Bibliografia

mercoledì 21 settembre 2011

La Fallacia della Finestra Rotta

Siamo circondati dalle finestre rotte. Il governo ne aggiusta una e se ne rompono due. Trasferisce ricchezza a se stesso perché come sosteneva Keynes nel 1932: "I funzionari pubblici hanno una lunga vista ed una saggezza collettiva, differentemente dagli imprenditori privati." E con questa scusa si legittima un'ente coercitivo ad intervenire nei mercati per distorceli a proprio favore; cosa che è rappresentata "adeguatamente" dal sovvenzionamento per miliardi e miliardi di dollari di lavori decisi dal governo. Produttivi? Improduttivi? Non importa, siamo nel mondo delle favole di Keynes. Mentre il settore privato tenta di rialzarsi, interviene quello pubblico con lo "stimolo" per allargare l'ombra dello stato invece che ridurla, smantellando quel poco di produttività che fiocamente si stava facendo largo.
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di Robert P. Murphy


Gli economisti di libero mercato citano la fallacia della finestra rotta ogni qual volta qualcuno suppone che un atto distruttivo, un disastro naturale o una catastrofe artificiale, possano, paradossalmente, costituire  ”buona cosa per l’economia”. Il riferimento è ad una lezione classica fornita dall’economista Frédéric Bastiat nel 1850.

Specialmente dopo l’apparizione di Krugman alla CNN e la conseguente discussione delle virtù di una finta invasione aliena, i libertari hanno avuto occasione addebitargli l’errore logico in questione. La cosiddetta Sinistra Progressista l’ha respinta, sostenenendo l’incomprensione, nei critici di Krugman, di ciò che Bastiaton voleva dire veramente.

Nell’attuale articolo, rivedremo la lezione originale dell’economista francese e l’applicheremo alle dispute moderne sui possibili benefici degli eventi distruttivi.



La Favola di Bastiat

Citiamo nella sua estensione l’esempio d’apertura di Bastiat dal suo lavoro, That Which Is Seen, and That Which Is Not Seen:

Siete mai stati testimoni del furore del buon borghese Giacomo Buonuomo, quando il suo terribile figliolo sia riuscito a rompere una finestra di vetro? Se avete assistito a questo spettacolo, sicuramente avete anche constatato come tutti i presenti, fossero anche trenta, sembrino essersi messi d’accordo per offrire al proprietario una identica consolazione:

Ora, in questa formula di condoglianza vi è tutta una teoria, che è meglio sorprendere in flagranza di reato; cosa in questo caso semplicissima, dal momento che questa teoria è esattamente la stessa, per sfortuna, che sostiene la maggior parte delle nostre istituzioni economiche. Supponendo che siano necessari sei franchi per riparare il danno, se si vuol dire che l’incidente fa arrivare all’industria del vetro sei franchi, che incentiva la detta industria per sei franchi, io sono d’accordo, non ho nulla da contestare, il ragionamento fila. Il vetraio viene, fa il necessario, incassa sei franchi, si sfregherà le mani e benedirà in cuor suo il ragazzino terribile. Questo è quello che si vede.

Ma se, per via deduttiva, si arrivasse a concludere, come si fa troppo spesso, che è bene che si rompano i vetri, che ciò fa circolare il denaro, che ne risulta un incentivo per l’industria in generale, io sarei obbligato a gridare: ‘alt! La vostra teoria si ferma a quello che si vede e non tiene conto di quello che non si vede. Non si vede che, poiché il nostro borghese ha speso sei franchi in una cosa, non potrà più spenderli in un’altra. Non si vede che, se non avesse avuto dei vetri da sostituire, egli avrebbe sostituito, per esempio, le sue scarpe scalcagnate, oppure avrebbe messo un libro in più nella sua biblioteca. In breve, avrebbe fatto dei suoi sei franchi un uso qualunque, che invece non farà’.

Facciamo perciò il conto per l’industria in generale. Poiché il vetro è rotto, l’industria vetraria è incentivata nella misura di sei franchi; è quello che si vede. Se il vetro non fosse stato rotto, l’industria delle scarpe (o qualunque altra) sarebbe stata incentivata nella misura di sei franchi; è quello che non si vede. E se si prendesse in considerazione quello che non si vede perché è un fatto negativo, e quello che si vede, perché è un fatto positivo, si comprenderebbe bene che non vi è alcun interesse per l’industria in generale, o per l’insieme del lavoro nazionale, a che dei vetri si rompano o non si rompano.

