Bibliografia

sabato 26 giugno 2010

Guerra e politica estera #1

Straordinario saggio di Rothbard in cui analizza fin nei minimi dettagli ogni aspetto della guerra e la relativa politca estera degli Stati. Non solo, adduce anche alle riflessioni personali le posizioni che il libertario dovrebbe prendere in questi casi. Non posso far altro che ammirare una simile figura e lasciarvi il tempo di leggere

Prima parte di tre.
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di Murray N. Rothbard


"Isolazionismo" fu coniato come termine diffamatorio da applicare agli oppositori dell'entrata in guerra dell'America nella seconda guerra mondiale. Dal momento che la parola era spesso associata a persone imputate di essere pro-naziste, "isolazionista" prese l'accezione "per chi stava a destra" diventando di conseguenza un termine generalmente di carattere negativo. Se non attivamente pro-nazisti, gli "isolazionisti" erano considerati molto vicini alla condizione di ignoranti poichè ignoravano ciò che succedesse intorno a loro, in contrapposizione ai preoccupati "internazionalisti" i quali erano favorevoli alle crociate dell'America in tutto il mondo. Nell'ultima decade, invece, le forze contrarie alle guerre sono state considerate "di sinistra" e gli internazionalisti da Lyndon Johnson a Jimmy Carter ed i loro seguaci hanno cercato di punzecchiare questi "isolazionisti", o come adesso etichettati "neoisolazionisti", della sinistra odierna.

Destra o sinistra? Nella prima guerra mondiale, i contrari alla guerra erano pressapoco attaccati come ora e denominati "di sinistra", anche se i loro ranghi includevano libertari e sostenitori del capitalismo laissez-faire. Infatti, il centro di maggior opposizione contro la guerra dell'America con la Spagna e contro la guerra con le Filippine per sopprimere la loro ribellione all'inizio del secolo, era formato da liberali del laissez-faire, uomini come il sociologo ed economo William Graham Summer e il mercante di Boston Edward Atkinson (il quale fondò la "Lega Anti-Imperialismo"). In più Atkinson e Summer si potevano correttamente inserire nella grande tradizione dei classici liberali inglesi del diciottesimo e del diciannovesimo secolo, ed in particolare tanto "estremisti" del laissez-faire come Richard Cobden e John Bright della "Scuola di Manchester". Cobden e Bright furono in testa alla vigorosa opposizione verso ogni guerra inglese e politica estera interventista del loro periodo e per i suoi sforzi Cobden non era conosciuto come un "isolazionista" ma come "un uomo internazionale".[1] Fino alla campagna diffamatoria degli anni '30, gli oppositori di guerra erano ritenuti i veri "internazionalisti", uomini che si opponevano all'ingrandimento degli stati-nazione e favorivano la pace, il libero mercato, la libera migrazione e scambi culturali pacifici tra le persone di tutte le nazioni. L'intervento estero è "internazionale" solo nel senso che la guerra è internazionale: la coercizione, sia con la minaccia dell'uso della forza o col movimento di truppe senza diritto, attraverserà sempre le frontiere tra una nazione ed un altra.

"Isolazionismo" ha un suono di destra; "neutralità" e "coesistenza pacifica" suonano di sinistra. Ma la loro essenza è la stessa: opposizione alla guerra ed interventismo politico tra le nazioni. Questa è stata la posizione delle forze contrarie alla guerra per due secoli, sia che fossero i classici liberali del diciottesimo e del diciannovesimo secolo, sia che fossero "i membri della sinistra" della prima guerra mondiale e della guerra fredda, sia che fossero "i membri della destra" della seconda guerra mondiale. In pochissimi casi questi anti-interventisti hanno favorito letteralmente "l'isolamento": ciò che hanno realmente favorito è il non-interventismo negli affari degli altri paesi, insieme agli internazionalismi economici e culturali nel senso di scambi in un mercato libero, investimenti ed interscambi tra i cittadini di tutte le nazioni. E questa è l'essenza della posizione libertaria.


Limitando il Governo

I libertari supportano l'abolizione di tutti gli Stati ovunque ed il rifornimento di quelle ragionevoli funzioni, adesso scarsamente garantite dai governi (come polizia, corti...etc.), gestito dal libero mercato. I libertari supportano la libertà come un naturale diritto dell'uomo e la invocano non solo per gli Americani ma per tutte le persone. In più in un mondo puramente libertario non ci sarebbe nessuna "politica estera" perchè non ci sarebbero ne Stati ne governi con monopoli coercitivi sopra specifiche aree territoriali. Ma finchè viviamo in un mondo costruito su nazioni-stato, e finchè tale sistema molto improbabilmente scomparirà in futuro, qual'è l'atteggiamento dei libertari per quanto concerne la politica estera in questo mondo Stato-dipendente?

