Bibliografia

lunedì 13 settembre 2010

La posizione libertaria sulla pena capitale


Argomento controverso, ma molto dibattuto per anni. In una società dove crimini violenti ai danni delle persone sono perpetrati costantemente, la ricerca della giustizia è un diritto fondamentale di tutte le persone. Adeguatamente al crimine commesso dovrebbe essere la pena sancita dalle aule giudiziarie, ma la maggior parte delle volte i casi di omicidio si risolvono con una piccola pena a carico dell'omicida o peggio i servizi sociali. Questo articolo propone la visione libertaria sulla pena di morte, una facoltà dell'individuo danneggiato (e dei suoi eredi) di decretare una punizione adeguata verso colui che ha danneggiato, con l'assassinio, la proprietà di persona di qualcun'altro.

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di Murray N. Rothbard


La pena di morte: argomento come pochi negli ultimi anni che ha esercitato un presa irresistibile sull'opinione pubblica. In tutto il paese, e specialmente nelle aree urbane, un'ondata crescente di crimini violenti, aggressioni per furto ed omicidi ha portato ad uno sfogo del sentimento comune verso il ritorno alla pena di morte per l'omicidio. Se per nessun'altra ragione che questa, il movimento libertario -- specialmente il Partito Libertario -- deve direttamente guardare alla questione pena capitale, non solo parlare con onestà degli argomenti politici del giorno che possono sottolineare la rilevanza del libertarianismo all'opinione pubblica. Non c'è dubbio che la schiacciante maggioranza della gente, senza badare al credo o all'occupazione, sostiene con veemenza il ritorno della pena di morte, ponendo fine all'abolizione che è stata spiegata da intellettuali liberali e dai loro simpatizzanti giuridici. A New York il governatore liberale Hugh Carey ha rischiato il suo collo politico proibendo un progetto di legge che ristabiliva la pena di morte; in California il capo della polizia di Los Angeles Ed Davis, ha avuto un ruolo principale nella corsa repubblicana a governatore elogiando il ritorno della pena di morte per omicidio.

Anche la prestigiosa Corte Suprema degli Stati Uniti ha mantenuto il suo occhio sui ritorni elettorali. Nel 1972 proibì qualsiasi pena capitale sulla base della nuova dottrina costituzionale secondo cui si violava l'Ottavo Emendamento, il quale proibiva "punizioni crudeli ed inusuali". Nel 1976 e 1977, comunque, si ritirò al punto di permettere la pena di morte esclusivamente per gli omicidi (e non per stupri o rapimenti), ma solo dove la sua imposizione non era stata autorizzata dalla legislatura. Trentatre Stati ora hanno statuti sulla pena di morte, che continuano ad essere adottati nelle corti.

Il Partito Libertario, incluso me stesso che sono nella commissione del programma politico, è stato incline a scansare la questione della pena capitale finchè un pieno consenso sulla teoria punitiva fosse stato raggiunto dentro il movimento libertario. Le opinioni all'interno del movimento erano ampie e distanti, dalla visione ultrapacifista che tutte le punizioni dovevano essere abbandonate, alla posizione "favorevole alla pena di morte" secondo cui ogni infranzione sulla proprietà privata di qualcuno, seppur minima, mostrava che il criminale non aveva rispetto per i diritti di proprietà e perciò questa piccola aggressione meritava la terminazione del soggetto. Ma non possiamo permetterci di aspettare di più per giungere ad una stretta sulla questione della pena capitale. Questa è diventato un problema pressante nella vita politica, più di un problema appassionante delle alte teorie libertarie. Dobbiamo risolvere l'argomento entro i nostri ranghi e poi proporre i nostri punti di vista al dibattito pubblico.

