Sarà sufficiente, davvero? Finora non ha portato a grandi risultati questa politica, ma Draghi è un Keynesiano. E' convinto che implementare più della stessa cosa su una scala maggiore risolverà i problemi dell'Europa. Ma salta all'occhio un'altra sua dichiarazione: "L'Eurozona ha bisogno di più unione."
Ecco cosa sta aspettando lo zio Mario prima di riempirci definitivamente di carta straccia. Pregate che l'euro finisca, presto.
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di Thomas Pascoe
L'euro oggi è diretto verso sud rispetto a tutti gli avversari tranne che alla Corona Britannica (come riporta FT Alphaville), la quale è impegnata in una picchiata tutta sua. La ragione? Il debito Spagnolo a 10 anni sta rendendo il 7.5%, la metà di quello che dovrebbe rendere ma abbastanza da spaventare i mercati non ancora pronti ad affrontare una deflazione inevitabile di ciò che è stato a lungo una super-bolla dei bond.
Questa bolla è particolarmente evidente in Francia. I livelli di debito che ha il paese sono tanto insostenibili quanto quelli della Gran Bretagna, eppure le sue politiche sono più irresponsabili ed i suoi rimedi più limitati. Anche se è considerata un paese chiave nella zona euro, il profilo economico della Francia ha ora più somiglianza con quello della Grecia.
Il debito pubblico in Francia è al 86.1% del PIL (146% se vengono incluse le passività della BCE e le garanzie bancarie). Il deficit di bilancio previsto quest'anno è del 4.5%, con la Francia che si è esentata dalle istruzioni dell'UE di portare il deficit al 3% entro la fine dell'anno.
Questi numeri non sono inusuali nel contesto delle economie della zona euro in generale. Ciò che distingue la Francia è la mancanza della volontà politica di affrontarli e, di conseguenza, un debito previsto in rapporto al PIL che la posizionerà saldamente tra il gruppo dei PIIGS.
Un documento del 2010 della Banca dei Regolamenti Internazionali – citato dall'economista John Mauldin nel suo brillante dispaccio sui "leoni nascosti" – ha cercato di proiettare i probabili effetti di tre percorsi politici separati da parte dei governi Europei. Questi variano in gravità rispetto ai governi che essenzialmente vengono presi in considerazione; gli autori ritengono politicamente possibile un'austerità più pronunciata, ovvero, un graduale abbassamento della spesa pubblica mentre i diritti legati all'età vengono congelati.
I risultati vengono catturati nei seguenti grafici che mostrano le proiezioni del debito pubblico/PIL:
A prima vista sareste perdonati se avevate pensato che gli autori avevano semplicemente copiato e incollato il grafico Francese nella colonna Greca:
Anche sotto il più selvaggio di questi modelli di austerità, il debito pubblico Francese ha raggiunto il 200% del PIL in 30 anni. Utilizzando lo scenario di base, il debito raggiunge il 400% del PIL nello stesso arco di tempo a causa dell'invecchiamento della popolazione, dell'elevata disoccupazione strutturale e della perpetua ed eccessiva spesa del governo.
Lo scenario peggiore non è un'esclusiva della Francia. Tra i paesi della zona euro, sia gli Olandesi che la Grecia andrebbero così male come la Francia se la tesi di base si rivelasse corretta. A differenza della Francia, gli Olandesi sono in grado di esercitare un controllo significativo sul loro destino attraverso misure di austerità. Lo scenario migliore vede il debito Olandese sotto il 100% del PIL.
Le cifre delineano l'entità del problema Britannico. Non solo la spesa corrente e gli schemi demografici lasciano la Gran Bretagna di fronte ad un debito in rapporto al PIL simile a quello dei Francesi tra 30 anni, ma i pagamenti degli interessi raggiungerebbero da soli il 26% del PIL.
Detto questo, gli Americani ed i Britannici hanno entrambi due opzioni non disponibili per la Francia. In primo luogo, possono continuare a stampare carta per onorare i loro debiti, e quindi sostenere il pagamento del debito altrimenti impraticabile. Ho il sospetto che lo faranno entrambi, anche se ciò svaluterà i risparmi ed i salari dei rispettivi cittadini.
