Bibliografia

venerdì 3 febbraio 2012

L'Unità della Vita Sociale

"Sarebbe un errore fatale supporre, come hanno fatto molti scrittori, che la grande formazione politica, che è lo stato, era un prodotto naturale della socialità umana. Sembra una supposizione abbastanza naturale, poiché la società, che è un'entità naturale, è un prodotto di tal genere. Ma una società naturale è una cosa piccola. Ed affinché una società piccola diventi una grossa c'è bisogno di un nuovo fattore. Poiché ci deve essere una fusione, e quest'ultima, nella stragrande maggioranza dei casi, non proviene da un istinto di associazione ma dalla dominazione. Le grandi formazioni devono la loro esistenza all'istinto di dominazione." -- Bertrand de Jouvenel
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di Frank Chodorov


[The Rise and Fall of Society (1959; 2007)]


Cominciando con l'ovvio — ci devono essere gli uomini prima che ci sia una Società, e ci deve essere una Società prima che ci sia un Governo. Le istituzioni sociali devono essere seminate nel terreno di cui è fatto l'individuo. Pertanto, siamo costretti a chiedere all'individuo, l'unità della vita sociale, di dirci perché socializza, perché diventa politico. I metafisici erano sulla strada giusta quando indagarono la natura del singolo per dare una spiegazione allo Stato, anche se erano distratti dalla loro mentalità teologica. Su questa strada non si trova una risposta positiva, né una risposta che non inizi con ipotesi. Se si guarda l'essere umano dall'esterno forse riusciremo a fare luce sulla questione, senza fare riferimento alla sua composizione spirituale.

Cosa si osserva come una costante nella sua carriera? A questa domanda non c'è che una risposta: egli è sempre e comunque preoccupato a guadagnarsi da vivere. Non possiamo nemmeno pensare ad un essere umano che è privo di questa preoccupazione. Egli è, fondamentalmente, un '"uomo economico" — per usare un termine che viene talvolta usato in modo spregiativo, ma che è più appropriato quando riflettiamo sul fatto che l'attività primordiale dell'uomo è l'esistenza. La sua ricerca economica è radicata in lui come una questione di necessità. Sembra logico supporre, allora, che la Società in cui lo troviamo sempre è o una fase dell'attività, o in relazione con l'attività, da cui non va mai in pensione. Non è probabile che se ci immedesimiamo nei mezzi e nei metodi che impiega per guadagnarsi da vivere, impareremo che la Società ed il Governo sono escrescenze di questo processo? Forse, dopo tutto, queste istituzioni hanno le loro radici nell'economia. Si tratta di un'ipotesi plausibile, in ogni caso.

L'obiezione che viene sollevata è che l'essere umano è troppo complesso per essere trattato solo come una creatura vivente. Anche le altre specie che abitano la terra sono a caccia costante dei mezzi per esistere e non hanno niente di quello che noi chiamiamo Società e Governo; il meglio che fanno per socializzare è formare un gregge o un branco o uno stormo, che sono organizzazioni del tutto diverse da quelle che vengono formalizzate. Questa obiezione, tuttavia, deriva dalla definizione limitata e irreale di "uomo economico", che descrive la sua vita come una mera acquisizione di cibo, vestiario e riparo. Un tale uomo non esiste, o esiste solo sotto la spinta delle necessità.

Per l'uomo, a differenza degli altri esseri viventi, il "guadagnarsi da vivere" comincia solo con l'acquisizione delle cose necessaie, perché egli è costituito in modo che una volta che il problema è risolto, o anche prima che venga completamente risolto, la sua immaginazione dà luogo ad altri desideri che, quando gratificati, danno luogo ad ancora altri desideri e così via ad infinitum. Il suo lavoro di "vivere" non ha alcun perimetro fisso. Eppure, la soddisfazione di ogni desiderio che scaturisce dalla sua fantasia coinvolge gli stessi mezzi e metodi che egli impiega per garantirsi il necessario. Il libro e il violino vengono alla luce da processi che sono in sostanza gli stessi di quelli applicati per produrre pane e vestiti; tutto quello che vuole l'uomo, coinvolge i macchinari della produzione.

Quindi, "l'uomo economico" non è un tipo d'uomo speciale, e anche se per motivi di studio potremmo separarlo nel nostro laboratorio mentale "dall'uomo culturale", "dall'uomo religioso", o da quello "militare", egli è infatti l'unico uomo che utilizza i mezzi economici nella ricerca di qualsiasi "modo di vivere" a cui lo conduce la sua inclinazione o l'opportunità. L'agente catalizzatore di tutte le aspirazioni umane è la produzione.