Nell'attesa del dissolvimento degli Stati, i libertari desiderano limitare, ridurre, il più possibile ed in tutte le direzioni l'area in cui il governo esercita il proprio potere. Abbiamo già dimostrato come questo principio di "de-statalizzazione" potrebbe funzionare in varie ed importanti situazioni "domestiche", dove il fine è respingere il ruolo del governo e permettere alle energie volontarie e spontanee delle persone di emergere pienamente, attraverso l'interazione pacifica, riscontrabile nell'economia di libero mercato. Negli affari esteri lo scopo è lo stesso: impedire al governo di interferire nelle questioni di altri governi o altri paesi. L' "isolazionismo" politico e la coesistenza pacifica -- frenandosi dall'agire in altri paesi -- è, quindi, la controparte libertaria che si batte per politiche del laissez-faire sul proprio territorio. L'idea è di impedire al governo di agire all'estero propio così come glielo si impedisce in patria. L'isolazionismo o la coesistenza pacifica sono la controparte per la politica estera di una strategia limitante il governo nel proprio territorio.

Nello specifico l'intera landa terrestre è tuttora parcellizzata in vari Stati, ed ogni preciso territorio è comandato da un governo centrale col monopolio della violenza sulla suddetta area. Nelle relazioni tra gli Stati, quindi, lo scopo del libertario consiste nell'impedire ad ognuno di questi Stati di estendere la propria violenza su altri paesi, cosìcche la tirannia statale sia almeno confinata nel suo stesso distretto. Il libertario ha interesse alla riduzione, quanto più possibile, dell'aggressione statale verso tutti gli individui. Per le persone di tutti i paesi l'unica via per fare ciò, in fatto di questioni estere, è fare pressione verso gli Stati affinchè badino solo all'area che controllano e non attacchino altri Stati oppure i relativi cittadini. In poche parole l'obiettivo del libertario è confinare ogni Stato esistente al più basso livello possibile d'intromissione nei diritti e nella propietà delle persone. E ciò significa la completa estraniazione dalla guerra. Le persone di ogni rispettivo Stato dovrebbero pressare quest'ultimo a non attaccarne un altro, oppure, se dovesse scoppiare un conflitto, allontanarsi dal medesimo il più velocemente possibile.

Immaginiamo per un momento un mondo costituito da due ipotetici paesi: Graustark e Belgravia. Ognuno è comandato dal proprio Stato. Che accade se il governo di Graustark invade il territorio di Belgravia? Dal punto di vista libertario accadono immediatamente due orrori. Primo, il governo di Graustark inizia a massacrare cittadini innocenti di Belgravia, persone che non sono implicate in nessun crimine che il governo di Belgravia possa aver commesso. La guerra, quindi, non è altro che omicidio di massa, e questa massiccia "invasione" nel diritto alla vita, nella propria gestione di se stessi, nel numero delle persone non è solo un crimine per i libertari, ma IL crimine definitivo. Secondo, dal momento che i governi ottengono le loro entrate dal ladrocinio della tassazione coercitiva, mobilitazioni e lanci di truppe inevitabilmente scatenano un aumento delle tasse a Graustark. Per queste due ragioni, quindi, i libertari si oppongono alla guerra.

Però non è sempre stato così. Nel Medioevo lo scoppio di guerre era molto basso. Prima che arrivassero le armi moderne, gli armamenti erano così pochi che i governi dovevano -- e spesso lo facevano -- concentrare la loro violenza, il più possibile, sull'esercito nemico. E' vero che le tasse aumentavano, ma non c'erano stragi di civili innocenti. Nell'era premoderna, non solo la potenza di fuoco era così bassa da confinare la battaglia tra gli eserciti, ma non c'era nessuna nazione-stato centrale che potesse parlare in nome di tutti gli abitanti di un determinato territorio. Se un gruppo di re o baroni ne combatteva un altro, in quell'area non era percepito che tutti dovessero sostenere una causa o l'altra. In più gli eserciti erano formati da piccole bande di mercenari a pagamento, differentemente dalla coscrizione di massa degli eserciti schiavizzati dai loro rispettivi comandanti. Di solito, un passatempo preferito dal popolo era proprio quello di guardare la battaglia in sicurezza dai bastioni della città e la guerra era considerata come qualcosa simile ad una "sfida sportiva". Ma con l'avvento degli Stati e delle armi di distruzione di massa moderne, il massacro di civili, come la coscrizione di massa, è stata una politica cardine della strategia bellica statale.