In secondo luogo, entrambi hanno la possibilità di annullare le emissioni obbligazionarie acquistate dalle loro banche centrali con il Quantitative Easing. In un colpo, questo potrebbe ridurre il debito pubblico a meno del 50% del PIL. Questo è politicamente impossibile per la zona euro, dato che i costi ed i benefici sarebbero avvertiti in modo molto diverso tra i diversi bond sovrani.
Il Giappone, l'altro debitore di vitale importanza nell'economia globale, ha una via d'uscita anch'essa preclusa alla Francia. Mentre i suoi livelli di debito sono fuori controllo, i suoi oneri finanziari sono contenuti grazie alla pratica dei pensionati Giapponesi di investire i loro risparmi di una vita in titoli di stato. Indipendentemente dalla domanda mondiale, l'appetito interno per il debito nazionale terrà i tassi bassi.
La Francia non ha accesso ad alcuno di questi rimedi – deve pertanto fare affidamento sui tagli nazionali. Per questo motivo l'organizzazione dell'uro è così difficile per molti paesi della zona euro – la Germania non consentirà loro di "barare" nel modo in cui la Gran Bretagna e gli Stati Uniti stanno facendo attraverso la svalutazione delle loro valute.
Infine entra in scena Monsieur François Hollande. In un momento in cui la Francia ha un disperato bisogno di un piano per rinvigorire l'industria privata, ridurre la spesa e favorire il ritorno del capitale, i Francesi hanno eletto un uomo impegnato a guidare i capitali dal paese e ad aumentare la spesa pubblica.
I tentativi di Mr Hollande di risolvere il problema Francese hanno finora comportato:
- Aumento del salario minimo al di sopra dell'inflazione (anche se non molto al di sopra dell'inflazione).
- La richiesta che l'UE prenda ancora più soldi dai governi nazionali rispetto a quanto era stato programmato, violando un accordo preventivo ed aggiungendo potenzialmente £3 miliardi al tributo annuale della Gran Bretagna.
- Introduzione di una aliquota massima sull'imposta sul reddito al 75% per coloro che guadagnano €1m o più – una mossa che porta l'aliquota marginale al 90.5% su alcuni tipi di reddito.
- Introduzione di una tassa su chiunque possieda asset in Francia, ma vive all'estero, che vedrà il 15.5% delle plusvalenze sui beni trasferiti allo stato.
- Introduzione di un una tassa sul patrimonio al doppio del tasso che era stato precedentemente suggerito.
Queste riforme forse avrebbero potuto funzionare nel 1960 quando c'erano sufficienti tassi di cambio e controlli sull'immigrazione in Europa per evitare l'esodo di massa di persone e di capitali all'estero. Ora non hanno la minima prospettiva di funzionare.
La Gran Bretagna ha scoperto, quando ha aumentato le tasse su quelli che chiamava i "super ricchi," che queste non sortiscono alcun reddito aggiuntivo. I ricchissimi sono ora troppo liberi per sottoporsi a qualsiasi regime di tassazione che reputano iniqua. Coloro che vengono martellati tendono ad essere gli operatori di medio livello quasi alla fine della loro carriera. La vera caccia grossa spesso sfugge.
Così come sono, le politiche di Hollande si basano sul punto di vista politico che Orwell credeva di scorgere in Dickens, l'idea che i ricchi dovrebbero essere più suscettibili all'imposizione fiscale e che se così fosse tutto andrebbe per il meglio.
Non è probabile che questo accada presto. L'andamento economico della Francia andrà probabilmente in bancarotta sotto l'attuale sistema, la sua linea politica la rende inevitabile. E' troppo grande per essere salvata, ma alla fine avrà bisogno delle stampa di denaro per onorare i suoi debiti. Per fare ciò dovrà lasciare l'euro.
