. Lo Stato può delegare occasionalmente o porre, per così dire, certi poteri in amministrazione fiduciaria, ma chiunque abbia familiarità con i processi dello stato moderno, democratico o totalitario, sa che lo fa di rado e con riluttanza. La straordinaria unità di rapporto dello Stato contemporaneo, unitamente al suo massiccio accumulo di funzioni efficaci, rende il controllo dello stato il più grande obiettivo, o premio, nelle lotte moderne per il potere. Sempre più spesso gli obiettivi economici ed altri interessi associativi non comprendono tanto la conservazione dell'immunità dallo Stato, pa piuttosto la cattura stessa del potere politico (pp. 95-96).
Sotto lo stato, emerse una forma di capitalismo e la consideriamo come l'unica forma del capitalismo. Storicamente lo è stata, ma non c'è nulla nella proprietà privata e nel commercio affinché si possa esigere una particolare forma di capitalismo.
Lo sviluppo di un sistema universale di guerra da parte dello Stato, sancito dal potere militare, serve a sostituire le innumerevoli leggi concorrenti delle gilde, della Chiesa e dei principati feudali; serve a coltivare il suo commercio nell'entroterra; a standardizzare i suoi sistemi di conio, pesi e misure; a sussidiare e tutelare quei nuovi imprenditori che cercavano di operare al di fuori del quadro delle gilde e della Chiesa; a disciplinare la sua creazione di lavori statali -- tutto questo fornì un potente stimolo politico alla nascita del capitalismo (p. 97).
Allora che dire dei diritti individuali? Questa non era una preoccupazione importante nell'epoca medievale. Perché no? Perché i diritti della persona erano difesi da istituzioni diverse dal governo civile.
Nel mondo medievale c'era poca preoccupazione per i diritti degli individui, in gran parte a causa delle differenze di potere politico e degli innumerevoli gruppi di autorità. Ma quando il consolidamento del potere politico nazionale portò con sé una distruzione dei tanti corpi sociali in cui gli individui erano vissuti (quando, in sintesi, la legge divenne una struttura più centralizzata e impersonale, con l'individuo come unità), divenne impellente la preoccupazione per i diritti garantiti costituzionalmente. I governi europei cercarono spesso, e con successo per lunghi periodi, di resistere alle pretese dei diritti individuali, ma è difficile non notare il fatto che gli Stati (Inghilterra, per esempio) che ottennero un grande successo economico e politico riconobbero per primi i diritti costituzionali della persona (in particolare quelli legati alla proprietà). Col senno di poi, però, notiamo che fu l'impatto dello Stato sul costume e la tradizione medievali, con conseguenti effetti liberatori, che, più di ogni altra cosa, catalizzarono le preoccupazioni moderne sui diritti individuali (p. 99).
Ciò solleva una domanda cruciale: quali diritti sono stati protetti dalle istituzioni medievali, e quali no? Ricordate, "diritti" vuol dire "immunità legali dagli stati." Ciò comporta un diritto all'auto-governo.
CITTADINI
L'adulto moderno è un cittadino. Che cosa significa questa parola? Nel Medioevo voleva dire che era il residente di una città: cittadino come in città. Un contadino sotto un signore feudale non era un cittadino. Era un subordinato.
Nel Medioevo il cittadino era letteralmente l'abitante di una città libera. Il suo status sotto il re, però, era quella di subordinato. I due status erano nettamente distinti in quell'epoca, ed anche alla fine del XVI secolo, secondo gli scritti di Bodin, possiamo vedere la continuazione di questa distinzione. Ma nella storia della politica moderna, specialmente nell'Età delle Rivoluzioni, c'è stata una chiara tendenza affinché i termini cittadino e subordinato divenissero praticamente sinonimi. Il quadro di riferimento è cambiato dal passaggio dalla città alla nazione, ed il cittadino rappresenta l'unità dell'associazione politica dello Stato. Ma nel moderno concetto di cittadinanza non c'è solo l'idea medievale di status libero, ma anche l'idea della subordinazione al potere politico sovrano (p. 100).
Oggi un cittadino è subordinato allo stato. Non è subordinato a nessun altro. Questo lo libera da alleanze più grandi, ma lo lascia in balia dello stato. Non riceve alcun sostegno da sovranità rivali poiché non ce ne sono. "Sarebbe impossibile ingigantire il ruolo del conflitto tra il potere politico e il gruppo sociale nello sviluppo di idee moderne di sovranità, libertà, diritti ed uguaglianza che insieme formano il sistema dello Stato Occidentale" (p. 100).
