Un po' più arzigogolato di quanto spiegato attraverso la semplificazione dei “perpetual bond” nel mio ultimo libro intitolato “Il Grande Default”, ma l'essenza è quella: costringere il risparmio privato a finanziare un sistema in bancarotta e inaffidabile con rendimenti totalmente fuori mercato. Inoltre l'euro digitale chiude i cancelli dei mercati dei capitali europei ed estromette i circuiti di pagamento americani (i “dazi buoni”). Questo, in sintesi, il piano diabolico della “cricca di Davos” per resistere alla prova del tempo. Spalmato in tutti quegli anni, senza una capacità di finanziamento chiara, senza l'industria necessaria, senza la possibilità facile di accedere agli input necessari, con la capacità militare attuale sensibile a “kill switch” e con la presunta minaccia immediata, è un'esca per “triggherare” i devastati mentali per far polemica sui social. Lasciando da parte questa marmaglia, parliamo tra adulti e con capacità di ragionamento intatte: il piano serve a tre cose fondamentalmente: avere la giustificazione per emettere le obbligazioni SURE in modo da allungare la vita all'URSSE; tenere a galla la Germania (vi ricordate che la Corte costituzionale tedesca “ha trovato” squilibri fiscali nel bilancio della nazione?); impedire alle singole nazioni, Italia in primis, di stringere accordi bilaterali con gli USA facendole sprofondare ancora di più in un debito impagabile nei confronti dell'Eurozona... che poi sarà sottoposto ad haircut falciando tutti quei fessi che crederanno nella SIU europea. Ormai anche i sassi (anche se devo dire che esistono sassi “diversamente intelligenti”) hanno capito che è l'impero britannico quello a implodere e che proseguire la guerra è solo nel suo interesse. Bruxelles segue a ruota. Detto questo, si tratta di gente che non scenderà mai in guerra. Il loro obiettivo è quello di impantanare gli USA, per quanto riguarda loro invece una situazione di costante tensione, o emergenza, è ciò che cercano. Avrebbe potuto funzionare se USA, Russia e Cina si fossero presi a mani in faccia lasciando Europa e Inghilterra come unici player rimasti in piedi in grado di offrire una proposta di “valore” agli investitori. Ecco perché UE e UK vogliono che la guerra continui. Ovviamente non vogliono un conflitto aperto che abbia loro come protagonisti, ma un costante stato di emergenza che permetta di emendare lo Stato di diritto nel continente. La guerra aperta vogliono che sia tra USA e Russia/Cina. Fortunatamente Trump & Co. hanno impedito che gli USA venissero scalati ostilmente rimettendo ordine nella politica fiscale e monetaria, ergendosi come alternativa credibile, affidabile e fruttifera per quei capitali che desiderano fuggire dalla tagliola europea. Questo è il motivo per cui c'è molto fermento nell'“eurospazzatura”, tra proclami di “fare presto”, manifestazioni di piazza e soldati da tastiera. Gli Stati Uniti stanno bevendo il proverbiale “Dollar Milkshake” senza più le conseguenze del Dilemma di Triffin. Questo significa afflussi di capitali laddove essi vengono trattati meglio e rendono meglio. Ecco perché è stata chiamata in causa la Savings and Investments Union e l'euro digitale già dal prossimo autunno: controlli dei capitali. Ciò che ci sta dicendo il mercato obbligazionario europeo e l'euro è che la Lagarde si ritroverà a dover scegliere tra difendere i differenziali di rendimento delle obbligazioni o l'euro, finché non riuscirà più a giocare a questo gioco perché finiranno i proverbiali “soldi degli altri” (quelli tramite l'eurodollaro sono già finiti, così come quelli tramite il carry trade con lo yen). Ecco perché, inoltre, l'oro sta volando via dalla LBMA. E mentre i vertici in Europa si susseguono, con devastati mentali sui social che lodano personaggi come Macron e Starmer, Trump ha approvato le “gold card visa” per facilitare agli investitori di comprare la cittadinanza americana, snellito delle leggi fiscali, abbassato le tasse per le attività con base in America, ecc. Quello che sta dicendo è: “Se avete a che fare con dei pazzi scatenati laddove siete, venite qui che abbiamo stabilità finanziaria affinché possiate investire e proteggere i vostri soldi”. Ricordate: si muovono sempre prima i capitali, poi gli eserciti.
Il valore di un dollaro è sceso a un nuovo minimo, meno di 1/3.000 di oncia d'oro. Ciononostante, secondo una legge americana ormai superata, il governo federale deve rendere conto delle sue oltre 8.100 tonnellate d'oro a una valutazione completamente irrilevante stabilita più di 50 anni fa, quando il valore del dollaro era molto più alto, circa 1/42 di oncia.
Quel numero obsoleto deriva dal linguaggio preciso nella Legge del 1973 che andava a modificare il “Par Value Modification Act”, ancora in vigore, la quale stabilisce che il valore in oro del dollaro è fissato a “quarantadue e due noni di dollari per oncia troy”. In altre parole, quella legge valuta il dollaro a 1/42,22 di oncia d'oro.
Eppure, nel mercato dell'oro, il dollaro sta fruttando meno di un 3.000esimo di oncia, un altro modo per dire che l'oro viene scambiato a più di $3.000 l'oncia, circa 71 volte il prezzo legale. In altre parole, il prezzo legale è inferiore al 2% del prezzo di mercato. Come riesce a sopravvivere questo antico manufatto giurisprudenziale?
Qualunque cosa fosse accaduta nel 1973, quando il Congresso ridusse il valore legale del dollaro da 1/38 di oncia d'oro a 1/42,22 di oncia, per noi nel 2025, dopo un ulteriore mezzo secolo di deprezzamento della cartamoneta americana, il prezzo legale non ha alcun senso.
Deriva da una legge approvata 52 anni fa in un mondo diverso della finanza politica. Perché non è stata aggiornata con una relazione più realistica tra oro e dollaro?
Il valore dell'oro in termini di dollari, essendo sceso a un 3.000esimo di oncia da un 42,22esimo di oncia, è aumentato di circa il 7.000% rispetto al prezzo legale. Ciò significa che in termini di oro, il valore del dollaro è crollato di oltre il 98%.
In termini contabili, questo significa che il Dipartimento del Tesoro possiede ciò che equivale a un guadagno di capitale gigantesco sull'oro in suo possesso. Sebbene tale guadagno non sia riconosciuto nei libri contabili del governo federale, è già avvenuto ed è già reale.
A un prezzo di mercato di $3.000 l'oncia, questo guadagno in conto capitale, in cifre tonde, ammonta a $2.958 l'oncia sui 261,5 milioni di once d'oro del Dipartimento del Tesoro. Ciò si traduce, almeno teoricamente, in un profitto totale non realizzato di circa $773 miliardi. È una cifra abbastanza grande da catturare l'attenzione di chiunque e da far riflettere qualsiasi Segretario del Tesoro.
Quando il Segretario del Tesoro Bessent ha affermato: “Monetizzeremo il lato attivo del bilancio degli Stati Uniti per il popolo americano”, molti commentatori finanziari hanno immediatamente pensato all'oro del Dipartimento del Tesoro e a come potrebbe essere trasformato in un grande guadagno e denaro spendibile. Certamente può essere fatto, ma in ogni caso non fino a quando il Congresso non modificherà il valore ufficiale del dollaro stabilito da quella Legge del 1973.
Le possibilità sono importanti per la teoria e la pratica in ambito monetario, perché reintrodurrebbero un certo ruolo monetario per l'oro mezzo secolo dopo che l'America aveva condotto il mondo nel suo attuale sistema monetario puramente cartaceo dopo i fatti del 1971. Fu allora che il presidente Nixon ordinò al Dipartimento del Tesoro di non rispettare l'impegno internazionale degli Stati Uniti di riscattare i dollari in oro.
Supponiamo che il Congresso riportasse il prezzo ufficiale dell'oro alla realtà. Il Dipartimento del Tesoro realizzerebbe immediatamente un guadagno di $773 miliardi nei libri contabili del governo federale. Per trasformare il guadagno in denaro non dovrebbe vendere oro, ma potrebbe indebitarsi avendolo come garanzia.
Ad esempio, il Dipartimento del Tesoro potrebbe emettere obbligazioni auree, come ha già fatto in precedenza e come Judy Shelton, nel suo libro “Good as Gold,” ha suggerito di fare di nuovo.
Con un ritorno alla pratica storica, il Dipartimento del Tesoro potrebbe emettere valuta coperta dall'oro in concorrenza con le banconote della Federal Reserve. Ciò richiederebbe un'ulteriore legislazione controversa.
Molto più semplice e diretto sarebbe per il Dipartimento del Tesoro emettere Certificati aurei, già autorizzati dal Gold Reserve Act del 1934, ma ora basati sul valore corrente dell'oro in suo possesso. Il profitto sull'oro potrebbe quindi essere facilmente monetizzato depositando questi Certificati nella Federal Reserve, che accrediterebbe di conseguenza il conto deposito del Dipartimento del Tesoro presso di essa. Voilà! Soldi pronti da spendere senza emettere altri titoli del Tesoro.
Come abbiamo già sottolineato Paul Kupiec e io, questo sarebbe un modo efficiente per creare finanziamenti provvisori per eventuali future crisi del tetto del debito.
Dovremmo certamente portare le finanze degli Stati Uniti al passo con la realtà: aumento del valore dell'oro rispetto al dollaro e calo del valore del dollaro rispetto all'oro. Allo stesso tempo, potremmo aprire la nostra teoria e pratica monetaria a un rinnovato ruolo monetario per l'oro.
Per fare ciò, il Congresso potrebbe modificare immediatamente il “Par Value Modification Act” emanando un “Gold Value Modification Act del 2025” il quale elimini il precedente prezzo ufficiale di “quarantadue e due noni di dollari” e lo sostituisca con “il valore di mercato equo dell’oro certificato dal Segretario del Tesoro”.
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
La conferma di Robert F. Kennedy Jr. come Segretario della Salute e dei Servizi Umani negli Stati Uniti è la condanna definitiva della risposta politica al Covid.
Il piano di lockdown fino alla vaccinazione obbligatoria è stato il più grande sforzo di governo e industria su scala globale nella storia. Era tutto progettato per trasferire ricchezza alle industrie vincenti (farmaceutica, vendita al dettaglio online, servizi di streaming, istruzione online), dividere e conquistare la popolazione e consolidare il potere nello stato amministrativo.
Nel 2021 Robert F. Kennedy Jr. era emerso come il critico più esplicito, erudito e informato di quel piano. In due libri brillanti, The Real Anthony Fauci e The Wuhan Cover-Up, ha documentato l'intera sua impresa e ha datato l'evoluzione dell'industria pandemica dal suo inizio nel dopoguerra fino a oggi. Non c'era modo di leggere questi libri e pensare alla cabala corporativa allo stesso modo.
Le circostanze che hanno portato alla sua nomina al Dipartimento della salute sono di per sé improbabili e notevoli. Considerando il presidente Biden un candidato debole, uno che aveva imposto mascherine e iniezioni alla popolazione e censurato brutalmente tecnologia e stampa, ha deciso di candidarsi alla presidenza, presumendo che ci sarebbero state delle primarie aperte. Non ce n'è stata alcuna, quindi è stato costretto a una corsa da indipendente.
Il suo sforzo è stato reso vano dalla solita dinamica politica che capita a ogni candidato indipendente, troppe barriere all'accesso alle schede elettorali più la solita logica della Legge di Duverger. Ciò ha messo la sua campagna in una situazione difficile. Allo stesso tempo due enormi cambiamenti politici erano diventati chiari: il Partito Democratico era diventato un veicolo e una facciata principalmente per lo stato amministrativo, mentre il Partito Repubblicano veniva preso in consegna dai rifugiati dei Democratici, creando di fatto un nuovo partito Trump dai resti degli altri due.