L'economia Francese può e sopravviverà ancora per qualche tempo nella sua forma attuale. Gli squali stanno girando intorno ad altri corpi nell'acqua, e fino a quando i mercati obbligazionari rendono i costi di finanziamento un problema di oggi e non di domani, il problema può essere rimandato. Verrà il tempo, tuttavia, in cui l'inerzia interna della Francia si tradurrà in un crack della valuta nel suo complesso. L'ora non è ancora nota, ma il corso sembra segnato.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
Per non finire ancora peggio della Francia, secondo Giannino & Co.:
RispondiEliminahttp://fermareildeclino.it/
Però, quanta vaghezza nelle proposte...
Niente sulla riforma monetaria o perlomeno sulla riforma del sistema bancario.
Davvero meglio e più chiaro dell'offerta politica attuale? A me pare deludente.
Su rischiocalcolato c'è un programma più puntuale. Che piaccia o meno, è molto meno generico di questo qua.
Scusa l'offtopic.
Ciao Anonimo.
RispondiEliminaNon è tanto off-topic, anche perché ognuno di noi vorrebbe porre rimedio ai propri guai quando può farlo. Però queste proposte non fanno altro che perpetuare la pianificazione centrale a scapito del libero mercato, proprio perché introducono dei binari prestabiliti su cui far correre le decisioni altrui. Come Friedman, si vorrebbe rendere più efficiente l'apparato burocratico-statale. Per completezza ti allego qui una nota di Luca Fusari sull'argomento.
Alcune delle 10 proposte del manifesto Fermare il Declino (http://fermareildeclino.it/10proposte), al di là della retorica del loro manifesto di presentazione, non mi paiono per nulla condivisibili né annoverabili come rivoluzionarie, libertarie o coerentemente liberiste.
Punto 3) «Ridurre la pressione fiscale complessiva di almeno 5 punti in 5 anni, dando la priorità alla riduzione delle imposte sul reddito da lavoro e d'impresa. Semplificare il sistema tributario e combattere l'evasione fiscale destinando il gettito alla riduzione delle imposte».
Ridurre solo di un punto percentuale all'anno la pressione fiscale? Stiamo scherzando vero?
Semplificare il sistema tributario non significa ridurlo.
Combattere l'evasione fiscale destinando il gettito alla riduzione delle imposte significa giustificare il falso mantra beferiano "se tutti pagassero le tasse la pressione fiscale calerebbe".
No, le tasse sono imposte ergo sono un furto. Io non trovo alcuna giustificazione morale o economica anti-declino a tale prassi politica che punta a far pagare a tutti tasse per mantenere monopolisticamente in mano pubblica dei servizi.
Punto 5) «Sostenere i livelli di reddito di chi momentaneamente perde il lavoro anziché tutelare il posto di lavoro esistente o le imprese inefficienti. Tutti i lavoratori, indipendentemente dalla dimensione dell'impresa in cui lavoravano, devono godere di un sussidio di disoccupazione e di strumenti di formazione che permettano e incentivino la ricerca di un nuovo posto di lavoro quando necessario, scoraggiando altresì la cultura della dipendenza dallo Stato. Il pubblico impiego deve essere governato dalle stesse norme che sovrintendono al lavoro privato introducendo maggiore flessibilità sia del rapporto di lavoro che in costanza del rapporto di lavoro».
Sostenere i livelli di reddito di chi momentaneamente perde il lavoro significa voler introdurre un salario minimo, il quale verrebbe pagato da tutti i contribuenti incentivando solo l'aumento generale della disoccupazione e diminuendo le capacità d'investimento economico disponibile delle aziende virtuose.
Punto 8) «Liberare le potenzialità di crescita, lavoro e creatività dei giovani e delle donne, oggi in gran parte esclusi dal mercato del lavoro e dagli ambiti più rilevanti del potere economico e politico. Non esiste una singola misura in grado di farci raggiungere questo obiettivo; occorre agire per eliminare il dualismo occupazionale, scoraggiare la discriminazione di età e sesso nel mondo del lavoro, offrire strumenti di assicurazione contro la disoccupazione, facilitare la creazione di nuove imprese, permettere effettiva mobilità meritocratica in ogni settore dell’economia e della società e, finalmente, rifondare il sistema educativo».
