Leggiamo insieme: "I consumatori Americani hanno riacceso il settore dei prestiti a Dicembre. Il debito al consumo totale è salito ad un tasso annuale stagionalmente aggiustato del 9.3% da Novembre raggiungendo i $2.498 biliardi. Dietro a questo dato c'è stato l'aumento stagionalmente aggiustato del 11.8% del credito non-revolving, che include prestiti studenteschi e per auto. Il credito revolving, principalmente debito delle carte di credito, è salito del 4.1% a Dicembre rispetto al mese precedente."
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di David Howden
Le politiche che intraprese dalla FED alla fine del 2007 sono una forte dipartita dal vecchio modo di sviluppare la politica monetaria. In effetti, è difficile affermare che la FED sia ancora fedele alla tradizionale politica monetaria — intesa negli Stati Uniti come l'obiettivo di una bassa inflazione ed una volatilità della produzione appianata. Una nuova generazione di politiche monetarie indicate come "politiche quasi fiscali" è diventata la norma.
Le politiche della FED hanno un tocco fiscale per due motivi.
In primo luogo, la produzione e l'inflazione non sono più le principali preoccupazioni. La FED negli ultimi quattro anni ha inquadrato ogni riferimento all'inflazione in uno dei seguenti contesti:
- bassi livelli di inflazione nei prezzi che cancellano i timori inflazionistici al fine di perseguire politiche monetarie non ortodosse, o
- la minaccia della deflazione, che crea così il "bisogno" di un'espansione monetaria per scongiurare i suoi effetti negativi.
L'inflazione non è stato un interesse diretto, nel senso che il ruolo della FED è quello di controllarla. Invece, è stata considerata come un vincolo alle politiche della FED per perseguire altri fini.
Allo stesso modo, sono state accantonate le preoccupazioni per la stabilità della produzione. Gli economisti monetari (inclusi i funzionari della FED) hanno convenzionalmente considerato la politica monetaria come uno strumento per ridurre l'output gap. Durante i periodi di recessione, solo la giusta dose di espansione monetaria indurrebbe i datori di lavoro ad aumentare la produzione e ad assumere lavoratori. L'attenzione ora, tuttavia, ce l'hanno le banche affinché rimangano capitalizzate attraverso l'espansione monetaria. Non permettendo al debito cattivo sui bilanci delle banche di portarle al fallimento, la FED spera di scongiurare una crisi bancaria contagiosa. La FED pare meno interessata alla stabilità della produzione, e più a mantenere a galla le banche (che, è vero, i funzionari pensano che si tradurranno in lavoro).
Il secondo motivo per cui la FED si sta dedicando con decisione alle attività fiscali è che le sue politiche stanno colpendo direttamente le proprie finanze. La politica monetaria tradizionale lasciava il bilancio della FED intatto. Fino a questa recessione, la spiegazione da manuale di come la FED alterasse l'offerta di moneta era vera: comprava o vendeva bond del Tesoro, e l'offerta di denaro aumentava o diminuiva di conseguenza. Acquistando beni di minore qualità nella recessione, la FED ha messo in pericolo il proprio bilancio in nome del rafforzamento di quei membri privilegiati del sistema bancario.
Philipp Bagus ed io eravamo in un piccolo coro di economisti che hanno notato l'aspetto fiscale di queste nuove politiche monetarie quando hanno avuto inizio. Diversi anni fa abbiamo messo in evidenza i pericoli che tali strategie possano scatenare.[1] In particolare, ci siamo concentrati sul ruolo ormai compromesso del denaro come riserva di valore, non appena diminuì la qualità degli asset coperti dall'offerta di denaro (gli asset della FED). Vedemmo l'inflazione, in altre parole, come una minaccia incombente al di là del livello normale prefissato dalla FED. Abbiamo dato due ragioni.
In primo luogo, non appena la FED ha acquistato asset di bassa qualità per rafforzare il bilancio del sistema bancario, ha aumentato l'offerta della base monetaria di quasi $2 biliardi (o del 250%). La FED non ne è stata immediatamente preoccupata, poiché le pressioni inflazionistiche sembravano soggiogate. Inoltre, in futuro la posizione avrebbe potuto essere liquidata — la FED avrebbe potuto semplicemente rivendere gli asset acquistati (titoli garantiti da ipoteca e debito GSE) al settore bancario, prosciugando nel processo il denaro dalle riserve delle banche. In teoria, l'inflazione non sarebbe stata un problema.