Detto ciò, nonostante l'opposizione dei libertari, la guerra è scoppiata. Decisamente la posizione dei libertari dovrebbe essere quella finchè la guerra continua, affinchè gli assalti verso civili innocenti possano essere diminuiti drasticamente. Una legge internazionale vecchio-stile aveva due splendide postille per adempiere questo fine: le "leggi della guerra" e le "leggi della neutralità" (o diritti neutrali). Le leggi della neutralità erano strutturate appositamente per confinare la guerra solo tra gli Stati guerreggianti, in modo che non fossero attaccati Stati che non avevano nulla a che fare col conflitto e, in particolare, civili di altre nazioni. Da qui l'importanza di antichi ed ormai quasi dimenticati principi Americani come "la libertà dei mari" o severe limitazioni nei diritti degli Stati guerreggianti per bloccare il neutrale commercio con i paesi nemici. In breve il libertario tenta di convincere gli Stati neutrali a rimanere neutrali nei vari conflitti, cercando di convincere anche gli Stati guerreggianti a rispettare pienamente i diritti dei cittadini neutrali. Le "leggi di guerra", dalla loro parte, furono ideate per limitare il più possibile l'invasività degli Stati nei confronti dei diritti dei civili nei rispettivi paesi. Come il giurista inglese F.J.P. Veale disse:

«Il principio fondamentale di questo sistema di regole si basava sul fatto che le ostilità tra persone civilizzate dovessero limitarsi esclusivamente alle forze armate che combattevano....Si ricava quindi una distinzione tra combattenti e non-combattenti stabilendo quindi che l'unico interesse dei combattenti è di combattersi a vicenda e, di conseguenza, che i non-combattenti devono essere esclusi dall'ambito delle operazioni militari.»[2]


Una modificazione di questo concetto fu applicato con la proibizione di bombardare tutte quelle città che non erano sulla linea del fronte, questa regola fu osservata durante i secoli scorsi nelle guerre dell'Europa occidentale finchè l'Inghilterra nella seconda guerra mondiale lanciò un bombardamento strategico su civili. Senza dubbio ora tale concetto è scarsamente ricordato, dal momento che la vera natura della moderna strategia bellica nucleare rimane lo sterminio di tutti i cittadini.

Ritornando all'esempio ipotetico di Belgravia e Graustark, con Graustark che ha invaso Belgravia, supponiamo ora che un terzo governo, Walldavia, entri in guerra per difendere Belgravia contro "l'aggressione di Graustark". E' giustificabile quest'azione? Eccolo qui, dunque, il germe dannoso della teoria "della sicurezza collettiva" del ventesimo secolo -- l'idea che quando un governo "ne aggredisce" un altro è dovere morale degli altri governi del mondo unirsi per difendere "la vittima-Stato" aggredita.

Ci sono smisurate crepe nel concetto di sicurezza collettiva contro "l'aggressione". Una è che quando Walldavia, o qualsiasi altro Stato, entra in lotta esso stesso sta espandendo ed incrementando il tasso di aggressione, poichè:
  1. sta massacrando ingiustamente migliaia di civili di Graustark;
  2. sta aumentando le tasse sul popolo di Walldavia;
  3. in questi tempi in cui la linea demarcativa tra stato e cittadini è pressochè indefinibile, Walldavia sta lasciando i propri cittadini sguarniti ad una rappresaglia Graustarkiana fatta di bombe e missili. Quindi entrando in guerra il governo di Walldavia mette a repentaglio le vite e le proprietà dei suoi cittadini, che tanto dovrebbe proteggere.
  4. la coscrizione-schiavitù dei cittadini di Walldavia si intensificherà.


Se questo tipo di "sicurezza collettiva" dovesse essere realmente applicata su scala mondiale, con tutti i "Walldavi" che si immischiano in ogni conflitto locale intensificandolo, ogni piccola schermaglia diventerebbe ben presto una conflagrazione globale.