Ma se, per via deduttiva, si arrivasse a concludere, come si fa troppo spesso, che è bene che si rompano i vetri, che ciò fa circolare il denaro, che ne risulta un incentivo per l’industria in generale, io sarei obbligato a gridare: ‘alt! La vostra teoria si ferma a quello che si vede e non tiene conto di quello che non si vede. Non si vede che, poiché il nostro borghese ha speso sei franchi in una cosa, non potrà più spenderli in un’altra. Non si vede che, se non avesse avuto dei vetri da sostituire, egli avrebbe sostituito, per esempio, le sue scarpe scalcagnate, oppure avrebbe messo un libro in più nella sua biblioteca. In breve, avrebbe fatto dei suoi sei franchi un uso qualunque, che invece non farà’. Facciamo perciò il conto per l’industria in generale. Poiché il vetro è rotto, l’industria vetraria è incentivata nella misura di sei franchi; è quello che si vede. Se il vetro non fosse stato rotto, l’industria delle scarpe (o qualunque altra) sarebbe stata incentivata nella misura di sei franchi; è quello che non si vede. E se si prendesse in considerazione quello che non si vede perché è un fatto negativo, e quello che si vede, perché è un fatto positivo, si comprenderebbe bene che non vi è alcun interesse per l’industria in generale, o per l’insieme del lavoro nazionale, a che dei vetri si rompano o non si rompano.

Ci sono due elementi importanti nell’analisi di Bastiat: 

  1. l’ipotesi di quello che chiamiamo ora “crowding out” o, che è la stessa cosa, la negazione che ci siano “risorse inattive”
  2. la distinzione tra ricchezza ed occupazione. Qui sotto le analizzeremo entrambe.


Bastiat Suppone la “Piena Occupazione”, vale a dire, Niente “Risorse Inattive”

Nel raggiungere la conclusione  (il teppista non conferisce alcun beneficio economico alla comunità) Bastiat, per prima cosa, stabilisce che non c’è alcuno stimolo netto per l’occupazione o le entrate. E’ vero, le entrate del vetraio sono più alte. Questo è quello che si vede. Tuttavia, Bastiat sostiene che che questo innegabile vantaggio per il vetraio è perfettamente controbilanciato da una riduzione delle entrate di qualcun altro nella comunità, che ora sta guadagnando meno a causa del teppista.

Nello specifico, si suppone che il negoziante avrebbe speso i suoi sei franchi in qualche modo e che il ragazzo lo abbia solamente forzato a spendere il denaro nel riparare la finestra rotta. E’ sbagliato vedere l’occupazione del vetraio come un guadagno netto per l’economia, perché il negoziante (in assenza della finestra rotta) avrebbe potuto spendere quei sei franchi per riparare le sue scarpe, per esempio. In questo caso, il guadagno del vetraio è esattamente compensato dalla perdita del calzolaio.

Così, se presumiamo che i lavoratori nella comunità sarebbero stati “pienamente impiegati” se il ragazzo non avesse rotto la finestra, allora è chiaro che il ragazzo non sta “creando lavori” o “stimolando le entrate totali”. Tutto quello che sta facendo è dare più lavoro/entrate al vetraio, a spese del lavoro/entrate di altre persone nella comunità.




Ricchezza contro Entrate/Occupazione

A questo punto, qualcuno potrebbe pensare che l’intero episodio sia una copertura. Certamente, l’atto vandalico del ragazzo non aiuta, ma come può peggiorare le cose? Bastiat sta implicitamente dicendo che è meglio dare lavoro al calzolaio, piuttosto che al vetraio? Da dove scaturisce questo giudizio?

La risposta coinvolge la distinzione tra la ricchezza rispetto alle entrate o all’occupazione. Proprio perché le “entrate totali” o “l’occupazione totale” o il “PIL totale” non sono cambiati per l’azione del ragazzo — è solo stata rearrangiata la composizione — ciò non vuol dire che il giovane teppista non abbia oggettivamente reso la comunità più povera.

Nello specifico, distruggendo la finestra, il ragazzo ha reso necessario la dedizione comunitaria di risorse scarse nel riportare solamente la quantità tangibile di ricchezza al suo stato originale. Tuttavia, se il ragazzo non avesse rotto la finestra, allora il lavoro e gli altri materiali sarebbero stati usati (supponendo la “piena occupazione” in entrambi gli scenari) per far crescere la ricchezza tangibile della comunità.

In sostanza, Bastiat sta dicendo che il ragazzo non ha affatto stimolato l’occupazione totale o le entrate; le ha solamente spostate da un settore ad un altro. Ma una volta che il fatto è accaduto, la comunità avrà meno ricchezza a seguito dell’atto vandalico del ragazzo. Nello specifico, ci saranno guadagni e perdite nel resto della comunità — i vetrai avranno più ricchezza mentre il calzolaio ne avrà meno — ma il negoziante è decisamente più povero. Piuttosto che avere una finestra ed un nuovo paio di scarpe, ora avrà solo una finestra.

