Bibliografia

martedì 19 luglio 2011

Il Peggiore "Profeta" Keynesiano di Sempre




Ed eccoci qui di nuovo a raccontare le gesta di Paul Samuelson. Diamo un quadro d'insieme prima: nei passati articoli abbiamo visto come egli fosse così impressionato dalla produzione industriale sovietica, tanto da gonfiare il suo "ego pianificatore" profetizzando che l'industria dell'USSR (in un futuro lontano, lontano) avrebbe tranquillamente superato quella degli Stati Uniti, anche alla luce di fatti innegabilmente opposti a quelli scritti nei suoi libri (l'economista Judy Shelton, difatti, nel 1987 avvertì della probabile bancarotta dell'USSR). Non solo, si riferiva al capitalismo non regolato come ad "un fragile fiore che commette il suicidio". Devo dire che ogni volta che risento questa frase, o vedo altri babbei nel web che la riportano, rimango sempre perplesso di come un fiore possa suicidarsi; ma sono ancora più perplesso di come la deregolamentazione possa causare "un suicidio capitalista".

Mentre a pagina 495 di Economics ci ricorda come un'agenzia di monopolio della violenza (la Federal Reserve) qualora dovesse scegliere tra perseguire un profitto ed aiutare l'itneresse pubblico, sicuramente sceglierebbe quest'ultimo. Senza battere ciglio. Ceeeeeeerto!! Strano, eppure Alan Blinder (l'ex vice-presidente della FED) non la pensa come lui: “L'ultimo compito di un banchiere centrale è quello di dire la verità alle persone.”

Ottimo! Ora che avete ottenuto il riassunto delle puntate precedenti andiamo avanti. Eccoci all'ultima perla datata 1943 ritrovata per noi dal sito Cafè Hayek:

«Quando questa guerra finirà, più di uno su due lavoratori dipenderà direttamente o indirettamente dagli ordini militari. Avremo circa 10 milioni di uomini da mettere sul mercato del lavoro. Dovremo affrontare un periodo di riconversione difficile durante il quale gli attuali beni non potranno essere prodotti ed i licenziamenti potranno essere tanti. Nemmeno la necessità tecnica per la riconversione genererà necessariamente una spesa d'investimento così grande nel periodo critico in discussione, qualuque siano le sue potenzialità successive. La conclusione finale che si può trarre dalla nostra esperienza dell'ultima guerra è inesorabile – se la guerra dovesse finire improvvisametne entro i prossimi 6 mesi, se dovessimo pianificare di terminare il nostro sforzo bellico in tutta fretta, smobilitare le truppe, liquidare i controlli dei prezzi, spostarci da deficit astronomici a deficit superiori a quelli degli anni trenta – allora si darebbe inizio al più grande periodo di disoccupazione e dislocazione industriale mai visto in nessuna economia.»

da Paul Samuelson, “Full Employment after the War,” in S.E. Harris, ed., Postwar Economic Problems, 1943.


Ed ora una citazione dall'Economic Report of the President, pagina 1, rilasciato da Harry Truman, 8 Gennaio 1947:

«Durante il 1946, l'occupazione civile raggiunse i 58 milioni. Questa fu la più grande occupazione civile che questa Nazione abbia mai visto — 10 milioni in più del 1940 e diversi milioni superiore al picco durante il periodo di guerra. Se includiamo il servizio militare, l'occupazione totale supera i 60 milioni.
La disoccupazione, dall'altro lato, è rimasta bassa in tutto l'anno. Ad oggi si stima a circa 2 milioni di persone in cerca di lavoro attivamente. Ciò è probabilmente vicino al minimo inevitabile in una libera economia di grande mobilità come la nostra.
Così alla fine del 1946, meno di un anno e mezzo dopo la giornata della vittoria sul Giappone, più di 10 milioni di veterani smobilitati ed altri milioni di lavoratori durante il periodi bellico hanno trovato occupazione nella più gigante e celere fase di cambiamento dalla guerra alla pace che nessuna nazione abbia mai visto.»


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