Nella terminologia moderna, questa è una guerra per il territorio. Lo stato rivendica la sovranità, questo significa sovranità totale sul territorio. Tutte le altre richieste sono respinte come illegittime.
Il vero conflitto nella storia politica moderna non è stato, come spesso affermato, tra lo Stato e l'individuo, ma tra lo Stato ed il gruppo sociale. Quello che Maitland una volta definì come la "polverizzazione e la macadamizzazione della storia moderna," è stato uno degli aspetti più vivi della storia sociale del moderno Occidente, ed è stato un aspetto inseparabile nei conflitti epocali tra lo Stato politico, le associazioni sociali e l'individuo. Il conflitto tra governo politico centrale e le autorità delle gilde, le comunità dei villaggi, le classi ed i corpi religiosi è stato, tra tutti i conflitti della storia, il più rilevante. Da questo conflitto è sorta la maggior parte dei trasferimenti di autorità e funzioni che hanno dato vita al declino del comunitarismo medievale ed alimentato il potere politico sia individuale che centrale (pp. 100-1).
MONOPOLIO E LIBERAZIONE
Nei libri di testo standard, lo stato viene presentato come una forza liberatrice. Rimuove le giurisdizioni di altre istituzioni sugli individui, ma questo porta ad un monopolio della forza. Non c'è altra istituzione a difesa dell'individuo. Lo stato può concedergli dei diritti -- immunità legali -- ma possono essere abrogati in qualsiasi momento. Ciò non era vero nel 1250. "Paragonando il potere politico dello Stato nel XIII secolo con quello di oggi, ci si rende conto che l'emancipazione più importante nella storia moderna è stata quella dello Stato dalla rete restrittiva delle autorità religiose, economiche e morali"(p. 101). L'individuo si è emancipato da altre giurisdizioni, ma anche lo stato-nazione.
Nisbet poi citò Lord Acton, famoso per questo aforisma: "Il potere corrompe e il potere assoluto corrompe in maniera assoluta."
Lord Acton lo dichiarò magnificamente nel suo History of Freedom: "La teoria moderna, che ha spazzato via ogni autorità tranne quella dello Stato e che ha reso irresistibile il potere sovrano moltiplicando coloro che lo condividono [...] condanna come Stato nello Stato ogni gruppo interno e comunitario, classe o corporazione, che amministra i propri affari; e proclama l'abolizione dei privilegi se emancipano i soggetti da tale autorità, ma solo al fine di trasferirla esclusivamente nelle loro mani [...]. La libertà si riconosce solo nei singoli, perché è solo nel singolo che la libertà può essere separata dall'autorità e il diritto all'obbedienza condizionale separato dalla sicurezza del comando limitato" (pp. 103-4).
Acton considerò questi aspetti in termini di ricerca del potere consolidata in un unico istituto: lo stato. Non ne aveva fiducia.
Nisbet considerò questi aspetti definendoli una rinascita del diritto Romano. Ciò era molto più pronunciato nell continente che in Inghilterra, anche se Nisbet non lo dice (però lo sapeva). Aveva letto Maitland, il grande storico del common law. "Le dottrine del diritto Romano hanno avuto un ruolo importante. L'origine delle aspirazioni monarchiche verso il potere centralizzato possono essere ricondotte ad una necessità militare ed al desiderio di maggiori entrate, ma la razionalizzazione di tali aspirazioni era comunemente tratta dai testi del diritto Romano" (p. 104). Il diritto romano era stato emanato da un legislatore. "La dottrina Romana della concessione affermava in sostanza che tutti i gruppi dipendevano dalla volontà dello stato per l'esercizio delle loro funzioni ed autorità. I gruppi esistevano, per così dire, solo nella contemplazione legale del sovrano. Questa era una dottrina davvero rivoluzionaria" (p. 104).
CENTRALIZZAZIONE ATENIESE
Atene si spostò dal decentramento e dal pluralismo alla sovranità dello stato.
