Bibliografia

mercoledì 17 novembre 2010

Salari e sussistenza

A volte leggere Mises chiarisce le idee. Qui vengono affrontati temi come il salario, l'occupazione e la sussistenza alle persone. Nel sistema di libero mercato i lavoratori hanno il proprio salario determinato dal mercato stesso. Nel sistema interventista di Stato i salari sono concordati con i sindacati, e trovandoci in un sistema ad inflazione questi debbono per forza di cose superare quelli di mercato per mantenere un potere d'acquisto invariato. All'attento lettore l'esame di costi/benefici.
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di Ludwig von Mises


Questo articolo è un'estratto del capitolo 21 de Human Action: The Scholar's Edition ed è letto da Jeff Riggenbach.


La vita dell'uomo primitivo fu una lotta incessante contro la scarsità dei mezzi naturali di sussistenza. In questo sforzo disperato di assicurarsi la semplice sopravvivenza, molti individui, intere famiglie, tribù e razze perirono. L'uomo primitivo fu sempre perseguitato dall'incubo di morire di fame. La civiltà lo ha liberato da questo pericolo. La vita umana è minacciata giorno e notte da innumerevoli pericoli; può essere distrutta ad ogni istante da forze naturali che sono al di là di ogni controllo o che non possono essere controllate allo stato presente dalla nostra conoscenza e dalla nostra potenzialità. Ma l'orrore della morte per fame non atterrisce più le persone che vivono in una società capitalistica. Chi è capace di lavorare guadagna più di quanto è necessario alla semplice sussistenza.

Ci sono naturalmente anche persone disabili, incapaci di lavorare; invalidi che possono solo eseguire una esigua quantità di lavoro e la cui inabilità li impedisce di guadagnare quanto i lavoratori normali; talvolta i saggi salariali che essi potrebbero ottenere sono così bassi che non potrebbero sostenersi. Questa gente può vivere solo se qualcun'altro l'aiuta. Dei minorati si cura la rete di parenti ed amici, la carità di benefattori e di fondazioni, il soccorso comunale.

Gli elemosinanti non cooperano al processo sociale di produzione; quanto all'ottenimento dei mezzi di soddisfazione dei bisogni, essi non agiscono, vivono perchè altra gente si cura di loro. I problemi del soccorso ai poveri sono problemi dell'organizzazione del consumo, non dell'organizzazione delle attività produttive. Come tali, sono al di là dell'ambito di una teoria dell'azione umana che si riferisce solo all'ottenimento dei mezzi necessari al consumo e non anche del modo in cui questi mezzi sono consumati. La teoria catallattica tratta dei metodi adottati per i sussidi di carità ai disabili solo in quanto possono interessare l'offerta di lavoro. E' accaduto talvolta che le politiche del soccorso ai poveri abbiano incoraggiato all'ozio ed alla pigrizia adulti sani.

Nella società capitalistica prevale la tendenza all'aumento continuo della quota pro-capite di capitale investito. L'accumulazione di capitale supera l'aumento del numero della popolazione. Di conseguenza la produttività marginale del lavoro, i saggi salariali ed il tenore di vita dei salariati tendono ad aumentare in continuazione. Ma questo miglioramento del benessere non è una palesazione dell'azione di una legge inevitabile dell'evoluzione umana; è una tendenza risultante dal reciproco gioco di forze che possono produrre liberamente i loro effetti solo sotto il capitalismo.

E' possibile e, tenendo conto della direzione delle politiche odierne, anche non improbabile, che il consumo di capitale da un lato e l'aumento o insufficiente riduzione del numero della popolazione dall'altro lato, rovescino la situazione. Allora potrebbe accadere che gli uomini imparassero di nuovo ciò che significa letteralmente morire di fame, e che la relazione tra la quantità di beni capitali disponibili ed il numero della popolazione diventasse così sfavorevole da far guadagnare ad una parte dei lavoratori meno del necessario alla semplice sussistenza. Il semplice accostarsi a tali condizioni porterebbe certamente dissensi inconciliabili dentro la società, conflitti la cui violenza porterebbe ad una completa disintegrazione di tutti i legami sociali. La divisione sociale del lavoro non può essere preservata se parte dei membri cooperanti sono condannati a guadagnare meno della semplice sussistenza.

