martedì 14 ottobre 2025

I newyorkesi flirtano con il programma socialista nei supermercati

New York, come tutte le altre roccaforti democratiche sono un inferno dal punto di vista della quotidianità. Chi ci vive lo sa bene. La recente decisione di Trump di invaire la Guardia nazionale a Chicago e Portland, ennesime due grandi città americane che vengono attenzioante da tale provedimento, è una rispsota a una situazione che rischia di andare fuori controllo. Come a Detroit. I sindaci di tutte queste città democratiche hanno reso i posti da loro amministrati delle zone di guerra... letteralmente. Le ragioni sono sempre le stesse, le conosciamo bene: qualunque cosa toccano i democratici si trasforma in un girone infernale. Non c'è più nemmeno il beneficio del dubbio di pensare che siano degli incapaci, a questo punto anche i più scettici devono cedere all'unica idea possibile rimanente: c'è un disegno nel distruggere il tessuto sociale americano, distruggere la tenuta del patto sociale stesso. Mandare la Guardia nazionale era il minimo che Trump potesse fare visto che sono diventati, a tutti gli effetti, enclavi criminali. Tutte le grandi città che finiscono nelle grinfie di questa gente sperimentano un degreado verticale della qualità della vita; poi ci sono anche interi stati, come ad esempio la California, roccaforte della cricca di Davos. Non si può non concludere, quindi, che questo è qualcosa di voluto, un risultato ricercato, figlio di quelle contromosse avviate da suddetta cricca di Davos per mettere i bastoni tra le ruote all'amministrazione Trump e minimizzare, quanto più possibile, i danni che sta subendo dalla riorganizzazione del Paese. Il caos sociale, i venti di secessione e la spada di Damocle della guerra civile sono tutti strumenti nella “cassetta degli attrezzi” della cricca di Davos.

____________________________________________________________________________________


di Barry Brownstein

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/i-newyorkesi-flirtano-con-il-programma)

Vivere a New York City non è facile. Il Cato Institute classifica lo Stato di New York come quello meno libero degli Stati Uniti. Oltre alle elevate imposte statali sul reddito, i residenti di New York City pagano un'imposta aggiuntiva del 3,876% sui redditi superiori a $50.000. L'imposta sulle vendite totale di New York City è dell'8,875%.

Oltre al carico fiscale, i residenti di New York City e dello Stato devono sopportare pesanti oneri normativi. Burocrazia imponente e corruzione vanno di pari passo, e New York non è certo priva di entrambe.

A New York, burocrazia e corruzione si traducono in un costo scolastico per studente sbalorditivo, pari a $36.293, il più alto del Paese. Sarebbe sbagliato credere che una spesa talmente ingente si possa tradurre in eccellenza educativa.

E ora, il candidato democratico a sindaco, Zohran Mamdani, afferma di voler “abbassare i costi e semplificare la vita” ai residenti di New York spendendo ancora di più. Promette il congelamento degli affitti, autobus gratuiti, asili nido gratuiti e negozi di alimentari gestiti dall'amministrazione pubblica.

Mamdani ci dice che i suoi negozi di alimentari si concentreranno “sul mantenimento dei prezzi bassi, non sul profitto”. Questi negozi pubblici non pagheranno l'affitto, o le tasse sulla proprietà, e “trasferiranno i risparmi ai clienti”. Mamdani promette di ricreare magicamente il miracolo della distribuzione alimentare in chiave moderna: “Acquisteranno e venderanno a prezzi all'ingrosso, centralizzeranno lo stoccaggio e la distribuzione, e collaboreranno con i quartieri locali per prodotti e approvvigionamento”. Nel suo spot su TikTok ci dice che i prezzi dei negozi di alimentari privati ​​sono “fuori controllo” e che i suoi negozi non aumenteranno i prezzi.

Alle primarie democratiche Mamdani ha ottenuto i voti dei laureati. Uno dei sostenitori di Mamdani, analfabeti economicamente ma “colti”, proveniente da una “famiglia conservatrice del nord dello stato di New York”, ha scritto un messaggio alla madre dopo le elezioni: “È stato bello sentire che il mio voto contava e che stava contribuendo ad aprire la strada al mondo in cui voglio vivere”.

Il mondo che questo elettore immagina non sarà quello in cui vorrebbe vivere.

Invece di una riforma fiscale e normativa, i piani socialisti di Mamdani risolveranno tutto con regali, spese folli e una generosa dose di “globalizzazione dell'Intifada”, antisemitismo e sentimenti anticapitalisti.

F. A. Hayek spiegò perché molte persone sostengono i politici che promuovono progetti socialisti. Nel suo libro, The Road to Serfdom, scrisse che le persone vogliono essere “sollevate dalla necessità di risolvere i [propri] problemi economici e [...] dalle scelte difficili che questo spesso comporta”.

Mamdani attribuisce al capitalismo la responsabilità delle scelte economiche che tutti dobbiamo affrontare. Per usare le parole di Hayek, gli elettori “sono fin troppo propensi a credere che la scelta non sia realmente necessaria, che sia loro imposta dal sistema economico in cui viviamo”.

Con queste mentalità Hayek ci avvertì di aspettarci “discorsi irresponsabili su una ‘abbondanza potenziale’”.

Il politico che fa campagna elettorale con un piano, per quanto ridicolo, ha un vantaggio quasi insormontabile rispetto al politico che cerca di spiegare come il processo di mercato risolva i problemi senza l'intervento dei pianificatori centrali. Quando le persone sono astoriche e analfabete in materia economica, desiderano ardentemente un piano.

Ciò che gli elettori non vedono è che una tassazione e una regolamentazione eccessive compromettono il funzionamento del mercato. Più il mercato è debole, più il governo interviene per dirigerlo, e per condizionare noi.

Hayek è stato chiaro sul dove tutto questo porta: “Dato che nelle condizioni moderne dipendiamo per quasi ogni cosa dai mezzi che i nostri simili ci forniscono, la pianificazione economica implicherebbe la direzione di quasi tutta la nostra vita”.

Oggi l'attuazione dei piani di Mamdani per i negozi alimentari non porterà a diffuse privazioni e carestie. Perché? Mamdani non può mettere fine a tutte le alternative dei negozi alimentari privati. Chi desidera l'esperienza del DMV quando fa la spesa può fare acquisti nei negozi di Mamdani. A seconda di quanti soldi dei contribuenti intende sprecare, Mamdani potrebbe indebolire i negozi tradizionali, soprattutto per quanto riguarda i prodotti di prima necessità come latte, uova e carne. I negozi statali metterebbero fuori mercato alcuni negozi tradizionali. Le più a rischio saranno le piccole botteghe a conduzione familiare.

Nonostante le accuse di Mamdani di speculazione sui prezzi, il supermercato medio opera con un margine di profitto di circa l'1,6%. I supermercati sono spinti a operare in modo efficiente con il minimo spreco a causa della forte concorrenza. I burocrati non sanno nulla di efficienza, né hanno la conoscenza per gestire i supermercati. Con una contabilità onesta, i supermercati di Mamdani opererebbero con perdite enormi.

I capitalisti contro cui si scaglia Mamdani non sempre si comportano virtuosamente, ma come sottolinea John Mueller nel suo libro, Capitalism, Democracy and Ralph's Pretty Good Grocery, il processo di mercato nel capitalismo tende a “premiare comportamenti imprenditoriali onesti, equi, civili e compassionevoli, e ispira una forma di assunzione di rischi che può essere definita eroica”.

