Bibliografia

sabato 28 aprile 2012

Il Mito del Monopolio Naturale #2





Seconda Parte



[Originariamente pubblicato in The Review of Austrian Economics 9 (2), 1996.]


Qui il link alla Prima Parte.

Qui il link alla Terza Parte.


__________________________________________________________


di Thomas J. DiLorenzo


Quanto Erano "Naturali" i Primi Monopoli Naturali?

Non vi è alcuna prova che all'inizio della regolamentazione dei servizi essenziali per la collettività esistesse alcun fenomeno come un "monopolio naturale." Come Harold Demsetz sottolineò:

Sei compagnie elettriche furono organizzate nel 1887 a New York. Quarantacinque le aziende elettriche che avevano il diritto legale di operare a Chicago nel 1907. Prima del 1895, Duluth, Minnesota, era servita da cinque aziende di illuminazione elettrica, e Scranton, Pennsylvania, ne aveva quattro nel 1906. [...] Durante l'ultima parte del XIX secolo, la concorrenza era la situazione abituale nel settore del gas in questo paese. Prima del 1884, sei compagnie concorrenti operavano nella città di New York [...] la concorrenza era comune e soprattutto persistente nel settore telefonico [...] Baltimora, Chicago, Cleveland, Columbus, Detroit, Kansas City, Minneapolis, Philadelphia, Pittsburgh, e St. Louis, tra le grandi città, avevano almeno due servizi di telefonia nel 1905.[1]

In un eufemismo estremo, Demsetz conclude che "si comincia a dubitare che le economie di scala caratterizzassero il settore dei servizi al momento in cui la regolamentazione sostituì la concorrenza di mercato."[2]

Un esempio più istruttivo della non-esistenza di un monopolio naturale nelle industrie dei servizi viene fornita in un libro del 1936 dell'economista George T. Brown dal titolo "The Gas Light Company of Baltimore," che reca il sottotitolo fuorviante, "A Study of Natural Monopoly."[3] Il libro presenta "lo studio del carattere evolutivo dei servizi" in generale, con particolare riferimento alla Società Gas e Luce di Baltimora, i problemi della quale "non sono peculiari all'azienda di Baltimora o allo Stato del Maryland, ma sono tipici di chi si destreggia in tutto il settore dei servizi essenziali alla collettività."[4]

La storia della Società Gas e Luce di Baltimora compare notevolmente in tutta la storia del monopolio naturale, in teoria e in pratica, poiché l'autorevole Richard T. Ely, che era un professore di economia presso la Johns Hopkins University di Baltimora, elencò i problemi della società in una serie di articoli del Baltimore Sun, che furono poi pubblicati in un libro ampiamente venduto. Gran parte dell'analisi di Ely divenne un dogma economico, accettato per quanto riguarda la teoria del monopolio naturale.

La storia della Società Gas e Luce di Baltimora è che, dalla sua fondazione nel 1816, lottò costantemente con nuovi concorrenti. La sua risposta non era solo cercare di competere sul mercato, ma anche esercitare pressioni sulle autorità governative statali e locali affinché non concedessero atti istitutivi aziendali ai suoi concorrenti. La società operò con economie di scala, ma ciò non impedì ai numerosi concorrenti di saltar fuori.

"La concorrenza è la vita delle imprese", aggiunse il Baltimore Sun nel 1851 mentre accoglieva con favore le notizie di nuovi concorrenti nel settore della luce e del gas.[5] La Società Gas e Luce di Baltimora, comunque, "contestò la concessione di diritti di franchising alla nuova società."[6]

Brown afferma che "le compagnie del gas in altre città erano esposte ad una concorrenza rovinosa," e poi cataloga come quelle stesse aziende cercarono disperatamente di entrare nel mercato di Baltimora. Ma se tale concorrenza era così "disastrosa", perchè queste aziende avrebbero voluto inserirsi in nuovi mercati — e presumibilmente anch'essi "rovinosi"? O la teoria di Brown della "concorrenza rovinosa" — che ben presto divenne quella generalmente accettata — era incorretta, oppure quelle imprese erano irrazionalmente golose di punizioni finanziarie.