La nozione di minimo fisiologico di sussistenza a cui si riferisce la "legge ferrea dei salari", che i demagoghi mettono in continuazione davanti, non serve affatto per la teoria catallattica della determinazione dei saggi salariali. Uno dei principi su cui si basa la cooperazione sociale è che il lavoro eseguito secondo il principio della divisione del lavoro è molto più produttivo degli sforzi degli individui isolati e che la gente fisicamente capace non è innervosita dalla paura di morire di fame che minacciava in continuazione gli antenati. In una comunità capitalistica il minimo di sussistenza non ha nessun ruolo catallattico.

Inoltre la nozione di minimo di sussistenza manca di precisione e di rigore scientifico che le persone gli hanno attribuito. L'uomo primitivo, abituato ad una esistenza più animalesca che umana, poteva mantenersi in vita in condizioni letteralmente insopportabili ai suoi delicati discendenti viziati dal capitalismo. Non esiste minimo di sussistenza fisiologicamente e biologicamente determinato, valido per tutti gli esemplari della specie zoologica homo sapiens. Nè maggiormente sostenibile è l'idea che una quantità definita di calorie sia necessaria per mantenere l'uomo sano e procreativo ed una ulteriore quantità definita necessaria per ricreare le energie spese nel lavoro.

Il richiamo a nozioni che ricordano l'allevamento del bestiame e la vivisezione dei porcellini d'India non aiuta l'economista nei suoi sforzi di comprendere i problemi dell'azione umana. La "legge ferrea dei salari" e la dottrina marxista, essenzialmente identiche, della determinazione del "valore della forza di lavoro" col " tempo di lavoro necessario alla sua produzione, e di conseguenza anche alla sua riproduzione[1]", sono quanto di meno sostenibile sia mai stato pensato nel campo della catallattica.

Tuttavia era possibile attribuire qualche significato alle idee contenute nella legge ferrea dei salari. Se si vede nel salariato semplicemente una bestia e si crede che non abbia importanza alcuna nella società, se si assume che tenda a nessun'altra soddisfazione tranne il nutrimento e la proliferazione e che non conosca nessun altro impiego per i suoi guadagni oltre quello dell'ottenimento di queste soddisfazioni animali, si può considerare la legge ferrea come una teoria della determinazione dei saggi salariali.

Infatti gli economisti classici, frustrati dalla loro imperfetta teoria del valore, non poterono pensare a nessun'altra soluzione per il problema. Per Torrens e Ricardo il teorema che il prezzo naturlae del lavoro è il prezzo che mette in grado il salariato di sostenere e perpetrare la propria razza, senza nessun aumento o diminuzione, fu l'interferenza logicamente necessaria della loro insostenibile teoria del valore.

Ma quando i loro epigoni videro che non avrebbero più potuto accontentarsi di questa legge palesemente assurda, ricorsero ad una modificazione eguale ad un completo abbandono di qualsiasi tentativo di spiegazione economica della determinazione dei saggi salariali. Tentarono di preservare la nozione cara del minimo di sussistenza sostituendo il concetto di minimo "sociale" con quello di minimo fisiologico. Non parlarono più di minimo necessario alla sussistenza del lavoratore ed alla preservazione di una eguale offerta di lavoro. Parlarono invece di un minimo necessario per il mantenimento di un tenore di vita santificato dalla tradizione storica e dagli usi e costumi.

Mentre l'esperienza quotidiana insegnava in maniera imponente che sotto il capitalismo saggi salariali speciali e tenore di vita dei salariati aumentavano costantemente, mentre giorno dopo giorno diventata sempre più ovvio che le barriere istituzionali che separavano i vari strati della popolazione non potevano essere più a lungo mantenute perchè il miglioramento sociale delle condizioni operaie annientava le idee tradizionali di rango e dignità sociali, questi dottrinari annunciavano che i vecchi costumi e le convenzioni sociali determinano l'altezza dei saggi salariali. Soltanto gente accecata dai pregiudizi e da passioni di parte potrebbe ricorrere a simile spiegazione in un tempo dove l'industria fornisce in continuazione al consumo delle masse nuove merci prima sconosciute e rende accessibile al lavoratore medio soddisfazioni che nessun re poteva sognare in passato.

Non è necessariamente da sottolineare che la scuola storica prussiana delle wirtschaftliche Staatswissenschaften considerasse i saggi salariali non meno che i prezzi delle merci ed i saggi d'interesse come "categorie storiche" e che trattando di saggi salariali ricorresse al concetto di "reddito adeguato alla posizione gerarchica dell'individuo nella scala sociale". E' stata l'essenza dei principi di questa scuola a negare l'esistenza dell'economia, per sostituire ad essa la storia.