Nell'antica Atene, come [Alfred] Zimmern ha sottolineato, "quello a cui dobbiamo guardare sono i graduali sfilacciamenti delle lealtà minori che formavano i collegamenti intermedi tra l'individuo ed il cittadino, libero ed indipendente, con la face-to-face society." Il conflitto tra il governo centrale e la fedeltà storica ai clan ed alle tribù fu uno dei processi decisivi della storia ateniese. Questo conflitto divenne evidente nelle circostanze che portarono alle riforme di Solone, ma fu un fattore importante anche nelle riforme del grande Clistene. Nel suo desiderio di centralizzare il potere politico e di creare una scena più favorevole alle esigenze militari ed economiche, Clistene fu condotto, verso la fine del VI secolo a.C., all'abolizione delle strutture di parentela dominanti come soggetti giuridici rilevanti (p. 105).
Il grande promotore fu Platone. L'intera carriera intellettuale di Nisbet può essere vista come una rivolta contro Platone ed il suo erede intellettuale, Rousseau. "Il problema per Platone, come lo fu per Rousseau duemila anni dopo, era quello di scoprire le condizioni entro cui la libertà assoluta dell'individuo potesse essere combinata con la giustizia assoluta dello stato" (p. 106).
La soluzione di Platone al problema era radicale. Non era nient'altro che lo sterminio di tutte le forme di lealtà sociale e politica che, con la loro semplice esistenza, avrebbero costituito influenze distrattive sui singoli ed appartenenze divisorie all'interno della comunità dello stato stesso. "Lo zelo dello Stato arrivò con Platone," scrisse [Sir Ernest] Barker, "ed arrivò come un fuoco a consumare tutto ciò che non era dello Stato. L'intero sistema del comunismo platonico è destinato a denudare l'individuo di tutto ciò che gli possa impedire di prendere il suo giusto posto nello schema dello stato: è progettato per garantire quelle condizioni -- in altre parole, a garantire quei diritti -- che sono necessarie affinché venga deprivato della sua funzione in quello schema."
Secondo Platone vi è un conflitto inevitabile e intollerabile quando le appartenenze dell'uomo sono plurali. Quindi la pluralità e la diversità non devono avere luogo nello Stato ideale. L'unità è la condizione sia di ordine che di vera libertà. L'esistenza di associazioni economiche e sociali autonome può solo portare a disordini sociali, ad un conflitto paralizzante nella coscienza del singolo ed alla sovversione continua dell'unità della vita nella società che Platone apprezzava. L'ostilità di Platone è diretta, quindi, non contro l'individuo in quanto tale, ma contro il gruppo sociale. La sua diffidenza verso la famiglia autonoma è abbinata al suo timore di una religione indipendente o privata, e di un'arte, una musica ed una istruzione indipendenti. Tutti i membri e tutte le attività culturali devono essere legate strettamente e costantemente alla comunità politica monistica (p. 107).
Platone scrisse all'indomani della guerra con Sparta, dichiarata da Atene, e che Atene perse.
Lo stato è guerra.
In termini storici lo Stato è la conseguenza della guerra. Nella sua prima forma è essenzialmente un'organizzazione militare, ma non rimane a lungo un'associazione puramente militare. Il consolidamento dell'autorità e l'acquisizione delle entrate necessarie per l'efficacia militare conduce inevitabilmente il potere politico al conflitto con altre associazioni che rivendicano l'obbedienza e la proprietà. Lo Stato può entrare in conflitto con i clan, con la chiesa, con le classi, o con la comunità, o con le corporazioni, o con le università, a seconda delle necessità inerenti alla situazione storica (p. 110).
Lo stato utilizza la politica per assimilare le funzioni. Lo stato-nazione sostituisce tutte le autorità intermedie e funge da sovrano ultimo. "Da sempre nella storia della politica, in un modo o nell'altro, si può vedere il conflitto che si crea dall'esistenza, da un lato, delle associazioni, locali, sezionali o funzionali (ognuna richiedente giurisdizione limitata sui suoi membri), e, dall'altro lato, un'associazione che si identifica con tutte le persone in un dato territorio e cerca di consolidare tutte le autorità rilevanti all'interno di quello stesso territorio" (p. 110).
Quando gli uomini accettano la pretesa dello stato secondo cui è l'unico sovrano, la sola agenzia che possiede il marchio di governo -- rivendicando immunità legale da tutte le altre agenzie -- essi diventano vulnerabili ed in balia dello stato. Non hanno una corte terrena più alta a cui appellarsi. Lo stato sostiene di essere l'unico governo legittimo ed utilizza la coercizione per imporre le sue pretese. Il cittadino, ormai emancipato da tutte le pretese rivali di autorità, non ha più accesso alle corti rivali.