Nel suo libro, Conscious Capitalism, il fondatore di Whole Foods, John Mackey, osserva: “La fiducia è fondamentale per avere un buon rapporto con i clienti”.

Market Basket è una catena di supermercati del New England. Qualche anno fa clienti, dipendenti e venditori hanno scioperato durante un'acquisizione ostile, costringendo a un'inversione di tendenza. Market Basket, insieme a Wegmans, è nota per la forte fedeltà dei suoi clienti e anche dei suoi dipendenti. L'amministratore delegato di questa catena di supermercati ritiene che “Market Basket abbia un obbligo morale nei confronti delle comunità che serviamo”. Sostiene le sue parole offrendo prezzi bassi ai clienti e avanzamenti di carriera per i dipendenti. Market Basket promuove i dipendenti in base al merito, non all'anzianità. Al contrario, l'anzianità fa avanzare i dipendenti pubblici, che sono molto difficili da licenziare. Nei negozi di Mamdani dovreste aspettarvi che i dipendenti si comportino come i negozianti dell'era sovietica.

Wegmans figura costantemente nella lista delle “100 migliori aziende in cui lavorare” della rivista Fortune. Il suo ex-presidente, Robert Wegman, ha affermato, riferendosi al suo trattamento dei dipendenti: “Non ho mai dato più di quanto ho ricevuto”. In questa dichiarazione di principio, si percepisce la convinzione che il mondo degli affari sia un'impresa “win-win”, non “win-lose”.

Le persone attratte dal socialismo vogliono ricevere prima di dare. I loro eroi, come Mamdani, credono che ai miliardari non dovrebbe essere permesso di accumulare tanta ricchezza. Se Mamdani venisse eletto, aspettatevi che i ricchi newyorkesi fuggano dalla città.

Oggi i supermercati offrono fino a 60.000 articoli diversi. Supponiamo che i punti vendita di Mamdani funzionino più come un Trader Joe's, con solo 4.000 articoli. Su quali basi tali punti vendita decideranno cosa tenere in magazzino? Nel suo libro, Dismantling Utopia: How Information Ended the Soviet Union, Scott Shane ci aiuta a rispondere a questa domanda.

Shane era curioso di sapere perché “alcune delle file più lunghe a Mosca fossero per le scarpe”. Naturalmente dava per scontato che “l'inefficiente economia sovietica non producesse abbastanza scarpe”.

Con sua sorpresa, Shane scoprì che per ogni adulto e bambino, l'Unione Sovietica produceva “più di tre scarpe all'anno”. Come poteva esserci una carenza di scarpe?

Shane ce lo spiega: “La comodità, la vestibilità, il design e la combinazione di taglie delle scarpe sovietiche erano così fuori sintonia con ciò di cui la gente aveva bisogno e desiderava che essa era disposta a fare la fila per ore pur di acquistare ogni tanto un paio di scarpe, solitamente importate”. I pianificatori sovietici avevano scelto una scarpa di consenso, ed era una che soddisfaceva poche esigenze.

Persone come me che vivono in campagna non penserebbero mai che i consumatori pagherebbero due o tre volte il prezzo per uova biologiche certificate, allevate al pascolo, rispetto a quelle “normali”. Eppure la quotidianità ci dice che sono disposti a pagare un sovrapprezzo, e i supermercati dedicano un notevole spazio sugli scaffali a marche diverse di uova.

Lo stesso tipo di decisione viene presa in ogni corsia di un supermercato. Fermatevi un attimo nel reparto yogurt per dare un'occhiata all'incredibile varietà di scelta: greco, bulgaro, islandese, biologico, non biologico, latte intero, parzialmente scremato, senza grassi, zuccherato, non zuccherato e un numero sorprendente di gusti.

Mamdani condanna il capitalismo e i profitti, ma non comprende il meccanismo del mercato. Prezzi e profitti aiutano gli imprenditori a individuare il mix di prodotti ottimale per i loro clienti. Nel socialismo le decisioni vengono prese in base ai capricci dei burocrati.

Hayek nel suo saggio, The Use of Knowledge in Society, scrisse:

Sono convinto che se [il sistema dei prezzi] fosse il risultato di un deliberato progetto umano, e se le persone guidate dalle variazioni dei prezzi capissero che le loro decisioni hanno un significato che va ben oltre il loro obiettivo immediato, questo meccanismo sarebbe acclamato come uno dei più grandi trionfi della mente umana.

Mamdani non è impressionato dal miracoloso processo di mercato; è impressionato dalle invettive della sua mente presumibilmente superiore.

Vivevo a Baltimora quando, negli anni '80, arrivò una nuova ondata di emigrati sovietici. Le famiglie ospitanti, che aiutavano questi nuovi arrivati ad adattarsi alla vita americana, mi raccontavano dei primi incontri degli emigrati con la cornucopia del nostro Paese. Raccontavano di emigrati sbalorditi dall'abbondanza nei supermercati. Alcuni rimasero paralizzati, sopraffatti dalla vastità della scelta; altri riempirono freneticamente i carrelli, temendo che gli scaffali sarebbero rimasti vuoti il ​​giorno dopo.

Rimasero stupiti nello scoprire che nessun funzionario governativo dettava l'ubicazione dei supermercati, o gli orari di apertura dei negozi; nessun funzionario dettava cosa vendevano, o chi erano i loro fornitori.

Non molti anni dopo, nel 1989, Boris Eltsin, allora membro del Parlamento sovietico, visitò un supermercato in un sobborgo di Houston. Nemmeno le élite sovietiche avevano accesso a una tale abbondanza. Sbalordito e perplesso, Eltsin chiese: “Quanto costa? Serve un'istruzione speciale per gestire un supermercato? Sono tutti così i negozi americani?” Jon Miltimore sottolinea: “L'esperienza di Eltsin quel giorno era in contrasto con tutto ciò che sapeva”.

Mamdani ha sperimentato la cornucopia generata dal processo di mercato; non ha le scuse di Eltsin. Per promuovere il suo programma socialista, Mamdani indossa intenzionalmente dei paraocchi e induce gli elettori a credere di non dover assumersi la responsabilità delle proprie scelte economiche.

Alcuni ignorano la sua ascesa, sostenendo che l'adesione dei Democratici a candidati così radicali sia autodistruttiva per il loro partito. Ciò che mi preoccupa è la probabilità che una crisi economica pre-2028 possa creare sostegno per candidati presidenziali in stile Mamdani. Se gli elettori di New York City non lo sconfiggeranno alle urne a novembre, potremmo avere nuovi casi di devastazione dei mercati.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una mancia in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.


lunedì 13 ottobre 2025

Cosa impedisce a Trump di accendere la “motosega” come Milei?

