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domenica 8 maggio 2011
Capitalismo contro Statalismo #3
{Terza ed ultima parte. Qui la Prima parte. Qui la Seconda parte.}
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di Murray N. Rothbard
Infatti i liberals americani, che per decenni sono stati i principali araldi ed apologeti del big government e del welfare state, sono sempre più insoddisfatti dei risultati dei loro stessi sforzi. E poiché, proprio come all’epoca del dispotismo orientale, il potere dello Stato non può mantenersi a lungo senza un corpo di intellettuali che diffonda gli argomenti e le ragioni atte a guadagnare il sostegno ed il senso di legittimità tra la gente, i liberals (la stragrande maggioranza degli intellettuali americani) si sono comportati sin dal New Deal come i sacerdoti del big government e del welfare state. Tuttavia molti liberals stanno iniziando a capire che sono stati al potere, hanno plasmato la società americana per quattro decenni ormai ed è chiaro loro che qualcosa è andato radicalmente storto. Dopo quattro decenni di welfare state in patria e “sicurezza collettiva” all’estero, le conseguenze del liberalism del New Deal hanno chiaramente portato crescenti sfaceli e conflitti interni mentre, all’estero, interventismo e guerra perpetua. Lyndon Johnson, durante il quale i liberals sono diventati molto infelici, faceva riferimento a Franklin Roosevelt chiamandolo correttamente il suo “grande Papà”, e tale parentela era abbastanza chiara su tutti i fronti sia interni che esteri. Richard Nixon è scarsamente distinguibile dal suo predecessore. Per cui se molti liberals sono diventati stranieri e paurosi in un mondo da loro stessi creato, allora forse l’errore sta proprio nello stesso liberalism.
Se, dunque, ci deve essere un arretramento dello Stato, dovrà esserci un’altra rivoluzione ideologica che riscopra i radicali classici del diciassettesimo e del diciottesimo secolo. Gli intellettuali dovranno, in larga parte, rinunciare al loro ruolo di difensori dello Stato e assumere di nuovo la loro funzione di difensori della verità e della ragione contro lo status quo. Negli ultimi anni vi sono stati segni di disillusione da parte degli intellettuali, ma il cambiamento è stato ampiamente in direzione sbagliata. Come risultato, nell’attuale divisione tra liberals e radicali all’interno dell’intellighentsia, nessuna delle due parti ci fornisce i requisiti della civiltà, i requisiti per mantenere un ordine industriale prospero e libero. I liberals ci hanno offerto la spuria razionalità del servizio tecnocratico allo Stato Leviatano che consiste nel sistemare ingranaggi manipolati nella macchina burocratica-industriale del governo. La soluzione del liberalism ad ogni problema interno sta infatti nel tassare, creare più moneta e stanziare più fondi federali; mentre la sua soluzione per le crisi estere è “mandare i Marines” (accompagnati, ovviamente, da pianificatori politico-ecnomici per attenuare la distruzione che i Marines causano). Certo non possiamo continuare ad accettare le soluzioni offerte da un liberalism che ha palesemente fallito. Ma la tragedia è che i radicali hanno preso i liberals alla lettera: identificando ragione, tecnologia e industria con l’attuale ordine liberal-mercantilista; i radicali, per opporsi all’attuale sistema, hanno voltato anche loro le spalle alle proprie precedenti indispensabili virtù.
In breve i radicali, sentendosi spinti verso un rifiuto viscerale del mondo liberal, del Vietnam e del sistema di scuola pubblica, hanno adottato la medesima identificazione dei liberal del loro sistema con la ragione, con l’industria e la tecnologia. Per cui i radicali levano il loro grido contro la ragione in favore di emozioni ed un vago misticismo, contro la razionalità a favore di una spontaneità indefinita e capricciosa, contro il lavoro e la lungimiranza a favore dell’edonismo e la lascivia, contro la tecnologia e l’industria a favore di un ritorno alla “natura” ed alle tribù primitive. Agendo così, adottando un nichilismo dilagante, i radicali ci stanno offrendo una soluzione ancor meno praticabile dei loro nemici liberal. Al posto dell’omicidio di milioni di persone in Vietnam sostituirebbero, in effetti, la morte per fame della vasta maggioranza della popolazione mondiale. Il punto di vista dei radicali infatti non può essere accettato da persone ragionevoli, e la maggioranza degli americani, nonostante la sua ignoranza o i suoi errori, è scaltra abbastanza da rendersene conto e da render chiaro e a volte brutale il suo rifiuto nei confronti dei radicali e dei loro alternativi etica, società e stile di vita.
Il punto centrale di questo saggio è che la gente non dev’essere costretta a scegliere tra l’alternativa del monopolio liberal del welfare-warfare state, repressivo e bellicoso, da un lato e l’irrazionale e nichilistico ritorno al primitivismo tribale dall’altro. L’alternativa dei radicali è evidentemente incompatibile con una vita prospera ed una civiltà industriale; ciò è di una chiarezza cristallina. Ma meno chiaro è il fatto che anche il liberalism corporativo di Stato è a lungo andare incompatibile con una civiltà industriale. La prima strada offre alla nostra società un suicidio rapido; la seconda un assassinio lento e prolungato.