Cos'è, quindi, la produzione? È l'applicazione del lavoro alle materie prime che la natura offre per la realizzazione di cose che soddisfano i desideri umani. Nulla può essere prodotto in qualsiasi altro modo. È vero, ci sono cose che gli uomini vogliono che apparentemente non comportano l'uso di materie prime, cose che di solito sono descritte come servizi. Ma anche il cantante ha bisogno di sostentamento, e il predicatore nudo potrebbe scoprire come il freddo sia un ostacolo al pensiero. Non vi è alcun servizio desiderabile nella misura in cui si allontana dalla produzione di base — come l'assicurazione o l'istruzione — ma che dopo un esame non risulti una suddivisione o una ramificazione dell'applicazione del lavoro alle materie prime. Quando si pensa a questo processo, ci si rende conto che tutte le cose tangibili che gli uomini desiderano, come cibo e vesti, sono servizi congelati, come la cucina e la progettazione, e dunque ogni distinzione tra beni e servizi, in senso economico, è accademica.

Il fatto che l'uomo sia sempre dipendente dalle materie prime per vivere, anche nel senso più ampio della vita, lo bolla come un "animale della terra". Ma, a questo proposito, tutti gli altri animali sono altrettanto circoscritti. Quindi, sorge spontanea la domanda, in che modo l'essere umano, le cui istituzioni sociali ci riguardano, è diverso dai suoi vicini che pensano solo a mangiare? Lo è nel fatto che egli non è, come loro, dipendente da quello che trova, ma ha la capacità di fare uso della natura per promuovere i propri fini. Questa capacità si chiama ragione, che è la facoltà di estrarre da una serie di fenomeni correlati un principio causale e di applicarlo ai suoi affari.

Per esempio, egli osserva che dalla natura non crescono cose commestibili ovunque e in qualsiasi momento, ma solo quando e dove il terreno di una data consistenza gode di una certa quantità di sole e di una data quantità di umidità. Imparando questi segreti della natura, li trasforma in formule, che egli chiama leggi naturali. Poi, facendosi guidare da queste leggi, fa crescere il cibo che vuole; diventa un creatore di abbondanza. Ciò è quello che i suoi amici animali non possono fare.

Diciamo che l'uomo "conquista" la natura, ma il fatto è che la sua conquista è costituita dal suo adattamento ai mezzi impiegati dalla natura nel raggiungimento dei suoi fini; non può ottenere i risultati che vuole raggiungere a meno che non impari e si sottometta alle sue leggi. I popoli primitivi sono primitivi solo perché non si sono capacitati di queste leggi facendone, quindi, uso. Ed i fallimenti di ciò che chiamiamo l'uomo "civilizzato", in qualunque campo scelga di operare, sono probabilmente dovuti alla sua ignoranza delle leggi della natura o alla sua arroganza nel tentativo di farsi strada violandole; sono, tuttavia, immutabili e sempre presenti, ed i suoi fallimenti indicano che esse hanno le loro proprie sanzioni.

Egli costruisce una bomba atomica perché ha imparato le leggi fisiche ad essa connesse; egli distrugge la Società con questo ordigno perché né conosce né è disposto a sottomettersi alle leggi sociali che la natura ha scritto nel suo libro della conoscenza. E' particolarmente svantaggiante quando dichiara (come fa a volte, in particolare nei settori dell'economia e delle scienze sociali) che non esistono leggi naturali, che l'uomo non è inibito da tali finzioni; ecco quando si mette davvero nei guai.

Date le risorse naturali e la conoscenza delle leggi della natura, guadagnarsi da vivere richiede un dispendio di lavoro. Questo è il prezzo inesorabile della produzione. Ma la spesa del lavoro induce la spiacevole esperienza della stanchezza, qualcosa che l'uomo non vuole. (Siamo preoccupati solo del lavoro speso per scopi economici. Talvolta l'uomo troverà il piacere nello sforzo stesso, come lo trova nel fare una passeggiata. Ed a volte egli "amerà il suo lavoro," provando piacere nel farlo, indipendentemente da qualsiasi altro ritorno. L'euforia risultante è la ricerca del profitto. Ma non lavora nell'interesse di lavorare.)

Per evitare gli sforzi, l'uomo potrebbe, come altri animali, ridurre i suoi appetiti alle cose più necessarie, alle cose che rendono possibile l'esistenza e che si possono avere con il minimo sforzo. (Nulla si può avere senza alcuno sforzo.) Egli, tuttavia, non è costituito in questo modo essendo guidato da una curiosità sempre crescente di cercare nuove gratificazioni, ed è sempre in cerca della natura affinché gli dica come possa acquisirle con meno lavoro. Inventa dispositivi che diminuiscono il lavoro; spende del lavoro per risparmiare lavoro. Sfrutta il tempo "straordinario" — o del lavoro in eccesso rispetto a quanto è necessario per tenerlo in vita — per produrre cose che gli risparmieranno lavoro nelle sue imprese future o gli permetteranno di migliorare la sua situazione. Chiamiamo queste cose capitale.