Il vero “nemico” dietro le quinte non è la Cina, non è la Russia, non è nemmeno Israele... è l'Europa. Ogni mossa di Trump è stata combattuta con unghie e denti proprio dall'UE, ogni voce discordante s'è levata dall'UE. Alla fine della fiera, per quanto una crisi possa essere ingegnerizzata o meno, c'è bisogno di collaterale fisico per dimostrare di poter resistere a essa. L'UE non ce l'ha, per giunta nemmeno quello energetico. Trump ha rispedito al mittente la strategia europea di prosciugare di capitale gli USA: ha tagliato fuori l'UE da qualunque fonte di approvvigionamento energetico a basso costo, costringendola ad andare all-in sulla narrativa fraudolenta riguardo la Russia. Ha fatto saltare gli accordi di ricostruzione dell'Ucraina precedentemente ad appannaggio di UE e UK e ha stretto accordi con gli stati del Golfo tagliando fuori, ancora una volta, UE e UK. Trump ha altresì capito che gli accordi di pace senza sviluppo commerciale sono inutili: ecco perché la pace tra azeri e armeni prevede un corridoio per i trasporti tra i Paesi fino al Mar Caspio; ecco perché la pace con la Russia e la Cina prevede la costruzione di un corridoio di trasporti da San Pietroburgo fino a Chabahar sull'Oceano indiano; ecco perché il piano di sviluppo immobiliare a Gaza. Il vero interesse dell'amministrazione Trump è spaccare in due l'Europa: dividere gli stati del Sud da quelli del Nord. Separare il grano dalla pula: creare un cuneo tra Francia, Germania, Inghilterra e tra Italia, Spagna, Portogallo, Grecia. Ecco perché spagnoli e portoghesi stanno raggiungendo accordi per spostare la produzione di alcune imprese negli Stati Uniti; perché l'Italia continua a guadagnare fiducia nel mercato obbligazionario; perché la Grecia si vede arrivare sul suo territorio armamenti americani spostati dalla Germania. Il recente “gioco” del riconoscimento dello stato di Palestina è un test di lealtà dell'UE: essa sta pericolosamente perdendo il controllo sul Mediterraneo e qualunque accesso rimanente a una parvenza di collaterale decente.

______________________________________________________________________________________


di Daniel Lacalle

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/cosa-impedisce-a-trump-di-accendere)

Negli ultimi mesi molti libertari hanno criticato le politiche economiche di Donald Trump, sostenendo che non sta attuando drastici tagli alla spesa pubblica come ha fatto Javier Milei in Argentina.

Tuttavia questo confronto ignora le principali differenze strutturali e contestuali tra i due Paesi e i loro governi. Di seguito una spiegazione dettagliata del perché la situazione negli Stati Uniti è diversa da quella in Argentina e del perché le critiche alla strategia di Trump sono infondate.


1. Il bilancio ostruito: l'eredità di Biden

È difficile capire perché i libertari europei non riescano a comprendere un concetto così basilare come quello di “anno fiscale”. L'anno fiscale statunitense inizia il 1° ottobre e l'amministrazione Biden ne ha approfittato per aumentare la spesa.

Quando Trump ha assunto la carica nel gennaio 2025, il 97% del bilancio federale per tale anno era già stato impegnato o speso. Ciò era dovuto all'approvazione da parte dell'amministrazione Biden di diverse “Risoluzioni di continuità per l'intero anno” che bloccavano la maggior parte dei fondi e delle spese per l'anno fiscale 2025. Pertanto Trump non aveva margine per effettuare tagli immediati e drastici, poiché la maggior parte del bilancio era intoccabile fino al successivo ciclo fiscale.

Nonostante ciò nel 2025 sono state effettuate riduzioni della spesa discrezionale pari a $541 miliardi e il deficit accumulato tra aprile e maggio 2025 è stato inferiore del 97% rispetto allo stesso periodo del 2024.


2. Spesa non discrezionale e discrezionale

La spesa non discrezionale (che include programmi come la previdenza sociale e Medicare) era già stata aumentata dall'amministrazione Biden e tale aumento è entrato in vigore tra febbraio e dicembre 2024. L'anno fiscale statunitense inizia a ottobre e Biden ha implementato la maggior parte di questi aumenti attraverso risoluzioni continue e l'estensione dei programmi esistenti, consolidando e, in molti casi, aumentando la spesa federale in settori chiave.

Tali risoluzioni prevedevano oltre $100 miliardi in fondi per programmi federali di assistenza in caso di calamità, $29 miliardi per il Fondo di soccorso in caso di calamità della FEMA e $10 miliardi in assistenza economica per i produttori agricoli.

Alla fine del 2024 Biden ha approvato un aumento di $54 miliardi (8%) nei principali programmi di spesa obbligatoria come la previdenza sociale, Medicare e Medicaid, nonché l'estensione dell'Obamacare, tutti applicabili al 2025.

Il bilancio dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente (EPA) è cresciuto di $21 miliardi (700%) e l'amministrazione Trump è riuscita a stanziare solo $14 miliardi discrezionali.

È fondamentale ricordare che Biden ha fatto tutto questo senza una nuova legge di bilancio, semplicemente mantenendo ed estendendo gli stanziamenti esistenti.

Il bilancio proposto da Biden per il 2025 prevedeva ulteriori aumenti, ma questi sono stati bloccati perché non hanno ricevuto l'approvazione del Congresso.

Trump ha bisogno dell'approvazione del Congresso per annullare questi aumenti e ridurre la spesa. Questo è ciò che prevede la “Big Beautiful Bill”. D'altro canto sono state impegnate anche spese discrezionali, soprattutto per la difesa, limitando ulteriormente il margine di manovra immediato del nuovo governo.

La Big Beautiful Bill prevede la prima riduzione della spesa non discrezionale negli ultimi sessant'anni ($1.600 miliardi) e $2.400 miliardi per quella non discrezionale.


3. Risultati fiscali iniziali

Nonostante queste restrizioni, l'amministrazione Trump ha ottenuto alcuni progressi: ad aprile è stato registrato il secondo surplus fiscale più grande della storia e, sebbene a maggio sia ricomparso un deficit, il deficit tra marzo e maggio è stato contenuto rispetto al 2024. Ciò indica che erano già state adottate misure per migliorare la situazione fiscale, principalmente attraverso maggiori entrate derivanti da accordi commerciali e dalla crescita del settore privato.


4. La “Big Beautiful Bill” e la riduzione del deficit

È sorprendente che alcuni libertari e Austriaci critichino la Big Beautiful Bill, aderendo alla narrazione keynesiana secondo cui non ci saranno miglioramenti nelle entrate, nella crescita, nell'occupazione, o negli investimenti derivanti dalla deregolamentazione, dagli accordi commerciali e dai tagli fiscali.

Mi sorprende che alcuni libertari neghino la Curva di Laffer e l'impulso dato dalla deregolamentazione. La Big Beautiful Bill incorpora $7.000 miliardi in investimenti dai negoziati commerciali, che attrarranno anche $4.000 miliardi di entrate fiscali nel corso della legislatura e un effetto di stimolo sull'economia che si traduce in un aumento delle entrate fiscali nello scenario di base da $1.200 miliardi.

Contrariamente a quanto sostengono alcuni critici, la “Big Beautiful Bill” non aumenterà il deficit, ma lo ridurrà significativamente.

Tra il 2026 e il 2027 si prevede una riduzione di $1.600 miliardi nella spesa non discrezionale e $2.400 miliardi in quella discrezionale. Inoltre si prevede un aumento delle entrate fiscali grazie alla deregolamentazione, ai tagli fiscali e ai nuovi accordi commerciali, cose che rafforzeranno la crescita economica e l'occupazione.

Noi liberali, libertari e Austriaci dovremmo essere meno critici nei confronti del più grande sforzo di riduzione dello stato, liberalizzazione, deregolamentazione, tagli alla spesa e riduzione delle tasse dal 1990, ma soprattutto, alcuni non dovrebbero accettare la narrazione che nega l'effetto positivo sulle entrate e sulla crescita da parte della deregolamentazione, dei tagli alle tasse e dei negoziati commerciali.