Ironicamente, ci sono voluti diversi paragrafi di analisi economica per arrivare a quello che il buonsenso ci ha sempre detto: quando un teppista rompe una vetrina di un negoziante (ed il negoziante è quello che deve pagare per ripararla), il negoziante viene reso più povero dall’ammontare dei costi per ripagarla. L’azione del ragazzo è distruttiva; ha reso la comunità più povera; non dovrebbe essere per niente acclamato. Duh.




Il Flirt dei Keynesiani con i Disastri

Alla luce della recente burla condotta a spese di Paul Krugman, dovremmo procedere con attenzione. In tutta onestà, lasciate che sia chiaro: Paul Krugman, in realtà, non ha mai desiderato ardentemente un’invasione aliena, nemmeno ha detto che voleva un’altra guerra mondiale.

Tuttavia, ha scritto cose che, comprensibilmente, danno alla sua critica questa impressione. Ecco perché molti libertari sono stati parzialmente sconvolti dai continui riferimenti alla fallacia della finestra rotta. Ecco le due citazioni maggiormente criticate di Krugman (in aggiunta all’analisi dell’invasione aliena discussa in precedenza):



La vita e l’economia vanno avanti; quindi credo che dovremmo parlare dell’impatto economico dell’incubo di Fukushima.

Una serie di impatti riguardano lo sconvolgimento delle catene dell’offerta…

Ma percepisco preoccupazioni sugli impatti finanziari. Il Giappone dovrà chiaramente spendere centinaia di miliardi (dollari, non yen) per contenere i danni e riprendersi mentre le entrate diminuiscono grazie all’impatto economico diretto. Così il Giappone diminuirà l’esportazione di capitali, forse importandone addiritturaa, per un determinato periodo almeno. E ciò, mentre la storia andrà avanti, condurrà a tassi d’interesse in crescita.

Che succederà? La storia dei tassi d’interesse in aumento sarebbe giusta in tempi normali. Ma non siamo in tempi normali.

Siamo — ancora — in una trappola della liquidità, con i tassi a breve termine in su rispetto alla politica zero lower bound (ndt: quando, cioè, i tassi nominali non possono scendere al di sotto dello zero). [...]

Così i prestiti del governo non devono scaturire a spese dell’investimento privato, guidando in su i tassi d’interesse; invece, esso mobilita solamente alcuni di quei risparmi desiderati ma non realizzati.

E sì, ciò vuol dire che la catastrofe nucleare potrebbe finire per essere espansionistica, se non per il Giappone come minimo per il mondo intero. Se ciò risulta folle, beh, l’economia della trappola della liquidità ci dice proprio questo — ricordate, la Seconda Guerra Mondiale terminò la Grande Depressione (Paul Krugman, 15 Marzo 2011; enfasi aggiunta).



E quest’altra:


Sembra quasi cattivo gusto parlare di dollari e centesimi dopo un omicidio di massa. Ciononostante, dobbiamo interrogarci sulle conseguenze dell’orrore di Martedì.

Per quanto possa sembrare orribile una cosa simile, l’attacco terroristico — come il giorno dell’infamia, che mise fine alla Grande Depressione — potrebbe persino avere un qualche aspetto economico positivo [...].

Per quanto riguarda l’impatto diretto sull’economia: la base produttiva della nazione non è stata seriamente danneggiata. La nostra economia è così sviluppata che le scene di distruzione, incredibili come sono, rappresentano solo una puntura di spillo [...]. Nessuno ha ancora stimato in dollari i danni, ma sarei sorpreso se le perdite fossero più dello 0.1% della ricchezza degli Stati Uniti — paragonabili agli effetti materiali di un grande terremoto o uragano.

L’ago della bilancia qui è la fiducia [...]. Per un paio di settimane gli Americani terrificati potrebbero non comprare nient’altro che beni di prima necessità. Ma, passato lo shock, è difficile credere che la spesa al consumo ne resti influenzata.

Gli investitori abbandoneranno le azioni ed i bond corporativi per asset più sicuri? Una simile reazione non avrebbe molto senso — dopo tutto, i terroristi non faranno saltare l’S.&P. 500 [...]. Nel momento in cui i mercati riapriranno, il peggio del panico sarà probabilmente alle nostre spalle.

Così l’impatto economico diretto degli attacchi non sarà tanto terribile. E ci saranno, potenzialmente, due effetti favorevoli.