Per quanto ne sappiamo, l'uomo è sempre stato un capitalista, un accumulatore di lavoro, e non possiamo concepire un tempo in cui lui non stava facendo uso di tali concetti. Così, l'ascia di pietra che ha inventato per domare un animale commestibile è diventata, dopo secoli di riflessione e di tentativi e di errori, una mannaia ed i recinti per il bestiame di Chicago. L'accumulo di capitale è sempre stata la carriera dell'uomo. Non conosciamo un uomo o una società non-capitalista. In ogni distinzione tra l'uomo primitivo e l'uomo civilizzato, usiamo come metro di giudizio i loro relativi accumuli di capitale e l'uso del capitale.

Una legge naturale viene derivata dall'osservazione dei modi della natura. La sua prima caratteristica è l'invariabilità — succede sempre così; non ci sono eccezioni. E poiché, in ogni cosa che fa, per quanto si ha una certa conoscenza del suo comportamento, in modo che non possiamo nemmeno concepire una deviazione, l'uomo cerca di soddisfare i suoi desideri con il minimo dispendio di lavoro, e potremmo definirla come una legge naturale del comportamento umano. Un secondo requisito di una legge naturale è che ci permette di prevedere cosa accadrà in futuro, e la legge si qualifica soprattutto su questo punto. Noi inventiamo ed usiamo gli elettrodomestici perché sappiamo che ogni casalinga è interessata a risparmiare lavoro; offriamo tangenti agli agenti perché siamo sempre alla ricerca di "qualcosa in cambio di niente", e se gli agenti accettano le tangenti, è perché preferiscono ottenere le loro soddisfazioni senza dispendio di lavoro. La nostra struttura dei prezzi è interamente basata su quella "legge della parsimonia".

In effetti, ogni teoria economica deve tener conto — e le dottrine sociali che prescindono da questa si dimostrano impraticabili — del caso in cui, per esempio, viene proposto che gli uomini vendano i loro prodotti a meno del costo di produzione, o a meno di quello che altri gli uomini sono disposti a pagare per essi, avremmo quindi quello che viene chiamato un "mercato nero". La nostra reazione immediata al concetto socialista secondo cui gli uomini lavoreranno con poca attenzione ai guadagni, è considerarlo senza alcun senso; gli umani non si comportano in questo modo.

Ora, la Società, il Governo e lo Stato sono istituzioni fatte dagli uomini, e deve essere dato per scontato che anche queste sono espressioni di questa legge del comportamento umano. Se in tutti i suoi compiti è sempre motivato da questa avversione al lavoro, perché dovremmo supporre che essa non svolga alcun ruolo nella sua organizzazione sociale e politica? Egli non subisce una mutazione, quando parliamo di società e politica; è ancora lo stesso uomo. Forse, dopo tutto, le sue istituzioni sono, in un modo o nell'altro, analoghe ai meccanismi di risparmio di lavoro. Ha più senso condurre un'indagine sulle sue istituzioni con una tale ipotesi piuttosto che iniziare a postulare l'idea che le sue istituzioni derivino da forze a lui esterne, forze che lo utilizzano come strumento, non come il creatore, come pensano i metafisici ed i socialisti.

In correlazione con questa "legge della parsimonia" c'è un'altra caratteristica costante dell'essere umano, che getta luce sulle sue istituzioni. E' il fatto che egli è l'unico animale i cui desideri non sono mai soddisfatti. Egli non evita il lavoro al solo scopo di rifuggire il lavoro stesso; non è pigro. Infatti, lo troviamo che investe ogni risparmio del lavoro in un nuovo desiderio, uno di cui difficilmente ne era a conoscenza prima che avesse un surplus di energia da mettervi a disposizione. Quando padroneggia l'arte di entrare in possesso dei mezzi di sussistenza e trova facile tale compito, comincia a pensare alle tovaglie ed alla musica insieme ai suoi pasti. La sua vita consiste in una salita costante verso altezze più elevate, fino a che vengono a volte chiamate lussi o soddisfazioni marginali, come libri, francobolli rari, baseball, e Beethoven. I desideri dell'uomo sono illimitati.