5. Confronto con Milei: somiglianze e differenze

Milei è stato in grado di attuare tagli immediati perché ha ereditato un bilancio aperto e un'inflazione estremamente elevata, cose che gli hanno permesso di ridurre la spesa pubblica in termini reali senza doverla aggiustare all'inflazione. Il bilancio dell'Argentina non include le disposizioni introdotte dall'amministrazione Biden, quindi Milei è stato in grado di attuare una riduzione del 30% della spesa pubblica immediatamente e con indiscutibile successo, soprattutto eliminando sussidi, opere pubbliche e trasferimenti sociali non automatici.

Al contrario Trump ha ereditato un bilancio già impegnato e un'inflazione molto più bassa (meno del 2,5%), limitando l'impatto del mancato aggiustamento della spesa all'inflazione.

Confrontando le due amministrazioni, si nota uno sforzo molto simile. Trump ha ridotto la spesa pubblica del 5% nel primo trimestre, con risparmi superiori a $540 miliardi. Entro la fine del suo mandato, Trump avrà attuato una riduzione della spesa pubblica equivalente a quella di Milei.

Entrambi i leader hanno promosso politiche di riduzione delle tasse, deregolamentazione e incentivo degli investimenti e dell'occupazione. Tuttavia gli strumenti e il margine di manovra di Trump sono stati condizionati dalla struttura istituzionale statunitense e dalle decisioni della precedente amministrazione.


6. Conclusione

Le politiche di Trump e Milei condividono l'obiettivo di ridurre la spesa pubblica, promuovere la crescita e migliorare l'occupazione, ma le circostanze di partenza sono radicalmente diverse. Criticare Trump per non aver acceso immediatamente la “motosega” ignora i vincoli di bilancio e legali che deve affrontare negli Stati Uniti. Ciò che conta è riconoscere che, entro i suoi limiti, Trump sta attuando tagli storici e politiche pro-crescita che avranno un impatto positivo sull'economia statunitense nel medio termine.

Il mio messaggio a coloro che attaccano l'amministrazione Trump perché non è abbastanza liberale è il seguente:

• Indicate un'unica amministrazione statunitense che abbia implementato con successo un approccio analogo alla deregolamentazione, ai tagli fiscali e alla riduzione della spesa, approvando al contempo una significativa riduzione della spesa non discrezionale sia al Congresso che al Senato.

• È curioso accettare le stime keynesiane sull'impatto fiscale. È sorprendente negare l'impatto positivo della riduzione delle importazioni, dell'aumento delle esportazioni e di maggiori introiti derivanti dagli accordi commerciali. Negare la spinta economica e fiscale derivante dalla deregolamentazione e dai tagli fiscali è imperdonabile.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una mancia in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.


venerdì 10 ottobre 2025

Un labirinto di aggiustamenti: interni ed esterni

 

 

di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/un-labirinto-di-aggiustamenti-interni)

Uno dei migliori insegnamenti che Hayek avrebbe lasciato in eredità era quello legato alla conoscenza di mercato. Quest'ultimo ha al suo interno una così grande mole di informazioni che è impossibile per un solo individuo, o un gruppo di essi, riuscire a padroneggiarla interamente. Nel bellissimo saggio, The Use of Knowledge in Society, questa lezione viene ribadita aggiungendo a corredo un altro aspetto: quello che gli individui possono fare è creare un filo coerente tra i pezzi di informazione che trovano sparsi e utilizzarli per fare impresa. Quando, poi, questi fili si intrecciano con quelli intessuti da altri, ecco che si viene a creare una rete che dà vita al famoso ordine spontaneo di cui lo stesso Hayek aveva approfondito l'esistenza aggiungendoci la teoria del capitale di Bawerk. Questa rete è replicabile e visibile in altri ambiti, non solo quello economico: Bitcoin, ad esempio. Anche in quello della divulgazione vale lo stesso principio e raccogliere informazioni intriganti/interessanti nel mare magnum delle idee è un compito alquanto arduo; i flutti presenti in questo oceano sono in gran parte confusionari e non permettono l'accesso a qualcosa di utile. La combinazione di idee, molto spesso, conduce a un vicolo cieco.

Occorre un lavoro di scandagliamento approfondito e un processo di trial/error altrettanto accurato. Quando avete letto nel mio ultimo libro, Il Grande Default, di come la cricca di Davos si fosse infiltrata a più livelli nelle stanze dei bottoni americane, avete avuto una chiave di lettura completa della situazione. Ne avete una parziale quando Trump parla in modo vago di “nemici interni”. Anche JP Morgan, ad esempio, aveva uffici in Europa, ma questo non impediva alle 17 banche europee di impostare il LIBOR e svuotare della ricchezza reale gli USA tramite il mercato dell'eurodollaro. Questo concetto è ancora sconosciuto ai più, anche a molti della Scuola Austriaca e seguaci della stessa, ed è grazie al mio manoscritto e al mio blog se in Italia è possibile approfondire questo tema. Non lo troverete trattato da nessun altra parte.

Fatto sta che una istituzione non è monolitica, così come non lo è uno stato. Entrambi sono costituiti da persone, che possono essere trasformati in asset... infiltrati. I confini nazionali servono solo a giustificare davanti agli occhi dei contribuenti il fatto che essi debbano essere spremuti per sostenere la nazione; esistono in realtà famiglie, interessi e gruppi di pressione che si spartiscono il diritto di governare un territorio. Negli USA sta prevalendo uno in particolare, che per amore di semplificazione chiameremo NY Boys, facendo valere le proprie ragioni anche all'estero avendo rimpatriato il controllo del dollaro offshore. Qui non esistono buoni o cattivi, ma solo interessi e alleanze/tradimenti. Per la gente comune, invece, solo occasioni per trarre vantaggio dalla corretta lettura di queste dinamiche.

Addirittura anche all'interno dell'FOMC esistono queste divisioni e sono state evidenti sin dal 2017, per chi sapeva dove guardare, quando Powell ha avviato il processo di riorganizzazione della nazione. Lui era uno di quelli contrari all'obiettivo del 2% d'inflazione come impostato da Bernanke e poi seguito dalla Yellen. Infatti è stato grazie a questo escamotage che entrambi sono stati in grado di applicare con relativa facilità la ZIRP e, quindi, permettere l'ipertrofia del mercato dei dollari offshore. Powell era dell'idea di seguire la linea di Singapore ad esempio: mirare alla banda di un tasso di cambio, non a quella dell'inflazione o del mercato del lavoro. A Jackson Hole, lo scorso agosto, ha praticamente cestinato la regola del “2% d'inflazione come obiettivo” (flexible targeting). Ciò avvalora ancora di più la tesi secondo cui la FED e l'amministrazione Trump, nonostante le scaramucce di facciata da dare in pasto alla stampa generalista per sviarla, stanno lavorando insieme per riformare la FED stessa. A tal proposito, a essere licenziata è stata Lisa Cook, non Powell.