C’è, invece, una terza alternativa che è passata inosservata nel grande dibattito tra i liberali ed i radicali. Questa alternativa consiste nel ritorno agli ideali ed alla struttura che hanno generato il nostro ordine industriale e di cui abbiamo bisogno per la sua sopravvivenza di tale ordine nel lungo termine, il ritorno al sistema che ci riconsegnerà industria, tecnologia e prosperità in rapida crescita, senza guerra, militarismo e soffocante burocrazia governativa. Questo sistema è il capitalismo del laissez-faire, quello che Adam Smith chiamò “il sistema naturale di libertà”; un sistema che si fonda su un’etica che incoraggia la ragione, la determinazione ed il successo individuali. I teorici libertari del diciannovesimo secolo, uomini come i francesi dell’epoca della Restaurazione, Charles Comte e Charles Dunoyer, e l’inglese Herbert Spencer videro chiaramente che il militarismo e lo statalismo sono reliquie e regressi verso il passato, che sono incompatibili con il funzionamento di una civiltà industriale. Ecco perchè Spencer e gli altri opposero al principio “militare” quello “industriale” e sentenziarono che o l’uno o l’altro avrebbe prevalso.
Quel che io sto suggerendo, in breve, utilizzando le categorie ipersemplificate rese popolari da Charles Reich, è un ritorno alla “Coscienza I”, una coscienza che viene bruscamente scartata da Reich ed i suoi lettori mentre procedono nel grande dibattito tra la “Coscienza II e III”. Per Reich la Coscienza I fu resa obsoleta dalla crescita della moderna tecnologia e dalla produzione di massa che avevano reso inevitabile la svolta verso lo Stato corporativista. Ma qui Reich non è abbastanza radicale; sta semplicemente adottando la convenzionale storiografia liberal secondo cui il big government fu reso necessario dalla crescita su larga scala dell’industria. Se avesse familiarità con l’economia, Reich comprenderebbe che sono proprio le economie avanzate industrialmente che richiedono un libero mercato per sopravvivere e prosperare; al contrario, una società agricola può tirare avanti all’infinito sotto il dispotismo a patto che ai contadini sia lasciata abbastanza della loro produzione per sopravvivere. I paesi comunisti dell’Europa orientale hanno scoperto questo fatto negli anni recenti; più si industrializzano, più grande ed inesorabile sarà il loro allontanamento dal socialismo e dalla pianificazione centrale e l’avvicinamento verso un’economia di libero mercato. Il rapido cambiamento dei paesi dell’Europa orientale verso il libero mercato è uno dei più rincuoranti e drastici sviluppi degli ultimi due decenni; tuttavia questa tendenza è ancora passata inosservata, poichè la sinistra trova il cambiamento dallo statalismo e dall’egualitarismo in Yugoslavia e negli altri paesi dell’Europa orientale estremamente imbarazzante, mentre i conservatori faticano ad ammettere che ci possa essere un qualsiasi elemento di speranza riguardo le nazioni comuniste.
Inoltre Reich è chiaramente ignaro delle scoperte di Gabriel Kolko e di altri storici recenti che hanno completamente rivisto la nostra raffigurazione delle origini dell’attuale welfare-warfare state. Lontano dalla versione imposta dalla grande industria secondo cui le regolamentazioni e il big government erano inevitabili, fu precisamente l’efficacia della libera concorrenza a condurre i grandi uomini d’affari in cerca di posizioni di monopolio a rivolgersi al governo in modo da acquisire tali privilegi. Non c’era nulla nell’economia che richiedesse oggettivamente un passaggio dalla Coscienza I alla Coscienza II: solo il vecchio desiderio umano di sovvenzionamenti e di privilegi speciali creò la “controrivoluzione” dello statalismo. Infatti, come abbiamo visto, questo sviluppo blocca ed ostacola solo il funzionamento dell’industria moderna; la realtà oggettiva richiederebbe un ritorno alla Coscienza I. In questo mondo di assai rapidi cambiamenti nei valori e nelle ideologie, tale mutamento di coscienza non può essere scartato come impossibile; cose di gran lunga più strane sono accadute.
In certo un senso l’adozione di valori ed istituzioni libertarie sarebbe un ritorno al passato; in un altro, sarebbe un profondo e radicale avanzamento. Pur essendo i più vecchi libertari essenzialmente dei rivoluzionari, essi permisero che successi parziali li trasformassero dal punto di vista strategico e tattico in apparenti difensori dello status quo, cioè meri oppositori del cambiamento. Assumendo questa posizione, i primi libertari persero la loro prospettiva radicale; poichè il libertarismo non è mai risucito ad imporsi pienamente. Quello che essi devono fare oggi è tornare ad essere “radicali” ancora una volta, come Jefferson, Price, Cobden e Thoreau furono prima di loro. Per fare ciò devono tenere alto il vessillo del loro scopo ultimo, il trionfo definitivo dell’antica logica dei concetti di libero mercato, libertà e diritti di proprietà privata. Tale fine ultimo è la dissoluzione dello Stato nell’organismo sociale, la privatizzazione del settore pubblico.
In contrasto alla visione disfunzionale della New Left, questo è un obiettivo pienamente compatibile con il funzionamento della società industriale ed anche con la pace e la libertà. A fin troppi dei più vecchi libertari mancò il coraggio intellettuale di andare avanti e invocare una vittoria totale, invece di accontentarsi di un trionfo parziale, e applicare i loro principi nel campo della moneta, della polizia, dei tribunali e dello Stato stesso. Essi non hanno dato retta al monito di William Lloyd Garrison secondo cui “il gradualismo in teoria è eternintà nella pratica”. Dal momento che la pura teoria non è mai tenuta in primo piano, come potrà mai essere raggiunta?
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
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