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venerdì 9 settembre 2011
La Psicologia della Classe Politica
"Facendo riferimento ad uno Stato fondato in un qualsiasi luogo, facendo riferimento alla sua storia in un qualsiasi momento, è impossibile per chiunque differenziare le attività dei suoi fondatori, dei suoi amministratori e dei suoi beneficiari da quelle di una classe criminale professionista." ~ Albert Jay Nock, Our Enemy the State
[Out of Step (1962). Un file audio MP3 di questo articolo, narrato da Colin Hussey, è disponibile per il download.]
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di Frank Chodorov
E' una grave esagerazione dire che tutti i politici sono "deviati". La percentuale di disonestà — l'uso spregiativo con cui si fa uso di tale parola — non è maggiore tra coloro che vanno in politica rispetto a mercanti, dottori, o agricoltori. Suppongo che i funzionari delle corporazioni siano probabilmente più arrendevoli alla tentazione di dollari facili rispetto ai funzionari che posseggono una carica ufficiale, semplicemente perché solo gli azionisti ne sono influenzati e probabilmente non farebbero storie su peculati minori se entrano regolarmente in possesso dei loro dividendi. Dall'altro canto, se un giornalista agguanta la notizia che una parente del funzionario pubblico abbia accettato una pelliccia derivata da una tassa criminale, i successivi titoli dei giornali daranno l'impressione che non ci si possa fidare di nessuno nella vita pubblica con un corposo conto in banca. Ciò non è vero; si può farlo senza dubbio.
La parola "deviato" è applicabile a tutti i politici in un senso completamente differente, ma è un senso con cui questa parola non è stata mai usata. Voglio dire che è semplicemente impossibile per qualcuno immerso nel gioco politico pensare normalmente o "chiaramanete" — supponendo che la mente non-politica possa essere così descritta. Se accettiamo come normali i processi di pensiero di coloro che ci spendono una vita nel mercato — lo stenografo, il banchiere, o il redattore — allora le tergiversazioni della mente politica devono essere considerate anormali o "deviate".
Arrivando al punto, la psicologia dei politici è ovviamente abbastanza differente rispetto a quella del produttore di tutti i giorni, ed è questa differenza che dovrebbe essere esplorata se si vuole comprendere la politica. Noi Americani, che parliamo così tanto di affari politici, non sapremo mai quello di cui stiamo parlando finché non prendiamo in considerazione il fenomeno della psicologia politica.
Per illustrare cosa intendo e non invocare paragoni insidiosi, dobbiamo presumere che ci sia una psicologia politica. Diamo per scontato che il delinquente recidivo abbia una mentalità "contorta", supponendo, ovviamente, che noi che siamo timorosi di violare la legge siamo totalmente sani. Allo stesso modo, dovremmo valutare le contraddizioni e le inconsistenze del pensiero politico come un azzardo professionale. Finché non lo facciamo, o finché la psicologia non avanza un'analisi precisa della mente politica, non saremmo mai in grado di trovare un senso alle stranezze dell'azione politica, e l'aria politica in cui siamo obbligati a vivere continuerà ad essere pregna di confusione.
Credo che lo studio psicologico suggerito dovrebbe iniziare con la premessa che la mente politica sia una caratteristica acquisita. Proprio come non c'è alcuna prova di una mentalità criminale intrinseca, così dobbiamo presumere che il politico era abbastanza "normale" prima che iniziasse a fare politica. In entrmabi i casi, la condizione ambiantale è la causa principale, sebbene si possa insinuare la tesi secondo cui sia il politico che il criminale abbiano iniziato la vita con una predisposizione per i loro rispettivi modelli di vita.
Così, la psicologia deve dare uno sguardo alla scienza politica e chiedersi: qual'è il pensiero nel mondo che produce la mentalità in questione? La risposta è ovvia. Il mondo gira intorno al fare ed imporre le leggi — nient'altro. Il cittadino ordinario, che è considerato normale semplicemente perché è nella maggioranza, vive dentro la legge. Il criminale vìola la legge e vive al di fuori di essa. Il politco è differente poiché la sua struttura di pensiero è modellata dietro la legge. Questi tre ambienti sono distinguibili in relazione alla legge; le abitudini mentali acquisite in ogni ambiente sono necessariamente indigene tra di loro.