L'obiettivo è cambiare il modo in cui la FED interagisce con l'economia e un primo passo in questa direzione è tornare a un'istituzione antecedente al 1935, anno i cui Roosevelt la trasformò nella realtà attivamente interventista di oggi. Non più un ente centralizzatore, ma uno con un ruolo sempre più marginale per ciò che concerne politica monetaria e fiscale. Mi spiego meglio. Con l'approvazione del GENIUS e STABLE Act gli Stati Uniti avranno un dollaro “interno” che avrà un certo prezzo e un dollaro “esterno” che ne avrà un altro di prezzo (superiore al primo, data la presenza di una commissione per il privilegio di usarlo). In questo modo l'economia interna sarà distaccata, o perlomeno di gran lunga meno influenzata, da ciò che accade esternamente. Il SOFR imposta i tassi d'interesse in base agli andamenti dei mercati del debito/credito statunitensi, non più internazionali. Lo stress finanziario, che in precedenza partiva dall'Europa e dal Regno Unito tramite il LIBOR, ha meno capacità di influenzare il resto del mondo e forzare una linea di politica coordinata a livello di banche centrali.

I salti mortali per conciliare l'economia interna con quella esterna possono essere abbandonati e concentrarsi sulla ricostruzione della classe media americana, fatta a pezzi dalla ZIRP e dalla progressiva finanziarizzazione dell'economia. La correzione di Wall Street sarà assorbita da Main Street ed ecco perché Trump ha solleticato i mercati con la retorica dell'abbassamento dei tassi: prima che potesse accadere questi ultimi dovevano essere convinti che ci fossero prove, che l'attuale amministrazione avesse davvero intenzione di rimettere a posto l'equazione fiscale della nazione. L'approvazione della Big Beautiful Bill è stato un passo in questa direzione, la politica commerciale un altro e la deregolamentazione/snellimento burocratico un altro ancora. I risultati non si sono fatti attendere, con buona pace di chi sventolava il feticcio della bancarotta.

Con tassi lievemente più bassi, ora, è possibile mettere una pezza a uno dei mercati più importanti per la classe media americana: quello immobiliare. “Aggiustare” i prezzi delle case in modo da rapportarli agli stipendi pagati, affinché i giovani possano uscire dalle case dei genitori, creare nuovi nuclei famigliari e infine ricostruire il “sogno americano”. Ecco perché sarà fondamentale la IPO riguardante Fannie Mae e Freddie Mac, questo li porterà entrambi fuori dalla conservatorship e li farà tornare entrambi in profitto rivitalizzando il mercato dei mutui trentennali americano. Fannie e Freddie sono la nona compagnia più profittevole al mondo, solo l'anno scorso hanno fatto registrare $29 miliardi in commissioni e Obama le usava per finanziare l'Obamacare: immaginate ora cosa potrebbero fare se portate fuori dall'alveo pubblico e liberalizzate, soprattutto se fondi pensione e agenzie di assicurazione possono investire e tirarci fuori rendimenti decenti. Se ci aggiungiamo anche la rimozione della Supplemental Leverage Ratio e la liberazione del capitale bancario immobilizzato (parliamo di circa $5.500 miliardi in riserve in eccesso) che doveva essere detenuto nei loro bilanci come ulteriore garanzia a supporto dei titoli di stato americani (l'asset più liquido e affidabile al mondo dal 2022), le banche americane ottengono un vantaggio non indifferente rispetto alle controparti europee e la concessione di prestiti diventerà più facile.

Per quanto JP Morgan e Solomon Bank siano state le voci più forti nel sostenere questa causa, non significa che vogliano tornare a giocare d'azzardo sui mercati e far perdere le tracce di un qualsiasi confine tra investment banking e reserve banking. Significa principalmente tornare ad avere un margine netto d'interesse attraverso la loro attività principale: concedere prestiti. Gli strati aggiuntivi di burocrazia applicati dal Dodd-Frank Act hanno costretto le banche americane a concentrarsi fondamentalmente sul settore finanziario, incapaci di fare soldi col margine netto d'interesse. È questo che le banche dovrebbero fare: prestare soldi al 6%, dare il 3% d'interesse ai depositanti e trattenere per loro il restante 3%. Invece di analizzare il gradiente di rischio di un'azienda a cui concedere un mutuo, sono state indirizzate lungo la strada dell'ingegneria finanziaria e della finanziarizzazione dei loro bilanci (e indirettamente a quella di Main Street). Senza contare che anche le regole di Basilea 3 hanno rappresentato dei legacci importati alla profittabilità delle banche americane, mantenendo competitive le loro controparti europee. La zombificazione degli istituti di credito americani ha rappresentato un costante drenaggio di risorse, tramite la burocrazia, oltreoceano. Così come la raffica di norme di conformità a livello commerciale ha costretto il resto del mondo ad adattarsi agli standard normativi europei (assurdi), allo stesso modo ha funzionato la normativa bancaria; e non scordiamoci i tentativi multipli di trascinare in una guerra cinetica gli USA in Medio Oriente o in Ucraina. Cos'è che non fa notizia sui media generalisti, però? La crescita dei salari, i quali rispetto all'anno precedente mostrano, sebbene timidi, segni di ripresa. Ma per avere un quadro completo della situazione bisogna aggiungere anche un grosso cambiamento che sta avvenendo a livello di movimenti nei posti di lavoro. In sintesi, i colletti bianchi, i cui lavori sono scoppiati grazie agli strati di burocrazia posti sulla nazione, hanno esercitato una sorta di effetto crowding out nei confronti dei colletti blu: spostare un foglio sarebbe diventato più profittevole di creare un bene di consumo. E carriere del genere hanno significato mutui, bonus e tutta una serie di agi garantiti da un lavoro che non aggiungeva niente alla ricchezza reale, anzi col tempo l'ha sottratta. Un processo del genere non poteva far altro che “appaltare” al resto del mondo la manifattura, il settore secondario, a fronte di un progressivo affogare nel debito. Dollari uscivano ed entrava ciarpame di qualità progressivamente inferiore, ma i debiti rimanevano. È così che l'ipertrofia del mercato dell'eurodollaro ha tenuto in piedi la City di Londra e, come sottoprodotto, anche Bruxelles a scapito di Washington.

L'inversione di questa tendenza deve avvenire con gradualità e in modo organico, nonostante Trump volesse (apparentemente) forzare la mano a Powell. I numeri della disoccupazione non sono allarmanti perché è in atto un mutamento delle condizioni professionali negli USA, coadiuvato dalla R&S nel campo dell'IA, il quale permetterà di ricreare una sostenibilità effettiva nel mondo del lavoro. Parallelamente a ciò corre il binario degli investimenti esteri, la cui barriera all'ingresso sarà il possesso di titoli del Tesoro americani: oltre a far pagare al resto del mondo gli eccessi che ha contribuito a creare negli USA in passato, l'acquisto di titoli sovrani americani rappresenterà il biglietto d'ingresso al mercato più liquido, affidabile e profittevole del mondo. La cosiddetta “idraulica” del sistema finanziario americano viene così resa un asset nel bilancio della nazione. Ma non finisce qui, perché la tokenizzazione di questa classe di asset permetterà agli investitori non solo di scommettere sulla riorganizzazione del Paese ma anche su singoli progetti (industriali, ad esempio) in modo da ottenere un doppio rendimento.