RispondiEliminaAltre misure socialiste invocate implicitamente sono le quote rosa o per i giovani, nuove misure assistenziali anti-discriminatorie le quali ovviamente verrebbero introdotte dalla politica per il mercato del lavoro e che guardano a parametri biologico-anagrafici che nulla hanno a che fare con il merito.
Facilitare la creazione di nuove imprese senza abbassare seriamente le tasse, eliminare la burocrazia e dando libertà al mercato del lavoro significa solo proporre a livello statale keynesismo e consociativismo corporativo industriale.
Punto 9) «Ridare alla scuola e all'università il ruolo, perso da tempo, di volani dell'emancipazione socio-economica delle nuove generazioni. Non si tratta di spendere di meno, occorre anzi trovare le risorse per spendere di più in educazione e ricerca. Però, prima di aggiungere benzina nel motore di una macchina che non funziona, occorre farla funzionare bene. Questo significa spendere meglio e più efficacemente le risorse già disponibili. Vanno pertanto introdotti cambiamenti sistemici: la concorrenza fra istituzioni scolastiche e la selezione meritocratica di docenti e studenti devono trasformarsi nelle linee guida di un rinnovato sistema educativo.Va abolito il valore legale del titolo di studio».
La scuola e l'università non emancipano socio-economicamente nulla dato che è il mercato ad emancipare gli individui.
I promotori sembrano voler invece qua intendere sessantottinamente che scuola ed università debbano assicurare cattedre e posti di lavoro a nuovi baroni e pubblico impiego.
Non solo si vuole continuare a spendere l'attuale ammontare di soldi pubblici per la ricerca e l'università ma si vorrebbe infine aumentarne addirittura la soglia d'investimento statale!.
Tralasciando il velleitarismo inerente gli altri punti programmatici su giustizia, conflitto di interessi nel pubblico e sul federalismo, i quali pur essendo liberalmente condivisibili difficilmente potranno trovare applicazione, l'intero programma mi pare percorso più che da una visione di libero mercato, da una certa presunzione efficientista-perfezionista dell'attuale sistema quali riforme politiche da attuare per mantenere vigente lo Stato italiano anche in futuro.
Non è dunque un caso se Il FattoQuotidiano, Il Foglio, Il Gazzettino, Il Mattino, Il Messaggero e Il Sole24Ore siano tra i divulgatori di tale appello..
4 proposte su 10 (quasi metà del programma!) oltre ad essere soluzioni poco liberiste sono in contraddizione sia con l'intento dell'iniziativa che con le altre 6 proposte.
Volendo essere rigorosi sono in contraddizione perfino con quanto proposto sempre all'interno dei 4 citati punti, ricalcando le palesi contraddizioni e i flip flop semantici e logici della Costituzione italiana.
Capisco l'eterogeneità ideologica e culturale dei promotori ideatori dell'appello ma se da questo appello deve nascere un futuro soggetto politico partitico al fine di realizzare tale programma, appare evidente che esso non sarà né liberista, né libertario o anti-statalista ma semmai (nella migliore delle ipotesi) liberaldemocratico o liberalsocialista, indipendentemente che a guidarlo sia Luca Cordero di Montezemolo o Oscar Giannino (promotore dell'appello).
Grazie Francesco.
RispondiEliminaA forza di leggere qua e su usemlab e su siti simili, sono riuscito anche io a rendermi immediatamente conto del nulla di nuovo che propone quel manifesto.
E' vero che un manifesto è il palesarsi di un'idea e di alcune proposte, e non è un programma politico, ma questo è stato davvero deludente.
Forse mi sono illuso e per questo, poi, deluso.
Ma almeno è durato pochi istanti. Il tempo di concluderne la prima lettura.
Prima guardavo, ora vedo.
Prima ascoltavo, ora comprendo.
Francesco Carbone ha scritto spesso di non definirsi un liberista, che liberisti sono i Chicagoboys di Friedman, già disvelati da Rothbard.
Sono un liberale minoritario.