Tutto il resto è storia. Trump si è unito a Elon Musk per fare al governo federale quello che quest'ultimo aveva fatto quando aveva preso il controllo di Twitter: privatizzare l'azienda, svuotare il posto dalle ingerenze federali e licenziare 4 dipendenti su 5. Nel mezzo di tutto questo, e di fronte a una terrificante raffica di attacchi legali, Trump ha schivato il proiettile di un assassino. Ciò ha scatenato terribili ricordi del padre e dello zio di Robert F. Kennedy Jr. e ha quindi deciso di unire gli sforzi con lui.
Nel giro di poche settimane abbiamo avuto una nuova coalizione che ha riunito vecchi antagonisti, poiché molte persone e gruppi hanno realizzato nello stesso istante di avere interessi congiunti: ripulire il cartello corporativo. Con la piattaforma X appena liberata per raggiungere il pubblico, è nato lo slogan MAGA/MAHA/DOGE.
Trump ha vinto e ha scelto Robert F. Kennedy Jr. per guidare il Dipartimento della salute più potente al mondo. L'ostacolo era la conferma al Senato, ma ciò è stato superato attraverso un'incredibile triangolazione che ha reso estremamente difficile votare no.
Nel quadro generale potete misurare la portata di questo titanico cambiamento nella politica americana dal modo in cui si sono allineati i voti al Senato. Tutti i repubblicani tranne uno hanno votato per il rampollo più importante del Partito Democratico affinché guidasse l'impero sanitario, mentre tutti i democratici hanno votato no. Questo da solo è sorprendente e una testimonianza del potere della lobby farmaceutica che, durante le udienze, è stata smascherata come la mano nascosta dietro i più accaniti oppositori della sua conferma.
Il nostro incubo è finito? Non ancora. Non è ancora trascorso nemmeno un mese dall'inizio del secondo mandato di Donald Trump, e non è ancora chiaro quanta autorità eserciti realmente sul tentacolare ramo esecutivo. A dire il vero nessuno riesce nemmeno a mettersi d'accordo su quanto sia grande questa branca: tra i 2,2 e i 3 milioni di dipendenti e tra le 400 e le 450 agenzie governative. Il dissesto finanziario in questo ambito è impensabile e ben peggiore di quanto persino il più grande cinico possa immaginare.
Cinque ex-segretari del Tesoro hanno pubblicato sulle pagine del New York Timesun'affermazione scioccante: “Il sistema di pagamento della nazione è stato gestito da un gruppo molto ristretto di dipendenti pubblici apartitici”. Tra questi c'era un dipendente chiamato “assistente segretario fiscale, un incarico che per gli otto decenni precedenti era stato riservato esclusivamente ai dipendenti pubblici per garantire l'imparzialità e la fiducia del pubblico nella gestione e nel pagamento dei fondi federali”.
Non c'è nemmeno bisogno di leggere tra le righe. Ciò significa che nessuna persona eletta dal popolo e nessuno nominato da tale persona ha accesso ai libri contabili federali dal 1946. Ciò va oltre ogni immaginazione. Nessun proprietario di alcuna azienda tollererebbe mai di essere escluso dagli uffici contabili e dai sistemi di pagamento. E nessuna azienda può offrire azioni pubbliche senza verifiche indipendenti e libri contabili aperti.
Eppure sono passati quasi 80 anni, durante i quali nessuna delle due cose è stata vera per questa gigantesca impresa chiamata governo federale. Ciò significa che $193.000 miliardi sono stati spesi da un'istituzione che non ha mai dovuto affrontare una supervisione granulare da parte del popolo e non ha mai soddisfatto le normali richieste che ogni impresa affronta ogni giorno.
L'abitudine a Washington è stata quella di trattare ogni leader eletto e le sue nomine come marionette temporanee e transitorie, persone che vanno e vengono e disturbano poco o nulla le normali operazioni di governo. Questa nuova amministrazione sembra avere ogni intenzione di cambiare le cose, ma il lavoro è incredibilmente impegnativo. Per quanto sostegno pubblico il MAGA/MAHA/DOGE godano per ora, e per quanto molte persone di questi gruppi si stiano inserendo nella struttura di potere, sono in inferiorità numerica e superati in astuzia da milioni di agenti del vecchio ordine.
Questa transizione non sarà facile semmai accadrà.
L'inerzia del vecchio ordine è potente. Anche sulla questione della salute e delle pandemie, c'è già confusione. La CBS Newsha riferito che il lealista di Fauci e promotore dell'mRNA, Gerald Parker, dirigerà l'Office of Pandemic Preparedness and Response della Casa Bianca. L'articolo cita “funzionari sanitari” non identificati e la nomina è stata celebrata da Scott Gottlieb, il membro del consiglio di amministrazione di Pfizer che ha spinto Trump a sostenere i lockdown nel 2020.
Questa nomina non è stata confermata dalla Casa Bianca. Non sappiamo se l'OPPR, creato dallo statuto del Congresso, verrà finanziato. Il giornalista non rivelerà le sue fonti, sollevando la questione del perché qualsiasi nomina che abbia a che fare con la salute debba essere circondata da tali macchinazioni degne di un film di spionaggio.
Se Parker si trincera in questa posizione e viene dichiarata un'altra emergenza sanitaria, questa volta per l'influenza aviaria, Robert F. Kennedy Jr. non sarà affatto in una posizione decisionale.
I problemi più grandi hanno a che fare con una domanda: il presidente è davvero responsabile del ramo esecutivo? Può assumere e licenziare? Può spendere soldi o rifiutarsi di spenderli? Può stabilire le linee di politica delle agenzie?
Si potrebbe supporre che la risposta a queste domande si trovi nell'articolo 2, sezione 1: “Il potere esecutivo sarà conferito al presidente degli Stati Uniti d'America”. Eppure quella frase è stata scritta quasi 100 anni prima che il Congresso creasse questa cosa chiamata “civil service” che non compare da nessuna parte nella Costituzione. Questo quarto ramo è cresciuto in dimensioni e potere fino a travolgere sia la presidenza che la legislatura.
I tribunali dovranno risolvere la questione e una valanga di cause legali ha già colpito la nuova amministrazione per aver osato presumere il controllo sulle agenzie governative e sulle loro attività di cui il presidente è e deve necessariamente essere ritenuto responsabile. Le corti federali inferiori sembrano chiedere che il presidente lo sia solo di facciata, mentre la Corte Suprema potrebbe avere un'opinione diversa.
La tanto sbandierata “crisi costituzionale” non è altro che un tentativo di riaffermare il disegno costituzionale originale del governo federale.
Questo è il modello di base in cui Robert F. Kennedy Jr. prende il potere e supervisiona tutte le sotto-agenzie. Queste agenzie governative hanno svolto un ruolo enorme nel coprire l'attacco alla libertà e ai diritti per cinque anni. La sua conferma è un simbolico ripudio delle più eclatanti linee di politica pubbliche mai registrate. E tuttavia il ripudio è del tutto implicito: non c'è stata alcuna commissione, nessuna ammissione di errore, nessuno è stato ritenuto veramente responsabile.
La traiettoria in cui ci troviamo offre molte ragioni per festeggiare, ma tornate sobri in fretta. C'è ancora molta strada da fare ed enormi barriere da superare per arrivare al punto in cui saremo di nuovo davvero al sicuro dal complesso corporativo/statalista e dai loro complotti per derubare la popolazione dei diritti e delle libertà.
Le correzioni sono dolorose nel breve termine, ma nel lungo liberano quelle risorse precedentemente sprecate che possono quindi essere messe a miglior uso dal settore privato. È cosi che si conduce una politica fiscale sostenibile. E che l'amministrazione Trump l'abbia capito è un bene. Lo stesso Trump ha detto che l'economia subirà un “piccolo aggiustamento” nei mesi a venire e Bessent afferma che l'economia ha bisogno di “disintossicarsi” dalla spesa pubblica. Sfortunatamente i programmi di disintossicazione sono solitamente caratterizzati da sintomi di astinenza per il paziente, ma che poi gli permettono di recuperare la forma una volta terminato il processo. L'Argentina è un caso da manuale a tal proposito. Concentrarsi direttamente sulla produzione, mentre il consumo è enfatizzato solo nella misura in cui la ridotta importanza dei settori globalizzati e finanziarizzati dell'economia è vista come un modo per ricostruire la classe media americana dei colletti blu e colmare il divario di consumo tra ricchi e poveri. Il vantaggio comparato e l'efficienza economica vengono messi in secondo piano, dato che i dazi servono sostanzialmente per ridurre il surplus commerciale estero nei confronti degli USA, cosa che fa scorrere i dollari all'estero e permette ai globalisti di attingere da quella fonte per tenere liquido il mercato degli eurodollari con cui minano la stabilità degli USA stessi. La sicurezza delle catene di approvvigionamento viene nuovamente enfatizzata, rimarcando la necessità di rimboccarsi le maniche e sopportare le turbolenze economiche. Agli americani viene venduta una visione in cui credere, un orizzonte temporale migliore in cui credere e poterlo vedere, e ogni taglio alla spesa pubblica e alla burocrazia è un passo che si fa verso suddetto orizzonte. Un passo concreto, ora. La retorica su Marte serve anch'essa a questo scopo.
Per anni ho atteso un po' di onestà sui dati economici. I numeri ufficiali non avevano senso. I numeri nel mondo del lavoro mostravano disparità tra i metodi di raccolta dati; i numeri della produzione non si adattavano alle realtà sul campo; i numeri dei prezzi non riflettevano fonti dell'industria privata.
Mettendo insieme tutti questi elementi, da anni siamo circondati da una recessione, con numeri spaventosi sull'occupazione.
Dire questo mi ha fatto passare per un pazzo, ma gli ultimi cinque anni hanno convinto me e moltitudini di altri che le affermazioni e i numeri ufficiali non sono affidabili. Mettendo alla prova il mio intuito, ho commissionato uno studio ad alcuni esperti di dati seri che conoscono questo mondo meglio di me. Hanno concluso che i prezzi erano aumentati al doppio dei livelli comunicati, che i mercati del lavoro erano deboli, che la produzione era bassa e che eravamo in recessione tecnica sin dal 2022.
Abbiamo pubblicato quello studio e atteso il contraccolpo e le confutazioni. Non sono mai arrivate. Non una comunicazione a me rivolta contro i numeri; non un esperto ha scritto per dire che avevamo distorto qualcosa; non una persona ha respinto la conclusione. Ammetto che questo mi ha spaventato. Quante persone sanno che gli Stati Uniti sono in recessione ma non lo dicono per motivi professionali?
Nel mondo dell'economia i professionisti si aggrappano alle fonti di dati come dottrina ferma. Come si diceva nell'Unione Sovietica, i dati potrebbero essere falsi, ma è tutto ciò che abbiamo! E se lo stesso fosse valso per gli Stati Uniti? Sembra impensabile, dal momento che le relazioni del Bureau of Labor Statistics e del Commerce Department sono da tempo considerati la verità. Cosa succederebbe se scoprissimo che nessuno sa davvero cosa sta succedendo?
Eccoci qui, solo a un mese dal secondo mandato di Trump, e la verità sta venendo fuori all'improvviso.
Eugene Ludwig ha scritto un articolo sorprendente per Politico, guarda caso. Getta acqua fredda su ogni importante fonte di dati in nostro possesso. Le sue conclusioni si adattano bene a quanto avevamo detto sei mesi fa e a ciò che ho intuito dal 2020. Dice senza mezzi termini che la produzione è molto più bassa di quanto sappiamo, la disoccupazione effettiva è molto più alta e i prezzi sono aumentati fino al doppio di quanto ammesso dal governo federale.
L'autore inizia ricordando ai lettori una delle principali narrazioni dell'anno scorso, ovvero che gli elettori erano scontenti delle condizioni economiche. Eppure i giornalisti dicevano sempre che i dati erano in realtà piuttosto forti. Il ragionamento era essenzialmente che le persone erano piuttosto sciocche e ignoravano cosa stavano scoprendo i mercanti dei dati. In altre parole, se eravate tra gli intelligenti, dovevate sapere che in realtà l'inflazione stava calando e che tutto andava bene con il mondo del lavoro e la produzione.
