«[...] Molti ritengono che siano sottopagati perché, quando si tratta dei loro stipendi, viene applicata la teoria del valore-lavoro. Molti hanno letto Upton Sinclair e ritengono che siano stati i sindacati a forzare gli standard qualitativi nella produzione. Leggono Charles Dickens e ritengono che i sindacati abbiano salvato i lavoratori occidentali da indicibili orrori, anche se il lavoro minorile non è stato abolito legalmente negli Stati Uniti fino a quasi 100 anni dopo la pubblicazione di Oliver Twist. Se i Bob Cratchit dell’Era Vittoriana inglese avesse avuto accesso al Sindacato dei Lavoratori, non solo avrebbero potuto opporsi alle pratiche di gestione di Scroogie ma i Piccoli Tim nel mondo avrebbero dormito sonni più tranquilli.
Come Mises ha opinato più volte, se la teoria è assente, non si può dare nulla per scontato. [...] La teoria è semplice. Quando si aumenta il prezzo di uno degli input in un processo produttivo ci sono due conseguenze importanti. Il primo è che, a parità di altre condizioni, il prezzo minimo richiesto dal produttore per vendere il suo prodotto finito sul mercato cresce. [...] Il secondo effetto è che un più alto prezzo ricevuto dalle unioni sindacali attrae inevitabilmente dei rimpiazzi. [...]
Alla luce di questi due effetti c’è poco da meravigliarsi che gli Stati in cui hanno avuto successo i sindacati nel XX secolo sono quelli che oggi sono economicamente stagnanti, come effetto di decenni in cui capitali e lavoro sono migrati verso altri Stati dove erano meno costosi. Tutta l’organizzazione sindacale è diventata un beneficio a lungo termine per gli Stati dove i sindacati hanno meno potere. Se questo fatto da solo non rende le unioni sindacali tristemente note, allora il fatto che i sindacati siano l’unica istituzione nella società al di fuori del governo con il diritto garantito dalla legge di infliggere violenza sugli altri certamente le rende tali. Il vezzeggiativo “sindacati teppisti” è pienamente meritato.»
~ I sindacati e “gli altri” Piccolo Tim, Christopher Westley, Mises Italia, 14 Aprile 2012.
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di Lawrence W. Reed
Nel secolo dopo il 1750 ebbero luogo profondi cambiamenti economici in Gran Bretagna. Questa fu l'epoca della Rivoluzione Industriale, con tanto di cascate di innovazioni tecniche, notevoli aumenti nella produzione, una rinascita del commercio mondiale, e la rapida crescita della popolazione urbana.
Gli storici e gli altri osservatori si scontrano nell'interpretazione di questi grandi cambiamenti. Rappresentavano un miglioramento per i cittadini o questi eventi li fecero arretrare? Forse nessun altro problema in questo ambito ha generato un maggiore calore intellettuale di quello riguardante il lavoro dei bambini. I critici del capitalismo hanno lanciato con successo tale questione come un atto d'accusa inconfutabile al sistema capitalista mentre stava emergendo nel XIX secolo in Gran Bretagna.
Le molte segnalazioni di cattive condizioni di lavoro e lunghe ore di fatica la rendono una lettura straziante. William Cooke Taylor scrisse all'epoca di riformatori contemporanei che, osservando i bambini al lavoro nelle fabbriche, pensavano tra sé: "Quanto più piacevole sarebbe stato saltellare sulla collina; alla vista del verde idromele con i suoi lustrini di ranuncoli e le margherite; col canto degli uccelli ed il ronzio delle api."
Di quegli storici che interpretarono il lavoro minorile nella Gran Bretagna industriale come un crimine del capitalismo, nessuno fu più importante di J.L. e Barbara Hammond. Le loro opere furono ampiamente promosse come "autorevoli" sulla questione.
Gli Hammond divisero i bambini delle fabbriche in due classi: "apprendisti parrocchiali" e "volontari." E' una distinzione di enorme importanza, anche se uno degli autori stessi non è riuscito ad apprezzarla del tutto. Dopo aver fatto la distinzione, gli Hammond procedettero a trattare le due classi come se non ci fosse stata alcuna distinzione tra di esse. Come conseguenza si riversò per anni un diluvio di false e fuorvianti conclusioni sul capitalismo e sul lavoro minorile.