Ma meraviglia che Marx ed i marxisti non abbiano riconosciuto che il loro appoggio a questa teoria spuria distruggeva interamente il corpo del cosidetto sistema d'economia marxista. Quando gli articoli e le dissertazioni pubblicati in Inghilterra subito dopo il 1860 convinsero Marx che non era più ammissibile propendere rigidamente verso la teoria salariale degli economisti classici, egli modificò la sua teoria del valore della forza lavoro. Dichiarò che: "La dimensione dei cosiddetti bisogni naturali e la maniera in cui essi sono soddisfatti, sono in se il prodotto dell'evoluzione storica", e che: "dipende in ampia parte dalla misura del grado di civiltà raggiunto da ogni dato paese e, inoltre, specialmente da condizioni, costumi e pretese relativamente al tenore di vita in cui la classe dei liberi lavoratori è stata formata".

Così "un'elemento storico e morale entra entra nella determinazione del valore della forza di lavoro". Ma quando Marx aggiunge che nondimeno: "Per un dato paese ed un dato tempo, la quantità media delle necessità indispensabili alla vita è un dato di fatto"[2], si contraddice e confonde il lettore. Ciò che egli ha in mente non sono più le "necessità indispensabili", ma le cose considerate indispensabili da un punto di vista tradizionale, i mezzi necessari per la preservazione di un tenore di vita adeguato alla posizione dei lavoratori nella gerarchia sociale tradizionale. Ricorrere ad una tale spiegazione vuol dire virtualmente rinunciare a qualsiasi spiegazione economica o catallattica della determinazione dei saggi salariali. I saggi salariali sono spiegati come un dato della storia. Non più come fenomeni di mercato, ma come un fattore che ha origine al di fuori della cooperazione delle forze di mercato.

Tuttavia anche coloro che credono che l'altezza dei saggi salariali effettivi è imposta al mercato dal di fuori come un dato, non possono fare a meno di una teoria che spieghi la determinazione dei saggi salariali come risultato delle valutazioni e delle decisioni dei consumatori. Senza tale teoria catallattica dei salari nessuna analisi economica del mercato può essere completa e logicamente soddisfacente. E' semplimente insensato restringere le diquisizioni catallattiche ai problemi della determinazione dei prezzi nelle merci e dei saggi d'interesse ed accettare i saggi salariali come un dato storico. Una teoria dei saggi salariali degna di questo nome deve essere in condizione di andare oltre l'affermazione che essi sono determinati da un' "elemento storico e morale". Caratteristica dell'economia è di spiegare i rapporti che emergono dalle transazioni di mercato come fenomeni la cui determinazione è soggetta a regolarità nella concatenazione e nella sequenza degli eventi. E' proprio questo che distingue la concezione economica dalla comprensione storica, la teoria della storia.

Possiamo benissimo immaginare una situazione storica in cui l'altezza dei saggi salariali è imposta al mercato dall'interferenza coercitiva esterna. Tale determinazione istituzionale dei saggi salariali è una delle caratteristiche più importanti del nostro tempo di politiche interventiste. Ma riguardo a questo stato di cose è compito dell'economia investigare quali effetti sono prodotti dalla disparità tra i due saggi salariali, il saggio potenziale di mercato nel libero gioco della domanda e dell'offerta da un lato, e dall'altro il saggio coercitivo.

E' vero che i salariati sono imbevuti dell'idea che i salari debbano essere almeno abbastanza alti da permettere loro un tenore di vita adeguato alla posizione nella scala gerarchica della società. Ogni singolo lavoratore ha la sua opinione particolare sulle pretese che è autorizzato a sollevare relativamente allo "stato", "rango", "tradizione" e "costume", come ha la sua particolare opinione sulla propria efficienza e sulle proprie realizzazioni. Ma tali pretese sono senza rilevanza per la determinazione dei saggi salariali. Non limitano né il movimento in su, né quello in già dei saggi salariali.