Ludwig offre un'altra spiegazione molto simile a quella che io e altri sosteniamo da tempo, ovvero che gli elettori non avevano torto; il vero problema è che i dati probabilmente non riportavano condizioni reali.
“E se i numeri che sostengono la teoria della prosperità su vasta scala fossero essi stessi fasulli?” si chiede.
“E se le valutazioni più fosche dell’economia fossero quelle più ancorate alla realtà?”
Prosegue spiegando i numeri della disoccupazione, per esempio. I principali numeri sulla disoccupazione non considerano la qualità dei lavori, le ore lavorate, la misura in cui le persone sono sottoccupate, o se hanno semplicemente rinunciato del tutto. Un indizio c'era: i rapporti occupazione-popolazione che non si sono mai ripresi. Non è stato mai preso in considerazione, per esempio, che i secondi lavori avevano raggiunti livelli record e se i salari guadagnati erano sufficienti a impedire alle persone di dover vivere per strada.
E per quanto riguarda il reddito, i numeri non consideravano la cifra assoluta di persone che a malapena sbarcavano il lunario. Potreste avere medie che sembrano buone, ma mascherano i milioni di persone intrappolate al di sotto dei livelli di sussistenza.
Se si considerano i salari medi anziché la media degli stessi, le persone “guadagnano il 16% in meno di quanto indichino le statistiche prevalenti”.
E sui prezzi, ecco dove troviamo il vero inganno. Osservando così tanti beni, l'indice dei prezzi al consumo (IPC) maschera gli aumenti di prezzo che contano di più per i beni che le persone effettivamente acquistano regolarmente.
“Il nostro indicatore alternativo rivela che, dal 2001, il costo della vita per gli americani con redditi modesti è aumentato del 35% più velocemente dell’indice dei prezzi al consumo”.
Lui e molti altri ricercatori hanno capito che il vero costo della vita potrebbe essere aumentato del doppio di quanto indicato dall'indice dei prezzi al consumo. Ciò influisce sui dati dell'output, che sono stati distorti dall'esplosione della spesa pubblica e del debito. Una volta che si aggiusta la produttività privata con una misura realistica dell'inflazione, si ottengono numeri costantemente all'interno della zona rossa della crescita reale negativa.
E la conclusione:
“Il problema non è che alcuni americani non siano usciti vincitori dopo quattro anni di Bidenomics. Alcuni sì. È che, per la maggior parte, coloro che vivono in circostanze più modeste hanno sopportato almeno 20 anni di battute d'arresto e gli ultimi quattro anni non hanno cambiato le cose abbastanza per il 60% inferiore dei percettori di reddito americani”.
Sì, questo è il genere di articolo che vi fa venire voglia di urlare: e proprio adesso ce lo dite!?
Immagino che ora che Trump è al comando avremo più verità, ma non è una verità che vogliamo sentire. Stiamo già assistendo a numeri dell'inflazione elevati, numeri di posti di lavoro rivisti e input inferiori ai numeri dell'output. Non mi sorprenderebbe vedere una recessione retroattiva ammessa entro l'estate, che verrà strombazzata dalla stampa come prova che la Trumponomics ha fallito e deve essere abbandonata.
Capite come funzionano le cose? I numeri sono diventati così politicizzati da essere quasi inutili. Persino questo articolo non fa il passo in più di aggiustare la produzione in base ai prezzi, il che avrebbe rivelato la recessione tecnica di cui abbiamo scritto.
I numeri ufficiali potrebbero essere falsi. E tuttavia ci aggrappiamo tutti a loro... perché sono tutto ciò che abbiamo.
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
Nel pieno della pandemia COVID, con la BCE impegnata a mantenere bassi gli spread sovrani e le regole fiscali dell'UE sospese, l'Italia ha lanciato quello che sarebbe diventato uno degli esperimenti fiscali più costosi della storia. Il Primo Ministro Conte annunciò che il governo italiano avrebbe sovvenzionato il 110% del costo delle ristrutturazioni abitative. Il “SuperBonus”, come sarebbe stato chiamato, avrebbe migliorato l'efficienza energetica e stimolato un'economia che era cresciuta a malapena negli ultimi due decenni. I consumatori non avrebbero dovuto affrontare né vincoli economici, né di liquidità: “Nel settore edile verrà introdotto un Superbonus con cui tutti potranno ristrutturare la propria abitazione e renderla più green. Non spenderete un centesimo per queste ristrutturazioni. (Giuseppe Conte, 13 maggio 2020)”.
Lo stato avrebbe pagato ai proprietari di case il 110% del costo di ristrutturazione delle loro proprietà attraverso un meccanismo finanziario innovativo: anziché sovvenzioni dirette in denaro, il governo italiano avrebbe emesso crediti d'imposta trasferibili. Un proprietario di casa averbbe potuto scaricare questi crediti direttamente sulle proprie tasse, farli scaricare agli appaltatori sulle fatture, o venderli alle banche. Questi crediti sono diventati una sorta di valuta fiscale, uno strumento finanziario parallelo che funzionava come debito fuori bilancio (Capone e Stagnaro, 2024). L'impostazione ha creato intenzionalmente l'illusione di un proverbiale pasto gratis: ha nascosto il costo per il governo italiano, poiché ai fini della contabilità europea i crediti si sarebbero presentati solo come entrate fiscali perse piuttosto che come nuova spesa.
Il SuperBonus ha creato le condizioni per quella che il ministro dell'Economia di Draghi, Daniele Franco, ha definito “una delle più grandi frodi nella storia della Repubblica” (Capone e Stagnaro, 2024). Gli appaltatori spesso gonfiavano i costi di ristrutturazione; ad esempio, un progetto da €50.000 poteva essere dichiarato come €100.000. La banca acquistava il credito d'imposta da €110.000 a un valore quasi nominale, consentendo all'appaltatore di intascare la differenza, a volte condividendola con il proprietario della casa. A volte, invece, non veniva eseguito alcun lavoro, nel qual caso le fatture per lavori inesistenti su edifici fasulli erano uno strumento perfetto per la criminalità organizzata. I crediti fraudolenti potevano quindi essere rivenduti più volte in un mercato non regolamentato di sconti fiscali sostenuti dallo stato. Nel 2023 le autorità hanno stimato che tali attività fraudolente erano costate ai contribuenti €15 miliardi.
Nel 2024 era chiaro che il pasto era tutt'altro che gratis. I costruttori andavano in giro offrendosi di pagare le persone per ristrutturare le loro case. Un piano inizialmente preventivato in €35 miliardi avrebbe finito per costare ai contribuenti italiani €220 miliardi (€160 miliardi di Superbonus + €60 miliardi per il credito di restauro delle facciate al 90% e altri crediti del 65%), circa il 12% del PIL.[1] I costi annuali sono aumentati vertiginosamente dall'1% del PIL nel 2021, al 3% nel 2022 e al 4% nel 2023. Solo 495.717 abitazioni sarebbero state ristrutturate, il che significa che il costo medio del programma era di circa €320.000 per casa.[2] Ciò è accaduto in un Paese già gravato da un debito pari al 140% del PIL, che affronta enormi passività pensionistiche non finanziate pari a oltre il 400% del PIL e il cui debito è classificato Baa3 da Moody's, un gradino sopra lo status di “spazzatura”. Il costo è irrisorio rispetto ai €71 miliardi di sovvenzioni che l'Italia ha ricevuto dal piano di ripresa e resilienza dell'Unione europea. Nonostante la scarsa copertura sulla stampa internazionale, il Superbonus è stato uno degli errori fiscali più costosi della storia.
Accetturo, Olivieri e Renzi (2024)
Due documenti della Banca d'Italia e uno dell'FMI hanno analizzato l'impatto del programma. Mentre gli investimenti reali in abitazioni pro capite sono aumentati del 67% rispetto a un Paese comparabile “sintetico”, Accetturo, Olivieri e Renzi (2024) hanno concluso che “i benefici per l'economia nel suo complesso in termini di valore aggiunto sono stati inferiori ai costi dei sussidi”. I costi di costruzione sono aumentati drasticamente: l'indice dei costi di costruzione è cresciuto di circa il 20% dopo la pandemia e ha fatto registrare un altro aumento del 13% dopo settembre 2021, con il Superbonus direttamente responsabile di circa 7 punti percentuali di tale aumento, secondo Corsello ed Ercolani (2024). Il prezzo dell'installazione di impalcature, un primo passo essenziale per la ristrutturazione, è aumentato del 400% entro la fine del 2021.
Accetturo, Olivieri e Renzi (2024)
La valutazione dell'FMI è ancora più critica. Lo stimolo alla crescita è stato “limitato rispetto alle dimensioni delle risorse fiscali spese”, ha concluso, citando “perdite nelle importazioni, consistenti sconti sulle fatture, maggiori rincari sui prezzi nell'edilizia, spiazzamento di altri investimenti e uso improprio di fondi pubblici”. Nel frattempo l'occupazione nell'edilizia era entrata in un ciclo di espansione e contrazione, poiché le aziende si erano espanse per catturare i sussidi, per poi trovarsi di fronte a un baratro quando il programma ha iniziato a concludersi.
Anche i benefici ambientali del programma hanno avuto un costo astronomico: qualsiasi calcolo risulterà in ben oltre €1.000 per tonnellata di anidride carbonica (rispetto a un prezzo sul mercato delle emissioni di circa €80 per tonnellata). Mentre il Superbonus è stato presentato come un'importante operazione di efficienza energetica e riduzione delle emissioni di gas serra, è stato il più grande singolo caso di greenwashing dei nostri tempi.
Com'è potuto accadere?
Il SuperBonus è nato in un momento di trasformazione nel pensiero politico-economico su entrambe le sponde dell'Atlantico.
Riccardo Fraccaro, avvocato, politico del Movimento Cinque Stelle, seguace della Modern Monetary Theory e architetto del SuperBonus, vedeva il programma come un modo per spingere un'espansione fiscale nel rispetto delle norme UE. Progettando il Superbonus come un sistema di crediti d'imposta trasferibili, Fraccaro e i suoi consulenti hanno creato uno strumento finanziario parallelo che non venisse registrato immediatamente come debito pubblico (Capone e Carlo Stagnaro, 2025).[3]
Il SuperBonus incarnava lo spirito di quel momento: il debito come motore della crescita. Sarebbe stato finanziato in parte (circa €13,95 miliardi) tramite l'emissione obbligazionaria europea da €750 miliardi nell'ambito di NextGenerationEU. Come la Bidenomics negli Stati Uniti, prometteva di raggiungere simultaneamente più obiettivi trasformativi: stimolo economico, equità sociale e protezione ambientale. E come molti programmi post-pandemia, rifletteva la convinzione che le linee di politica passate fossero state troppo timide e che i vincoli di bilancio tradizionali potessero essere tranquillamente ignorati nel perseguimento di obiettivi sociali più ampi.
Una volta avviato, il SuperBonus si è rivelato politicamente impossibile da fermare. I benefici si sono concentrati tra varie fasce di elettori: proprietari di case che hanno ottenuto ristrutturazioni, il movimento ambientalista e appaltatori che hanno visto un'attività in forte espansione. I costi, sebbene enormi, sono stati distribuiti tra tutti i contribuenti e rinviati al futuro attraverso il meccanismo del credito d'imposta. Nessun governo, di sinistra, tecnocratico o di destra, è stato in grado di resistere alla sua logica. Il Parlamento ha costantemente respinto i tentativi di limitarne la portata, anche dopo che le stime di frode hanno raggiunto i €16 miliardi. In veste di Primo ministro, Mario Draghi, nonostante abbia pubblicamente criticato il programma per aver triplicato i costi di costruzione, non è riuscito a fermarlo: la sua azione iniziale è stata quella di semplificarne l'accesso. Quando il suo governo ha tentato di frenare gli abusi, il Movimento Cinque Stelle ha reagito con rabbia e sono stati contrastati anche i modesti controlli sui trasferimenti di credito. Nel 2023 il governo di Giorgia Meloni ha dovuto affrontare le stesse opposizioni: i gruppi industriali hanno protestato, i partner della coalizione si sono tirati indietro. Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti ha avvertito i colleghi: “Temo che non abbiate capito la gravità della situazione”.