ROUSSEAU
La prima pubblicazione accademica di Nisbet fu "Rousseau and Totalitarism," che venne pubblicato nel 1943. La ristampò come capitolo 1 di Tradition and Revolt (1968). Odiava Rousseau e tutto ciò che rappresentava: la creazione di uno stato messianico, la soppressione delle associazioni locali e la soppressione delle libertà degli uomini in nome della Volontà Generale. Odiava soprattutto il punto di vista di Rousseau sulla sovranità, che era esclusivamente politico. "La teoria più rigorosa e rivoluzionaria della sovranità è quella di Rousseau" (p. 130).
Perché è importante Rousseau? Perché "Rousseau è il primo dei filosofi moderni a vedere nello Stato un mezzo per risolvere i conflitti, non solo tra le istituzioni, ma dentro l'individuo stesso. Lo Stato diventa il mezzo per liberare l'uomo dalle incertezze spirituali e dalle ipocrisie della società tradizionale "(p. 130).
Due soggetti dominano il pensiero di Rousseau: l'individuo e lo Stato. Nella sua mente sono contemporaneamente sovrani e, insieme, l'unica base per un ordine umano giusto. Il risultato è la confluenza di un individualismo radicale da un lato e di un autoritarismo senza compromessi dall'altro. L'esistenza parallela di questi filoni di pensiero nelle opere di Rousseau fu la base di numerose accuse di incoerenza, accuse non vere tra l'altro (p. 131).
Questo è l'uomo spogliato di tutte le lealtà rivali. E' il cittadino di uno Stato unitario. "I legami tradizionali della società, le relazioni di cui generalmente parliamo, o quelle connessioni che per Rousseau simboleggiano le catene dell'esistenza. E' da tutto questo che desidera emancipare l'individuo; desidera sostituire le loro disuguaglianze con una condizione di uguaglianza vicina il più possibile allo stato di natura" (p. 132).
Allora che cos'è lo stato? È un'agenzia di redenzione, sia individuale che corporativa.
La sua missione è quella di realizzare l'indipendenza dell'individuo dalla società, garantendo la dipendenza dell'individuo su se stesso. Lo Stato è il mezzo attraverso il quale l'individuo può essere liberato delle tirannie restrittive che compongono la società. E' l'agenzia di emancipazione che permette all'individuo di sviluppare i germi latenti della bontà finora frustrati da una società ostile. . . . Lo Stato è dunque l'essenza del potenziale represso dell'essere uomano, e lungi dall'essere un controllo sul suo sviluppo, è l'unico mezzo di tale sviluppo. Attraverso il potere dello Stato, l'uomo viene risparmiato dal conflitto e dalla tirannia che nascono dalle sue passioni egoistiche e distruttive. Ma per emergere dalle dimensioni della società, e per rispettare quella spirituale, ci deve essere "una resa assoluta dell'individuo, con tutti i suoi diritti e tutti i suoi poteri convergenti verso la comunità nel suo insieme" (p. 133).
Lo Stato è la comunità. Ma questa comunità è esclusivamente politica.
La solidarietà mistica che Rousseau predica non è, tuttavia, la solidarietà della comunità che esiste per tradizione e senza leggi scritte. La comunità sociale, come esisteva nel pensiero di Tommaso d'Aquino o, più tardi, nella teoria di Althusius, è una comunità di comunità, un assemblaggio di gruppi minori moralmente integrati. La solidarietà di questa comunità si pone fuori dalle osservanze morali e sociali dei gruppi minori. La sua unità non deriva da una legge sovrana, che parte dall'alto fino ad arrivare a tutti i singoli componenti della struttura. La comunità di Rousseau, tuttavia, è una comunità politica, indistinguibile dallo Stato e che condivide tutte le qualità uniformi dello Stato. E', nella sua mente, una unità morale, ma si tratta di una unità conferita dalla volontà sovrana dello Stato e diretta dal governo politico. Da qui deriva l'analogia organica che viene utilizzata per indicare la struttura unitaria della sua comunità politica: la centralizzazione del controllo all'interno del corpo umano deve dominare la struttura della comunità, l'unità viene conferita dal cervello, che nell'analogia di Rousseau rappresenta il potere sovrano. La Volontà Generale è l'analogo della mente umana, e come tale deve rimanere unificata e non diversificata (pp. 133-34).