Penso che sto per diventare un libertarian.
Andrea. D'ora in poi, non più Anonimo.
Ciao Francesco, sto leggendo con orrore un sacco di gente che osanna Hollande.
RispondiEliminaCome fino a ieri erano tutti pazzi per Zapatero. Poi adesso scoprpno che Zapatero ha portato la Spagna, che stava relativamente bene, nel baratro e fanno finta di niente. (la situazione spagnola è molto peggio di quello che sembra, quasi tutte le regioni hanno deficit spaventosi).
E' che basta un pirla qualsiasi che prometta pasti gratis a spese dei ricchi e tutti a battere le mani. La gente deve decidersi a crescere!
Mi associo volentieri su quanto avete detto in merito al manifesto di Giannino.. deludente ... mi spiace
RispondiEliminae riprendo volentieri una frase di..ora Andrea perchè mi è capitata la stessa cosa frequentando questo sito come anche usemlab ed altri.. Prima guardavo, ora vedo.
Prima ascoltavo, ora comprendo...
Grazie sempre di cuore a tutti
saluti
Faniarte
Piacere di conoscerti Andrea. :)
RispondiEliminaCiao Niki. Hai mai visto un drogato rifiutare una dose? E' difficile ammetterlo ed uscirne, ma possibile.
Ciao faniarte. La vetta di "paraculismo" credo venga raggiunta quando si parla dell'evasione fiscale solo per ingraziarsi il favore populista. Ammiro la buona volontà, ma "ridurre la pressione fiscale di 5 punti in 5 anni" con uno stato al massimo della voracità è sinceramente ridicolo. Concludo con una citazione di Rothbard:
"Ed è per questo che il libertario radicale non solo è un abolizionista, ma rifiuta anche di pensare secondo determinati termini come un “Piano Quadriennale” di qualche tipo per ridurre lo Stato attraverso una procedura imponente e misurata. Il radicale – che sia un anarchico o un sostenitore del laissez-faire – non può pensare in questo modo: “Bene, il primo anno taglieremo la tassa sul reddito del 2%, aboliremo l’ICC e taglieremo il salario minimo; il secondo anno aboliremo il salario minimo, taglieremo di un altro 2% la tassa sul reddito e ridurremo i pagamenti per il welfare del 3%”, etc. Il radicale non può pensare secondo questi termini, perché considera lo Stato un nemico mortale, che deve essere fatto a pezzi quando e dove possibile. Per il radicale libertario, si deve prendere qualsiasi opportunità per smembrare lo Stato, sia per ridurre o abolire una tassa, uno stanziamento di budget o un potere regolatorio. Ed il radicale libertario è insaziabile in questo appetito finchè lo Stato non è stato abolito, o – per i minarchici – diminuito fino ad un piccolo ruolo di laissez-faire."
Avevo trovato un inusuale equilibrio nell'articolo, una amara constatazione della situazione attuale, poi fortunatamente i commenti mi hanno ricordato che e` una traduzione e lo scritto non riflette i pensieri del traduttore.
RispondiEliminaVolevo fare due appunti precisi quest'oggi:
"Sostenere i livelli di reddito di chi momentaneamente perde il lavoro significa voler introdurre un salario minimo, il quale verrebbe pagato da tutti i contribuenti incentivando solo l'aumento generale della disoccupazione e diminuendo le capacità d'investimento economico disponibile delle aziende virtuose." per prima cosa i sussidi di disoccupazione, a parte che in teoria, non sono la stessa cosa. Secondariamente il salario minimo e variazioni di esso, empiricamente non risultano nelle situazioni che elenchi. Esempi possono essere ritrovati in studi come il seguente
http://perso.uclouvain.be/bruno.vanderlinden/Monopsony.pdf
"Altre misure socialiste invocate" si chiamano misure sociali, non socialiste, hanno lo scopo di perseguire un equilibrio nelle condizioni umane, facciamo questo perche` biologicamente siamo portati a provare compassione per i nostri simili.
Questo non vuol dire che lo stato venga usato per derubarvi ogni giorno di piu`.
