{Seconda parte di tre. Qui la Prima Parte. Qui la Terza parte.}
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di Murray N. Rothbard
E così abbiamo una massa di intellettuali che per abitudine sogghigna al "materialismo" ed ai "valori materiali", che esalta l'assurdità secondo cui stiamo vivendo in "un'era di post-scarsità" che permette una cornucopia di produzione illimitata senza richiedere a nessuno di lavorare o produrre, che attaccano la nostra sproporzionata ricchezza come qualcosa di empio in una perversa ri-creazione di una nuova forma di Puritanesimo. L'idea è che la nostra macchina di capitale sia automatica e duratura, che qualsiasi cosa venga fatta o non venga fatta ad essa non importa perchè andrà avanti all'infinito — questo è il contadino che distrugge ciecamente la gallina dalle uova d'oro. Già stiamo iniziando a soffrire per il declino dei beni strumentali, per le restrizioni e le tasse ed i privilegi speciali che sono stati sempre più imposti alla macchina industriale nei decenni recenti.
Sfortunatamente stiamo sempre di più rendendo rilevante il terribile avvertimento del filosofo spagnolo Ortega y Gasset, che analizzò l'uomo moderno come
in ricerca di se stesso in un mondo così eccellente, tecnicamente e socialmente, [egli] crede che è stato prodotto dalla natura e non pensa mai agli sforzi personali degli individui altamente capaci che hanno immaginato la creazione di questo nuovo mondo. Ancora meno egli ammetterà l'idea che tutti questi impianti ancora richiedono il sostegno di certe virtù umane, il minimo fallimento delle quali causerebbe la rapida scomparsa del magnifico edificio nella sua interezza.
Ortega sosteneva che "l'uomo nella massa" avesse un tratto fondamentale: "la sua radicale ingratitudine verso tutto quello che ha reso possibile la facilità della sua esistenza". Questa ingratitudine è l'ingrediente base nella "psicologia del bambino viziato". Come Ortega dichiara:
«Erede di un'ampio e generoso passato...la nuova comunità è stata viziata dal mondo intorno ad essa...le nuove masse si ritrovano in presenza di una prospettiva piena di possibilità ed inoltre, con una certa sicurezza, con ogni cosa pronta nelle loro mani, indipendenti da qualsiasi sforzo precedente a loro favore, proprio come abbiamo trovato il sole nei cieli...E queste masse viziate sono abbastanza stupide da credere che l'organizzazione materiale e sociale, posizionata a loro disposizione come l'aria, abbia la stessa origine dal momento che non li ha mai delusi ed è quasi perfetta come lo schema naturale delle cose [...]
Visto che non vedono oltre i benefici della civiltà, meravigliandosi di invenzioni e costruzioni che possono essere solo mantenute da un grande sforzo ed una grande lungimiranza, immaginano che il loro ruolo è limitato a domandare tassativamente quei benefici, come se ne avessero un diritto naturale. Nei disordini causati dalla scarsità di cibo, la folla va in cerca di pane ed il mezzo che in generale utilizza è quello di sfondare le panetterie. Ciò potrebbe servire come simbolo dell'atteggiamento adottato, su una scala più vasta e complicata, dalle masse di oggi verso la civilizzazione da cui sono sostenuti.»[1]
In un'era in cui un numero illimitato di intellettuali irresponsabili invoca la distruzione della tecnologia ed il ritorno ad una "natura" primitiva il cui solo risultato potrebbe essere la morte per fame della stragrande maggioranza della popolazione mondiale, è istruttivo richiamare la conclusione di Ortega:
La civilizzazione non è "solo qui", non si auto-sostiene. E' artificiale e richiede un artista o un artigiano. Se si vuole fare uso dei vantaggi della civilizzazione, ma non si è preparati ad occuparsi della difesa della civilizzazione — si è fregati. In un batter d'occhio ci si ritrova senza la civilizzazione [...]. La foresta antica appare nel suo stato primitivo, proprio come se le tende che coprono la Natura fossero state scostate.[2]