Ignorando la natura dinamica del processo concorrenziale, Brown commise lo stesso errore che molti altri economisti commettono ancora: credere che la concorrenza "eccessiva" possa essere "distruttiva" se i produttori a basso costo scacciano dal mercato i loro rivali meno efficienti.[7] Tale competizione può essere "distruttiva" per i concorrenti con costi alti, ma è vantaggiosa per i consumatori.

Nel 1880 ci furono tre compagnie del gas concorrenti a Baltimora, che erano ferocemente in concorrenza l'una con l'altra. Cercarono di fondersi ed operare come monopolisti nel 1888, ma un nuovo concorrente sventò i loro piani: "Thomas Aha Edison introdusse la luce elettrica che minacciava l'esistenza di tutte le società del gas."[8] Da quel momento in poi esistette una concorrenza tra le società del gas e quelle elettriche, ognuna delle quali incorse in elevati costi fissi che condusse ad economie di scala. Tuttavia, non si materializzò mai un monopolio "naturale" o di libero mercato.

Quando apparve il monopolio, fu solamente a causa di un intervento del governo. Ad esempio, nel 1890 venne introdotta una proposta di legge nella legislatura del Maryland che "chiese un pagamento annuale alla città dalla Consolidata [Gas Company] di $10,000 l'anno e il 3% di tutti i dividendi dichiarati in cambio del privilegio di godere di 25 anni di monopolio.[9] Questo è l'ormai familiare approccio dei funzionari governativi in collusione con i dirigenti del settore per stabilire un monopolio che penalizza i consumatori, e poi condividere il bottino con i politici in forma di tasse ed imposte sui redditi di monopolio. Questo approccio è particolarmente diffuso oggi nel settore della TV via cavo.

La "regolamentazione" legislativa delle società del gas e dell'elettricità produsse il risultato prevedibile di prezzi di monopolio, di cui la popolazione se ne lamentava amaramente. Invece di deregolamentare il settore e lasciare che la concorrenza controllasse i prezzi, tuttavia, la regolamentazione dei servizi essenziali per la collettività venne adottata per placare apparentemente i consumatori che, secondo Brown, "percepivano che il modo negligente con cui i loro interessi venivano serviti [dal controllo legislativo dei prezzi del gas e dell'elettricità] avrebbe portato ad enormi privilegi di monopolio. Lo sviluppo della regolamentazione di tali servizi nel Maryland rappresentava l'esperienza di altri stati."[10]

Non tutti gli economisti vennero ingannati dalla teoria del "monopolio naturale" invocata dai monopolisti del settore dei servizi essenziali per la collettività e dai loro consulenti economici pagati. Nel 1940 l'economista Horace M. Gray, un assistente del decano presso la University of Illinois, esaminò la storia del "concetto di servizi essenziali per la collettività," inclusa la teoria del monopolio "naturale." "Durante il XIX secolo," osservò Gray, era opinione diffusa che "l'interesse pubblico sarebbe stato meglio promosso da sovvenzioni di privilegio speciale a persone ed imprese private" in molti settori.[11] Ciò includeva i brevetti, le sovvenzioni, le tariffe, le concessioni di terra alle ferrovie, ed il monopolio dei servizi essenziali per la "collettività." "Il risultato finale fu il monopolio, lo sfruttamento e la corruzione politica."[12]

Per quanto riguarda i servizi essenziali per la "collettività," Gray ricorda che "tra il 1907 ed il 1938, la politica del monopolio creato e protetto dallo stato andò consolidandosi in una parte significativa dell'economia e divenne la chiave di volta della moderna regolamentazione dei servizi essenziali per la colletività."[13] Da quel momento in poi, "lo status dei servizi essenziali per la colletività sarebbe stato il porto di rifugio per tutti gli aspiranti monopolisti che trovavano troppo difficile, troppo costoso, o troppo precario garantire e mantenere un monopolio con la sola azione privata."[14]

