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domenica 7 agosto 2011

La Nazionalizzazione del Credito? #2



In Notes and Recollections, Mises rivelò che inetndeva includere questo saggio — scritto nel 1926 — nell'edizione tedesca originale di Critique of Interventionism (1929). Fu lasciato fuori da quel volume per un errore editoriale, ma fu incluso nelle edizioni successive. Un file audio MP3 di questo articolo, letto dal Dr. Floy Lilley, è disponibile per il download.


Qui il link alla Prima Parte.

[Seconda ed Ultima Parte.]




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di Ludwig von Mises


2. Gestione Burocratica o Gestione Bancaria del Profitto?

Anche Deumer ritiene necessario "gestire il monopolio bancario nazionale lungo le linee commerciali" e fa diverse raccomandazioni su come raggiungere ciò.[1] Non differiscono dalle molte proposte avanzate negli anni recenti o da quelle che potevano essere raggiunte e sono state raggiunte. Ascoltiamo di scuole ed esami, di promozione dei "capaci", di paga sufficiente per gli impiegati e di condivisione del profitto per i funzionari al comando. Ma Deumer non vede l'essenza del problema più chiaramente di qualsiasi altro che cerca di rendere il sistema pubblico, inevitabilmente improduttivo, più produttivo.

Deumer, al passo con l'opinione prevalente, sembra credere erroneamente che il "commerciale" è una forma di organizzazione che può essere facilmente innestata nelle imprese del governo in modo da de-burocratizzarle. Quello che di solito è chiamato "commerciale" è l'essenza dell'impresa privata che mira a nient'altro che alla maggiore redditività possibile. E quello che di solito è chiamato "burocratico" è l'essenza delle entità del governo che mirano ad obiettivi "nazionali". Un'impresa del governo non può essere mai "commercializzata", non importa quante caratteristiche esterne dell'impresa privata sono sovrapposte su di essa.

L'imprenditore opera secondo la sua stessa responsabilità. Se non produce ai più bassi costi di capitale e lavora su cosa i consumatori credono di avere bisogno più urgentemente, soffrirà di perdite. Ma le perdite infine conducono ad un trasferimento della sua ricchezza — e così il suo potere di controllo sui mezzi di produzione — a mani più capaci. In un'economia capitalista, i mezzi di produzione sono sempre sulla scia dei manager più capaci, cioè, coloro che sono in grado di usare questi mezzi per la più efficiente soddisfazione dei bisogni del consumatore. Un'impresa pubblica, tuttavia, è gestita da uomini che non affrontano le conseguenze dei loro successi o fallimenti.

Lo stesso si crede che sia vero per i dirigenti al comando delle grandi imprese private, secondo cui si pensa che siano gestite "burocraticamente" come le entità statali e municipali. Ma tali argomenti ignorano la differenza base tra le imprese pubbliche e private.

In un'impresa privata in cerca di profitto, ogni dipartimento e divisione è controllata da una contabilità che mira allo stesso obiettivo: il profitto. I dipartimenti e le divisioni che sono improduttivi sono individuati e chiusi. I lavoratori ed i dirigenti che falliscono negli obiettivi assegnati loro, sono rimossi. La contabilità in dollari e centesimi controlla ogni parte dell'attività. Il solo calcolo monetario mostra la strada per una maggiore redditività. I proprietari — cioè, gli azionisti di una corporazione — emettono solo un ordine al manager che lo trasmette agli impiegati: guadagnate profitti.