Tuttavia, non è solo la politica italiana che avrebbe dovuto porre fine a tutto questo. Oltre al parlamento, ci sono due potenziali meccanismi per evitare tale avventurismo fiscale in un Paese già gravato da uno dei più alti carichi di debito in Europa. Primo, le regole fiscali e la Commissione europea; secondo, il mercato, i cosiddetti bond vigilantes. Entrambi hanno fallito.
Le regole fiscali erano state sospese a causa del Covid, ma questo non esonerava la Commissione europea, che è responsabile di tali regole, dalla sua responsabilità nella questione. Il Recovery and Resilience Facility (il fondo di ripresa dal Covid finanziato dall'UE) è stato progettato con una rigorosa condizionalità, assicurandosi che i fondi fossero erogati solo dopo che gli stati membri avessero raggiunto traguardi sulle riforme e rispettato le raccomandazioni del “semestre europeo”. Alla Commissione europea è stato ordinato di rivedere i piani di ripresa nazionali, verificare la conformità con gli obiettivi strutturali e trattenere i pagamenti se le condizioni non fossero state soddisfatte. Nel caso del Superbonus italiano, questo meccanismo ha fallito.
La Commissione ha approvato l'inclusione del Superbonus nel PNRR italiano dopo la sua progettazione, con piena consapevolezza del fatto che questo programma includeva un sussidio del 110%. Quando il programma è poi cresciuto ben oltre l'ambito approvato dall'UE, trasformandosi in un'enorme passività fiscale senza supervisione, la Commissione ha permesso ai fondi di continuare a fluire. Anche quando le proiezioni del deficit italiano sono andate fuori controllo, non è riuscita a riconoscere, o ha deliberatamente ignorato, che il SuperBonus era diventato un veicolo incontrollato per sprechi e frodi.
Poi ci sono i bond vigilantes. Ma, come John Cochrane, Klaus Masuch e io sosteniamo nel nostro prossimo libro, “Crisis Cycle”: grazie alla garanzia implicita della BCE i legislatori italiani non sono vincolati dai mercati. Potrebbero ragionevolmente aspettarsi (e Capone e Stagnaro, 2024, sostengono che l'abbiano fatto) che:
• La BCE impedirebbe qualsiasi picco significativo nei costi di prestito attraverso i suoi programmi di acquisto di obbligazioni;
• Il costo fiscale potrebbe essere attenuato distribuendolo negli anni attraverso crediti d'imposta;
• Se emergesse una pressione sul mercato, la BCE interverrebbe acquistando titoli di stato italiani.
Questo calcolo si è rivelato corretto. Quando il deficit italiano è schizzato alle stelle nel 2023 a causa del SuperBonus, passando da un previsto 5,5% all'8% del PIL, non c'è stato panico sul mercato. Gli spread obbligazionari italiani sono rimasti contenuti, grazie al Transmission Protection Instrument (TPI) della BCE, il quale ha rassicurato gli investitori senza che la BCE dovesse nemmeno intervenire. Rimuovendo il vincolo della disciplina di mercato, la BCE ha permesso al SuperBonus di persistere molto più a lungo di quanto sarebbe altrimenti accaduto.
Non tutti i programmi futuri saranno così eclatanti come il SuperBonus, che è molto probabilmente una delle linee di politica fiscali più stupide della memoria recente. Come ha affermato la Ragioneria generale italiana nella sua retrospettiva del 2024: “Il SuperBonus era significativamente diverso dai precedenti benefici i cui effetti erano noti. Per la prima volta è stata consentita la copertura completa dei costi, aumentando l'attrattiva della misura ed eliminando sostanzialmente il conflitto di interessi tra fornitori e acquirenti”.
Ma il SuperBonus illustra un problema più profondo che l'Europa si trova ad affrontare: i meccanismi tradizionali per la disciplina fiscale sono crollati. Le forze di mercato (gli acquirenti di obbligazioni) sono stati neutralizzati dall'intervento della BCE. Le regole fiscali della Commissione europea, già indebolite da ripetute violazioni da parte di grandi Paesi come Francia e Germania, vengono sostituite da nuove regole che, poiché si basano sulla contrattazione bilaterale, forniscono pochi vincoli reali. E i sistemi politici nazionali, liberati dalla pressione del mercato, trattano sempre più la spesa finanziata dal debito come un pasto gratis.
Questa erosione della disciplina non è limitata all'Italia. Il deficit della Francia è arrivato al 6,1% del PIL. La Spagna ha invertito la sua riforma pensionistica post-crisi proprio quando l'Italia stava approvando il SuperBonus, con conseguenze negative molto più grandi per la sostenibilità fiscale. In un mondo in cui la BCE interverrà sempre per prevenire la pressione nel mercato obbligazionario e Bruxelles non può far rispettare in modo credibile le regole fiscali sui grandi stati, una politica fiscale sostenibile diventa quasi impossibile.
Gli stessi meccanismi progettati per proteggere l'euro potrebbero ora indebolirlo. Quando la BCE interviene per impedire la pressione del mercato sui titoli di stato, rimuove una forza disciplinare cruciale sulle linee di politica fiscali nazionali, creando incentivi perversi per i politici ad espandere la spesa senza riguardo per la sostenibilità a lungo termine. Un'unione monetaria senza unione fiscale può funzionare solo se gli stati membri mantengono linee di politica di spesa sostenibili. Ma l'Europa ora si ritrova intrappolata in una trappola che lei stessa ha creato: i suoi strumenti di lotta alla crisi stanno erodendo costantemente la disciplina necessaria per la sopravvivenza dell'euro. Finché l'Europa non troverà un modo per ripristinare vincoli significativi sulle linee di politica di spesa nazionali preservando al contempo la stabilità finanziaria, ogni espansione “temporanea” dei rischi di spesa diventerà permanente, ogni intervento “una tantum” della BCE rischia di diventare di routine e le tensioni sottostanti nell'unione monetaria continueranno a crescere.
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Riferimenti
• Accetturo, Antonio, Elisabetta Olivieri, e Fabrizio Renzi. Incentivi per le ristrutturazioni abitative: evidenze da un ampio programma fiscale. N. 860. Banca d'Italia, Area Ricerca Economica e Relazioni Internazionali, 2024.
• Capone, Luciano e Carlo Stagnaro. “Superbonus: Come Fallisce una Nazione”, Rubbettino Editore (novembre 2024).
• Capone, Luciano e Carlo Stagnaro. Le cattive idee hanno cattive conseguenze: il SuperBonus italiano e l'influenza della MMT. Mimeo, febbraio 2025.
• Cochrane, John, Luis Garicano e Klaus Masuch. “Crisis Cycle: Challenges, Evolution, and Future of the Euro” Princeton University Press, di prossima pubblicazione (giugno 2025).
• Corsello, Francesco, e Valerio Ercolani. Il ruolo del Superbonus nella crescita dei costi delle costruzioni in Italia. N. 903. Banca d'Italia, Area Ricerca Economica e Relazioni Internazionali, 2024.
• Eurostat (2023a). Manuale sul deficit e debito pubblico – Implementazione dell'ESA 2010. Edizione 2022. Lussemburgo: Ufficio delle pubblicazioni dell'Unione europea.
[1]In parte, la sorpresa nei confronti delle aspettative è che il Ministero delle Finanze non aveva modellato la risposta comportamentale dei consumatori. A differenza del Ministero, Luciano Capone, giornalista de Il Foglio (e autore di un libro che racconta la storia del programma), ha capito gli incentivi perversi fin dall'inizio, avvertendo a maggio 2020: “I clienti non andranno in giro a chiedere ai costruttori uno sconto ma, al contrario, un aumento del prezzo”. Gli incentivi contano.
[2]Il SuperBonus in senso stretto era di €160 miliardi (gli altri €60 miliardi sono il credito di restauro delle facciate e altri crediti, come spiegato nel testo). Se immaginiamo 500.000 abitazioni, la ristrutturazione media riceveva un sussidio di €320.000.
[3]Ecco la spiegazione di Capone e Stagnaro (2025) riguardo la questione contabile: “I crediti d’imposta non pagabili sono trattati come entrate fiscali negative e non come spese, saranno registrati quando saranno utilizzati per ridurre gli oneri fiscali, impattando sui conti per l’importo esatto utilizzato ogni anno” (Eurostat, 2023: 88). Tuttavia, se il credito d’imposta è trasferibile (come lo era il SuperBonus), se il credito d’imposta può essere trasferito a terzi, tale credito d’imposta deve quindi essere considerato un credito d’imposta pagabile e deve essere registrato nei conti nazionali come un’attività del contribuente e una passività del governo (Eurostat, 2023: 86)”.
Ultimo saggio di questa serie che ci ha visto affrontare un viaggio alquanto complesso e che ha permesso ai lettori di entrare in una sequenza di temi ostici da trattare per la loro difficoltà, ma che sono stati asciugati il più possibile affinché potessero essere compresi anche dai non addetti ai lavori. Fino al 2022 era giusto criticare gli Stati Uniti per la loro posizione lassista in ambito monetario e fiscale, l'ho fatto anche io. Dal lancio del SOFR è cambiato radicalmente tutto, un'inversione di 180° rispetto al passato. L'importanza epocale di questo cambiamento è accuratamente descritta nel mio ultimo libro, Il Grande Default, è sufficiente dire qui che ciò permetterà di abbandonare il cosiddetto tasso di riferimento della FED e decentralizzare il potere della stessa nelle 12 FED regionali, tornando a un assetto che esisteva prima degli anni '30 quando la Grande Depressione aprì la porta all'escalation di interventismo economico il cui culmine è stato raggiunto nel 2020. È questo a cui porterà l'audit della FED.
Tale risultato, però, non sarebbe stato possibile realizzarlo senza che gli USA si sganciassero dal LIBOR e mettessero un freno alla creazione di dollari all'estero, come descritto nella Prima parte di questa serie. Infatti l'anamnesi dell'eurodollaro ci ha permesso di capire, poi, nella Seconda parte, che il cuore della creazione artificiale di dollari ombra è la City di Londra e nel tempo questo artificio è stato usato per consumare la ricchezza reale americana a vantaggio di tutti quei player esteri che usavano l'hub londinese per attingere indirettamente dalla stampante americana e salvaguardare i propri interessi. L'estremo dimenarsi degli inglesi in ambito geopolitico e politico da quando Trump è entrato in carica è dovuto al fatto che tutte le micce finanziarie conducono a Londra. Infatti la FED ha operato in territorio ostile fino alle scorse elezioni, barcamenandosi come meglio poteva per restringere la politica monetaria interna e operare un “damage control” nei confronti del Dipartimento del Tesoro a cui capo c'era la Yellen.
La cosiddetta “onda rossa” post-elezioni era propedeutica affinché si potesse restringere senza intoppi anche la politica fiscale del Paese, la quale, durante le precedenti amministrazioni, era stata usata per gonfiare, in particolare sin dal 1971, l'offerta degli eurodollari. La chiusura della USAID è stato il simbolo di questa necessità, dato che l'obiettivo adesso è ricostruire la credibilità e l'affidabilità degli USA; e possono farlo perché essi rimangono il Paese con il gradiente e la capacità di “autarchismo” più grande di tutti nel mondo, da punto di vista energetico, militare e industriale.
Remarkable admission from Bank of America (the first of its kind from a major bank): DOGE is desperately needed as the alternative is catastrophe.
"The global handoff from big government to the free market may prove slippery, but it seems necessary given large deficits and… https://t.co/55Xq9ORTTE
Inoltre la sua resilienza economica a fronte di un ambiente economico con tassi alti è superiore a quella europea, dove la BCE la settimana scorsa ha platealmente ammesso che il baraccone europeo non riesce a resistere nemmeno a un 3% dei tassi di riferimento. Se ci fosse stato ancora il LIBOR questa debolezza avrebbe infettato anche la FED e gli USA. La catalizzazione delle attenzioni nell'ultima settimana è stata principalmente per il pair EURUSD. Vi basta vedere la candela settimanale per capire che puzza lontano un miglio di manipolazione... e qual è il maggiore centro di intermediazione del Forex? In secondo luogo, poi, le attenzioni sono state accuratamente pilotate verso il selloff del marcato azionario statunitense. Del selloff del comparto obbligazionario europeo, invece, poco o niente... e qual è il maggiore centro di giornalismo finanziario?