Secondo il mio punto di vista non è un caso che ci sia poco sostegno tra i cittadini per la pena di morte, eccezzion fatta per l'omicidio -- anche se nell'Inghilterra del 18esimo secolo, per esempio, la pena di morte era impiegata allegramente per numerosi crimini. Credo che gli istinti delle persone siano nel giusto su questa questione: ovvero che la punizione debba essere adeguata al crimine; per esempio, che la punizione debba essere proporzionale al crimine preso in considerazione. La giustificazione teorica di ciò, è che un'aggressore perda i suoi diritti in base all'entità dei diritti violati dell'altro essere umano. Se A ruba 10,000$ da B, dovrebbe essere forzato non solo a ridare i 10,000$ (la posizione "restituzionista", con cui molti libertari sarebbero d'accordo), ma egli dovrebbe anche perdere i suoi diritti sui suoi 10,000$; cioè dovrebbe essere forzato a risarcire la vittima di 10,000$ a causa dell'aggressione.

Ma se A perde i suoi diritti sui 10,000$, dovrebbe B, la vittima, avere il diritto di chiedere che A sia eliminato a causa del suo crimine? Sicuramente no, poichè la punizione sarebbe enormemente non appropriata. Il criminale perderebbe così un'importante parte dei suoi diritti e B -- la vittima precedente -- ed i suoi complici starebbero ora commettendo la loro azione di aggressione su A.

E' relativamente facile distribuire sanzioni monetarie nel caso di furto. Ma che dire di un crimine come l'omicidio? Qui, secondo me, l'omicida perde precisamente quel diritto di cui ha privato l'altro essere umano: il diritto ad avere la vita preservata dalla violenza di qualcun'altro. L'omicida perciò merita di essere ucciso di conseguenza. Oppure, per dirla più precisamente, la vittima -- in questo caso il suo sostituto, nella forma dei suoi eredi o l'esecutore del suo patrimonio dovrebbe avere il diritto ad uccidere l'assassino in ritorno. I libertari non possono più aspettare di giungere ad una stretta sulla pena capitale. E' diventato un problema troppo pressante.

La tesi liberale secondo cui la pena capitale è brutale perchè condona l'omicidio è fallace, poichè pone fuori dal contesto l'atto isolato di uccidere l'assassino: il contesto del precedente omicidio che l'aggressore ha commesso. Abbiamo familiarità con il caso comune dove i liberali, nel piangere per l'omicida, deliberatamente ignorano la violenza molto più tragica che egli ha commesso sulla sua vittima; e questa accusa è sicuramente corretta.

Un'altra lamentela liberale comune è che la pena di morte non sia un deterrente per l'omicidio. Tutti i tipi di statistiche non sono affidabili ed in più tentano di "provare" o sconfessare questa affermazione. Mentre è impossibile provare il livello di deterrenza, sembra indiscutibile che alcuni omicidi sarebbero dissuasi dalla pena di morte. Alcune volte l'argomento liberale va pericolosamente vicino al sostenere che nessuna punizione impedisca alcun crimine -- un punto di vista palesemente assurdo che potrebbe facilmente essere messo alla prova rimuovendo tutte le sanzioni legali per il non pagamento delle tasse e vedere se ci sarebbe una qualsiasi riduzione nelle tasse pagate (volete scommettere?). In più l'assassino stesso è certamente "dissuaso" da una qualsiasi ripetizione del suo crimine -- ed abbastanza permanentemente.

Ma in ogni caso è da notare che non ho espresso il mio discorso secondo gli utili termini della deterrenza dei futuri crimini; il mio discorso è basato sui diritti fondamentali e sull'esigenza di giustizia. Il libertario prende la sua posizione sui diritti individuali non solamente sulla base delle conseguenze sociali, ma più empaticamente sulla giustizia che è dovuta ad ogni individuo. Alcuni Stati applicano la pena di morte solo per gli assassini di poliziotti o di guardie di prigioni, e non per qualsiasi altro caso d'omicidio. Il libertario può solo considerare questi statuti come un'oscenità. Imporre la pena capitale solamente per assassini di funzionari pubblici, ma non per quelli di cittadini privati, può essere considerata solo una grottesca presa in giro della giustizia. Ciò significa che il governo propone di proteggere pienamente solo i diritti dei suoi membri e non quelli degli altri?