Il salariato deve talvolta accontentarsi di molto meno di quanto, secondo la sua opinione, è adeguato al suo rango ed alla sua efficienza. Se gli è offerto più di quanto si aspetta, intasca l'eccedenza senza scrupolo alcuno. L'età del laissez-faire per cui la legge ferrea e la dottrina di Marx dei saggi salariali storicamente determinati pretendono di essere valide, testimonia invece una progressiva, sebbene temporaneamente interrotta tendenza dei saggi salariali reali ad aumentare. Il tenore di vita del salariato è salito ad una altezza senza precedenti nella storia ed a cui mai si era pensato nei periodi precedenti.

I sindacati operai pretendono che i saggi salariali nominali debbano aumentare almeno in relazione ai cambiamenti che si verificano nel potere d'acquisto dell'unità monetaria, in modo da assicurare al salariato il godimento invariato del precedente tenore di vita. Essi mantengono le loro pretese anche relativamente al tempo di guerra ed alle misure adottate per il finanziamento delle spese belliche. Nella loro opinione anche in tempo di guerra né inflazione né imposizioni di tasse sul reddito debbono influenzare i saggi salariali reali del lavoratore. Questa dottrina implica tacitamente la tesi del Manifesto Comunista, secondo cui "i lavoratori non hanno patria" e non hanno "nulla da perdere a parte le catene"; di conseguenza essi sono neutrali nelle guerre volute dagli sfruttatori borghesi e non si curano se la loro nazione conquista oppure è sottomessa. Non è compito dell'economia scrutinare queste frasi. Essa deve solo stabilire il fatto dell'irrilevanza delle giustificazioni avanzate a favore dell'imposizione dei saggi salariali più alti di quelli potenziali del mercato. Se come risultato di tali pretese i saggi salariali fossero realmente aumentati al di sopra dell'altezza consona con la produttività marginale dei vari tipi di lavoro in questione, le conseguenze inevitabili devono apparire senza alcun riguardo alla filosofia sottostante.

Lo stesso è valido riguardo la confusa dottrina che i salariati hanno diritto di pretendere per se tutti i benefici derivati dal miglioramento di ciò che i leader sindacali chiamano produttività del lavoro. In un libero mercato del lavoro i saggi salariali tendono sempre a coincidere con la produttività marginale del lavoro. Il concetto di produttività del lavoro in generale non è meno vuoto di tutti gli altri concetti universali di questa specie; per esempio, il concetto di valore del ferro o dell'oro in generale. Parlare di produttività del lavoro in un senso diverso da quello della produttività marginale è privo di senso. Ciò che i funzionari sindacali hanno in mente, è la giustificazione etica delle loro politiche; ma le conseguenze economiche di queste politiche non sono influenzate dai pretesti sostenuti in loro favore.

I saggi salariali sono in definitiva determinati dal valore che i cittadini attribuiscono ai servizi ed alle prestazioni dei lavoratori. Il lavoro è apprezzabile come una merce non in quanto imprenditori e capitalisti siano insensibili ed indifferenti, ma perchè sono incondizionatamente soggetti alla supremazia degli spietati consumatori. Essi non sono disposti a soddisfare pretese, presunzioni e vanità di nessuno. Vogliono solo essere serviti nel più conveniente dei modi.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Cf. Marx,
Das Kapital (7th ed. Hamburg, 1914), I, 133. Nel Manifesto Comunista (Section II) Marx ed Engels formulano la loro dottrina in questo modo: "Il prezzo medio del lavoro stipendiato è i lsalario minimo, per esempio, quella quantità di mezzi di sussistenza che è assolutamente richiesta per mantenere il lavoratore nella pura esistenza di lavoratore". E' "solamente sufficiente a prolungare e riprodurre la pura esistenza".

[2] Cf. Marx,
Das Kapital, p. 134. Il corsivo è mio. Il termine usato da Marx che nel testo è tradotto come "necessità indispensabili" è "Lebensmittel". Il Muret-Sanders Dictionary (16th ed.) traduce questo termine "cibo, provviste, vettovaglie, viveri".

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1 commento:

  1. "Nè maggiormente sostenibile è l'idea che una quantità definita di calorie sia necessaria per mantenere l'uomo sano e procreativo ed una ulteriore quantità definita necessaria per ricreare le energie spese nel lavoro."

    beh questo è scientificamente falso.
    senza essere fisiologi medici o chissà cosa, la semplice fisica implica che una macchina funziona quando l'energia che entra è almeno uguale a quella che esce.
    ne piu ne meno di un'auto, senza benzina non funziona.
    un minimo esiste eccome

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