Questa è una religione di redenzione. Non ammette religioni rivali.
Un credo socialmente indipendente, come ogni forma di lealtà non politica, costituirebbe un'interferenza con il funzionamento della Volontà Generale. Rappresenterebbe un difetto nell'unità spirituale di Rousseau, così altamente apprezzata nel suo ordine politico. Non si dovrebbero reprimere le propensioni religiose dell'uomo, poiché "non appena gli uomini arrivano a vivere nella società civile devono avere una religione per tenerli lì. Nessuna nazione ha mai sopportato il lavoro senza la religione." Ma, sostiene Rousseau, non è sufficiente che una nazione abbia una religione. Essa deve essere identificata, nella mente della gente, con i valori della vita nazionale, altrimenti si creerà una disunione e verrà violata la Volontà Generale. Non è sufficiente che una religione renda buoni gli uomini; deve sfornare buoni cittadini. La religione ha una responsabilità per il comportamento civile o politico. Deve riflettere, soprattutto, l'unità essenziale dello Stato e trovare la sua giustificazione nelle misure adottate per promuovere l'unità (pp. 136-37).
Poi c'è la famiglia.
La famiglia stessa, come una persona giuridica, deve essere radicalmente modificata per soddisfare le esigenze della Volontà Generale. La morale è essenzialmente una condizione specifica, e senza i cittadini non ci può essere nessuna virtù. "Create i cittadini, e disporrete di tutto il necessario." Formare i cittadini non è un lavoro facile, né è una responsabilità che può essere lasciata nelle mani della società tradizionale. Lo stato unitario presuppone un rimodellamento della natura umana in modo che non ci siano personaggi irritanti per il corpo politico. "Colui che possiede il coraggio di dare istituzioni ad un popolo deve essere pronto a cambiare la natura umana, a trasformare ogni individuo (il quale è un tutto all'interno di un tutto più grande da cui l'individuo riceve la sua vita ed il suo carattere), a cambiare la costituzione dell'uomo al fine di rafforzarlo e sostituirla con l'esistenza corporea e indipendente che noi tutti abbiamo ricevuto dalla natura" (pp. 138-39).
L'educazione è compito dello Stato, non della famiglia. Nisbet citò Rousseau.
Qualora l'autorità pubblica, prendendo il posto della figura paterna e forgiandosi di questa importante funzione, dovesse acquisire i suoi diritti sollevandola dai suoi doveri, tale figura non dovrebbe avere motivo di protestare; perché vedrebbe alterato solo il suo titolo ed avrebbe in comune, sotto il nome di cittadino, la stessa autorità sui suoi figli che esercitava sotto il nome di padre, ed otterrebbe obbedienza quando parla in nome della legge così come quando parlava in nome della natura (p. 139 ).
Per Rousseau lo stato è la fonte della moralità. Lo stato può redimere l'umanità. Citò Rousseau. "Se si vuol vedere compiuta la Volontà Generale, bisogna conformare tutte le volontà particolari a quest'ultima; in altre parole, come la virtù non è altro che la conformità delle volontà particolari alla Volontà Generale, è tempo di stabilire il regno della virtù" (p. 141). Nisbet poi riassume le implicazioni di questa affermazione.
Stabilire il regno della virtù! Questo era l'imperativo morale per catturare le visioni di uomini di buona volontà nell'Europa occidentale del XIX secolo. Ma stabilirlo come? Stabilirlo mediante il potere sovrano dello Stato! L'uomo è nato libero e buono ma ovunque giace incatenato e corrotto, il prodotto delle istituzioni repressive. L'uomo non può essere liberato attraverso la parentela, la classe, la chiesa o l'associazione, perché queste sono le catene della sua esistenza. Solo entrando nello Stato perfetto e subordinando la sua volontà a quella collettiva sarà possibile per l'uomo sfuggire ai tormenti, alle insicurezze ed ai dissensi della società ordinaria. La forza redentrice della Stato sovrano -- questo era lo slogan di Rousseau per il mondo moderno (p. 142).
Rousseau divenne il teorico politico più rispettato durante la Rivoluzione Francese. Quella rivoluzione tentò di far rispettare l'unità e la solidarietà che proclamava Rousseau.