A sostegno di questa tesi, Gray sottolineò come praticamente ogni aspirante monopolista nel paese cercò di ottenere un "servizio essenziale per la collettività," tra cui la radio, il settore immobiliare, il latte, il trasporto aereo, il carbone, il petrolio e le industrie agricole, per citarne alcuni. In questa stessa linea, "l'intero esperimento NRA può essere considerato come uno sforzo da parte delle grandi imprese per assicurarsi la sanzione legale per le sue pratiche monopolistiche."[15] Le industrie fortunate che furono in grado di farsi assegnare "servizi essenziali per la colletività," usarono perfino il concetto di servizio pubblico per tenere fuori la concorrenza.

Il ruolo degli economisti in questo schema era quello di costruire ciò che Gray chiamò "la razionalizzazione confusa" per "le forze sinistre di privilegio e di monopolio privato," cioè, la teoria del monopolio "naturale." "La tutela dei consumatori sbiadì in secondo piano."[16]

Ricerche economiche più recenti supportano l'analisi di Gray. In uno dei primi studi statistici sugli effetti della regolamentazione delle tariffe nel settore elettrico, pubblicato nel 1962, George Stigler e Claire Friedland non trovarono differenze significative nei prezzi e nei profitti di questo settore con e senza commissioni di regolamentazione dal 1917 al 1932.[17] I primi regolatori delle tariffe non optarono a beneficio del consumatore, ma furono piuttosto "catturati" dal settore, come accadde in tanti altri settori, dal trasporto su gomma alle compagnie aeree alla televisione via cavo. È degno di nota — ma non molto lodevole — che ci vollero 50 anni agli economisti affinché iniziassero a studiare gli effetti attuali, in contrasto con quelli teorici, della regolamentazione delle tariffe.

Sedici anni dopo lo studio di Stigler-Friedland, Gregg Jarrell osservò che 25 stati sostituirono la regolamentazione statale con quella comunale in materia di tariffazione dell'energia elettrica tra il 1912 e il 1917, i cui effetti furono quelli di aumentare i prezzi del 46% ed i profitti del 38%, riducendo il livello della produzione del 23%.[18] Così, la regolamentazione comunale non riuscì a tenere bassi i prezzi. Ma tali servizi videro un aumento ancora più rapido dei loro prezzi, quindi esercitarono pressioni a favore della regolamentazione statale sotto la teoria che i regolatori statali sarebbero stati meno influenzati dalle pressioni di gruppi di clienti locali, rispetto a sindaci e consigli comunali.

Questi risultati delle ricerche sono coerenti con l'interpretazione precedente di Horace Gray del costo della regolamentazione dei servizi pubblici: un piano di fissazione dei prezzi, anti-consumatore, monopolistico.



Il Problema della "Duplicazione Eccessiva"

Oltre alla fandonia dell'economie di scala, un altro motivo che è stato fornito per concedere diritti esclusivi ai "monopoli naturali" è questo: permettere a troppi concorrenti di competere è troppo pericoloso. E' troppo costoso per una comunità, prosegue questa tesi, premttere a diversi fornitori d'acqua, produttori di energia elettrica ed operatori TV via cavo di scavare le strade. Ma, come Harold Demsetz ha osservato:

[Il] problema della duplicazione eccessiva dei sistemi di distribuzione è da attribuire al fallimento delle comunità di fissare un prezzo appropriato all'uso di tali risorse scarse. Il diritto di utilizzare strade di proprietà pubblica è il diritto di utilizzare una risorsa scarsa. L'assenza di un prezzo per l'utilizzo di queste risorse, un prezzo abbastanza alto in modo da riflettere i costi di opportunità di tali usi alternativi come la manutenzione del traffico ininterrotto e le viste non deturpate, porterà alla loro sovrautilizzazione. La fissazione di un costo adeguato per l'utilizzo di queste risorse potrebbe ridurre il grado di duplicazione a livelli ottimali.[19]