Ma ogni nuovo passo nella ricerca di una vita più piena deve essere preceduto da alcuni collegamenti per la messa in sicurezza di quelle cose di cui gode abitualmente, ed i lussi diventano necessità in proporzione alla facilità con cui può averli. Fin dall'inizio dei tempi, per quanto ne sappiamo, l'uomo è stato un risparmiatore di lavoro, un capitalista, non che avrebbe potuto accumulare energia ma che avrebbe potuto spenderla per risultati più grandi. E' per questo motivo, come vedremo, che la Società diventa il suo habitat naturale.

La "legge della parsimonia" non sostiene che gli uomini soddisfino sempre i loro desideri con il minimo sforzo; dice che cercano di farlo. L'ignoranza del più breve taglio, il mezzo più semplice, è la ragione del suo prendere la via più lunga. Prima che venisse a conoscenza dell'automobile, il proprietario del carro trainato da buoi doveva prendersi cura delle cose trasportate, ma è stata la sua avversione al lavoro che gli ha fatto inventare questo miglioramento primitivo rispetto ai piedi, ed è stato questo stesso stimolo che lo ha portato ad invetare l'automobile; la velocità è un'economia dello sforzo per la realizzazione dei risultati. Lo psicopatico ruba perché pensa che sia il modo più semplice per soddisfare i suoi desideri, ed il monopolista scaltro è colui che escogita modi per migliorare la sua situazione senza passare per lo sforzo che la concorrenza gli avrebbe imposto. Ogni crimine nel calendario, ogni male sociale, ogni imbroglio dei politici è riconducibile alla "legge della parsimonia". Così come ogni progresso nelle scienze e nelle arti.

E' al di là del bersaglio moralizzare su questa avversione al lavoro attraverso il lavoro. E' tanto amorale quanto i capelli sulla testa di un uomo. Ma se si guarda alla psicologia umana, si può trovare il germe del principio etico di questa legge comportamentale. Si scoprirà che il valore che la persona pone su se stessa è misurato in termini del lavoro che deve impiegare per soddisfare i suoi desideri. Il suo ego si espande o si contrae in proporzione al costo del lavoro della sua vita.

Così, uno schiavo, che conduce una vuota esistenza per i suoi sforzi, sviluppa un assetto mentale a quella tariffa salariale e acquista ciò che chiamiamo la psicologia da schiavo; cioè, non si considera di più di quello che ottiene. Dall'altra parte, il "pezzo grosso" tra i gangster ha una grande stima di se stesso, perché senza alcuna spesa di lavoro è in grado di vivere nel lusso. Le opinioni personali dello schiavo e del "pezzo grosso" sono condivise dai loro contemporanei, semplicemente perché le loro auto-valutazioni sono misurate analogamente. L'adulazione che noi accordiamo all'uomo opulento e il nostro godimento indiretto dei lussi del cinema evidenza il funzionamento della "legge della parsimonia"; non è tanto la nostra invidia che viene punzecchiata, poiché questa suscita in noi solo l'emulazione o il furto; è che ciò che desideriamo è stato acquisito senza la spesa di alcuno sforzo visibile; è il summum bonum.

Ciò premesso, un'economia gestita in modo da fornire un'abbondanza generale, un'economia di abbondanza, deve migliorare l'autostima o il morale di chi ne gode, mentre un'economia di scarsità ha l'effetto opposto; per dirla altrimenti, i prezzi bassi (o facilmente accessibili) inducono un aumento dei valori umani, mentre i prezzi elevati (in termini di spesa del lavoro) tendono a deprezzarli. Ma questa è un'altra questione. Il punto è che ci sono conseguenze morali alla "legge della parsimonia".

Qualsiasi altro attributo l'essere umano porta all'ordine sociale di cui egli è parte integrante, la sua volontà di vivere viene prima nella gerarchia; la voglia di vivere non è semplicemente aggrapparsi alla vita, ma è anche uno stimolo a migliorare la propria situazione e ad ampliare i propri orizzonti. Ciò è innato; il Nirvana, o la negazione del desiderio, è una caratteristica acquisita, che richiede molto esercizio della volontà. La voglia di vivere è accompagnata da mezzi e metodi di cui è anche costituita — la tendenza ad evitare il lavoro.

La società può essere spiegata da altre caratteristiche umane, come ad esempio il trucco metafisico dell'uomo, le sue aspirazioni culturali, e la sua voglia di compagnia. Ma queste sono variabili discutibili. Non vi è dubbio circa la persistenza e l'universalità degli attributi menzionati, e quindi devono essere considerati degli imperativi. In qualunque altro modo cerchiamo di spiegare la Società, Governo, e lo Stato, non possiamo ignorare "l'uomo economico".


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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