Di conseguenza anche se Powell è “lento” nell'abbassare i tassi di riferimento, la progressione di questi eventi puntellerà il settore immobiliare mentre la classe media cercherà di uscire dal pantano di stagnazione creato ad hoc da una classe dirigente del passato intenzionata a svuotare la nazione piuttosto che a farla prosperare. Pensateci: se il vostro scopo è quello di saccheggiare un posto per mandare i proventi altrove, ciò non riuscirà a conciliarsi con una crescita sostenibile, nel tempo, di suddetto posto. Perché? Legge dei rendimenti marginali decrescenti. Se invece il vostro scopo è quello di spartire il bottino della nazione tra gli “amici degli amici” in patria e voi stessi, sarà decisamente più facile lasciare qualcosa anche al resto della popolazione. La felicità, relativa, di quest'ultima la incentiverà a chiudere un occhio sul resto delle scorribande ai piani alti. Perché? Legge dei rendimenti marginali acceleranti. Se prima del 2022 i partner commerciali degli USA erano tali solo per prenderne un pezzo, adesso è finalmente un rapporto paritario. Infatti quello che non capiscono gran parte degli Austriaci è che una volta tolto di mezzo lo strato di normative scritto dai nemici degli Stati Uniti e applicato da un Congresso di traditori, il mondo cambia letteralmente e diventa irriconoscibile.


IL CENTRO DEL LABIRINTO

Aggiustamento interno e poi aggiustamento esterno. Nel primo caso si tratta di ridare “speranza” a un'intera generazione, forse due, di americani che durante l'amministrazione Biden sono stati letteralmente privati di una qualsiasi preferenza temporale orientata al futuro. Guerre all'estero, inflazione e disoccupazione sono stati gli elementi principali del declino della classe media; l'amministrazione Trump “è stata chiamata” a risolvere soprattutto questi temi riducendo gli sprechi all'estero e aumentando gli impegni d'investimento internamente. Qualsiasi correzione non avviene senza dolore economico: può essere attenuato, ma non può essere cancellato. Questo a sua volta significa che la riorganizzazione del mondo lavoro non ci sarà senza scossoni iniziali che dovranno trovare successivamente un nuovo equilibrio; i numeri grigi che abbiamo letto di recente sono influenzati non solo da questa tendenza, ma anche dalla regolazione dei flussi migratori. L'effetto di ciò si sta già sentendo a livello immobiliare, dove gli affitti hanno smesso di correre ad esempio. Secondo le ultime stime ce ne sono altri 18 milioni circa in circolazione entrati nel Paese illegalmente grazie alle politiche migratorie lasche dell'amministrazione Biden e, inutile dirlo, l'effetto deflazionistico che avrà questa tendenza (espulsioni o incentivi monetari per andarsene) andrà a contrastare quelli inflazionistici ancora derivanti dallo stimolo fiscale del Build Back Better della precedente amministrazione.

Parallelamente al mondo del lavoro corre la politica commerciale, dove i dazi non solo non stati inflazionistici mentre invece hanno portato vitalità nelle casse del Dipartimento del Tesoro. Infatti hanno un effetto temporaneo su prodotti specifici, sempre che non sia il produttore/distributore a volerne assorbire l'impatto, ma soprattutto generano un gettito interessante per il governo americano. Questo significa che se Trump dovesse essere avvicendato da una presidenza democratica nel 2028, difficilmente verrebbero aboliti (così come la precedente amministrazione Biden non ha abolito i dazi sui prodotti cinesi). Se ci aggiungiamo anche che la Big Beautiful Bill avrà un effetto positivo sul bilancio federale, allora abbiamo di fronte un sentimento popolare/elettorale tutto sommato positivo nei confronti dell'attuale amministrazione.

Gli aggiustamenti esterni sono quelli più problematici, invece. Gli europei non possono permettersi di perdere la guerra in Ucraina perché significherebbe una caduta libera per il progetto UE e l'euro, visto che verrebbe a mancare la disponibilità di materie prime/risorse finanziarie (es. asset finanziari congelati nelle banche europee) che sono attualmente in Russia e che sono estremamente importanti per sostenere la credibilità del sistema bancario dell'Eurozona. Devono per forza andare avanti, quindi, ma non hanno affatto i mezzi per farlo se non attraverso gli Stati Uniti che però non vogliono affatto essere coinvolti in una guerra cinetica. Uno degli ultimi messaggi dati da Trump a tal proposito è possibile parafrasarlo in questo modo: “Volete che questa guerra continui a tutti i costi? Bene, allora li pagherete VOI questi costi. Se la NATO si vuole muovere verso un conflitto diretto allora noi vi venderemo le armi, ma ce le pagherete in anticipo”.

La domanda è: con cosa le pagheranno? Dal punto di vista energetico l'UE è in grossi guai: il petrolio al largo della Gran Bretagna è praticamente impossibile da estrarre causa burocrazia e tasse, e la Norvegia è sostanzialmente un circuito a sé stante. Dal punto di vista finanziario l'UE è in grossi guai: la fonte da cui accedeva a finanziamenti facili, il mercato dell'eurodollaro, viene prosciugata dalla FED; dopo l'entrata a pieno regime del SOFR, o si comprano titoli del Tesoro americani per accedere alla liquidità in dollari oppure si chiede una linea di credito (swap) alla FED... ma solo se si è ritenuti “degni”, come l'Argentina ad esempio. Infatti le politiche commerciali servono anche a questo: determinare chi è “amico” e chi non lo è. In questo modo l'accesso alla liquidità in dollari non sarà negato, ma arriverà con clausole come ad esempio una commissione d'accesso per usare la valuta più affidabile, credibile e necessaria al mondo. Questo scenario per l'Europa significa doversi preparare a sostenere dei costi, sia per la difesa sia per il comparto bancario/monetario/economico, che sottoporranno a forti pressioni al ribasso la moneta unica e accentueranno ancora di più la fuga di capitali verso gli Stati Uniti da parte di risparmi europei destinati al macello se resteranno nell'UE.

Prima di una crisi del debito sovrana, la valuta che successivamente imploderà sale nel mercato dei cambi. Infatti l'Europa ha bisogno di liquidità in euro sia per pagare i salari, sia di liquidità in dollari per tenere in piedi tutti i suoi carry trade. Come ricordato in tempi non sospetti, il mondo si ri-dollarizza quando il DXY scende dato che la pressione di acquisto/vendita del dollaro viene di poco superata da quella d'acquisto dell'euro ad esempio.

È una giostra che può andare avanti fin quando esistono riserve in dollari da cui attingere, fino a quando qualcosa si rompe come a Hong Kong o a Singapore. Questi due hub sono da sempre stati una fonte non indifferente di dollari offshore, ma difendere ancoraggi del genere è diventato arduo da quando non esiste più il LIBOR. L'Autorità monetaria di Hong Kong, ad esempio, mantiene un differenziale di 25 punti base sul suo tasso di riferimento rispetto a quello della FED, il che significa che è stato impostato un carry trade da sfruttare. A sua volta stiamo parlando di un differenziale di 50-60 punti base tra i T-bill americani a 30 giorni e i loro omologhi di Hong Kong. L'HIBOR, la versione di Hong Kong del LIBOR, è stato appiattito fino allo 0,5% a maggio e da allora è rimasto lì: qualcuno sta vendendo dollari a sconto a Hong Kong. E visto che stiamo parlando di una colonia inglese da tempo immemore, tutti i sospetti ricadono sulla City di Londra.


CONCLUSIONE

È passato un anno da quando ho pubblicato il mio ultimo libro, Il Grande Default, e uno dei temi trattati in esso era il motivo per cui Stati Uniti ed Europa sono ai ferri corti. Tutto ciò che avete trovato nel mio manoscritto ha rappresentato una narrazione prevalentemente in linea con quanto osservato finora. Lo studio del sistema dell'eurodollaro, le sue criticità nel passato e l'origine del suo controllo, mi hanno permesso di avere una proverbiale “finestra sul futuro”. Quest'ultima affaccia su un presente, adesso, in cui l'UE viene costantemente costretta ad accettare il ritiro sulle proprie sponde da parte degli USA; qualunque deviazione da questa linea di politica verrà accolta da un'azione uguale e contraria fatta di power politics.