Ciao Matteo.
RispondiElimina>per prima cosa i sussidi di disoccupazione, a parte che in teoria, non sono la stessa cosa
Hai ragione. Quello proposto sarebbe un sussidio di disoccupazione, ma rimane lo stesso la seguente domanda: da dove lo stato prenderebbe i soldi per corrispondere un sussidio di disoccupazione al licenziato? Un sussidio di disoccupazione sarebbe una soluzione "economica" e "vantaggiosa" solo per le imprese che sono nei guai mentre sarebbe un danno per tutte le altre e per i contribuenti non disoccupati che dovrebbero sganciare il denaro a nome di tali aziende attraverso la mano dello stato.
>si chiamano misure sociali, non socialiste, hanno lo scopo di perseguire un equilibrio nelle condizioni umane, facciamo questo perche` biologicamente siamo portati a provare compassione per i nostri simili.
Certo, ma a forza di rendere la solidarietà "a corso forzoso" si è condotto il genere umano ad essere per lo più insensibile ad essa.
La cooperazione umana ha sempre trovato soluzioni migliori a quelle imposte dall'alto da chicchessia.
Non capisco come sussidio di disoccupazione possa essere visto come trasferimento da imprese migliori a imprese a imprese in difficolta`.
RispondiEliminaFissando il fatto che una azienda del secondo tipo sara` costretta a ridimensionarsi o al limite a fallire, rendendo la sua sfortunata presenza sul mercato, ridotta anche fino alla scomparsa. Possiamo ipotizzare che il sussidio di disoccupazione sia il premio risultante da un'assicurazione collettiva che tutti i lavoratori pagano quando attivi. Inoltre, tali lavoratori momentaneamente disoccupati avrebbero la possibilita` di ridistribuire il proprio reddito tra un numero inferiore di imprese, premiando appunto le piu` virtuose.
Certo l'elemosina era molto gratificante.
Ciao Matteo.
RispondiElimina>Non capisco come sussidio di disoccupazione possa essere visto come trasferimento da imprese migliori a imprese a imprese in difficolta`.
Se istituisci la cassa integrazione, come diretta conseguenza avrai che molte imprese la utilizzeranno per esternalizzare le spese. Chi non vorrebbe che a pagare i propri dipendenti fosse un altro?
Lo stesso vale per un qualunque sussidio di disoccupazione. Se vuoi far salire il numero di disoccupati non devi fare altro che approvare un sussidio. Nella realtà, non aumenterai il numero di disoccupati, ma di coloro che rientreranno nei requisiti necessari ad ottenerlo. Ciò vuol dire che potrebbero anche lavorare in nero mentre prendono il sussidio. Il che, bada bene, non significa che sono dei bastardi, ma che hanno scelto semplicemente la via più "razionale," con le attuali regole del gioco, per aumentare il loro salario.
Ciao, mi associo alla schiera dei delusi dal penoso manifesto di fermareildeclino.it...anche se non proprio delusa, da Giannino non mi aspettavo niente di buono, e infatti si puó cambiare pagina subito dopo aver letto il primo punto: "ridurre il debito pubblico con le dismissioni di patrimonio".
RispondiEliminaPer quanto riguarda i sussidi di disoccupazione, la questione non dovrebbe nemmeno porsi. Matteo, lo studio che citi, si basa sul lavoro di Kard e Krueger che é stato ampiamente criticato per i suoi grossolani errori di impostazione. Puoi trovare decine di papers (seri) che dimostano esattamente il contrario.
Io vivo in Spagna e lo ved tutti i giorni con i miei occhi quel famoso 24% di disoccupati, la maggior parte di questi lavoricchia in nero, quanto basta per non stressarsi troppo ed integrare la paghetta mensile che elargisce mamma Spagna.
"ma che hanno scelto semplicemente la via più "razionale," con le attuali regole del gioco" le regole del gioco implicano che non si lavora in nero. Il ragionamento "non regolo qualcosa perche` e` possibile sottrarsi al regolamento", non puo` funzionare in quanto potrebbe essere esteso a qualsiasi altra materia. Perche` vuoi istituire la prorpieta` private se poi tanto esistono i ladri, non sono dei bastardi, hanno solo scelto la via piu` "razionale" alla sopravvivenza.