Proprio come il problema con i monopoli "naturali" è effettivamente causato da un intervento del governo, così è il problema della "duplicazione delle strutture." E' nato dal fallimento dei governi di mettere un prezzo alle risorse urbane scarse. Più precisamente, il problema è in realtà causato dal fatto che i governi possiedono le strade in cui sono poste le linee di utilità, e che l'impossibilità di un calcolo economico razionale all'interno delle istituzioni socialiste impedisce loro di prezzare queste risorse in modo appropriato, diversamente da come accadrebbe in un mercato con proprietà privata in competizione.

Contrariamente a quanto sostenuto da Demsetz, in questo caso un prezzo economico razionale è impossibile proprio a causa della proprietà pubblica delle strade. I politici benevoli e illuminati, anche quelli che hanno studiato ai piedi di Harold Demsetz, non avrebbero alcun modo razionale per determinare quali prezzi far pagare. Murray Rothbard spiegò tutto questo più di 25 anni fà:

Il fatto che il governo debba dare il permesso per l'utilizzo le sue strade è stato citato per giustificare le normative governative stringenti dei "servizi essenziali per la collettività," molti dei quali (come l'acqua o le società elettriche) devono far uso delle strade. I regolamenti vengono quindi trattati come quid pro quo volontari. Ma così si trascura il fatto che la proprietà statale delle strade è di per sé un atto permanente di intenti. La regolamentazione dei servizi essenziali per la collettività o di qualsiasi altro settore scoraggia gli investimenti in questi settori, privando così i consumatori della migliore soddisfazione dei loro bisogni. Poiché distorce le allocazioni di risorse del libero mercato.[20]

La cosiddetta tesi del "monopolio dello spazio limitato" a favore dei diritti di monopolio, sosteneva inoltre Rothbard, è uno specchietto per le allodole, poiché per quanto molte imprese saranno redditizie in qualsiasi linea di produzione

è una questione istituzionale e dipende da dati concreti come il livello di domanda dei consumatori, il tipo di prodotto venduto, la produttività fisica dei processi, l'offerta ed il prezzo dei fattori, la previsione degli imprenditori, ecc. Le limitazioni dello spazio possono essere irrilevanti.[21]

In realtà, anche se le limitazioni spaziali consentono ad una sola impresa di operare in un determinato mercato geografico, questo non è necessariamente monopolio, poiché "monopolio" è "un appellativo senza senso, a meno che non vengano raggiunti prezzi di monopolio," e "tutti i prezzi in un libero mercato sono competitivi."[22] Solo l'intervento del governo è in grado di generare prezzi monopolistici.

L'unico modo per ottenere un libero mercato dei prezzi che rifletta i costi di opportunità reali e porti a livelli ottimali di "duplicazione" è attraverso il libero scambio in un mercato veramente libero, un'impossibilità assoluta senza proprietà privata e mercati liberi.[23] La politica forzosa semplicemente non è un sostituto fattibile per i prezzi che sono determinati dal libero mercato, perché il calcolo economico razionale è impossibile senza mercati.

Sotto la proprietà privata di strade e marciapiedi, ai singoli proprietari viene offerto un compromesso di prezzi più bassi per il temporaneo disagio di ritrovarsi una compagnia di servizi che scava un fosso nella loro proprietà. Se la "duplicazione" si verifica in un tale sistema, è perché gli individui liberi di scegliere apprezzano di più un servizio supplementare o prezzi più bassi o entrambe le cose rispetto al costo imposto loro dal disagio di un progetto di costruzione temporaneo sulla loro proprietà. I mercati liberi non richiedono né un monopolio né una "duplicazione eccessiva" in un qualunque senso economico significativo.