I bambini "volontari" erano quelli che vivevano a casa ma lavoravano durante il giorno nelle fabbriche su insistenza dei genitori o dei tutori. Lo storico Inglese E.P. Thompson, anche se generalmente critico sul sistema delle fabbriche, tuttavia ammise giustamente che "è assolutamente vero che i genitori non solo avevano bisogno dei guadagni dei loro figli, ma si aspettavano che lavorassero." Ludwig von Mises, il grande economista Austriaco, disse bene quando osservò che le condizioni generalmente deplorevoli esistenti per secoli prima della Rivoluzione Industriale, ed i bassi livelli di produttività che le crearono, fecero in modo che le famiglie cogliessero le nuove opportunità rappresentate dalle fabbriche: "E' una distorsione dei fatti dire che la fabbriche portarono via le casalinghe dalle cucine ed i bambini dai loro giochi. Queste donne non avevano nulla da cucinare per nutrire i loro figli. Questi bambini erano poveri ed affamati. Il loro unico rifugio era la fabbrica. Li salvò, nel senso stretto del termine, dalla morte per fame."
I proprietari delle fabbriche private non potevano soggiogare con la forza i bambini "volontari"; non potevano costringerli a lavorare in condizioni che i genitori consideravano inaccettabili. L'esodo di massa dal continente verso la Gran Bretagna sempre più capitalista ed industriale nella prima metà del XIX secolo, suggerisce fortemente che la gente effettivamente considerava l'ordine industriale un'alternativa attraente. E non c'è alcuna prova credibile che suggerisca che i genitori in questi primi giorni del capitalismo fossero meno attenti ai figli rispetto ai tempi pre-capitalistici.
La situazione, tuttavia, era molto diversa per gli "apprendisti parrocchiali." Un attento esame rivela che i critici si concentravano su questi bambini quando parlavano dei "mali" della Rivoluzione Industriale del capitalismo. Questi giovani, a quanto pare, non erano sotto la diretta autorità e la supervisione dei genitori in un libero mercato del lavoro, ma di funzionari governativi. La maggior parte erano orfani; pochi erano vittime di genitori negligenti o genitori la cui salute o la mancanza di competenze li impediva di guadagnare un reddito sufficiente per occuparsi di una famiglia. Tutti erano sotto la custodia di "autorità parrocchiali." Come gli stessi Hammond scrissero, "[I] primi mulini furono collocati sui fiumi, e il lavoro necessario venne fornito con l'importazione di carri di bambini poveri dalle case di lavoro delle grandi città . . . . Per le autorità parrocchiali, ingombrate da grandi masse di bambini non desiderati, i mulini di cotone di Lancashire, Derby, e Notts erano una manna dal cielo."
Anche se consegnati al controllo di un organismo governativo, questi bambini sono abitualmente presentati come le vittime dell'avidità capitalista. Ma, come scrive lo storico Robert Hessen, quegli stessi bambini "erano gettati in schiavitù da un ente governativo; erano stati abbandonati o erano degli orfani poveri che erano legalmente sotto la custodia dei funzionari della parrocchia, e che erano legati da questi funzionari a lunghi periodi di apprendistato non retribuito in cambio della semplice sussistenza." In effetti, la prima legge in Gran Bretagna che venne applicata ai bambini in fabbrica fu approvata per proteggere questi stessi apprendisti parrocchiali, non i bambini "volontari."
Anche se è inesatto giudicare colpevole il capitalismo per i peccati dell'apprendistato parrocchiale, sarebbe anche inesatto supporre che i bambini volontari lavorassero in condizioni ideali nei primi giorni della Rivoluzione Industriale. Per gli standard di oggi la loro situazione era chiaramente disastrata. Però i risultati capitalisti, come l'aria condizionata e gli alti livelli di produttività, col tempo avrebbero migliorato sostanzialmente le condizioni di lavoro. Le prove a favore del capitalismo sono quindi irresistibilmente suggestive: Dal 1750 al 1850, quando la popolazione della Gran Bretagna quasi triplicò, la scelta quasi esclusiva di coloro che affollavano il paese per ottenere lavori era quella di lavorare per i capitalisti privati.
Le condizioni di lavoro ed i servizi igienico-sanitari erano migliori, come documentò la Factory Commission del 1833 nelle fabbriche più grandi e più recenti. I proprietari di queste grandi imprese, che erano più facilmente e frequentemente soggette a visite e controlli da parte degli ispettori, scelsero di respingere i bambini dal lavoro piuttosto che essere sottoposti a regole elaborate, arbitrarie, e sempre mutevoli su come impiegare i giovani in fabbrica. Il risultato dell'intervento legislativo fu che questi bambini licenziati, la maggior parte dei quali necessitava di lavorare per sopravvivere, furono costretti a cercare posti di lavoro in luoghi più piccoli, più vecchi, e più trasandati in cui i servizi igienici, l'illuminazione e la sicurezza erano nettamente inferiori. Coloro che non riuscivano a trovare nuovi posti di lavoro furono ridotti al rango delle loro controparti di un centinaio di anni prima — cioè, a lavori agricoli irregolari e faticosi o, usando le parole di Mises, "ad infestare il paese come vagabondi, mendicanti, senzatetto, ladri e prostitute."
