Bibliografia

martedì 31 luglio 2012

L'inevitabile morte dell'euro

Ci risiamo. Ancora una volta Paul Krugman fa parlare di sé e delle sue proposte svalvolate. Non dovete correre troppo con la fantasia questa volta per immaginare cosa abbia suggerito. Come nel 2002 suggerì che Greenspan gonfiasse una bolla immobiliare per uscire dai guai dello scoppio della bolla tecnologica, strategia che poi difese nel 2006, oggi se ne esce con quanto segue:
«Cosa potrebbe invertire questa situazione? La risposta è abbastanza chiara: i responsabili politici dovrebbero (a) fare qualcosa per abbassare i costi di finanziamento dell'Europa meridionale e (b) dare ai debitori Europei quell'opportunità sfruttata dalla Germania nel corso degli anni buoni, in modo da farli uscire dalla crisi attraverso le esportazioni cioè, creare un boom in Germania sulla falsariga di quello nell'Europa meridionale dal 1999 al 2007. (E sì, ciò significherebbe un aumento temporaneo dell'inflazione in Germania.)»
Dopo la bislacca idea della preparazione ad una invasione aliena per rilanciare l'economia degli Stati Uniti, ecco il piano di Krugman per salvare l'Europa: creare un boom manipolato in Germania. E' insostenibile? Krugman pare non curarsene. Tanto poi darà la colpa a qualche pirla di turno nel settore privato senza additare i reali responsabili. E' così che funziona il mondo accademico, è così che giustifica la sconsideratezza dei pianificatori centrali. Vengono accreditati e celebrati dall'establishment in modo che raccolgano influenza tra la popolazione e possano sensibilizzarla (nonché canalizzarla) verso quelle "soluzioni" gradite ai pianificatori centrali. Rockfeller fu il primo ad adottare questo stratagemma. Tenete a mente una cosa fondamentale: Temete il boom, non il bust.
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di Alasdair Macleod


Giovedì il Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, è stato spinto a difendere l'euro dopo che i rendimenti obbligazionari del governo Spagnolo sono aumentati drammaticamente fino al 7%. E quando Valencia ha chiesto al governo centrale un salvataggio, seguito da indicazioni che altre città e regioni hanno problemi simili, è diventato chiaro che la Spagna è in guai seri. Ci siamo abituati al concetto di troppo grandi per fallire, ora invece abbiamo i troppo grandi per esssere salvati.

Di solito parliamo della Spagna e anche dell'Italia in termini di debito pubblico e deficit di bilancio, dimenticando che sono solo una parte del problema. A ciò vanno aggiunti i governi regionali e locali, le industrie nazionalizzate e sovvenzionate, e le garanzie fuori bilancio di altre entità. Dimenticate, per il momento, i costi futuri della sanità e del welfare, che statisticamente sminuiscono tutti gli altri: non sono il problema immediato. Questo ci lascia ancora con salvataggi, senza nemmeno considerare le banche commerciali, pari a due volte e forse quattro il debito pubblico. La gente pensa che la Spagna possa essere salvata, ma quando si prende in considerazione tutta la situazione, compresa la prospettiva di un crollo indotto dagli errori macro-economici, è semplicemente troppo grande.


L'incapacità di affrontare la realtà finanziaria è essenzialmente politica. Il Presidente della Spagna, Mariano Rajoy, è stato eletto con una netta maggioranza lo scorso Novembre, e non è riuscito a tagliare la spesa. Invece di ridurre l'onere del settore pubblico sull'economia, ha scelto di penalizzare il settore produttivo privato attraverso una maggiore tassazione. Se qualcuno aveva l'opportunità di affrontare la realtà con un mandato elettorale era Rajoy, ma non è riuscito a farlo sia perché l'ha ritenuto politicamente impossibile sia perché è semplicemente troppo debole.

Forse è la realtà politica: questo è certamente quello che accade anche in tutti gli altri stati colpiti dalla crisi. L'elettorato Francese ha diradato ogni dubbio eleggendo un presidente socialista intento ad aumentare sia la spesa pubblica sia le tasse. Il risultato è che l'Europa deve affrontare il collasso economico molto prima di quanto si pensasse, ponendo l'onere di un salvataggio degli stati indigenti principalmente sulla Germania.

La Germania sta diventando isolata, e la Cancelliera Merkel non è più in grado di far finta che, deo volente, tutto ciò arriverà alla fine. Invece la Germania deve far fronte ad un conto terrificante, ormai riconosciuto dalle agenzie di rating. In un podcast di GoldMoney rilasciato lo scorso Mercoledì, Philipp Bagus ha stimato il costo totale per la Germania: quattro volte le sue entrate fiscali totali. Ciò implica imposte personali di oltre il 100% del reddito del settore privato. Come si può far approdare l'elettorato dalla propria parte, per tenere semplicemente in vita il progetto dell'euro, con questo tipo di costo?


Non è possibile. Bagus non vede alternative alla stampa di denaro, e questo è effettivamente quello che Draghi dice di essere pronto a fare; ma a differenza delle altre valute fiat, l'euro non ha un governo unico a sostenerlo. Pertanto l'effetto sull'euro della stampa denaro di Draghi potrebbe essere catastrofico.



Sarebbe proprio un evento degno di nota. Non abbiamo visto il crollo di una grande valuta fiat negli ultimi decenni, sebbene ci sia quello in Germania che ci ricorda la miseria che un simile esito porta con sé. La velocità a cui l'euro si indebolisce potrebbe essere davvero molto sorprendente.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/

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