Finora abbiamo discusso in tutti i modi dei sostenitori della pena di morte, oscillando tra gli istinti dell'opinione pubblica ed i sofismi dell'elite intellettuale liberale. Ma c'è un'importante differenza. Visto che, sinora, ho sottolineato i diritti della vittima, non quelli della "società" o dello Stato. In tutti i casi dovrebbe essere la vittima -- non la "società" o il "suo" procuratore distrettuale -- che dovrebbe portare le accuse e decidere sul se esigere o meno la punizione. La "società" non ha nessun diritto e perciò non ha nemmeno voce in capitolo. Lo Stato ora monopolizza la fornitura di difesa, di giustizia e di punizioni. Finora ha fatto così, ma dovrebbe agire come un'agente che sorveglia e garantisce i diritti di ogni persona -- in questo caso la vittima -- niente di più e niente di meno.

Se poi viene commesso un crimine, dovrebbe spettare alla vittima muovere le accuse o decidere se la restituzione o la punizione che gli è dovuta dovrebbe essere eseguita dallo Stato. La vittima dovrebbe essere in grado di ordinare allo Stato di non muovere accuse o di non punire, visto che fare ciò è di diritto nelle sua piene capacità. Quindi supponiamo che A aggredisca B; ma B è un pacifista o non crede nella punizione per qualsiasi ragione; lo Stato non dovrebbe essere in grado, come lo è invece ora, di continuare a perseguire A nel nome della "società", perfino se la vittima potrebbe volere diversamente. O, similmente, il criminale dovrebbe essere in grado di andare dalla vittima e comprare la propria scappatoia dalla sua sete di giustizia; poichè in questo caso la vittima ha acconsentito volontariamente nel dare il permesso al criminale di ripagarlo con una restituzione monetaria, al posto di un'altra sanzione.

In breve, entro i limiti proporzionali del suo diritto di punire, la vittima dovrebbe avere l'unico potere decisionale su come e quanto esercitare questo diritto. Ma, non è stato fatto notare, come possiamo lasciare la decisione alla vittima in caso d'omicidio, precisamente quel crimine che rimuove completamente la vittima dalla scena? Possiamo davvero fidarci dei suoi eredi o del suo vece per perseguire pienamente e senza riserve gli interessi della vittima, specialmente se si permette al criminale di comprare la propria scappatoia dalla punizione, contrattando direttamente con gli eredi? Questo, comunque, non è un problema insormontabile. La risposta è di affrontare il problema nello stesso modo in cui i desideri di una persona deceduta sarebbero esauditi: secondo la sua volontà. Il deceduto può ordinare agli eredi, alle corti ed a qualsiasi altra parte interessata nella vicenda, come egli deisdererebbe che un suo assassino fosse trattato. In questo caso pacifisti, intellettuali liberali ed altri, possono lasciare clausole nei loro testamenti in cui ordinano alle autorità legali di non uccidere, o perfino di non muovere accuse contro il criminale in caso di loro assassinio; e le autorità dovrebbero obbedire.

Essendo un problema pratico, qui ed ora, e finchè tali testamenti non diventano una pratica comune, i libertari possono entrare nell'arena politica con la seguente chiara posizione, una posizione che non solo sostiene i ferventi istinti dell'opinione pubblica, ma li istruisce ancora di più nei principi libertari, cioè, che noi invochiamo la pena capitale per tutti i casi d'omicidio, eccezion fatta per quei casi in cui la vittima ha lasciato un testamento dove ordina ai suoi eredi ed assegnatari di non far imporre la pena di morte o qualsiasi altro atto omicida. In questo modo i possessori di una coscienza pacifista o liberale possono avere le proprie volontà assicurate, non volendo giammai prendere le parti della pena capitale; mentre il resto di noi può avere la punizione capitale che vuole, liberi dall'interferenza di ficcanaso liberali.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note


L'articolo originariamente apparve sotto il nome di "The Plumb Line: The Capital Punishment Question" in "Libertarian Review, vol. 7, No. 5 (1978)", pp. 13-14.


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