Al di là dell'euforia per le dichiarazioni riguardanti il piano “faraonico” di spesa militare, cari investitori retail, qual è il piano per tirare su TUTTI gli €800 miliardi? La fiducia? La speranza? Oppure qualche altro vertice europeo? Tra l'altro, è questo il collateral su cui state puntando quando vi lasciate imbonire dalle pubblicità in TV sui BTP “patriottici”: le chiacchiere alle riunioni europee. Questa settimana ce ne sarà un'altra e vedrete che la risposta alle domande qui sopra non ci sarà. Se ne sentono di ogni su Trump ormai sulla stampa, proprio perché non sanno come attaccarlo/ricattarlo. Lui ha una visione. Perché? Perché è un leader. Putin ha una visione, perché è un leader. Xi ha una visione, perché è un leader. E questo mi porta a concludere che ci sarà una Yalta 2.0 dove questi tre leader troveranno un accordo sul commercio e sposteranno le relative attenzioni sul Pacifico. Gli investitori devono ficcarsi in testa che il mondo della “consensus policy” non esiste più; è tornato quella della “power policy”, dimostrato anche ieri con la retromarcia, coda tra le gambe, del Canada. E non è un caso che Europa, Canada e Inghilterra siano i player che si dimenano di più, visto che non hanno leadership (e questo era qualcosa che avevate letto in tempi non sospetti tramite la penna di Gary North). Come si farebbe, altrimenti, a perseguire un'unione politica, fiscale e obbligazionaria dell'UE se ci fossero leader carismatici in ogni stato membro? Ecco perché gente come Orban o Fico sono osteggiati. Una parvenza di leader, ma nondimeno una spina nel fianco per la classe dirigente europea.
Obbligazioni SURE, il veicolo finanziario Savings and Investments Union, l'euro digitale: sono il canto del cigno di una struttura di potere che si rifiuta di riconoscere la propria obsolescenza. Quando Trump ha detto a quell'imbecille di Zelensky che “non ha le carte”, si rivolgeva indirettamente a coloro che stanno dietro di lui. Le “carte” in questo frangente storico sono le commodity e l'Europa ne è carente per sostenere il grado di complessità socioeconomico a cui è abituata la popolazione media. Anche qui: come si faranno a sfornare tanti bei giocattolini militari senza materie prime? E anche se si dovessero trovare, come faranno gli altri settori industriali a operare correttamente e in accordo con prezzi reali di mercato in presenza di una domanda artificiale pompata ad hoc?
Il caos alimentato da Bruxelles e dalla City di Londra rappresenta l'ultimo strumento in mano alla cricca di Davos per non presentarsi al tavolo delle trattative a mani vuote. È per loro che sta suonando la proverbiale “campana del default”. La più recente riconquista di Kursk premette a Putin di presentarsi al tavolo delle trattative dicendo che se ieri voleva “A+B”, adesso può permettersi di chiedere “A+B+C”. È così che agiscono i leader. Se Trump può permettersi di dire che applicherà dazi del 200% sul vino francese e italiano, può farlo perché senza la leva dell'eurodollaro queste nazioni sono state svuotate della capacità di tenere in piedi la complessità raggiunta in ambito socioeconomico. Non è una questione di export, è una questione che i propri “vizi” (militari e diritti sociali) sono stati appaltati alla stampante monetaria ombra degli USA. Ora che quei rubinetti sono chiusi, Trump può fare leva su quel lassismo per raggiungere i propri obiettivi. È così che agiscono i leader. Ed ecco perché ha ripetuto che “l'UE è nata per fregarci”.
Infine, nella Terza parte, abbiamo visto come anche la BoJ è stata usata, durante l'era della ZIRP e del “consenso del sistema bancario centrale del mondo”, come ulteriore strumento di leva del mercato degli eurodollari e come la fine del carry tade sullo yen ha inciso sulla contrazione dell'offerta di dollari ombra. Più ho scavato, più ho portato alla luce una cruda verità: il potere di monopsonio dell'Europa si basava tutto su un'illusione, alimentata dal suo continuo attingere al mercato degli eurodollari a scapito del resto del mondo. Il colonialismo europeo e inglese non è mai scomparso, ha solo cambiato forma. E nel momento in cui questa illusione è scomparsa, il panico risultate ha iniziato a far salire il prezzo dell'oro come forma di assicurazione contro la volatilità dei mercati e, soprattutto, come metro di giudizio in attesa di un ritorno a una ponderazione dei rischi in sintonia con forze di mercato genuine. La conseguenza più importante è la corsa agli sportelli della LBMA. Non solo, ma ci sono altre tegole per la City di Londra.
Un'altra tegola per la City di Londra. Il LIBOR ormai è andato, una grossa fetta delle assicurazioni se l'è mangiata l'India e, sulla scia della seguente notizia, il prossimo tassello che perderà è il mercato del Forex.https://t.co/Pjko8OMbpV
Ed ecco, quindi, perché Bruxelles e City di Londra desiderano ardentemente che la guerra continui a tutti i costi.
Oggi vedremo che la salita del prezzo dell'oro è la più grande margin call della storia moderna ed è nei confronti dell'euro e della sterlina, non del dollaro. Quest'ultimo finalmente trarrà vantaggio dal Dilemma di Triffin, poiché è stato risolto nel momento in cui Bitcoin è entrato a far parte della strategia economica statunitense.
IL FRAPPÈ MONETARIO
I primi segni di stress del sistema monetario mondiale sono eruttati nel 2022, circa 9 mesi dopo l'entrata in scena del SOFR negli Stati Uniti e il loro sganciamento (definitivo) dal treno mondiale del coordinamento delle politiche monetarie. Da allora gli USA hanno dimostrato che era sostanzialmente il LIBOR, e quindi il dolore economico altrui, a trascinare in crisi il Paese e a forzare la mano della FED anche quando non ce n'era bisogno internamente. L'ulteriore prova di ciò è stato il fallimento di un trittico di banche di San Francisco senza maggiori danni all'economia statunitense. Invece c'è chi ha mostrato i suoi limiti senza supporto estero e ha iniziato a frammentarsi: l'Inghilterra. Il 28 settembre del 2022 la Banca d'Inghilterra è intervenuta per stabilizzare i mercati obbligazionari britannici, annunciando che avrebbe acquistato tutto il debito pubblico necessario per ristabilire l'ordine sulla scia di una crisi finanziaria innescata dai piani di riduzione delle tasse dell'allora Primo Ministro, Liz Truss. Dopo che gli interventi verbali erano falliti nei due giorni precedenti, la banca centrale ha avviato un programma di emergenza per acquistare “Gilt” e impedire che il caos si intensificasse.
Non solo, ma l'Inghilterra ha dovuto iniziare a fare incetta di titoli di stato americani affinché potesse usarli come garanzia per accedere al mercato pronti contro termine statunitense, il più liquido al mondo per i prestiti overnight e che dopo il 2019 accettava solo titoli obbligazionari americani, in modo da attenuare la crisi incalzante dei finanziamenti. Il venditore principale era la Cina: li vendeva per sostenere il cambio CNY/USD. Per fare concorrenza agli inglesi è sceso in campo il Giappone, ricoprendo il ruolo di succursale della FED in oriente. Infatti a supporto della Gran Bretagna sono intervenuti anche tutti gli altri suoi “satelliti” che vedete nel grafico qui sotto, nel tentativo di tamponare il sanguinamento di tutte quelle nazioni che hanno sofferto per la chiusura dei rubinetti dell'eurodollaro e di conseguenza la loro improvvisa incapacità di influenzare le linee di politica statunitensi. E da qui si capisce perché la Yellen ha fatto una sorta di QE tramite il Dipartimento del Tesoro e la politica fiscale degli USA è stata estremamente lassista, quello che Powell stava cercando di contrastare attraverso il ciclo di rialzo dei tassi d'interesse. Ovviamente quello che lui poteva “controllare” era la politica monetaria e il front-end della curva dei rendimenti, c'era quindi bisogno che arrivasse qualcuno alla Casa Bianca per mettere ordine anche da questo punto di vista e porre un ulteriore freno al flusso di dollari che finivano all'estero e venivano sottoposti a leva per gonfiare la loro offerta ombra.
Le pressioni sul mercato inglese hanno costretto i fondi pensione a vendere titoli di stato per soddisfare le richieste di garanzia su posizioni derivate sommerse, o per ridurre l'esposizione dovuta all'incapacità di soddisfare le richieste di rimborso. La Banca d'Inghilterra agì per salvaguardare i fondi pensione, i principali detentori di titoli di stato a lunga scadenza e affermò che i suoi acquisti miravano a ripristinare l'ordine e sarebbe stato fatto “tutto il necessario” per raggiungere tale obiettivo. Il 23 settembre 2022 i rendimenti dei titoli di stato a cinque anni fecero registrare un aumento di oltre 50 punti base, il più grande salto giornaliero dal 1991; il 25 settembre i rendimenti dei titoli di stato a due anni salirono di 40 punti base, un'impennata paragonabile solo alle fluttuazioni osservate durante la crisi del 1992. La deviazione standard delle variazioni giornaliere dei tassi era di soli 5 punti base, quindi queste variazioni equivalevano a una tendenza che normalmente avrebbe richiesto mesi mentre allora ebbe luogo in un solo giorno. Le misure di emergenza continuarono per tutto ottobre e persino l'euro sprofondò rompendo la parità con il dollaro nello stesso mese.
Gli eventi di quel periodo possono essere ricondotti all'ennesimo esempio della cosiddetta “Teoria del frappè” postulata da Brent Johnson: un quadro di riferimento per comprendere come potrebbe verificarsi un default del debito sovrano, con oro, dollaro e azioni in ascesa mentre gli investitori si affannano per trovare sicurezza e liquidità. Il paradosso è la forza del dollaro in mezzo al caos finanziario, alimentato dal suo status di riserva mondiale. Mentre le altre valute si sgonfiano, così come le relative economie, il dollaro invece si gonfia. L'oro infatti ha raggiunto il massimo storico di $3.000 l'oncia come copertura contro l'incertezza, il dollaro rimane forte e le azioni stanno tenendo duro nonostante le turbolenze finanziarie.... e il frappè è servito anche nel 2025.
Per comprendere appieno le sfumature, dobbiamo ricostruire la storia del dollaro aggiungendo tutto quello che abbiamo appreso finora. Dopo la Seconda guerra mondiale il sistema di Bretton Woods rese il dollaro la star dello spettacolo: le nazioni europee spedirono il loro oro negli USA durante la guerra ed essi, alla fine delle ostilità, si ritrovarono a essere un punto di riferimento mondiale quindi l'oro rimase agganciato esclusivamente al dollaro (a $35 l'oncia) mentre altre valute del mondo si agganciarono a quest'ultimo. Parallelamente a questo sistema si sviluppò anche quello dell'eurodollaro, le cui prime tracce documentate apparvero negli anni '50: una innovazione finanziaria partorita dalla Midland Bank nel Regno Unito, la quale capitalizzò l'elevato costo del capitale nella Gran Bretagna del secondo dopoguerra. La capacità della Midland di prestare in dollari le diede un vantaggio competitivo, consentendole di partecipare al mercato forward prestando dollari e investendo in titoli di stato con rendimenti più elevati e intascare la differenza. Questa pratica creò le premesse per la crescita esplosiva di questo mercato dagli anni '50 agli anni '70, espandendosi al punto che oggi, nove dollari su dieci in tutto il mondo sono eurodollari. Stiamo parlando di una delle parti più opache e complesse del sistema finanziario moderno.