C'è un'ulteriore crepa nel concetto di sicurezza collettiva. L'idea di entrare in guerra per fermare "un'aggressione" è chiaramente un'analogia di un'aggressione stessa, fatta da un individuo verso un altro. Smith è stato visto picchiare Jones -- aggredendolo. La polizia si precipita per difendere la vittima Jones; stanno usando "un'azione di polizia" per fermare l'aggressione. E' stato perseguendo questo mito che, per esempio, il presidente Truman insistette per l'entrata in guerra dell'America contro la Corea del Nord definendola un "atto di polizia", uno sforzo collettivo dell'ONU per respingere "l'aggressione".

Ma "l'aggressione" ha solo senso sul piano individuale Smith-Jones, come anche il termine "azione di polizia". Questi termini però non hanno senso se innalzati a livello statale. Abbiamo visto che i governi entrando in guerra diventano essi stessi aggressori contro civili innocenti; non c'è dubbio che si trasformano in assassini seriali. Quindi, la corretta analogia all'azione aggressiva dello Stato sarebbe: Smith picchia Jones, la polizia si affretta ad intervenire in favore di Jones e mentre tenta di arrestare Jones la polizia bombarda una parte della città ed uccide migliaia di persone oppure spara all'impazzata con una mitragliatrice sulla folla. Questa è un'analogia più accurata, poichè è ciò che un governo in guerra fa e nel ventesimo secolo lo fa su vasta scala. Ma qualsiasi corpo di polizia che si comporta così diventa esso stesso un criminale, di solito molto di più di Smith che ha scatenato gli eventi.

Ma c'è anche un altra falla nell'analogia con l'aggressione individuale. Quando Smith picchia Jones o gli ruba la sua proprietà si può identificare Smith come un violatore di diritti personali e proprietari. Ma quando lo Stato Graustarkico invade un territorio Belgraviano, è inammissibile considerare "l'aggressione" in modo analogo a quello di prima. Per il libertario nessun governo ha diritto a rivendicare come sue proprietà o "sovranità" un determinato territorio. La rivendicazione del territorio da parte dello Stato Belgraviano è totalmente differente dalla rivendicazione fatta da Mr. Jones della sua proprietà (sebbene quest'ultima, dopo una investigazione, potrebbe anche risultare ottenuta da una rapina). Nessuno Stato è in possesso di legittime proprietà; tutti i territori che gestisce sono la risultante di conquiste fatte con la violenza. Da qui l'invasione Graustarkica si riduce a battaglia tra due banditi ed aggressori: l'unico problema è che civili innocenti da entrambe le parti sono calpestati.


A parte questo caveat generale sui governi, il cosidetto Stato "aggressore" di solito ha una fievole e plausibile rivendicazione sulle sue "vittime"; plausibile nel contesto del sistema stato-nazione. Supponiamo che la Graustark abbia oltrepassato il confine di Belgravia poichè la stessa Belgravia, un secolo prima, invase la Graustark e sottomise le sue provincie a Nord-Est. Gli abitanti di queste provincie sono culturalmente, etnicamente e linguisticamente Graustarkiche. Adesso la Graustark procede con l'invasione almeno per riportare sotto il suo controllo le provincie di chiara natura Graustarkiana. A proposito, in questa situazione, un libertario, mentre condanna entrambi i governi che guerreggiano ed uccidono civili, dovrebbe appoggiare la Graustark poichè avrebbe una rivendicazione più giusta da portare avanti, o perlomeno la meno ingiusta. Mettiamola in questo modo: nell'improbabile caso che i due paesi potesero tornare in tempi bellici premoderni, con
  1. armi limitate in modo da non avere perdite civili e delle rispettive proprietà;
  2. volontari piuttosto che soldati coscritti;
  3. finanziamenti con metodi volontari e non attraverso la tassazione;


il libertario potrebbe, in questo contesto, patteggiare per la Graustark.

Di tutte le recenti guerre, nessuna è andata vicino -- neanche un pò -- a soddisfare questi tre criteri di "guerra giusta" fatta eccezione per la guerra indiana del 1971 per la liberazione del Bangladesh. Il governo del Pakistan ha dato vita all'ultimo terribile retaggio dell'imperialismo britannico nel subcontinente indiano. In particolare il Pakistan era costituito da un regime imperiale con a capo i Panjabi del Pakistan occidentale, i quali governavano sui più numerosi e produttivi Bengalesi del Pakistan orientale (ed anche sui Pashtun dei confini nord-occidentali). I Bengalesi hanno desiderato per molto tempo l'indipendenza dai loro oppressori imperiali; all'inizio del 1971 il parlamento fu sospeso a causa di una vittoria del partito bengalese alle elezioni; da quel momento in poi le truppe dei Panjabi hanno sistematicamente massacrato i cittadini bengalesi. L'ingresso dell'India nel conflitto aiutò le forze della resistenza popolare bengalese del Mukhti Bahini. Mentre, come al solito, tasse e coscrizioni erano salite alla ribalta, le armate indiane non usarono le loro armi contro i bengalesi; questa fu una genuina rivoluzione del popolo bengalese contro lo Stato-occupante dei Panjabi. Solo i soldati dei Panjabi erano i ricevitori ultimi delle pallottole indiane.