CONCLUSIONE
Quando si crede che solo lo stato possegga la sovranità -- immunità legale da qualsiasi intrusione -- la libertà viene lasciata priva di difese istituzionali. Quando lo stato è ampiamente accettato come l'unica forma legittima di governo, estenderà la sua potenza ad ogni angolo della vita umana. Non ci sarà nulla per fermarlo -- nessuna teoria della compensazione dell'autorità.
In una scena memorabile di A Man for All Seasons, Thomas More sfida il punto di vista di un altro uomo. Quest'ultimo invoca la legge di Dio, ma quello che dice More vale anche per tutte le leggi e le immunità possedute dagli stati, e soprattutto per le leggi dello stato-nazione. Cosa succede se queste immunità vengono spazzate via?
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
Ti ringrazio Francesco per la traduzione di questo lungo pezzo su Nisbet.
RispondiEliminaVa letto, riletto e ragionato con calma. E confesso che spero in una esegesi o in un commento più articolato di gdb che per ovvi motivi è più attrezzato di me.
All'atto pratico il prevedibile crollo del sistema monetario fiat e dello stato sociale attuale credo che difficilmente saranno sufficienti a mettere in discussione la forma stato. Prevedo una svolta autoritaria dopo un periodo di grande confusione.
Vedremo.
hehehe, lo so che mi attendete al varco sull argomento. ma siccome è importante, mi riservo un paio di giorni e ne scrivo nel week end
RispondiEliminanon vorrei deludervi, ma la mia intenzione di un post che fosse, seppur breve, un introduzione completa sull argomento, si è rivelata impresa impossibile man mano che lo pensavo, stante la vastita degli autori e delle tesi. kelsen, schmitt, santi romano, bruno leoni, capograssi, ma gia locke, kant, e fino a rothbard dovrebbero entrare nel post. e poi si dovrebbe parlare di giusnaturalismo, positivismo giuridico, realismo, rule of law. ci vorrebbe un libro. invio un paio di link interessanti, il primo molto elementare ma per avere un idea. quindi senza scendere nel tecnico, vorrei dire la mia sullo stato odierno delle cose, non tanto appunto sulla teoria del diritto e dello stato, ma sul continuo processo di deificazione dell essere umano. sottolineando che nisbet ha vissuto l epoca dei grandi nazionalismi, ora sorpassata.
RispondiEliminaora, come nell analisi del linguaggio il concetto verita viene depotenziato, risultando la semplice corrispondenza tra significante e significato ed abbandonando ogni rinvio metafisico, ci si sarebbe aspettato che la fine dei nazionalismi (non tutti, resiste soprattutto quello USA, come da un autore che ho gia citato, Mosse, in: la nazionalizzazione delle masse) e poi delle ideoloie, avrebbe dovuto condurre ad un approccio piu umile, meno deificante, e percio totalizzante, ad una visione piu pragmatica del diritto, e quindi vicina ad un modello privatistico piu che pubblico.
come dice mi pare paul valery in monsieur teste, ma come detto da piu parti, l eliminazione di Dio (e qui non voglio pronunciarmi in merito nè supportare le teocrazie) non ha fatto altro che sostituirlo con altri dei feticci. in un processo per cui il divino espunto si va poi a mettere dove meno te lo aspetti. ma mentre nei bei tempi andati era facile scagliarsi contro un dio fasullo, lo stato, qui si è arrivati oramai (e penso a Santi Romano ed alla sua idea del diritto come istituzione ed alla pluralita degli ordinamenti giuridici) ad un vero e proprio politeismo. queste divinita, i cui sacerdoti sono le tecnocrazie (talora non escluse quelle religiose, nel loro campo) sono le istituzioni che concorrono, appunto dall etimo in concorrenza, a formare l ordinamento giuridico globale, piu o meno corrente, piu o meno conflittuale, in via di formazione, e qui soccorre huntington ed il suo scontro tra civiltà
RispondiEliminaperche le divinita sono appunto schierate per aree geografiche. gli stati restano, ma anche l europa (od i governo federale in usa), la banche centrali, i partiti come totem della democrazia, il partito unico in cina. il socialismo, la bandiera della pace, in una confusione tra simboli e poteri (wright mills). qui dove ti volti ci sta una potente divinità, il sacro è ovunque. meno che nell individuo, funzionale non piu solo allo stato, ma ai dettati dell OMS, dell NU, delle ong accreditate, dell europa, della corte dei diritti dell uomo. alla base la costituzione, possibilmente la piu bella del mondo. il gioco è: io sono piu sacro di te. ora, in questo concorso di divinita, che poi sono piu o meno poteri di vario tipo secondo si pensi che il materialismo storico ( o complottismo economico) sia prevalente o si accompagni all ideologia, l individuo rimane schiacciato ed inerme. figuriamoci se il concorso diventa concorrenza o lotta tra titani.