A differenza dei prestiti nazionali che possono essere influenzati dalle linee di politica delle banche centrali, i prestiti in eurodollari non possono essere gonfiati dai creditori. Questa struttura crea una domanda sostenuta di dollari al di fuori degli Stati Uniti, i cui numeri adesso si stima che superino i $400.000 miliardi ed eclissano i $36.000 miliardi di debito nazionale americano. Quando Lehman Brothers crollò il 15 settembre 2008, scatenò onde d'urto nel mercato offshore del dollaro ed esplose il differenziale tra i tassi onshore (OIS a 3 mesi) e offshore (LIBOR a 3 mesi), con questi ultimi che schizzarono alle stelle. Bernanke e Paulson dovettero darsi da fare per predisporre programmi di emergenza e impedire che il sistema implodesse. Arrivarono massicci salvataggi che sostennero l'intero sistema dei fondi del mercato monetario. I tassi furono tagliati in modo aggressivo e la FED raddoppiò la disponibilità di dollari tramite linee di swap. La rete di swap globale trasformò la FED nella banca centrale mondiale.
Il 13 ottobre 2008 la FED andò oltre, annunciando linee di swap illimitate con tutte le principali banche centrali occidentali. Finì per prestare la sbalorditiva cifra di $3.300 miliardi in fondi di emergenza, con una bella fetta destinata a banche straniere e grandi aziende come Barclays, RBS e persino Toyota. Sebbene questi interventi stabilizzarono (temporaneamente) l'economia globale, non avvenne senza conseguenze: la FED era giocoforza diventata il prestatore di ultima istanza del mondo intero. La “Teoria del frappè” di Brent Johnson prevede che, man mano che la bolla del debito sovrano si sgonfia, la domanda di dollari si gonfia, facendolo rafforzare rispetto alle altre valute. Questo effetto di rafforzamento attrae capitali verso asset denominati in dollari, anche se i livelli di inflazione e debito mettono a dura prova le economie globali. La teoria suggerisce che, mentre molti asset potrebbero calare in questo contesto, il dollaro salirà, insieme all'oro, poiché gli investitori cercheranno rifugi sicuri dall'instabilità del debito sovrano.
Un gigantesco frullato di liquidità è stato creato dalle banche centrali globali con il dollaro come ingrediente chiave, ma se il dollaro sale di valore, questo frullato verrà risucchiato negli Stati Uniti, creando una spirale che potrebbe rapidamente destabilizzare i mercati finanziari. Il dollaro è il fondamento del sistema finanziario mondiale. Lubrifica le ruote del commercio e degli scambi globali: la disponibilità di dollari, il costo e il livello del dollaro stesso possono avere un impatto sproporzionato sulle economie e sulle opportunità di investimento.
Ma più importante del livello assoluto, o della disponibilità di dollari, è il suo tasso di variazione del livello: se si muove troppo rapidamente, allora i problemi iniziano a spuntare ovunque (i Paesi stranieri iniziano ad andare in default). Oggi molte persone sono convinte che sia il ruolo del dollaro sia il livello stia scendendo. Le persone pensano che gli Stati Uniti stiano stampando così tanti dollari che il mondo sarà inondato dai biglietti verdi, causandone la caduta del valore.
Sebbene sia vero che gli USA stanno stampando molti dollari, anche altri Paesi lo stanno facendo, quindi in teoria dovrebbe pareggiare in termini di valore. Ma il problema nascosto è la differenza nella domanda: ricordate che il sistema finanziario globale è costruito sul dollaro, il che significa che anche se non li vogliono, tutti ne hanno comunque bisogno e se avete bisogno di qualcosa non avete molta scelta.
Stiamo parlando di un'estensione del Dilemma di Triffin: esportare la valuta di riferimento globale a scapito della ricchezza reale del proprio Paese. Johnson evidenzia un futuro in cui la forza del dollaro e il valore dell'oro aumentano parallelamente, spinti dal crollo dei sistemi gravati dal debito e dallo spostamento verso asset stabili. Il motivo per cui questi due asset saliranno insieme è un sintomo del sistema eurodollaro basato sul debito in cui il mondo si ritrova intrappolato. Mentre i mercati del debito globale si frammentano, i debitori si precipitano alla ricerca di liquidità e ciò significa vendere asset rischiosi (es. obbligazioni e azioni) e correre verso porti sicuri (es. oro e dollari). L'ironia di questo sistema, come spiega Johnson, è che man mano che vengono prestati sempre più eurodollari, il carico di debito complessivo sull'economia globale aumenta, il che fa aumentare la domanda di dollari e assicura che la prossima correzione sarà ancor più severa. Nessuno sa quali sono le cifre precise quando si parla di eurodollari, o del debito denominato in eurodollari: queste metriche sono state considerate troppo difficili da misurare e la segnalazione è stata eliminata gradualmente a metà degli anni 2000. L'offerta di denaro M3, ad esempio, che includeva alcune misure in eurodollari, è stata eliminata nel 2006.
Una crisi del “frappè monetario” si presenta come segue:
Ma il vero rischio emerge quando altre economie iniziano a rallentare o quando gli Stati Uniti iniziano a crescere rispetto alle altre economie. Se c'è meno attività economica altrove nel mondo, allora ci sono meno dollari in circolazione globale che altri possono usare nelle loro attività quotidiane e, naturalmente, se ce ne sono meno in circolazione, il prezzo sale perché le persone inseguono quella fonte di dollari in calo. Il che è terribile per i Paesi che stanno rallentando, perché proprio quando stanno soffrendo economicamente, devono pagare molti beni in dollari e devono onorare i loro debiti che sono spesso anch'essi denominati in dollari.
Quindi inizia il vortice, o come mi piace chiamarlo il frullato del dollaro: man mano che il valore del dollaro aumenta, il resto del mondo ha bisogno di stampare sempre più valuta per poi convertirla in dollari in modo da pagare i beni e onorare il suo debito in dollari. Ciò significa che il dollaro continua a salire e in risposta molti Paesi saranno costretti a svalutare le proprie valute, quindi il dollaro salirà di nuovo e questo metterà a dura prova il sistema globale.
Come accennato in precedenza, nell'autunno del 2022 il valore del dollaro s'è impennato, cosa che ha iniziato a causare enormi problemi nel sistema finanziario globale. Un avvenimento, questo, alimentato dal ciclo di rialzo dei tassi da parte della FED annunciato a marzo di quell'anno, il più rapido della sua storia e che ha persino superato lo shock di Volcker dei primi anni '80. Il rialzo dei tassi è arrivato quando il resto del mondo era ancora sotto lo zero, soprattutto in Europa. Infatti il tasso di riferimento della BCE era di ben 100 punti base inferiore a quello degli Stati Uniti e, a un certo punto, il differenziale tra i tassi giapponesi e quelli americani aveva superato i 500 punti base. Ciò alimentò diversi carry trade: prendere in prestito in euro o yen e prestare in dollari, di fatto vendendo allo scoperto queste valute più deboli. Nel tempo queste pressioni si sono accumulate fino al punto che entrambe le valute hanno sostanzialmente iniziato un crollo al rallentatore e il “frullatore” è stato acceso.
Rialzare i tassi alla pari con gli Stati Uniti ha significato default diffusi, poiché sia l'Europa che l'Inghilterra sono fortemente indebitati, anche se in misura diversa, ovviamente. Non c'è opzione e nessuna soluzione fiat: nessun'altra valuta può usurpare l'Onnipotente dollaro. E questo Powell e i NY Boys lo sapevano: dopo aver brancolato nel buio per decenni riguardo le cause delle crisi negli Stati Uniti, finalmente avevano individuato nell'eurodollaro il colpevole principale. Potremmo definirlo un “super ciclo economico”, uno internazionale, che letteralmente ha posto sull'altare sacrificale della dissolutezza fiscale e monetaria la ricchezza reale degli USA. Un sistema, quello dell'eurodollaro, che per quanto abbia reso, all'apparenza, gli Stati Uniti e la loro relativa valuta i punti di riferimento mondiale, ciò ha significato altresì la socializzazione mondiale dei frutti della loro prosperità. Come ho spiegato anche nel mio ultimo libro, Il Grande Default, l'impostazione del LIBOR avveniva a Londra e questo significa che se emergevano criticità in quella giurisdizione, esse si ripercuotevano anche negli Stati Uniti... anche se questi ultimi avrebbero potuto sopportarle e superarle più agilmente.
Gli abusi del sistema dell'eurodollaro sono diventati talmente di ampia portata che il 2008 ne ha segnato la rottura definitiva. Troppa confusione, troppa ponderazione del rischio sbilanciata e troppo intorbidimento dei segnali di prezzo. La portata dei quantitative easing sin da allora ha cercato di rincorrere l'offerta di dollari ombra fino a quel momento creata e tamponare i buchi che apparivano qua e là nelle varie economie del mondo, incapaci però di sistemare davvero le cose. Un palliativo, non una cura definitiva. In quel frangente la Federal Reserve è diventata la banca centrale del mondo a tutti gli effetti, il cui unico scopo non era più il doppio mandato cui è sottoposta, bensì tenere quanto più liquido possibile il mercato degli eurodollari sia dal punto di vista monetario che fiscale... a scapito dell'economia interna. Ed è qui che fa acqua da tutte le parti la “teoria del dominio americano” tramite il dollaro e l'Impero militare: autodistruggersi non è lungimirante, né fisiologico, per la sopravvivenza sia della propria divisa che del proprio (presunto) Impero.
Attenzione, la mia tesi non è che gli USA fossero completamente eterodiretti a Londra e quindi scagionarli da tutte le colpe, ma che quest'ultima riusciva a influenzare (tramite infiltrati) aspetti importanti delle linee di politica americane affinché l'impero inglese potesse sopravvivere. Così come quello colonialista europeo, perché per quanto i colonialisti possano perdere il pelo non perdono il vizio. L'eurodollaro s'è dimostrato il guinzaglio perfetto, dal punto di vista economico, per usare un proxy e impostare/favorire un'agenda che veniva decisa oltreoceano. La narrativa che per anni è stata spacciata sulla stampa era una in cui l'Inghilterra appariva come una reliquia del passato in quanto a egemonia mondiale, mentre Washington era l'egemone di quest'epoca storica. Inutile dire che gli inglesi sono sempre stati maestri a sviare le attenzioni da loro: forniscono una corretta analisi dei problemi, ma poi si svincolano dalle relative cause scatenanti.
Ora è tornato il “frappè monetario del dollaro”, ma dopo l'entrata in scena del SOFR e lo sganciamento dal LIBOR, gli USA adesso hanno davvero il potere del dollaro nelle loro mani. Solo dal 2022 hanno ripreso il controllo sul proprio destino monetario e solo da allora hanno potuto avviare il ciclo di rialzo dei tassi più repentino della storia economica moderna senza preoccuparsi delle conseguenze. Perché? Perché i veri malati economici si trovano altrove: a Londra e a Bruxelles. Se l'economia mondiale la immaginassimo come un cesto della biancheria sporca, Washington sarebbe la camicia meno sporca di tutte. Ad esempio, la caduta delle varie banche commerciali a San Francisco non ha avuto alcun effetto sulle controparti newyorkesi; il selloff recente sui mercati azionari americani verrà compensato dalla diminuzione del deficit pubblico cosa che libererà risorse economiche affinché possano essere usate dal settore privato; le turbolenze commerciali verranno compensate dall'onshoring industriale e dalla rilocazione delle industrie europee; ecc. Sebbene il DXY abbia subito una breve flessione nell'ultimo mese (pensate poi dove viene intermediato il mercato dei cambi mondiale...), ciò è avvenuto dopo un anno record per il dollaro, in cui ha guadagnato quasi il 7% rispetto alle principali valute. La rupia indiana, ad esempio, è scesa a un minimo storico; lo yuan è stato svalutato progressivamente senza effetti concreti; ecc.