La situazione è abbastanza differente nelle agenzie e nelle corti che amministrano gli affari dello stato. Il loro obiettivo non può essere misurato e calcolato nel modo in cui sono calcolati i prezzi di mercato, e l'ordine dato ai subordinati non può essere così facilmente definito come quello di un imprenditore ai suoi impiegati. Se l'amministrazione deve essere uniforme e tutto il potere esecutivo non deve essere delegato ai funzionari più bassi, le loro azioni devono essere regolate in ogni dettaglio per qualsiasi situazione immaginabile. Così diventa il compito di ogni funzionario seguire queste istruzioni. Successo e fallimento sono di minore importanza rispetto all'osservanza formale della regolamentazione. Ciò è specialmente visibile nell'assunzione, nel trattamento e nella promozione del personale, ed è chiamato "burocrazia". Non è il male quello che scaturisce da alcuni fallimenti o dal difetto dell'organizzazione oppure dall'incompetenza dei funzionari; è la natura di ogni impresa che non è organizzata per il profitto.

Quando lo Stato o il comune vanno oltre la sfera della corte e della polizia, la burocrazia diviene un problema fondamentale dell'organizzazione sociale. Anche un'impresa pubblica incline al profitto potrebbe non essere priva di burocrazia. Sono stati fatti tentativi per eliminare la burocrazia mediante la condivisione del profitto da parte dei manager. Ma dal momento che non ci si aspetta che si facciano carico delle eventuali perdite, sono tentati a divenire sconsiderati, il che poi deve essere evitato limitando l'autorità dei manager mediante direttive dai funzionari più alti, dalle commissioni, dai consigli e da opinioni di "esperti". Così ancora una volta, viene creata più regolazione e burocrazia.

Ma di solito ci si aspetta che le imprese pubbliche ambiscano a qualcosa di più del profitto. Ecco perché sono possedute e gestite dal governo. Anche Deumer richiede che la nazionalizzazione del sistema bancario sia guidata da considerazioni nazionali piuttosto che private — dovrebbe investire i suoi fondi non dove i ricavi sono più alti, bensì dove servano per l'interesse nazionale.[2]

Dobbiamo analizzare le altre conseguenze di tali politiche di credito, come la preservazione delle imprese sprecone. Ma guardiamo ai loro effetti sulla gestione delle imprese pubbliche. Quando il servizio nazionale di credito o una delle sue branche presenta un estratto conto delle entrate sfavorevole, potrebbe supplicare: "Dal punto di vista dell'interesse privato e della redditività non abbiamo avuto successo. Ma deve essere tenuto a mente che le perdite mostrate dalla contabilità commerciale sono compensate dai servizi pubblici che non sono visibili nei conti. Per esempio, dollari e centesimi non possono esprimere i nostri successi nella preservazione di piccole e medie imprese, nei miglioramenti delle condizioni materiali delle classi della popolazione."

Sotto tali consizioni la redditività di un'impresa perde significato. Se la gestione pubblica deve essere controllata del tutto, deve essere giudicata con il metro di giudizio della burocrazia. La gestione deve essere regimentata e le posizioni devono essere riempite di individui disposti ad obbedire alle regole.

Non importa cosa potremmo cercare, è impossibile trovare una forma di organizzazione che possa impedire le restrizioni della burocrazia nelle imprese pubbliche. Non c'è bisogno di far notare che molte grandi corporazioni sono diventate "burocratiche" nei decenni recenti. E' un errore credere che questo sia il risultato della grandezza. Anche la più grande impresa resta immune ai pericoli della burocrazia fintanto che mira esclusivamente alla redditività. Vero, se altre considerazioni sono fatte entrare in gioco con la forza, si perde la caratteristica essenziale di un'impresa capitalista. E' stato lo statalismo predominante e le politiche interventiste che hanno forzato grandi imprese a divenire sempre più burocratiche. Furono forzate, per esempio, a nominare dirigenti con buone connessioni con le autorità, piuttosto che abili uomini d'affari, oppure a procedere verso operazioni improduttive in modo da soddisfare le influenze politiche, i partiti politici, o lo stesso governo. Furono forzate a continuare operazioni che desideravano abbandonare ed a mescolarsi con compagnie e stabilimenti con cui non volevano avere nulla a che fare.