RispondiEliminaMi piace perche` queste cose finiscono nella categoria "lamentele recenti".
La cassa integrazione non la trovo una soluzione soddisfacente, preferire indirizzare momentaneamente i disoccupati a lavori socialmente (non socialisticamente) utili.
Ciao Gost.
RispondiEliminaIl mercato nero nasce proprio dall'eccessiva regolamentazione dello stato. Sono queste le cosiddette "regole del gioco" che in un certo senso costringono i lavoratore ad adattarsi se vuole tirare a campare. La mancanza di regole statali non vuol dire assenza di freni morali e disciplinari da parte delle persone.
In pratica lo stato, lungi dal garantire l'ordine sociale, pone le basi per la creazione del caos, e su di esso prospera. Ogni proibizione arbitraria diventa un'opportunità per un mercato nero fiorente, ogni disoccupato a cui viene impedito l'ingresso nel mercato del lavoro un potenziale membro di organizzazioni criminali, ogni regolazione economica è automaticamente occasione di guadagno per chi ne può approfittare.
Coloro che sfruttano queste "regole" non sono dei bastardi ma agiscono secondo il falso pre-concetto per cui il crimine paga; ma questo è reso "senso comune" solo perché esiste un apparato coercitivo che alimenta, oltre al proprio, il lato oscuro dell'indole umana.
>La cassa integrazione non la trovo una soluzione soddisfacente, preferire indirizzare momentaneamente i disoccupati a lavori socialmente (non socialisticamente) utili.
Ricordo che quando ero ragazzino non vedevo l'ora che arrivasse l'autunno per aiutare i vicini a sistemare la legna. Un premio pecuniario era quasi sempre assicurato.
Ora rivolgi lo sguardo a cosiddetti beni pubblici e realizza da chi parte il degrado, potresti cogliere un certo trend.
Vorrei aggiungere una riflessione.
RispondiEliminaOk siamo tutti d'accordo che il programma proposto da Giannino sia penoso, ma...una proposta veramente liberale come sarebbe recepita dall'elettorato?
Francesco ad esempio, se tu domani decidessi di entrare in politica con un programma "sinceramente" liberista (senza entrare in ulteriori dettagli) quanti voti pensi che otterresti? Io personalmente sono sicura non beccherei memmeno quello dei miei parenti.
Da un lato c'é la classe parassitaria, dall'altro lato le resistenze "psicologiche" del resto della popolazione.
Purtroppo in Italia (e non solo), il probema é culturale prima che politico, e la questione dovrebbe farci anche un attimo riflettere sui limiti e le inefficienze del sistema democratico (senza necessariamente arrivare a rifiutarlo)
Ciao maty.
RispondiEliminaIl problema dell'Italia è anche un altro, ovvero, che è sempre stata una torta da spartire tra determinate raltà. Gli Stati Uniti hanno da sempre detenuto la fetta più grossa, ma ci sono sempre state altre entità pronte a dividersi fette del paese. La Gran Bretagna, ad esempio. Dovunque vedi il nome Sassoon, è invece al lavoro una delle entità strategiche Anglo-Statunitensi. Il campo di battaglia è la politica dove si possono influenzare grandi sacche di popolazione e direzionare a piacimento il tessuto economico; in questo modo il risultato finale a favore di una ristretta cerchia di uomini è garantito.
In questo modo si escludono dall'equazione il resto delle persone che vengono vessate fino alla morte (es. tasse) per sostenere i capricci di pochi. La "follia" della società moderna è costituita dall'incapacità dell'uomo di trovare una soluzione a questa situazione delirante che lo manda ai pazzi. E' in preda a nevrosi. Per tutta la vita è oppresso da un'autorità che si è convinto ad accettare come naturale (es. indottrinamento derivante dalla scuola), ma nell'inconscio le menzogne hanno vita breve.