I problemi stanno emergendo anche dall'altra parte dell'Atlantico, poiché il Regno Unito è ora alle prese con un mix tossico di rendimenti dei titoli di stato in forte ascesa e una sterlina in rovina, una combinazione solitamente riservata ai mercati emergenti, non alla sesta economia più grande del mondo. I rendimenti dei titoli di stato sono saliti ai massimi livelli dal 1998, una triste pietra miliare che sottolinea lo stato precario delle finanze della Gran Bretagna. Questi stessi livelli di tensione finanziaria hanno costretto Liz Truss a lasciare l'incarico nel 2022. Gli hedge fund si stanno posizionando per un ulteriore calo della sterlina, segnalando un profondo sentimento ribassista e una mancanza di fiducia nelle prospettive economiche del Regno Unito. La sterlina è diventata un sacco da boxe per i mercati globali, trascinata verso il basso da passi falsi fiscali e dall'implacabile ascesa del dollaro. A nord l'economia canadese non se la passa tanto meglio. Il dollaro canadese si è deprezzato di quasi l'8% rispetto al dollaro statunitense nell'ultimo anno e i rendimenti obbligazionari sono in aumento. Il crescente divario dei tassi d'interesse tra Canada e Stati Uniti è un fattore chiave. Mentre la Federal Reserve statunitense li ha mantenuti alti, la Banca del Canada li ha tagliati sin da giugno dello scorso anno nel tentativo di sostenere un'economia in indebolimento. L'instabilità politica ha solo aggiunto benzina sul fuoco. Le recenti dimissioni del primo ministro Trudeau hanno momentaneamente dato respiro al dollaro canadese, ma l'incertezza sulla futura leadership canadese ha rapidamente invertito la tendenza. Questa combinazione di indebolimento della valuta, aumento dei rendimenti obbligazionari, incertezza politica e minacce commerciali da parte di Trump stanno creando un contesto difficile per l'economia canadese.
Tutto questo senza nemmeno menzionare l'elefante nella stanza: l'euro. La valuta si è indebolita notevolmente nell'ultimo anno e si sta avvicinando alla parità con il dollaro. L'Eurozona sta affrontando una serie di problemi, tra cui l'indebolimento della crescita economica, una crisi dell'immigrazione, alti tassi d'interesse e una crescente inflazione. A dicembre 2024 l'inflazione dell'Eurozona ha raggiunto il massimo di cinque mesi al 2,4%, alimentata dall'aumento dei costi dei servizi. La BCE ha tagliato i tassi d'interesse per sostenere l'economia nell'ultimo anno, dal 4% al 2,5%.
Ma ci rendiamo conto che questi saltimbanchi hanno concluso un vertice decidendo solo che “bisogna fare in fretta” e sono soddisfatti di tale risultato? Ma qui altro che parità tra euro e dollaro, la moneta europea sprofonderà ben al di sotto. Come si fa a non ridere quando dice che a fronte della nuova baldoria di spese, poi, però, bisogna tornare sulla via della rettitudine fiscale tenendo sotto controllo i conti pubblici? Ma davvero crede che le persone abbiano l'anello al naso e che l'etichetta “off-budget” possa far sembrare domani meno ingombranti gli squilibri fiscali? Quale percorso di sostenibilità del debito si può avere se quanto già fatto ha avuto i risultati devastanti attuali?
Questi sono spaventati a morte dal dollaro e della sua versione digitale di mercato, Tether. È un'alternativa credibile e affidabile affinché i risparmiatori possano sfuggire ai controlli dei capitali. Sono come le blatte nelle stamberghe che quando uno accende la luce nella stanza scatta un fuggi-fuggi generale. Forse non hanno capito che Tether è già sviluppato e funziona, mentre l'euro digitale deve ancora essere inaugurato. Non solo, ma ciò che li fa impazzire di più è che le aziende americane che operano sul suolo europeo possano usarlo per bypassare tutte quelle normative idiote (es. DSA, DMA, GDPR, Mica, ecc.) che servono solo a estorcere loro denaro tramite le multe. Ma questi sono morti (economici) che camminano. L'UE non esiste, è già morta.
In ogni caso, il “frappè monetario” teorizzato da Brent Johnson è vivo e vegeto: il DXY sale perché ciò che viene contratta è l'offerta di dollari ombra, dato che le varie nazioni del mondo non sono più capaci di usare a leva il mercato degli eurodollari. Senza il LIBOR per tenere sotto scacco la Federal Reserve, e quindi costringerla a stampare denaro in base alle necessità estere, e senza una politica fiscale espansiva che usava proxy come la USAID per mandare dollari all'estero, ci troviamo infine di fronte a una domanda genuina di dollari che seguirà le metriche interne dell'offerta di denaro. Certo, gli eurodollari ancora circoleranno, ma i rischi adesso saranno tutti di coloro che commetteranno azzardo morale e non più spalmati sull'economia americana. Ora il resto dei Paesi del mondo o guardano saltare in aria le loro valute, o intervengono utilizzando miliardi di dollari in riserve. Ciò si traduce in un dollaro più forte e in maggiori afflussi di capitali negli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti possono adesso bere questo “frullato” a cuor leggero, senza doversi più preoccupare del Dilemma di Triffin.
LA FINE DEL DEFICIT STATUNITENSE DELLA BILANCIA COMMERCIALE
Il Dilemma di Triffin è risultato il difetto fatale del sistema di Bretton Woods: un paradosso che alla fine distrugge ogni valuta di riserva. Ma se fosse possibile risolverlo?
Il sistema di Bretton Woods fu istituito nel 1944 come sistema monetario internazionale progettato per fornire stabilità all'economia mondiale dopo le devastazioni della seconda guerra mondiale. Il dollaro statunitense era agganciato all'oro e le altre valute principali erano agganciate a esso. Il dollaro divenne la principale valuta di riserva mondiale e i Paesi membri accettarono di mantenere i tassi di cambio entro bande specifiche intervenendo sul mercato dei cambi. Anche il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale furono creati come parte del quadro di Bretton Woods per facilitare la cooperazione e lo sviluppo economico internazionale.
L'emergere di un sistema oro-dollaro fu guidato da una crescita insufficiente nell'offerta globale di oro per supportare l'espansione del commercio mondiale e della produzione: la scelta delle parità tra valute nel dopoguerra, che mantenevano basso il prezzo reale dell'oro e ne limitavano la produzione, contribuì a questa carenza. Inoltre l'URSS e il Sudafrica, principali fornitori di oro, furono considerati inaffidabili. Per colmare il divario tra domanda e offerta di riserve globali, i dollari divennero sempre più importanti, generati attraverso l'accumulo di crediti ufficiali a breve termine sugli Stati Uniti a partire dai primi anni '50. Ciò significava che gli Stati Uniti registravano costantemente deficit della bilancia dei pagamenti negli accordi ufficiali, accumulando passività verso funzionari stranieri senza un corrispondente aumento di attivi come l'oro. In sintesi, esportavano più dollari di quanti ne importassero. Questi dollari in eccesso erano registrati nel sistema globale in una moltitudine di modi: come depositi bancari in eurodollari, in linee di swap e come riserve in eccesso presso banche centrali straniere. Le aziende e i governi che accumulavano questi surplus avevano liquidità a disposizione che prontamente reinvestivano nel sistema finanziario nazionale, principalmente sotto forma di titoli del Tesoro USA.
Nel 1960 un economista belga di nome Robert Triffin tenne una presentazione di fronte al Congresso su quello che considerava un difetto fatale nel sistema monetario globale di Bretton Woods. Quel difetto divenne noto come il Dilemma di Triffin, o il Paradosso di Triffin, e, a suo dire, avrebbe distrutto Bretton Woods. Aveva anche previsto che questa contrazione delle riserve globali avrebbe portato a una crisi deflazionistica mondiale, che non si verificò, manifestandosi invece come un'ondata di inflazione che si abbatté sugli Stati Uniti e su gran parte delle economie mondiali.
Il dollaro è la valuta di riserva mondiale, ciò significa che sarebbe stato utilizzato nel commercio internazionale come riserva delle banche centrali per regolare le transazioni finanziarie e per prendere in prestito/prestare in dollari offshore (Eurodollaro). Tuttavia il resto del mondo mancava di un fattore cruciale: la capacità di generare dollari. Tutti hanno bisogno di commerciare, indebitarsi e risparmiare in una valuta CHE NON POSSONO STAMPARE (a meno che, come abbiamo visto, non si forza la mano della Federal Reserve indirettamente).
L'America si sarebbe trovata di fronte a un dilemma: soddisfare questa domanda o no? Se non avessero stampato, sarebbe emersa un'insufficienza di riserve globali, il commercio avrebbe iniziato a bloccarsi, le banche centrali non sarebbero riuscite a difendere la propria valuta sul mercato dei cambi e le banche non sarebbero riuscite a gestire i prestiti in dollari. Ciò avrebbe potuto causare inadempienze a livello di sistema e una crisi deflazionistica che si sarebbe diffusa da una nazione all'altra. Per evitare ciò gli Stati Uniti hanno avuto deficit persistenti delle partite correnti, inviando più dollari al sistema globale di quanti ne ricevessero indietro, per finanziare tutte queste necessità. A lungo termine ciò significa che gli Stati Uniti avrebbero stampato più dollari di quanto altrimenti giustificato dal rapporto di riserva rispetto all'oro. Questo rapporto sarebbe sceso sempre di più, finché non ci sarebbe stato un tale eccesso di dollari da innescare una corsa globale agli sportelli del dollaro stesso.
Ecco in sostanza cosa è successo. Mentre il mondo iniziava a globalizzarsi e la crescita del PIL nominale al di fuori degli Stati Uniti iniziava ad accelerare, sempre più dollari si accumulavano al di fuori del sistema finanziario nazionale. Nel 1965 il presidente francese Charles de Gaulle fece i calcoli e si rese conto che gli Stati Uniti avevano emesso molti più dollari di quanti fossero giustificati dal coefficiente di riserva di $35/oncia e iniziò a riscattare dollari in oro, come aveva diritto in base a Bretton Woods. Non era il solo, altre nazioni seguirono presto l'esempio. Iniziò una corsa alle riserve auree americane quando migliaia di tonnellate metriche di oro iniziarono a fuoriuscire dagli Stati Uniti.
De Gaulle stava facendo manifestare le conseguenze del Dilemma di Triffin, chiedendo persino il ripristino del gold standard. Così facendo, stava mettendo in evidenza quello che il suo ministro delle finanze, Valéry Giscard d'Estaing, aveva chiamato “il privilegio esorbitante”, la capacità degli USA di gestire deficit della bilancia dei pagamenti e deficit fiscali e costringere il sistema globale ad assorbirne le ricadute. Le altre nazioni dovevano rimanere responsabili dal punto di vista fiscale e monetario e mantenere la loro valuta agganciata al dollaro entro il tasso di cambio ristretto, ma gli USA non avevano bisogno di farlo: ricevevano beni reali per una valuta che potevano stampare, alimentando la affamata macchina imperiale statunitense. Col senno di poi abbiamo scoperto quali appetiti stava sfamando questo meccanismo, ovvero quelli della City di Londra e del suo colonialismo sotto mentite spoglie, e probabilmente non è stato un caso che allora fu proprio la Francia a chiamare il bluff sull'oro...
Gli USA avevano avviato il sistema con un'enorme riserva di oro: circa il 50% di tutte le riserve auree estratte erano detenute dagli americani. La corsa agli sportelli del dollaro iniziò a prosciugarle fino a quando quella percentuale non si ridusse di oltre la metà. La crisi raggiunse il culmine nell'agosto del 1971, quando Nixon decise di chiudere la finestra dell'oro, congelando la capacità delle banche centrali e dei governi stranieri di convertire i dollari in oro. Così facendo, tagliò l'ultimo legame tra il dollaro cartaceo e la moneta reale sottostante: la capacità dei cittadini di chiedere oro in cambio di dollari era già stata vietata nel 1933 da Roosevelt. Naturalmente Nixon aveva promesso che questa rottura con il gold standard sarebbe stata temporanea e che una volta trovata una soluzione sarebbero tornati a una moneta sana/onesta. Tuttavia, ciò non accadde mai. Da allora fu adottato il sistema di cambio fiat e la situazione non ha fatto che peggiorare. Quella fu la prima vera crisi dell'eurodollaro e il cambio di paradigma fu necessario affinché lo schema Ponzi potesse essere traslato a un livello superiore, così come l'azzardo morale conseguente. Infatti il nuovo asset di riserva sarebbero diventati i titoli del Tesoro americani.