Il problema che pochi presero in esame era semplice: cosa sarebbe successo se i nuovi asset della FED avessero perso di valore prima che fossero rivenduti al sistema bancario? E' stato commesso un errore di corrispondenza qualitativa. La FED ha acquistato asset di valore incerto e li ha pagati con asset a valore nominale fisso per definizione (riserve). L'eventuale perdita di valore di questi nuovi asset acquistati dalla FED si tradurrebbe in una impossibilità di riacquisto della nuova moneta data al sistema bancario. In altre parole, si paleseranno pressioni inflazionistiche se la FED realizza una perdita nei suoi asset (cosa con cui non ha avuto a che fare, in quanto sono rimasti in gran parte invenduti). In alternativa, per avere il quadro della situazione, le pressioni inflazionistiche possono accumularsi oggi sull'aspettativa che in futuro la FED dovrà affrontare una perdita nel suo patrimonio.
La seconda minaccia inflazionistica si presenta sottoforma di domanda insolita. Cosa succede se la FED va in bancarotta? Nonostante un istituto a cui vengono concessi diritti di monopolio sul denaro sia uno strano candidato per un'insolvenza, c'è un precedente, anche se principalmente in casi in cui esiste un currency mismatch (con il termine currency mismatch si identifca la situazione in cui la ricchezza netta di famiglie, banche, imprese e dell'operatore pubblico risulta sensibile alle variazioni del tasso di cambio, in quanto il valore delle attività denominate in valuta differisce sostanzialmente dal valore delle passività denominate in valuta, ndt) fra attivi e passivi della banca centrale.[2] Per fortuna per Ben Bernanke e la sua banda, tale discrepanza non affligge la FED. Né la FED ha molte passività indicizzate all'inflazione, un altro possesso che avrebbe potuto mettere in pericolo la sua solvibilità. Giusto per essere chiari, la FED ha cambiato le sue regole contabili circa un anno fa per garantire che i contabili non avrebbero dovuto preoccuparsi di insolvenze fastidiose.
Eppure, la FED è ancora al sicuro da una insolvenza? Non finché conserva asset deboli sui suoi libri.
La FED ha attualmente circa $800 miliardi di titoli garantiti da ipoteca inclusi nel suo patrimonio. A questo si aggiungono $100 miliardi di titoli di debito di agenzie federali, non tutti garantiti dal governo federale. Includete circa $35 miliardi di asset di AIG ancora sui libri, e la FED ha una possesso considerevole di asset indiscutibilmente di bassa qualità. (Con il declassamento del governo federale lo scorso anno, alcuni potrebbero dire che i bond del Tesoro non sono molto meglio.) Se il valore di questi asset discutibili diminuisce, non vi è alcuna garanzia automatica che le sue passività seguano tale calo. Il denaro si vende al valore nominale, sempre e ovunque. Il passivo della FED manterrà il suo valore nominale, mentre il suo attivo ha una grande possibilità di diminuire.
L'unico aggiustamento che la FED può operare è una riduzione del suo capitale. Con un rapporto di capitale del 2.4%, una piccola perdita nel suo attivo renderebbe il bilancio FED insolvente. Da notare che ciò avviene a prescindere dal modo in cui si registra la perdita, e quindi le modifiche alle regole contabili della FED riguardano solo superficialmente la sua solvibilità.
Il Tesoro è l'unica istituzione che può salvare la FED quando avrà bisogno di essere ricapitalizzata. Saremmo negligenti a pensare che un Congresso che finanzia la FED, invece di fare la cresta sui suoi guadagni, rimarrebbe uno spettatore passivo negli affari monetari Americani. Vi è un chiaro incentivo per il Congresso affinché inizi a chiedere dei favori alla FED, il che significa — se altri paesi possono essere una guida di quale sia il contenuto di tali richieste del governo alla banca centrale — elevati livelli di stampa di denaro ed inflazione.
Per fortuna non siamo più gli unici che parlano di questo problema. Un nuovo documento del FMI analizza questo stesso problema e conclude che
- Sì, le politiche quasi fiscali possono essere altamente inflazioniste in quanto le banche centrali non possono rilassarsi sulle loro posizioni, ma
- l'autorità fiscale (cioè, il Tesoro) può venire in loro soccorso per aiutarle ad agire in questo modo.[Scarica il PDF]
Quello in cui non riescono a focalizzarsi gli autori è cosa succede quando la banca centrale diventa esplicitamente una responsabilità del Tesoro e dipendente dai suoi finanziamenti per operare. Potremmo semplicemente scoprirlo, se la FED continua le sue politiche di acquisto di asset di bassa qualità dal sistema bancario per stabilizzarlo. Per quanto mi riguarda preferisco lasciare tale questione alla teoria — e non metterla in pratica.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
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Note
[1] Consultare "Can the Fed Successfully Exit," "The Insolvency of the Fed," e "ECB Qualitative Easing."[Scarica il PDF]
[2] Consultare "Iceland's Banking Crisis: The Meltdown of an Interventionist Financial System," e Deep Freeze: Iceland's Economic Collapse.
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