Primo, la forza trainante, dietro il rallentamento economico, è collassata, nel business degli investimenti. Ora, tutto d’un tratto, abbiamo bisogno di alcuni nuovi edifici. Come ho già indicato, la distruzione non è così influente se paragonata all’economia ma la ricostruzione genererà come minimo un certo incremento nella spesa.

Secondo, l’attacco apre la porta ad alcune misure di lotta contro la recessione. Nelle ultime settimane c’è stato un dibattito infuocato tra i liberals sull0pportunità di invocare la classica risposta Keynesiana al rallentamento economico, cioè uno stimolo temporaneo attrverso la spesa pubblica. [...] Ora sembra avremo un aumento rapido stimolo della spesa, nonostante le tragiche ragioni (Paul Krugman, 14 Settembre 2001; enfasi aggiunta).

L’importanza della favola di Bastiat per l’analisi di Krugman (tipicamente Keynesiana) dovrebbe essere chiara. C’è solo un ultimo punto da sistemare nel cricicare i “lati positivi” di finestre rotte, tsunami ed attacchi terroristici.




E l’Occupazione?

Come ho detto prima, i Keynesiani hanno ultimamente lanciato un controattacco: secondo alcuni di loro, le critiche libertarie/conservatrici ignorano la distinzione tra ricchezza e occupazione e presumono, accidentalmente, vi sia piena occupazione (cioè nessuna “risorsa inattiva”).

Gli spettatori simpatizzanti sono intervenuti nel dibattito: a detta loro, Bastiat avrebbe potuto sbagliarsi. Dopo tutto, supponiamo che un uragano arrivi e colpisca una comunità che inizialmente aveva un gran numero di lavoratori edili disoccupati; chi negherebbe che in realtà l’uragano può (sotto le circostanze opportune) condurre a più occupazione e ad un maggiore “prodotto interno lordo” rispetto a quello misurato attualmente?

A questo punto del discorso, credo vi siano due risposte principali.

In primo luogo, dobbiamo chiederci “perché ci sono così tante ‘risorse inattive’?“ Se si scopre che la colpa è delle politiche pubbliche delle decisioni della banca centrale — e non di un’improvvisa riluttanza delle persone a “spendere abbastanza” — allora le spese forzate (dovute ad un disastro naturale o ad un attacco terroristico) in realtà non aggiusteranno il mercato del lavoro. Misteriosamente, l’economia diventerà immediatamente “peggiore di quello che pensavamo”, persino alla luce della nuova spesa; la disoccupazione rimarrà ancora alta (questo è quello che è accaduto con il pacchetto di stimolo di Obama).

Secondo, possiamo prendere la critica di petto. Supponiamo che, in assenza di un uragano (attacco terroristico, tsunami, invasione aliena, ecc.), le persone in una comunità lavorerebbero meno ore e che il PIL misurato sia inferiore; avremmo quindi un “lato positivo” dal disastro che, come minimo, potrebbe compensare parzialmente l’innegabile perdita di ricchezza?

Per esempio, avrebbe senso dire:
 

Certo, gli alieni sono arrivati ed hanno fatto saltare qualche edificio e ci hanno forzato ad usare alcuni missili cruise ed un sacco di carburante per i jet per respingerli ma almeno abbiamo stimolato la nostra economia depressa; quindi non dobbiamo confrontare le perdite da un lato ed il loro bilanciamento rispetto ai guadagni nell’attività economica dall’altro, per verificare se gli alieni hanno apportato un beneficio netto”?

La risposta standard del libero mercato a questa questione è “no; non ha senso parlare in questi termini”. Lo scopo dell’attività economica è produrre beni di consumo e servizi. Il lavoro è un male necessario, non un fine in sé. Come affermò Henry Hazlitt:
 

Non c’è magìa nell’assumere chiunque, persino (o in special modo) nella più primitiva economia. La piena occupazione — quella vera; lavori lunghi e faticosi che rompono la schiena — è caratteristica delle nazioni più arretrate industrialmente.

Per adottare un’altra analogia di Hazlitt, supponiamo che Jim veda il suo vicino seduto in una sedia da salotto, mentre sorseggia un martini di Sabato sera. Jim decide allora di appiccare fuoco alla casa del vicino. Ovviamente, il vicino salta in piedi e “spende” (diciamo così) l’ora successiva a spegnere il fuoco ed a minimizzare i danni come meglio può. Qualcuno sano di mente, in questo scenario, potrebbe dire: “Sicuro, Jim ha causato una certa distruzione fisica della ricchezza e questa non è una cosa buona; tuttavia, non perdiamo di vista l’aspetto positivo: il vicino ha usato più lavoro di quanto sarebbe stato altrimenti”?