Il regolare declino dei puntelli della nostra civilizzazione iniziò nel diciannovesimo secolo e fu accelerato dalla Prima Guerra Mondiale, dagli anni trenta e dalla Seconda Guerra Mondiale. Il declino consistette in un veloce inversione di marcia rispetto alla Rivoluzione ed un cambiamento orientato verso il vecchio ordine di mercantilismo, di statalismo e di guerra internazionale. In Inghilterra il capitalismo laissez-faire di Price e Priestly, dei Radicali e di Cobden e Bright, e della scuola di Manchester, fu rimpiazzato da uno statalismo Conservatore che conduceva verso un Impero aggressivo ed una guerra verso altri poteri imperiali. Negli Stati Uniti la storia fu la stessa, poichè gli uomini d'affari si rivolsero sempre di più al governo per imporre cartelli, monopoli, sovvenzioni e privilegi speciali. Qui come nell'Europa occidentale l'avvento della Prima Guerra Mondiale fu un grande punto di svolta — aggravò l'imposizione del militarismo e della pianificazione interna dell'economia da parte del governo, e l'espansione imperiale e l'interventismo oltreoceano. Le gilde medioevali furono ristabilite sotto una nuova forma — quella dei sindacati con la loro struttura di restrizioni ed il loro ruolo di partner minori del governo e dell'industria nel nuovo mercantilismo. Tutti questi finimenti dispotici del vecchio ordine ritornarono sotto una nuova forma. Invece del monarca assoluto, abbiamo il Presidente degli Stati Uniti che brandisce un potere di gran lunga maggiore rispetto a qualsiasi altro monarca del passato. Invece di una nobiltà costituita, abbiamo un'Establishment con potere e ricchezza che continua a governarci malgrado il partito politico che si trova tecnicamente in carica. La crescita di un'amministrazione statale bipartisan, concentrata sia su una politica interna che estera, l'avvento di freddi tecnici del potere che pare siedano in posizioni di comando nonostante chi votiamo (gli Acheson, i Bundy, i Baruch, i McCloy, gli Edgar J. Hoover), tutto sottolinea la nostra sottomissione crescente ad un elite che cresce sempre più ingrassata e privilegiata grazie alle tasse che sono in grado di estrarre dalla gente.
Il risultato peggiore della struttura di fardelli mercantilisti e di restrizioni è stato quello di piazzare la nostra economia sotto una tensione sempre più crescente. Tasse più alte gravano su di noi ed il complesso militare-industriale devia un'enorme quantità di risorse, di capitale, di tecnologia, di scienziati e di ingegneri, da usi produttivi allo spreco distruttivo della macchina militare. Industria dopo industria è stata regolamentata ed inserita in un cartello fino al declino: le ferrovie, l'energia elettrica, il gas naturale e le industrie delle comunicazioni sono gli esempi più ovvii. Il settore immobiliare e quello della costruzione è stato sellato con il flagello di tasse alte sulla proprietà, di restrizioni sulla zona, di regolamenti edilizi, dell'equo canone e di norme sindacali sul lavoro. Visto che il capitalismo di libero mercato fu rimpiazzato dal capitalismo di Stato, la nostra economia iniziò sempre di più ad andare in rovina e le nostre libertà ad erodersi.
Infatti è istruttivo fare una lista delle aree con problemi universali della nostra economia e della nostra società, e tramite ciò troveremo un lampante leitmotif: il governo. In tutte le aree con problemi, l'operato del governo o il controllo è stato in special modo evidente.
Consideriamo:
- Politica estera e guerra: Esclusivamente governative.
- Coscrizione: Esclusivamente governativa.
- Crimini nelle strade: La polizia ed i giudici sono un monopolio del governo, e così anche le strade.
- Sistema Welfare: Il problema è nel welfare del governo; non c'è alcun problema speciale nelle agenzie private di welfare.
- Inquinamento delle acque: La spazzatura posseduta dai municipi è scaricata nei fiumi e negli oceani posseduti dal governo.
- Servizio postale: I fallimenti degli Uffici Postali sono supportati dal governo, non, per esempio, tra simili concorrenti privati di maggiore successo come i corrieri espressi e il Sistema Postale Indipendente d'America, per la posta di terza classe.
- Il complesso industriale-militare: Risiede interamente nei contratti del governo.
- Ferrovie: Sovvenzionate e pesantemente regolate dal governo per un secolo.