Concorrenza nel Campo

L'esistenza di economie di scala in servizi idrici, del gas, elettrici, o altri "servizi essenziali per la colletività" non necessita in alcun modo di prezzi di monopolio o di un monopolio. Come scrisse Edwin Chadwick nel 1859, un sistema di gare d'appalto per i servizi privati può eliminare i prezzi di monopolio fintanto che non vi è concorrenza "nel campo."[24] Finché c'è un'offerta vigorosa per il franchise, le conseguenze possono essere un'assenza di duplicazioni di strutture oppure prezzi competitivi del prodotto o servizio. Cioè, l'offerta per il franchise può essere fatta sottoforma di assegnazione dello stesso all'utilità che offre ai consumatori il prezzo più basso per una qualità costante del servizio (in contrasto con il prezzo più alto del franchise).

Harold Demsetz ravvivò l'interesse per il concetto di "concorrenza nel campo" in un articolo del 1968.[25] La teoria del monopolio naturale, sottolineò Demsetz, non riesce a rivelare "i passi logici che portano da economie di scala nella produzione a prezzi di monopolio nel mercato."[26] Se un offerente può fare il lavoro a costi inferiori,

allora l'offerente con il prezzo d'offerta più basso per il lavoro si vedrà assegnato l'appalto, se il bene sia di cemento, elettricità, distributori automatici, o qualsiasi altra cosa, ma il prezzo d'offerta più basso non deve essere un prezzo di monopolio. [...] La teoria del monopolio naturale non fornisce alcuna base logica per i prezzi di monopolio.[27]

Non vi è alcun motivo per credere che il processo di offerta non sarà competitivo. Hanke e Walters hanno dimostrato che un tale processo di licitazione opera in modo molto efficiente nel settore della fornitura idrica Francese.[28]


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


___________________________________________________________________________________

Note

[1] Burton N. Behling, "Competition in Public Utility Industries" (1938), in Harold Demsetz, ed., Efficiency, Competition, and Policy (Cambridge, Mass.: Blackwell, 1989), p. 78.

[2] Ibid.

[3] George T. Brown, The Gas Light Company of Baltimore: A Study of Natural Monopoly (Baltimore, Maryland: Johns Hopkins University Press, 1936).

[4] Ibid., p. 5.

[5] Ibid., p. 31.

[6] Ibid.

[7] Ibid., p. 47.

[8] Ibid., p. 52.

[9] Ibid., p. 75.

[10] Ibid., p. 106.

[11] Horace M. Gray, "The Passing of the Public Utility Concept," Journal of Land and Public Utility Economics, Febbraio 1940, p. 8.

[12] Ibid.

[13] Ibid., p. 9.

[14] Ibid.

[15] Ibid., p. 15.

[16] Ibid., p. 11.

[17] George Stigler and Claire Friedland, "What Can Regulators Regulate? The Case of Electricity," Journal of Law and Economics, Ottobre 1962, pp. 116.

[18] Gregg A. Jarrell, "The Demand for State Regulation of the Electric Utility Industry," Journal of Law and Economics, Ottobre 1978, pp. 269-295.

[19] Demsetz, Efficiency, Competition, and Policy, p. 81.

[20] Murray N. Rothbard, Power and Market: Government and the Economy (Kansas City: Sheed Andrews and McMeel, 1977), pp. 75-76.

[21] Murray N. Rothbard, Man, Economy, and State: A Treatise on Economic Principles (Auburn, Ala.: Ludwig von Mises Institute, 1993), p. 619.

[22] Ibid., p. 620.

[23] Ibid., p. 548.

[24] Edwin Chadwick, "Results of Different Principles of Legislation and Administration in Europe of Competition for the Field as Compared With Cmopetition Within the Field of Service," Journal of the Statistical Society of London, vol. 22 (1859), pp. 381-420.

[25] Harold Demsetz, "Why Regulate Utilities?" Journal of Law and Economics, Aprile 1968, pp. 55-65.

[26] Ibid.

[27] Ibid.

[28] Steve Hanke and Stephen J.K. Walters, "Privatization and Natural Monopoly: The Case of Waterworks," The Privatization Review, Primavera 1987, pp. 24-31.

___________________________________________________________________________________


Nessun commento:

Posta un commento