La consensus politics era solamente una scusa per permettere all'UE di insinuarsi nell'ordine mondiale e diventarne il punto di riferimento, sacrificando nel contempo gli Stati Uniti. I New York Boys hanno preso in mano le redini della situazione americana e hanno fatto ricorso a tutta la loro influenza territoriale per arginare questo assalto e con l'elezione di Trump è partito il contrattacco.

Le principali pedine geopolitiche sono state schierate: Giappone in Asia, Israele/Arabia Saudita/Azerbaijan/Armenia in Medio Oriente, Polonia/Italia/Grecia/Turchia in Europa. Alla Gran Bretagna, invece, verrà dato l'onore delle armi in cambio del ritiro/neutralità dalle sue zone d'influenza attualmente caratterizzate da conflitti e la resa di qualsiasi pretesa sul Canada. Chi viene estromesso dal rimodellamento del mondo di fronte al gigantesco cambiamento di rotta di Washington è il “nucleo” dell'Europa: Francia, Germania e Belgio/Olanda principalmente. Ecco perché sono propenso a pensare che l'UE si frammenterà lungo questi confini e si verranno a creare 2 (o forse più) Eurosistemi. Già adesso la BCE è praticamente un pro-forma, dato che le singole banche centrali nazionali non hanno mai smesso realmente di impostare/influenzare la politica monetaria delle rispettive nazioni attraverso i pronti contro termine.

Alla fine della fiera sono 3 i centri di potere nel mondo: Washington, City di Londra e Vaticano. Bruxelles, Francoforte, Parigi, ecc. non sono pervenute.


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una mancia in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.


giovedì 9 ottobre 2025

Rosso, bianco e Bitcoin

Tutto rimandato all'anno prossimo... forse. Fanno ridere poi queste inchieste della stampa generalista, proprio perché mancano consapevolmente il punto. Qual è? Non sanno come fare. Come ho già detto in tempi non sospetti, l'approvazione negli USA del GENIUS e STABLE Act hanno reso in un singolo istante obsoleto qualunque sogno autoritario europeo tramite la valuta unica digitale. Già adesso Tether raggiunge in modo capillare ogni angolo del mondo e lo fa a costi irrisori; un euro digitale non potrà mai competere (senza contare che la versione digitale dell'euro è stata offerta anche da Tether stesso, ma nessuno l'ha voluta/usata). I mercati dei capitali, soprattutto, hanno capito qual è il destino dell'UE: frammentazione. Il mio orizzonte temporale è da 2 a 5 anni. E questo lo sta capendo anche la classe dirigente europea, passo dopo passo, stretta mortale dopo stretta mortale da parte delle nuove linee di politica americane. Infatti le due leggi sopraccitate sono un veicolo perfetto non solo per internazionalizzare il dollaro sotto l'egida esclusiva degli USA (non più condivisa con l'estero come invece accadeva col LIBOR), ma per creare una domanda aggiuntiva di titoli di stato americani e stabilizzarne le finanze interne. Dove sono finiti i “profeti di sventura” che si flagellavano in pubblica piazza parlando di bancarotta degli USA a fronte dei $7000 miliardi di debiti americani da rinnovare? Scomparsi, così come le loro chiacchiere inutili... utili idioti della propaganda inglese/europea di queste sciocchezze. Per quanto l'UE abbia provato con un'unione fiscale e obbligazionaria tramite i bond SURE, rimarrà un'utopia ormai. L'inevitabile spaccatura in due tronconi (come minimo) segnerà la fine di questo esperimento “turbo-socialista”, ma questo non significa che nel frattempo non ci sarà ulteriore temporeggiare per ritardare suddetto esito. Infatti, per quanto il progetto dell'euro digitale sia stato sospeso per il momento (e chissà se davvero il test pilota verrà messo in atto l'anno prossimo), è in fase di gestazione l'idea di “tokenizzare” il risparmio europeo per creare “rivendicazioni digitali” e quindi emettere dal nulla garanzie collaterali con cui sostenere Stati sociali fuori controllo, spese militari sempre più asfissianti e costi energetici alle stelle. Collaterale sintetico ovviamente, proprio perché l'Europa manca di qualsiasi garanzia credibile sui mercati (talmente disperata da continuare a fare “ammuina” sugli asset russi congelati perché altrimenti creerebbero giganteschi e nuovi buchi di bilancio negli istituti finanziari europei). Di conseguenza, quando sentirete la grancassa della propaganda europea spingere di nuovo sull'acceleratore riguardo i “russi cattivi” e la necessità di “riarmarsi”, perché questa narrativa fraudolenta sarà intensificata, sappiate che sono gli eurocrati che vi vogliono mettere furbescamente le mani nel portafoglio. All'angolo, sempre più schiacciata, c'è l'URSSE.

____________________________________________________________________________________


di Logan Beirne

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/rosso-bianco-e-bitcoin)

Bitcoin può sembrare futuristico, ma una volta rimossa la sua patina digitale, è solo l'ultimo capitolo di una lunga storia di 2.600 anni fatta di valore, fiducia e ingegno umano. Dopo aver raggiunto livelli record, Bitcoin ha fatto notizia mentre le nazioni dichiaravano di avere riserve strategiche e le aziende americane abbracciavano questa nuova classe di asset. Perché proprio ora?

La risposta risiede in un modello antico quanto la civiltà stessa: quando gli stati corrompono una valuta, le persone cercano di innovare per ottenere qualcosa di meglio.

Come dice il proverbio: “La storia non si ripete, ma spesso fa rima”. Quando la prima moneta apparve nel 600 a.C., non era semplicemente una lega d'oro e d'argento con impresso il volto del re lidio. Fu una rivoluzione finanziaria. Per la prima volta le persone potevano superare le inefficienze del baratto e utilizzare invece un mezzo di scambio per commerciare, ma questo valore non risiedeva nel luccichio bensì nella consapevolezza collettiva degli individui che queste monete avevano valore.

L'integrità di quel sistema ha avuto alti e bassi nel corso dei millenni successivi, tipicamente a causa delle politiche di spesa governative. I denari romani con il dorso in argento permisero all'impero di prosperare, ma quando i successivi imperatori ne diluirono il valore – riducendo il contenuto d'argento per finanziare guerre e costruire grandi palazzi – i cittadini persero fiducia nella loro moneta. Quando l'imperatore Nerone ridusse il contenuto d'argento dal 98% all'83% nel 64 d.C., i Romani iniziarono ad accumulare vecchie monete e a rifiutare quelle nuove. Nel 260 d.C. il denario conteneva solo il 5% d'argento. L'inflazione aumentò vertiginosamente e il commercio crollò, contribuendo alla caduta finale dell'impero.

Gli Stati Uniti hanno combattuto crisi monetarie fin dalla nascita della nazione, ma a differenza di Roma, l'America ha costantemente innovato e trovato soluzioni lungo il percorso. Dopo aver dichiarato l'indipendenza dalla Gran Bretagna, il Congresso Continentale stampò la prima moneta cartacea della nazione. Chiamata “Continental”, non era coperta né da oro né da argento, solo dalla fiducia nel suo valore. Mentre l'oro e l'argento sono metalli relativamente scarsi con l'offerta limitata, la carta può essere stampata ed è esattamente ciò che fece il primo governo degli Stati Uniti.