Lo stesso principio opera ad un livello comune, quando si parla di uragani, attacchi terroristici ed invasioni aliene. La sola differenza è questa: individui specifici potrebbero in realtà beneficiarne — tuttavia l’intera comunità ne uscirebbe comunque più povera. Per esempio, se una nave spaziale aliena fa saltare in aria un’industria (deserta) e poi se ne va, è possibile che alcune persone (come i lavoratori edili ed i loro fornitori) ne traggano beneficio, al netto. Adopereranno volentieri il loro tempo libero in cambio dei salari che ricevono per ricostruire l’industria.

Tuttavia, ci sono altre persone nella comunità che subiscono ingenti perdite: non solo si trovano “fuori” dal settore industriale ma devono impiegare la loro ricchezza restante per indurre i lavoratori edili ed altre persone a ricostruire.

Quando si riconoscono i costi ed i benefici a livello della società, il fatto che centinaia di lavoratori debbano cedere ore del loro tempo e che i proprietari di mattoni, coperture, calcestruzzo, ecc. debbano cedere parte della loro proprietà, rappresenta un costo dell’attacco alieno. Non sono benefici.

E’ difficile vederlo, perché le persone coinvolte considerano questo un “incremento della domanda” per i loro servizi e prodotti. I lavoratori edili sono felici di recarsi al lavoro ogni giorni alle 8 di mattina piuttosto che dormire, perché ora “non sono disocuppati”.

Tuttavia, approfondndo ulteriormente l’analisi, chiediamoci perché è un bene avere un lavoro; la risposta non è  ”è bene avere un lavoro per rimanere in forma e attivi”. La risposta, ovviamente, sta nell’incentivo retributivo, con cui possono comprare altri beni e servizi.




Conclusione

Abbiamo completato il giro. I Keynesiani presumono un “impantanamento” dell’economia di mercato  in una “trappola della liquidità”, in cui non abbiamo guadagni vantaggiosi reciproci dal commercio. Il beneficio possibile di invasioni aliene e  attacchi terroristici, secondo questo punto di vista, deriva dalla capacità di far ripartire il settore privato, smuovendolo dal suo stato depressivo.

Tuttavia, per quegli economisti che rigettano tale ipotesi e ritengono i mercati capaci di usare risorse efficacemente se non ostacolati, tutto questo non è affatto positivo; anche se possiamo immaginare situazioni in cui eventi del genere conferiscano benefici a gruppi particolari, la società viene sempre resa più povera, perché la necessità di applicare più forza lavoro — al fine di ritornare allo status precedente in termini di ricchezza tangibile — è un costo dell’episodio, non un beneficio. Restando le altre cose uguali, stiamo meglio quando dobbiamo lavorare di meno per ottenere un dato livello di ricchezza o flusso di consumo.



[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


4 commenti:

  1. Semplicemente la teoria implica che per creare una "forte fase di progresso" bisogna che si verifichi un "forte momento di recesso".

    Ma questo non fa parte del ciclo di "corsi e ricorsi?" dov'è la notizia? Certo l'europa è cresciuta molto dopo la peste, ma c'è stata la peste che ha spazzato via più di 1/3 della popolazione della popolazione...

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  2. "Boom-bust, boom-bust, boom-bust", e vedi un sorriso a 32 denti che ti accoglie e ti porge una laurea honoris causa. (tratto da "Vico: visto e rivisto".)

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  3. E pensare che questi "geni" hanno preso un nobel o una cattedra universitaria per queste amenità e che per ripetere queste amenità vengono riveriti da quei cazzoni di leader politici ... ora pure i comunisti illusi li venerano... un tizio su youtube (su un canto del coro dell'armata rossa) mi ha fatto le lodi di Roubini e ha biasimato chi se la prende con il comunismo quando "...un famoso economista americano ha detto che Marx aveva ragione, pensa lui aveva previsto la crisi già nel 2006..."

    Non ho parole. Per San Ludwig dovre andremo a finire?

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  4. Il tutto coronato dal suo compare, Engels, che gestiva un'industria a Manchester. Ma questo ovviamente non lo diciamo. Poi vorrei vederli questi sedicenti Marxisti parlare di "lavoro sociale" nei confronti dell'ospedale dell'Aquila o di tutte quelle strutture costruite a cazzo di cane, ma valutate secondo la cazzata del "lavoro sociale" usato come metro di giudizio.

    Tanto vale assistere ad una dotta dissertazione sull'anima da parte di un gruppo di zombie.

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