RispondiEliminama forse tra tutte queste divinta, la piu infida, ed infatti la piu tecnocratica, è lo scientismo progressista. che tanti mali ha causato, che tanti benefici ha pure portato (ne abbiamo parlato discorrendo di capro espiatorio) ma che sembra francamente avere esaurito la sua funzione, se non altro per la utilita marginale decrescente del capitale (stampato). il che mi pare sotto gli occhi lungimiranti dei quel genio, bacchettone, di mises. e sotto gli occhi di tutti oggi, persino di pallante (il latouche nostrano, piu simpatico e meno presuntuoso del francese) e della sua decrescita felice.
RispondiEliminae su che si fonda lo scientismo progressita? sulla corsa delle cavie sul treadmill del debito e delle teorie keynesiane. sulla piena occupazione da raggiungere e nel frattempo stampa ad libitum. sula moneta fiat. fiat moneta, lavorate e fiat progresso. ma cosi non è, come appare a tutti. se era la guerra la ragione della creazione delle BC, se poi si è passati all idea di progresso, che ha pervaso non solo le democrazie occidentali, ma anche l intero oriente ed anche il medio oriente. ora mi pare che resti sempre di piu solo la funzione di conservazione del potere (come ho scritto nel post di domani). autogiustificazione, ma anche autoconservazione di un sistema, cresciuto a tel dismisura che il crollo sara dolorosissimo, nella societa della specializzazione dove nessuno, o quasi, sa piu fare "tutto" (dal coltivare il cibo a costruirsi la casa), dove l interdipendenza è globale, dove la disoccupazione, in caso di dissoluzione, sarebbe alle stelle. ecco, oggi direi che il diritto, un po per disperazione, puntella il sistema mostruoso creato. le banche sono le cattedrali, le banche centrali luoghi misteriosi dove si svolgono magici riti, i banchieri centrali sacerdoti del sommo sapere. i sacrifici umani sono decisi dai messi dei sommi sacerdoti: i membri del FMI. in pieno neopaganesimo, lo stato ha rivali, ma non piu le organizzazioni interne e sul territorio. organizzazioni e poteri deterritorializzati, anche piu grandi, politici, militari, economici, fiananziari, tutti sovranazionali. lo stato è quasi imbelle, pur restando il temibile esecutore del volere delle divinita sparse per il mondo. in italia lo stao è piu o meno identificabile con equitalia. ma lo stato che si ribella, che non paga il suo "tributo" puo anche venire travolto. beh, sullo stesso etmo di diritto tributario ci sarebbe da sbizzarrirsi. ecco, direi che oggi, almeno nella civilta occidentale, gli stati sono i carnefici dei sudditi al volere degli dei, ed il diritto è una mano appesa sul ciglio di un burrone che cerca di non far precipitare tutto e tutti nel vuoto.
RispondiEliminale mie sono state quindi piu che un breve cenno, come avrei voluto fare per dare dei riferimenti su stato e diritto, piu che altro considerazioni discorsive e personali. piu che una spiegazione tecnica, un punto di vista su cosa sta a accadendo e perche. sul paganesimo tecnocratico, raccomando la lettura del libro che sto leggendo adesso: la tecnocratie: le carrefour de la subversion. di louis damenie. in italiano esiste una versione scaricabile on line. in pdf.
RispondiEliminaper il resto, ecco i link:
http://www.filosofico.net/dirgiustizia.htm
http://books.google.it/books?id=UF1qcPqVY2YC&pg=PA296&lpg=PA296&dq=stato+monopolio+legale+violenza&source=bl&ots=D56FM-o-SX&sig=MS0j6KL7oiScRxLWNuZfY5tJIxA&hl=it&sa=X&ei=7APzUZeVO9To4QSwoYH4Aw&ved=0CEMQ6AEwBA#v=onepage&q=stato%20monopolio%20legale%20violenza&f=false
Grazie gdb!
RispondiEliminaUna riflessione molto intrigante e colta.