Il lavoro minorile non è stato liberato dai suoi peggiori attributi dalle disposizioni legislative, ma dalla marcia progressiva di un sistema produttivo sempre più capitalista. Il lavoro minorile è stato praticamente eliminato quando, per la prima volta nella storia, la produttività dei genitori nel mercato del lavoro salì al punto in cui non era più economicamente necessario che i bambini lavorassero per sopravvivere. Gli emancipatori ed i benefattori dei bambini non furono i legislatori o gli ispettori delle fabbriche, ma i proprietari delle fabbriche ed i finanzieri. I loro sforzi ed investimenti nei macchinari portò ad un aumento dei salari reali, ad una crescente abbondanza di beni a prezzi inferiori, e ad un miglioramento incomparabile nel tenore generale di vita.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
Ciao Francesco
RispondiEliminala prima cosa che mi è venuta in mente è stata la polemica di qualche anno fa sui palloni da calcio e non solo cuciti dai bambini indiani e tutta la polemica politically correct che ne seguì. Un festival della ipocrisia.
Ben poco si sente tuttora dire sulle condizioni di lavoro nella più grande prigione a cielo aperto del pianeta: la Cina comunista pianificata dalle menti del partito.
Quanta ipocrisia da un lato. Quanta arroganza violenta dall' altro. Ma entrambe in realtà derivanti dallo stesso sistema realizzatosi in grado diverso.
Socialdemocrazia e socialismo reale.
Offtopic: da tempo volevo suggerirtelo. Ma non credi che sarebbe meglio tradurre government con stato piuttosto che con governo?
Da noi molti credono che basti cambiare governo, che basti cambiare l'elite pianificatrice, per avere migliori soluzioni. Questo blog vuole invece dimostrare che è il sistema che non solo non funziona ma crea problemi e tragedie ogni volta che la presunzione del pianificare di turno sovverte e deforma l'ordine spontaneo.
Che ne pensi?
In Cina, in effetti, c'è gente povera. Non per fare il populista, ma è vero che questi stanno faticando come muli per cercare di portare qualcosa a casa per loro e per i figli. Per giunta prima sono stati sfruttati da Mao, e poi hanno dato beni "buoni" in cambio di dollari "cartacei." Ultimamente pare abbiano imparato la lezione... chissà, ma ad ogni modo cercano di uscire dalla miseria con il lavoro. Dobbiamo solo rispettarli, penso.
RispondiEliminaComunque, la schiavitù è da condannare: quando c'è e ovunque sia. Basta che non la si invochi per impedire il commercio e proteggere imprese nazionali parassitarie, che non saprebbero stare sul mercato. Quando si parla di Cina il richiamo alla schiavitù in genere è strumentale. E' come se qualcuno volesse impedire l'arrivo negli USA dei prodotti Italiani solo perché una parte rilevante della nostra economia è in mano alla mafia. La troverei una pazzia.
PS: sì hai ragione Andrea sulla traduzione di "government" in stato. Provvederò ad agire di conseguenza.
Non tutta la Cina è schiavismo. E vi assicuro che, avendo lavorato in Cina nelle fabbriche (medio piccole) a stretto contatto con gli operai (alcuni dei ricordi più divertenti della mia vita risalgono a quel periodo), gli operai cinesi hanno un'alta opinione del proprio lavoro e se non sono contenti non impiegano un attimo a litigare col proprietario.
RispondiEliminaIl problema, come sempre, sono le grandissime industrie. Che hanno sempre come controparte lo stato...gira che ti rigira, il problema è sempre quello.
Ciao Niki.
RispondiEliminaMa infatti ci credo che sia così, proprio perché la Cina ha fornito alla maggior parte dei poveri durante l'era post-Mao la facoltà di assaporare gradi crescenti di libertà. Ciò ha consentito all'economia Cinese di crescere vertiginosamente poiché è stato permesso al capitalismo di sfogare parte del suo potenziale.
Poi però il sistema statale è intervenuto per direzionare secondo le proprie discrezionalità le azioni degli individui. Questo ha condotto la Cina a schiantarsi contro il muro della pianificazione centrale. Ma mi fermo qui, prendetela come un'anticipazione all'articolo di domani che verterà maggiormente proprio sulla Cina.