Il minestrone tra politica ed imprese non solo è dannoso alla politica, come si osserva frequentemente, ma di gran lunga più dannoso per le imprese. Molte grandi imprese devono dare migliaia di attenzioni alle questioni politiche, il che pianta il seme della burocrazia. Ma tutto ciò non giustifica le proposte di burocratizzare completamente e formalmente tutta la produzione tramite la nazionalizzazione del credito. Dove sarebbe oggi l'economia tedesca se il credito fosse stato nazionalizzato già dal 1890, o perfino dal 1860? Chi può essere conscio degli sviluppi che saranno impediti se oggi il credito venisse nazionalizzato?



3. Il Pericolo dell'Eccessiva Espansione e dell'Immobilizzazione

Ciò che è stato detto qui si applica ad ogni tentativo di trasferire ogni impresa privata, specialmente il sistema bancario, nelle mani dello Stato, che nei suoi effetti ammonterebbe ad una nazionalizzazione generale. Ma in aggiunta, creerebbe problemi di credito che non devono essere tralasciati.

Deumer cerca di mostrare che il monopolio del credito non potrebbe essere soggetto ad abusi per ragioni fiscali. Ma i pericoli della nazionalizzazione del credito non risiedono qui; risiedono nel potere d'acquisto del denaro.

Come ben si sa, i depositi a vista hanno lo stesso effetto sul potere d'acquisto di un'unità monetaria come le banconote. Deumer propone anche un'emissione di "certificati garantiti" o "certificati di compensazione" che non devono essere mai riscattati.[3] In breve, la banca nazionale sarà nella posizione di inflazionare.

L'opinione pubblica vuole sempre "denaro facile", cioè, tassi d'interesse bassi. Ma è la reale funzione della banca che emette banconote resistere a tali richieste, proteggere la propria solvenza e mantenere la parità delle sue banconote con l'oro e le banconote estere. Se la banca dovesse essere esonerata dal rimborso dei suoi certificati, sarebbe libera di espandere il proprio credito secondo il desiderio dei politici. Sarebbe troopo facile cedere alle richieste di coloro che richiedono credito. Ma il sistema bancario dovrebbe essere nazionalizzato, secondo le parole di Deumer: "per dare ascolto alle lamentele delle piccole imprese e delle molte aziende commerciali che sono capaci di assicurarsi il credito necessario solo con grande difficioltà e molti sacrifici."[4]

Qualche anno fà sarebbe stato necessario elaborare le conseguenze dell'espansione del credito. Non c'è bisogno di fare tale sforzo oggi. La connessione tra espansione del credito, prezzi dei beni in salita e tassi di cambio estero è ben conosciuta oggi. Ciò non è stato solo scoperto dalla ricerca di alcuni economisti, ma anche dall'esperienza americana ed inglese, e dalle teorie con cui i tedeschi hanno preso familiarità. Sarebbe superfluo elaborare oltre su questo argomento.



4. Sommario

Il libro di Deumer rivela chiaramente che lo statalismo, il socialismo e l'interventismo hanno fatto il loro corso. Deumer è capace di supportare le sue proposte solo con il vecchio statalismo e gli argomenti di Marx, che sono stati confutati centinaia di volte. Egli ignora semplicemente le critiche a questi argomenti. Non considera nemmeno i problemi che sono sorti dalla recente esperienza socialista. Ancora difende un'ideologia che accoglie ogni nazionalizzazione come un progresso, anche se questa teoria traballante è stata fatta crollare.

La politica, pertanto, ignorerà il libro di Deumer, il che potrebbe essere deplorevole dal punto di vista dell'autore perché ha investito lavoro, ingegnosità e perizia nelle sue proposte. Ma nell'interesse di una ripresa salutare dell'economia tedesca, è gradito.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Ibid., p. 210.

[2] Ibid., p. 184.

[3] Ibid., p. 152 et seq.

[4] Ibid., p. 184.

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