Un altro specchio è diventato trasparente. Non solo siamo tra i denti di questi ingranaggi, ma ne siamo il lubrificante.
Gli dei crollano quando nessuno gli crede più.
Bisogna fermarsi.
a mente fresca (ieri sera era appena tornato dallo show di quel vecchiaccio di neil young) mi pare di poter dire che la modernità tecnocratica è il dio delgli dei, la religione universale, laddove tutte le religioni confluiscono ed alla quale tutte sono funzionali. la reazione, direi forse l unica, spropositata come ogni reazione opposta ad un fenomeno odiato, è la visione talebana. ecco perche poi la societa tribale ed hoppe non mi hanno mai convinto molto, non vorrei si buttasse il bambino con l acqua sporca. piu ragionevole Lottieri che auspica l italia dei comuni. direi che i federalismi e le autonomia territoriali siano la valvola di sfogo auspicabile e da favorire. sia per favorire il pluralismo, sia per riportare il sistema vicini all individuo. d altra parte, è brutto avere un padrone cattivo quando è molto vicino (cuba, corea del nord). poi non si scappa. allora i localismi devono trovare contrappeso in un rimando ad organizzazioni di "appello" sovraterritoriali. a loro volta da limitarsi vista la voracita espansiva. il potere è un prodotto umano, e com il mercato, non puo essere perfetto. si tratta di un processo sempre in bilico e cghe necessita di aggiustamento continuo. in questo processo, le persone si collocano come gli attori della teoria dei giochi. i piu veloci a cogliere i cambiamenti, i piu adatti sopravvivono. come sempre, non necessariamente i piu grossi e potenti (vedasi i dinosauri), proprio per la loro resistenza ai nuovi scenari.
RispondiEliminaps l idea dello stato come monopolista della violenza legale su un territorio è in weber. se dovessimo seguire la teoria sul monopolio di rothbard, me dovremmo dedurre che è l attuale è l esito piu efficiente "oggi". ma che siccome non è piu tanto efficiente sta cambiando la musica. dovremo poi discutere "efficiente " per chi, visti i milioni di morti dello stato nazionalista.
RispondiEliminamario
RispondiEliminascusa gdb,probabilmente fraintendo, quando ti riferisci al diritto come una mano appesa... : non è che il diritto sia ormai un semplice strumento nelle mani degli dei, che lo modellano a loro piacimento ?
ciao mario, dei sempre piu depotenziati, con limiti immensi; dei disperati e cadenti, che si, modellano il diritto, ma piu di tanto non possono raggiungere. le strutture del diritto sono le basi ideologiche ma anche funzionali dell economia, e come gli economisti annaspano, cosi evidentemente i legislatori. ed anche gli dei devono rispondere ai loro fedeli, alle loro promesse. come gia i faraoni e l imperatore a Roma. ma non hanno quasi piu risposte. la proliferazione legislative è segno di evidente impotenza. poi ci sta tutto un sottobosco di semidei approfittatori. è difficile dire se vi sia o meno una cupola economica od ideologica a muovere il tutto. probabilmente entrambe. ma ho l impressione che "i sobri" siano piu ideologici che altro. nel mentre semidei parassiti, come brokers e banchieri di wall street, sono chi approfitta delle conseguenze inintenzionali del sistema normativo. poi, certo, i confini sono sfumati, talora sovrapposti. ho usato quell immagine perche il diritto, direi "la legge", mi appare come lo strumento che fa si che tutto non cada nel precipizio. che tiene il sistema ancora appeso con la forza. poi, anche sul titanic che affonda, si puo continuare a fare festa e gozzovigliare. ci sta protervia, ma anche disperazione. ma che vite fanno questi? a che cosa hanno ridotto la loro esistenza? che orizzonte minimo, di micragnosa superbia e vuotezza spirituale possono avere? io non mi cambierei mai con la loro situazione. hanno perso qualsiasi libertà. hanno ridotto l esistenza da una profonda esperienza spirituale ad un modello informatico ed un modulo burocratico. piu che dei, sembrano il mago di Oz.
RispondiEliminapreciso ancora: fanno quel che vogliono alle persone che subiscono.ma non riescono ad ottenerei quel che vorrebbero raggiungere.
RispondiEliminaGrazie, esauriente
EliminaMario
http://m.youtube.com/watch?v=OP9aVMVKzM8
RispondiEliminaA che cosa hanno ridotto la loro esistenza?