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martedì 30 ottobre 2012
Prasseologia, Liberalismo ed Applicazioni nella Realtà
La pubblicazione di oggi è molto ricca di contenuti, quindi prendetevi tutto il tempo necessario per dedicarvi la vostra attenzione. Infatti, la traduzione odierna è una sorta di introduzione più che consona alla seguente conferenza/dibattito del professor Valerio Filoso, docente di Economia Monetaria e dei Mercati Finanziari presso la Seconda Università di Napoli. Il pezzo è chiamato "Miti del fallimento di mercato" ed è stato registrato l'otto Marzo 2007 da Radio Radicale.
Durante l'esposizione della sua conferenza il professor Filoso parla ampiamente della Scuola Austriaca e dei suoi principi cardine all'interno della nostra società. I temi toccati sono vari e vi consiglio di ascoltarla pienamente poiché fa una sintesi tanto accurata quanto completa delle diverse "perplessità" che i neofiti del liberalismo si trovano ad affrontare quando impattano con suddetta materia.
Quindi, leggete prima questo breve passaggio tratto dall'Azione Umana di Mises e poi cliccate sul pulsante play.
Durata 1h 41' 34'' (Grazie a Rocco Nuzzo per la segnalazione).
di Ludwig von Mises
Il liberalismo è una dottrina politica. Non è una teoria, ma l'applicazione delle teorie sviluppate dalla prasseologia e specialmente dall'economia per definire i problemi dell'azione umana entro la società.
Come dottrina politica, il liberalismo non è neutrale rispetto ai valori e agli scopi ultimi cercati dall'azione. Esso afferma che tutti gli uomini o almeno la maggioranza della gente tenda all'ottenimento di certi fini, e li informa sui mezzi adatti alla realizzazione dei loro piani. I sostenitori delle dottrine liberali sono assolutamente consci del fatto che i loro principi sono validi soltanto per la gente che accetta questi principi valutativi.
Mentre la prasseologia, e quindi anche l'economia, usa il termine "felicità" ed "eliminazione del disagio" in un senso puramente formale, il liberalismo attribuisce ad esso un significato concreto. Esso presuppone che la gente preferisca la vita alla morte, la salute alla malattia, il nutrimento all'inedia, l'abbondanza alla povertà, e insegna all'uomo come agire in base a queste valutazioni.
È diventata abitudine chiamare queste esigenze materialistiche accusando il liberalismo di crudo materialismo e di trascurare gli scopi "più alti" e "più nobili" dell'umanità. L'uomo non vive di solo pane, dicono i critici, e disprezzano le meschinità e le spregevoli bassezze della filosofìa utilitaria. Tuttavia queste appassionate diatribe sono errate, perché deformano gravemente i principi del liberalismo.
Primo: I liberali non sostengono che gli uomini dovrebbero tendere agli scopi menzionati sopra. Ciò che essi sostengono è che l'immensa maggioranza preferisce una vita di salute e di abbondanza alla miseria, all'inedia ed alla morte. La correttezza di questa enunciazione non può essere contestata. Essa è provata dal fatto che tutte le dottrine anti-liberali — i dogmi teocratici delle varie religioni, i partiti statalisti, nazionalisti e socialisti — adottano la stessa attitudine riguardo a queste istanze. Tutte promettono ai loro seguaci una vita di abbondanza, e mai si sono avventurate a dire alla gente che la realizzazione dei loro programmi pregiudicherà il suo benessere materiale. Insistono — al contrario — che mentre la realizzazione dei piani dei partiti rivali porterà all'indigenza la maggioranza, esse vogliono dare ai loro sostenitori l'abbondanza. I partiti Cristiani non sono meno solleciti dei nazionalisti e dei socialisti nel promettere alle masse un più alto livello di vita. Le chiese d'oggigiorno parlano più spesso d'aumento dei saggi salariali e dei redditi agricoli che dei dogmi della dottrina cristiana.
Secondo: I liberali non disdegnano le aspirazioni spirituali e intellettuali dell'uomo. Al contrario. Essi sono mossi da un ardore appassionato per la perfezione morale ed intellettuale, per la saggezza e l'eccellenza estetica. Ma il loro modo di considerare queste cose alte e nobili è differente dalla cruda rappresentazione dei loro avversari. Essi non condividono l'ingenua opinione che ogni sistema di organizzazione sociale possa riuscire direttamente a incoraggiare il pensiero scientifico o filosofico, a produrre capolavori d'arte e di letteratura e a illuminare le masse.
Si rendono conto che tutto quello che la società può raggiungere in questo campo è di fornire un ambiente che non ponga ostacoli insormontabili sulla via del genio e che liberi abbastanza l'uomo comune dai bisogni materiali, così da renderlo interessato a cose diverse dal puro guadagnarsi il pane. Nella loro opinione il mezzo sociale preminente per rendere l'uomo più umano è quello di combattere la povertà. La sapienza, la scienza e l'arte fioriscono meglio in un mondo di abbondanza che tra gente indigente.
È un'alterazione intenzionale dei fatti biasimare come materialista l'era del liberalismo. Il XIX secolo non fu soltanto un secolo di miglioramenti senza precedenti nei metodi tecnici di produzione e nel benessere materiale delle masse. Esso fece molto di più che estendere la durata media della vita umana. Le sue realizzazioni scientifiche ed artistiche sono imperiture.
Fu un'età di musicisti, scrittori, poeti, pittori e scultori immortali; rivoluzionò la filosofìa, l'economia, la matematica, la fìsica, la chimica e la biologia. E, per la prima volta nella storia, rese i grandi capolavori e i grandi pensieri accessibili all'uomo comune.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
Il punto è che l'utilitarismo non tiene conto (per definizione) dell'eguaglianza di mezzi grazie ai quali giungere al proprio obiettivo. Tiene solo conto dell'eguaglianza delle utilità marginali...concetto ben diverso da quello di "capacità".
RispondiEliminaQuindi bisogna prima chiedersi a cosa si aspira, se ad una società quanto più eguale in termini di opportunità, o se ad una società eguale in termini di utilità. Poiché l'utilità mal si presta ad interpretare quella funzione di "mezzi" citata nella traduzione.
Attenzione, Anonimo, ad utilizzare l'utilitarismo come misura di grandezza. Mezzi è usato come classificazione di grado, e non di grandezza cardinale.
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