E' sicuro che tutte e tre le categorie di persone hanno un comune denominatore: la necessità di guadagnarsi da vivere. Questo è il punto di partenza di tutti gli sforzi umani. La maggior parte di noi, ovviamente, è destinata a guadagnarsi da vivere producendo beni e servizi, e deve pertanto rispettare le regole del mercato. Non siamo preoccupati della legge, tranne se favorisce o sfavorisce il nostro scopo principale. Siamo inclini a fare aggiustamenti — vivere entro la legge — semplicemente perché è il modo più semplice per andare d'accordo. E da questi aggiustamenti sviluppiamo certi modelli di pensiero convenienti, o regole di atteggiamento, che ci sembrano essere "principi" immutabili.
Per esempio, noi del gruppo "normale" dichiariamo che "l'onestà è la migliore politica". Forse lo è, forse non lo è, ma l'esperienza ci dice che se pratichiamo abitualmente la disonestà perdiamo il favore dei nostri cncittadini e guadagnarsi da vivere diviene più difficile. Lo scopo del macellaio, del panettiere e del fabbricatore di candelieri è di prendere di più dalla vita, e sebbene la tendenza è quella di cavarsela con la minore spesa in lavoro, la competitività del mondo in cui operano li obbliga a dare tanto quanto ricevono, ed è da questa necessità che viene il sopracitato "principio".
Nel guadagnarsi da vivere al di fuori della legge — il mondo criminale — prendono forma altri "principi". Per la mente criminale, il "bene" più alto è l'acquisizione della proprietà delle altre persone cercando di non essere arrestato. Pertanto, l'aristocratico in questo mondo è il capo di una folla o di un'associazione, che opera sotto copertura della protezione politica; sebbene in realtà sia solo un borseggiatore, raggiunge lo status di "pezzo grosso" a causa del minimo rischio che prende. Così, si potrebbe dire che il primo "principio" del mondo criminale è "cavarsela". E, dovrebbe essere notato, che il criminale non trova alcuna differenza morale tra il suo modo di guadagnarsi da vivere e quello del cittadino ordinario o del politico; per lui tutto l'esercizio d'impresa è un "racket", con la sola differenza che alcune forme di "racket" sono legali ed altre no. Ecco come pensa.
Alcuni anni fà un'osservazione accidentale su un banale incidente mi ha dato da pensare sulla mente politica. Stavo in una macchina guidata da un capitano di polizia, in abiti civili, e dal momento che avevamo fretta egli prestò scarsa attenzione al codice della strada. Due tirapiedi della legge si accostarono a noi per fare il loro compito e da lì ogni volta che penso al mondo dietro la legge mi viene in mente il capitano che mostra il suo distintivo. La deferenza mostrata al distintivo, anche se i vigili urbani erano sotto la giurisdizione di un altro stato, indicava una tacita comprensione tra i poliziotti che fa riferimento ad una consapevolezza di classe.
Cosa differenzia il mondo dietro la legge dagli altri due? Semplicemente questo, che è interessato interamente all'acquisizione di potere sulle persone, criminali oppure ordinarie; il suo solo interesse è l'esercizio del monopolio della coercizione di cui gode. Noi che siamo dall'altra parte della barricata parliamo del governo — il nome che diamo a quel mondo — come se fosse un servizio specializzato, come quello del medico o del negoziante al dettaglio. Non lo è. Nessuno dei serivizi che compone il nostro tipo di mondo gode della prerogativa di regolare gli altri; forniamo sia un servizio di un certo tipo o ne soffriamo le conseguenze. Il governo, dall'altra parte, è completamente al di fuori del campo competitivo e non prospera in proporzione al servizio che fornisce ma in proporzione al potere che esercita.