L'attuale consenso tra i macroeconomisti è la dottrina TINA: non c'è alternativa al dollaro. La Russia è un esportatore di materie prime e ha un surplus delle partite correnti, il quale dovrebbe essere trasformato in deficit per essere una valuta di riserva; la Cina ha un mercato dei capitali chiuso; l'India non ha un mercato obbligazionario sufficientemente profondo; il Sudafrica è politicamente instabile. Senza contare che nessuno dei BRICS ha uno stato di diritto sufficientemente buono. Come sottolinea anche Brent Johnson, gli Stati Uniti hanno mercati obbligazionari profondi e liquidi, stato di diritto, un sofisticato sistema finanziario e monetario e un esercito gigantesco per far rispettare il sistema del dollaro, fondamentalmente tutto ciò che si potrebbe desiderare.
L'elenco dei requisiti per una valuta di riserva è il seguente:
stabile
sicura
riserva di valore
mezzo di scambio
ampiamente accettata
fidata
mercati profondi e liquidi
Bitcoin è ancora nella sua fase iniziale di crescita come valuta. Nel 2023 la capitalizzazione di mercato era di circa $720 miliardi e BTC veniva scambiato a $36.800. La volatilità è ancora elevata poiché le dimensioni del mercato implicano che quantità di denaro relativamente piccole possono spostare l'azione dei prezzi in modo sproporzionato rispetto ad altri mercati. Il test della “stabilità” lo fallisce... per ora.
Bitcoin è sicuro? È sicuro quanto la vostra capacità di conservare le chiavi private! Se possedete Bitcoin e tenete al sicuro il vostro seed, allora è sicuro. Probabilmente molto di più rispetto a quasi qualsiasi altra cosa: simile all'oro fisico, è un bene al portatore e una vera merce digitale. Non può essere rubato facilmente o censurato. Gli asset denominati in valute fiat, come abbiamo visto con il divieto per la Russia di usare la rete SWIFT, possono essere congelati o sequestrati; le transazioni possono essere inserite in una blacklist; si può essere censurati.
Bitcoin è la migliore riserva di valore mai inventata, persino superiore all'oro. Il metallo giallo aumenta la sua offerta di circa il 2% all'anno e nessuno conosce la vera quantità di oro esistente. BTC ha invece un programma di emissione determinato matematicamente e imposto dalla struttura della rete (consenso dei nodi e dei miner), garantendo che 21 milioni sia la quantità massima di bitcoin che può essere minata.
Per quanto riguarda il mezzo di scambio, svolge anche questo ruolo in quanto è molto facile da trasferire e la conferma delle transazioni richiede circa 10 minuti, ma è molto più veloce su Lightning Network, la soluzione di scalabilità di cui BTC ha bisogno per essere un mezzo di scambio per la vita quotidiana in una moderna economia digitale.
Per quanto riguarda la fiducia, Bitcoin ha successo anche qui, poiché utilizza crittografia di livello militare e dispendio energetico dei miner per proteggere la sua blockchain. Una forma inversa del Dilemma del prigioniero assicura che nessun singolo miner, o nodo, abbia un incentivo a mentire sulla validità delle transazioni, poiché creare falsi blocchi e transazioni richiede di essere esponenzialmente più fortunati con il passare del tempo e di spendere energia (e denaro) per farlo. Per molte ragioni, complesse e tecniche, attaccare la rete non è fattibile.
Mercati profondi e liquidi: anche qui ancora non ci siamo, ma man mano che BTC guadagna adozione globale, profondità e liquidità seguiranno, smorzando la volatilità e portando sempre più capitale nell'ecosistema. Simile all'effetto volano con le aziende di software, sempre più utenti (e stati) che adottano Bitcoin significano che il prezzo sale, la volatilità si smorza e l'adozione accelera in cicli di feedback positivi.
Bitcoin risolve il Dilemma di Triffin. Non lo evita, non lo mitiga: LO RISOLVE.
Il Paradosso si basa su diversi punti fondamentali, il principale dei quali è un attore centrale che emette la valuta di riferimento. Bitcoin NON è emesso centralmente. Non esistono confini per Bitcoin, nessun singolo nodo di emissione. Qualsiasi miner nell'intera rete può essere scelto per la prossima ricompensa di blocco. Una valuta di riserva neutrale, non emessa centralmente, libera di fluttuare, orientata alla privacy, è stato lo standard per secoli prima del sistema fiat. Lo stesso Triffin immaginò una soluzione al problema: la sua idea era quella dei DSP (diritti speciali di prelievo), un'unità di riserva emessa dall'FMI che si basava su un paniere di altre valute. I DSP non fanno nulla per mitigare i problemi di inflazione e svalutazione; inoltre sarebbero incredibilmente difficili da gestire. Immaginate di riscattare i DSP per le valute sottostanti e di dover andare in ogni Paese per riscuotere il denaro.
Con una valuta di riserva neutrale, i deficit o i surplus delle partite correnti delle singole nazioni sarebbero sempre in equilibrio (dinamico). Se un Paese spende più di quanto guadagna, alla fine è costretto a ricominciare a guadagnare (produrre). E se si verifica l'inverso, il surplus può essere utilizzati per il consumo. Bitcoin, quindi, risolverebbe anche tutti gli altri dubbi che i macroeconomisti hanno su di esso: si svilupperebbero mercati liquidi e profondi, il prezzo salirebbe esponenzialmente, l'adozione si diffonderebbe poiché le nazioni lo adotterebbero e inizierebbero a usarlo e a richiederlo nel commercio e nella finanza internazionale.
La riserva strategica statunitense ha come obiettivo finale quello di rendere Bitcoin l'hard asset per eccellenza che permetta di disintermediare definitivamente la nazione dal circuito dell'eurodollaro. Non accadrà dall'oggi al domani, saranno necessari passaggi intermedi obbligati. Innanzitutto il dollaro, così come il Paese stesso, dovrà riguadagnare credibilità e affidabilità. La sua forza è propedeutica a tal proposito: un dollaro forte all'estero e un dollaro debole in patria. A coadiuvare tale assetto c'è l'oro che viene sottratto alla LBMA e questo sarà l'anno del metallo giallo dato che rappresenta ancora l'hard asset storico che nei momenti di incertezza ha funto da rifugio sicuro; oltre a essere un barometro appropriato per un ritorno a una ponderazione del rischio reale e genuina. Diciamo che in una fase tumultuosa e incerta, la certezza storica dell'oro, pronta e disponibile, è una garanzia. Nel frattempo si permette che la capitalizzazione di mercato di Tether cresca organicamente. La digitalizzazione del dollaro, infatti, sta passando dall'ascesa di Tether come compratore di ultima istanza dei titoli del Tesoro USA; praticamente sta stabilendo una nuova consuetudine per prendere il posto della Federal Reserve, la quale verrà ri-regionalizzata nelle sue 12 branche regionali e verrà smantellato quell'apparato burocratico che è stato costruito su di essa da Roosevelt in poi. Ripple, invece, sta ottenendo attenzioni perché può essere strumentalizzato contro l'intermediazione del mercato dei cambi a Londra e sostituire il sistema SWIFT. Il momento di Bitcoin arriverà solo dopo che Tether avrà consolidato la sua presenza sui mercati come nuovo colosso, comprare titoli sovrani americani serve anche a sottrarli a quei player esteri che li usano per prolungare la vita al mercato degli eurodollari (es. Inghilterra, Canada, Europa). Ecco perché l'azienda di Ardoino sta diversificando anche in altri asset e molto probabilmente arriverà a essere un attore dello stesso peso di una JP Morgan, ad esempio.
Tra i suoi attivi, però, c'è anche Bitcoin e questo significa non solo digitalizzaione del dollaro ma anche una copertura fatta da un hard asset in quella che rappresenterà un'unione fondamentale per superare il sistema dell'eurodollaro, offrire un mezzo di scambio sano/onesto, un ambiente di mercato in cui domanda/offerta si incontrano genuinamente, un settore privato in grado di prosperare e resistere alle ondate di inflazione, la capacità di abbattere debito, deficit e spesa pubblica.
CONCLUSIONE
Quando ho pubblicato il mio ultimo libro, Il Grande Default, uno degli obiettivi era quello di documentare come gli USA stessero erigendo barriere intorno al dollaro per difenderlo dagli attacchi esterni tramite gli eurodollari. Il rinsavimento a livello di politica monetaria e fiscale serve a minimizzare questo rischio, non l'ha eliminato. Per quanto i player esteri adesso debbano interfacciarsi direttamente con la FED se vogliono dollari, esistono ancora scappatoie. Una di queste era il tentativo di intermediare i titoli di stato americani a Londra e scongiurato da Bessent lo scorso gennaio. Adesso se ne presenta un'altra tramite la Banca del Canada e l'emissione di titoli canadesi denominati però in dollari americani (siete sorpresi che sia arrivato sulla scia dell'elezione ad interim di Carney?).
Di norma il differenziale tra il tasso di riferimento della FED e quello della Banca del Canada è sempre stato di circa 50 punti base; oggi è di 150 punti base. L'obiettivo è quello di mettere in moto un carry trade tra il dollaro canadese e quello americano: riciclare il surplus commerciale canadese (capite adesso anche la narrativa di Trump sui dazi?) per pagare i coupon di quelle obbligazioni. Ma perché comprare questi titoli che rendono il 3% quando gli omologhi americani rendono di più? Perché possono essere posti come garanzia nel mercato pronti contro termine americano e quindi avere una via secondaria con cui accedere ai dollari. Un attacco diretto al SOFR. Inutile dire che il Canada ha la capacità di emettere questi asset perché, grazie la QE del Dipartimento del Tesoro quando c'era la Yellen, ha comprato una vagonata di titoli di stato americani che può usare come garanzia alla base di operazioni finanziarie del genere.
Carney, che sa come mettere in piedi facility del genere grazie alla sua esperienza nella Banca d'Inghilterra, e il Canada stanno diventando il proxy attraverso cui la City di Londra e Bruxelles possono avere un canale indiretto attraverso cui tornare ad accedere facilmente ai dollari, influenzare la politica monetaria della FED, avere un surrogato del LIBOR e finanziare le loro cattedrali nel deserto.
Gli USA non possono essere emendati da eventuali colpe per aver alimentato le mire espansionistiche inglesi, ciononostante sono questi ultimi coloro che hanno sempre avuto (dal punto di vista storico) il dente avvelenato contro la Russia e hanno impedito che essa avviasse una partnership con gli USA stessi. Ora gli inglesi possono finalmente essere tagliati fuori sia geopoliticamente che commercialmente, visto che il Mediterraneo perderà man mano la sua importanza a vantaggio invece del circolo polare artico (soprattutto ora che Suez è ancora inagibile). Chi ha molto da perdere qui è Londra, per tutti i motivi elencati in questa serie. Alla luce di tutto ciò, l'ironia più grande è se fosse la Russia a essere messa a guardia dell'Europa in un futuro non tanto lontano. Ma la cricca di Davos non cederà facilmente le armi e, in base alle ultime notizie provenienti dal Canada, sta creando la sua nuova base d'attacco da quelle parti. Cercheranno di resuscitare il mercato degli eurodollari perché hanno disperatamente bisogno di finanziamenti a buon mercato per tenere in piedi gli Stati sociali ipertrofici e non cadere sotto il peso delle enormi promesse fatte in precedenza. Nel frattempo cercheranno di impostare il campo di gioco per i cosiddetti perpetual bond, già una parziale realtà tra la Savings and Investments Union e le obbligazioni SURE che dovrà finanziare.
E voi, cari lettori, ricordate che la prima linea di difesa individuale è sempre la conoscenza e la consapevolezza per acquisire un vantaggio competitivo.
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