- Telefonia: Un monopolio privilegiato del governo.
- Gas ed elettricità: Un monopolio privilegiato del governo.
- Settore immobiliare: tormentato dall'equo canone, dalle tasse sulla proprietà, dalle restrizioni sulla zona e dai programmi di rinnovo urbanistici (tutto del governo).
- Autostrade: Tutte costruite e possedute dal governo.
- Regolamentazioni sindacali e scioperi: Il risultato del privilegi elargiti dal governo, in particolare nel Wagner Act del 1935.
- Tassazione alta: Esclusivamente governativa.
- Le scuole: Quasi tutte governative, o se non direttamente, pesantemente sovvenzionate e regolate dal governo.
- Intercettazioni ed invasioni delle libertà civili: Quasi tutte fatte dal governo.
- Denaro ed inflazione: Il denaro ed il sistema bancario sono totalmente sotto il controllo e la manipolazione del governo.
Esaminate le aree con problemi e dovunque, come un filo rosso, troverete l'arrogante macchia del governo. Al contrario, si consideri l'industria del frisbee. I freesbie sono prodotti, venduti ed acquistati senza seccature, senza agitazioni, senza sfaceli di massa o proteste. Essendo un'industria relativamente libera, il business pacifico e produttivo dei frisbee è un modello di cosa l'economia americana una volta era e può ancora essere — se è liberata dalle catene repressive del governo.
In The Affluent Society, scritto alla fine degli anni cinquanta, John Kenneth Galbraith indicò il fatto che le aree governative sono le aree con i maggiori grattacapi. Ma la sua spiegazione sosteneve che noi abbiamo "affamato" il settore pubblico e che pertanto dovremmo essere tassati più pesantemente in modo da allargare il settore pubblico anche oltre a spese di quello privato. Ma Galbraith sorvolò il fatto lampante che la proporzione delle entrate nazionali e le risorse destinate al governo si sono espanse enormemente sin dal volgere del secolo. Se i problemi non sono apparsi in precedenza e sono apparsi in misura crescente precisamente nel settore governativo in espansione, il giudizioso potrebbe benissimo concludere che forse il problema giace nel settore pubblico stesso. E ciò è precisamente l'affermazione del libero mercato libertario. Problemi e sfaceli sono interni alle operazioni del settore pubblico e del governo in generale. Privato da un test guadagni/perdite per misurare la produttività e l'efficienza, la sfera del governo sposta il potere delle decisioni dalle mani di ogni individuo e gruppo di cooperazione, e posiziona quel potere nelle mani di tutta la macchina governativa. Questa macchina non solo è coercitiva ed inefficiente; è necessariamente dittatoriale perchè qualsiasi decisione potrebbe prendere, ci saranno sempre minoranze o maggioranze i cui desideri e scelte sono stati annullati. Una scuola pubblica deve prendere una decisione in ogni area: deve decidere se essere disciplinata o progressiva o una combinazione delle due; se essere a favore del capitalismo o a favore del socialismo o neutrale; se essere integrativa o segregativa, egalitaria o elitaria, e così via. Qualunque cosa decida, ci sono cittadini che sono permanetemente privati di qualcosa. Ma nel libero mercato, i genitori sono liberi di sponsorizzare qualunque scuola privata o volontaria che desiderano, e diversi gruppi di genitori saranno così in grado di esercitare la propria scelta senza ostacoli. Il libero mercato permette ad ogni individuo e gruppo di massimizzare il suo rango di possibilità, per prendere le proprie decisioni e scelte e metterle in azione.
E' ironico che il professor Galbraith non pare essere molto contento del settore pubblico per quello che ha ultimamente fatto vedere: nel complesso industriale-militare, nella guerra del Vietnam, in quello che Galbraith stesso ha propriamente deriso come il "Grande Affare Socialista" del presidente Nixon. Ma se il glorioso settore pubblico, se espanso dal governo, ci ha portato a questo grazioso compimento, forse la risposta è di far ritirare il governo, ritornare alla vera via rivoluzionaria per smantellare il Grande Stato.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/
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Note
[1] José Ortega y Gasset, The Revolt of the Masses (New York: W. W. Norton, 1932), pp. 63–65.
[2] Ibid., p 97.
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