L'uomo liberato dal dominio dell'autorità sarebbe un uomo diverso (per niente nuovo, tra l'altro), è innegabile: eliminando la causa della nevrosi, migliori la condizione psicologica e, di conseguenza, la capacità di rapportarsi con gli altri.
Il misurarsi con gli altri è una caratteristica perfettamente umana, non bisogna averne paura. Altra cosa è la concorrenza finta del sistema attuale, aggravata dalla distorsione culturale per cui "il vincitore prende tutto", e anche arrivare secondi diventa sinonimo di fallimento. Io credo invece che ogni uomo può e deve cambiare solo se stesso, perché è solo se stesso che conosce a fondo. Se questo cambiamento avviene ed è per il meglio, l'uomo diventa esempio ed ispirazione per gli altri, che hanno così l'occasione di cambiare a loro volta.
Qualsiasi altro intento di ingegneria sociale mostra a mio avviso la presunzione di chi pensa di sapere meglio degli altri come renderli felici, e prepara la strada alla violenza.
Non esiste un sistema perfetto, non esiste un sistema che soddisfi tutti in egual maniera. Esiste, invece, il modo di migliorare la propria condizione abbandonando quei sistemi che richiedono un prezzo alto per aderirvi e non dispongono di sanzioni negative per sottolineare il momento in cui deturpano la proprietà altrui.
Liberarsi dall'autorità e dalle sue imposizioni, questo a me interessa. Vedere i responsabili di crimini di guerra allontanati dai posti di comando, e che la si finisca di rubarmi i soldi per comprare cacciabombardieri o partite di droga, e che ognuno sia libero di vivere come preferisce.
Io vorrei dire no a tutto questo, ma dovrebbe essere un no di milioni di voci per essere udito. Il diritto di dire no, questo è quanto io vorrei.
Quale sarà l'esito? Non lo so. Di certo meglio del silenzio odierno. Ma questo diritto, stranamente, sembra piacere a pochi.
Condivido il tuo discorso Francesco, ma purtroppo penso che l'emancipazione dall'autoritá puó essere solo un percorso individuale. L'obbedienza all'autoritá é insita nel genere umano. Prima degli stati erano i sacerdoti gli sciamani e via dicendo. Del resto se cosí non fosse, istituzioni come le religioni e gli stessi stati non avrebbero mai avuto il successo evoluzionistico che hanno avuto
RispondiEliminaCiao maty.
RispondiElimina>L'obbedienza all'autoritá é insita nel genere umano.
Non dimentichiamoci che l'umanità che osserviamo giornalmente è un'umanità indottrinata dalla più tenera età, addestrata a considerare l'autorità come evento naturale. Ma il fatto che ci sia gente (come me, ad esempio) che l'autorità la rifiuta, è una prova evidente che questa accettazione non fa parte dell'animo umano ma è un'imposizione diventata abitudine.
>Del resto se cosí non fosse, istituzioni come le religioni e gli stessi stati non avrebbero mai avuto il successo evoluzionistico che hanno avuto
Infatti, pensare di "abolire" qualcosa che qualcuno vuole è un'illusione. Si vuole abolire le armi? Nessun problema, rispunteranno in qualche modo poiché senza di esse l'uomo non sarebbe sopravvissuto durante la preistoria con tutte quelle belve che volevano fargli la festa. LA collaborazione con altri individui ha fornito all'umanità la possibilità vincente di superare l'estinzione.
C'è addirittura chi pensa di voler abolire il denaro. Sarà questione di secondi prima che riapparirà semmai fosse "abolito."
Come ricordi anche tu, nonostante lo stato si dichiari laico e questa dottrina venga professata a tutto spiano, le religioni ancora imperversano nel genere umano. Probabilmente nemmeno i governi si possono abolire, del resto è evidente a tutti che la maggior parte degli uomini li desidera. Che fare, quindi?
Impedire che ad essere abolita sia l'umanità.
Ovvero, l'unicità e l'autorità di ciascuno, la responsabilità personale: il diritto imprescindibile di rifiutare, di dire "no" al governo, alla religione, al denaro, alla violenza.