Questo esempio sviscera un'altra caratteristica del sistema bellico: questa guerriglia rivoluzionaria può essere di gran lunga più coerente con i principi libertari di qualsiasi altra guerra contro lo Stato. Nella profonda essenza delle loro azioni, i guerriglieri difendono la popolazione civile contro i saccheggi dello Stato; perciò, guerriglieri, vivendo essi stessi nel medesimo territorio dello Stato-nemico, non possono usare armi nucleari o di distruzione di massa. In più: finchè i guerriglieri puntano alla vittoria grazie ad aiuti provenienti dalla popolazione, devono, come strategia di base, risparmiare i civili e concentrare meticolosamente le loro azioni solo contro l'apparato statale e le sue forze armate. Da qui la guerriglia ci riporta indietro all'onorabile ed antica virtù di concentrare precisamente gli sforzi contro il nemico risparmiando i civili innocenti. Ed i guerriglieri, per guadagnarsi il supporto della popolazione, di solito si trattengono dal tassare e coscrivere le persone, puntando al ricevimento spontaneo di materiale e volontari per combattere.

Le qualità libertarie della guerriglia si riscontrano solo nella parte rivoluzionaria; per le forze contro-rivoluzionarie dello Stato il discorso è abbastanza differente. Lo Stato non dovrebbe vessare la popolazione, ma lo fa, per necessità, puntando in primis su campagne di terrore di massa: uccidendo, terrorizzando e raggirando i cittadini. Dal momento che la guerriglia per avere successo deve avere il supporto di una grande maggioranza della popolazione, lo Stato, per vincere la sua guerra, deve concentrare i suoi sforzi sulla distruzione della popolazione o sulla reclusione forzata in campi di concentramento di ingenti numeri di civili in modo da separarli dai loro alleati guerriglieri. Questa tattica fu usata da un generale spagnoglo, "Butcher" Weyker contro i ribelli cubani nel 1890, poi dalle truppe americane nelle Filippine, dagli inglesi nelle guerre sud-africane e continua ad essere usata nella recente e nefasta "strategia del villaggio" nel sud del Vietnam.

La politica estera libertaria, quindi, non è una politica pacifista. Non portiamo avanti il pensiero, come fanno i pacifisti, che nessun individuo abbia il diritto ad usare la violenza per difendere se stesso in caso di attacco violento. Il pensiero che portiamo avanti è che nessuno ha il diritto di coscrivere, di tassare, di assassinare o di usare violenza contro gli altri. Dal momento che tutti gli Stati esistono e la loro relativa esistenza è incentrata nell'aggredire i propri cittadini e nell'acquisizione del loro territorio e finchè le guerre tra gli Stati ammazzano migliaia di civili, tali guerre saranno sempre ingiuste -- sebbene alcune possano essere più ingiuste di altre. La guerriglia contro gli Stati almeno ha il potenziale di coincidere con i requisiti libertari, poichè concentra meticolosamente la battaglia contro le armate statali ed i loro rappresentanti, inoltre perchè utilizza metodi volontari per finanziare il proprio conflitto.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


(I). Link alla Seconda Parte

(II). Link alla Terza Parte


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Note

[1] Si veda William H. Dawson, Richard Cobden and Foreign Policy (London: George Allen and Unwin, 1926).

[2] F. J. P. Veale, Advance to Barbarism (Appleton, Wisc.: C. C. Nelson Publishing Co., 1953), p. 58.

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2 commenti:

  1. Grande! Sai quant'è che lo volevo tradurre e non trovavo il tempo? ;-)

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  2. Ciao Pax. Mi fa piacere che tu abbia gradito, infatti ti capisco se non hai trovato il tempo...il saggio in questione è davvero interminabile. Ma con un pò di pazienza finirò di tradurre le restanti due parti :)

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