Di conseguenza, l'investigazione psicologica proposta si deve applicare ad uno studio sulla natura del potere politico in modo da accertarsi di come il suo esercizio influisca sul pensiero di coloro che lo brandiscono. Cosa crea quel peculiare comportamento comune tra lo sceriffo di contea ed il funzionario nazionale? La psicologia potrebbe senza dubbio trovare un nome per il comportamento — suggerirei "complesso di potere" — ma nel frattempo potremmo descriverlo come una fissazione: il "bene" supeirore è la regolamentazione, il controllo ed il dominio. Il "principio" che si evolve da questo comportamento è che la "legge è suprema", ovvero che coloro che fanno ed impongono la legge sono supremi.
Noi della struttura di pensiero "normale" non sappiamo cosa fare semplicemente perché non facciamo sconti per questo comportamento. Ci aspettiamo un governo gestito come un'impresa — come la TVA o l'ufficio postale — che venga gestito efficientemente, senza un deficit. Ma l'efficienza in un'impresa pubblica non è il riflesso di un'organizzazione gestita secondo profitti/perdite; si ripresenta alle urne. Siamo inclini ad applicare le teorie economiche alle operazioni del governo; ma la sola economia "sensata" che un politico conosce è quella di rimanere in carica oppure farsi eleggere. Un cittadino produttivo sa che vivere oltre i propri guadagni è una atto di bancarotta; il governo, che ha un monopolio sulla produzione di denaro, non può andare in bancarotta e pertanto è tranquillo quando finanzia a deficit. L'elettore pensa che vota per un principio o una politica; il politico sa meglio.
In breve, il modello di pensiero dietro la legge è differente da quello che scaturisce dal mondo "normale" dei cittadini rispettosi della legge, o dal mondo "anormale" dei criminali. Potrebbe o non potrebbe essere psicopatico, ma è diverso.
Lo piscologo troverebbe sicuramente un numero di gradazioni e variazioni di questo "complesso di potere". Proprio come il ladro meschino ed il contraffattore sono su piani mentali differenti, sebbene la loro considerazione della vita è simile, così c'è una differenza marcata negli atteggiamenti dell'ispettore della dogana e del governatore di stato. Forse la differenza è commisurata al livello di potere esercitato da ognuno. Ma, sono incline a credere che i processi di pensiero del burocrate e del funzionario eletto siano così distinti nella tipologia da costituire una classificazione più grande.
La prima cosa che colpisce quando si viene a contatto con un funzionario nominato è la sua peculiare mescolanza di arroganza e servilismo. Verso il suo superiore, il suo benefattore, mostra una deferenza che non è diversa da quella di un lacchè, mentre verso il popolo il suo atteggiamento è altezzoso e condiscendente; egli è il governo, mentre loro sono il popolo. Forse una comprensione inconscia della sua totale inutilità, della sua posizione parassitaria nella vita, causa al burocrate di atteggiarsi a pallone gonfiato. Ad ogni modo, è una caratteristica inequivocabile di tutti i burocrati, perfino dei modesti addetti alla reception che selezionano quelli fuori nel mondo a cui può essere permesso di entrare nel santuario del loro superiore.
Il funzionario eletto, dall'altro lato, è un pò più complesso. Spesso la sua mente funzionerà quasi come quella dei suoi elettori e sembrerà assolutamente "normale". Forse è così perché la sua dipendenza dai voti non lo separa completamente dal mondo entro la legge; è obbligato a mantenere un tocco con esso. Tuttavia, se esaminate il suo pensiero più da vicino scoprirete che lui ed i suoi elettori sono mondi differenti. Pensano che sia un uomo che rappresenti i loro interessi, mentre sa nel suo cuore che il suo interesse è essere eletto, o rieletto, e per questo fine trova conveniente che essi pensino che lui sia uno di loro; pensa solo a riempirsi le tasche, sempre.
In ogni caso, questo è un soggetto che alcuni psicologi intraprendenti dovrebbero investigare. Renderebbero al mondo un grande favore se scavassero nella mente politica e troverebbero delle risposte.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
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