Nel disperato tentativo di pagare le truppe e acquistare i rifornimenti necessari per combattere la Guerra d'Indipendenza, il Congresso si dedicò alla produzione di altre banconote. Esse inondarono il mercato, facendone crollare il valore, mentre gli americani si chiedevano se la nuova nazione avrebbe potuto mantenere le sue promesse. Nel 1777 un patriota si lamentò con suo padre dell'aumento dell'inflazione stimato al 200%, scrivendo: “L'America ha molto più da temere dagli effetti di grandi quantità di cartamoneta che dalle operazioni dei generali britannici”.

I prezzi salirono così rapidamente che lo stesso George Washington finì per rifiutare i Continental come pagamento. Divenne infatti comune descrivere qualcosa di scarso valore come “non degno di un Continental”. La valuta divenne così ridicola che i marinai la cucivano sui vestiti e sfilavano per la città per schernirla. Ma anziché crollare come l'Impero Romano, gli Stati Uniti innovarono: questa crisi monetaria fu la forza trainante che spinse i Padri Fondatori ad abolire il governo americano con gli Articoli della Confederazione e a redigere l'attuale Costituzione.

Questo cambiamento rappresentò più di una semplice riforma politica: fu un progresso monetario, con il passaggio da una moneta discrezionale a una basata su regole. Il nuovo governo degli Stati Uniti adottò un sistema bimetallico nel 1792, che legava il valore del dollaro sia all'oro che all'argento. Il Paese alla fine semplificò il suo approccio passando di fatto a un gold standard nel 1834, il quale durò fino al 1971, quando il presidente Nixon lo abbandonò a favore della moneta fiat. Come i Paesi continentali prima di esso, il dollaro è stato da allora coperto dalla fiducia nel suo valore: “full faith and credit” del governo degli Stati Uniti.

E poi arrivò la crisi finanziaria del 2008. Lehman Brothers crollò, le banche vacillarono... e la popolazione? Cominciò a chiedersi: “Cos'è il denaro?” Fu allora, dalle ombre digitali, che una figura anonima – Satoshi Nakamoto – lasciò cadere un white paper come un patriota che lancia un volantino alla vigilia della Guerra d'Indipendenza: Bitcoin, un sistema di moneta elettronica peer-to-peer. Niente imperatori, niente banche; solo matematica, crittografia e un record indistruttibile chiamato blockchain. Nacque un nuovo tipo di fiducia: non in un sovrano, ma in un codice informatico.

Quella che inizialmente era considerata un'interessante idea è stata rapidamente messa in pratica nel mondo reale. Gli utenti generano altri utenti, la fiducia cresce, gli imprenditori sognano. È una vera e propria saga storica che si svolge in tempo reale.

Bitcoin si è distinto dalle altre crittovalute che ha ispirato, in gran parte grazie alla sua scarsità: un imperatore non potrebbe più aggiungere rame a basso costo a monete d'argento, o il Congresso stampare altra carta, perché è codificato che esisteranno solo 21 milioni di bitcoin. Inoltre tutte le transazioni Bitcoin sono verificate da una rete decentralizzata di circa 20.000 computer in tutto il mondo che si controllano a vicenda al di là del volere dei politici. In un'epoca di spesa pubblica incontrollata, gli investitori si sono rivolti a Bitcoin che nessun governo può diluire. Un sistema decentralizzato che protegge i cittadini dal dominio dello stato: quanto è americano!

Non è un caso che il Bitcoin sia schizzato a una valutazione di $2.000 miliardi proprio mentre il debito pubblico degli Stati Uniti ha raggiunto livelli record. I ricercatori dibattono sulla durata media delle valute fiat nel corso della storia, con alcuni che collocano il momento della loro morte tra i 27 e i 35 anni. Poiché gli Stati Uniti sono fuori dal gold standard da oltre 50 anni, la storia suggerisce che il dollaro è destinato alla sostituzione.

Le persone si pongono l'annosa domanda: cos'è davvero il denaro? Mentre la fiducia nella moneta cartacea viene scossa dall'inflazione e dall'aumento della spesa federale, molti si stanno rivolgendo all'innovazione. Persino le nazioni stesse hanno iniziato a costituire riserve strategiche. Di fatto gli Stati Uniti sono il maggiore detentore di Bitcoin, posizionando ancora una volta l'America all'avanguardia nell'evoluzione monetaria.

Come consigliò John Adams nel 1787: “Tutte le perplessità, la confusione e l'angoscia in America non derivano dai difetti della Costituzione, né dalla mancanza di onore o virtù, quanto piuttosto dalla totale ignoranza della natura della moneta, del credito e della loro circolazione”. È dovere degli americani armarsi di conoscenza e impegnarsi nell'antica tradizione americana di sfidare i sistemi corrotti con idee migliori nel perseguimento della libertà.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una mancia in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.


mercoledì 8 ottobre 2025

La resa dei conti della Francia: il secondo gigante dell'Eurozona sarà il prossimo in linea?

Il cappio al collo dell'UE continua a essere stretto, soprattutto dal punto di vista energetico. È un ricatto mafioso quello degli USA quando la vogliono costringere, pena dazi, ad acquistare il loro GNL... ma questa è power politics. Tutti fanno parte di una cupola mafiosa, solo che adesso gli USA si sono stancati di essere fregati dagli intrallazzi europei/inglesi. O scendono a più miti consigli accettando le condizioni di un nuovo assetto mondiale in cui gli USA dettano per davvero le regole (senza infiltrati esteri... inglesi... nelle loro stanze dei bottoni), oppure pagano le conseguenze fino in fondo della loro narrativa (in questo caso essersi tagliati fuori da una fonte energetica a basso costo come quella russa per trascinare in guerra gli stessi USA). Le recenti ondate di “terrorismo mediatico” su sconfinamenti russi o potenziali attacchi degli stessi in territorio europeo servono principalmente a far ingoiare il boccone amaro ai contribuenti europei: “Siete voi la nostra garanzia collaterale e pagherete per la nostra testardaggine, perché altrimenti verremo spazzati via come classe dirigente”. Questa tesi è supportata anche dalle recenti dichiarazioni del Pentagono in ambito “assistenza militare” nei confronti dei Paesi Baltici. Nel frattempo, come ricordato anche altre volte, gli Stati Uniti si apprestano a spostare l'asse commerciale del mondo verso l'Artico, costituendo un polo di scambi tra Russia e Cina. La notizia del WSJ riguardo la Exxon è un ulteriore segnale in tale direzione.

______________________________________________________________________________________


di Thomas Kolbe

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-resa-dei-conti-della-francia-il)

La Francia è intrappolata in una spirale di debito e ora il presidente della Corte dei conti francese mette in guardia dalle conseguenze dell'inazione politica.

Pierre Moscovici è presidente della Corte dei conti francese da cinque anni, la quale supervisiona le revisioni periodiche delle finanze pubbliche del Paese. Dal 2012 al 2014 è stato Ministro delle finanze francese e poi ha ricoperto per cinque anni la carica di Commissario europeo per gli Affari economici e finanziari, la fiscalità e le dogane. Un uomo che sa come gestire le casse vuote.

Di recente Moscovici ha invitato il Primo ministro, François Bayrou, ad adottare misure urgenti per consolidare le finanze pubbliche. La situazione di bilancio della Francia, ha affermato, è sfuggita di mano, soprattutto nel 2023 e nel 2024. Se non si raggiungerà presto un'inversione di tendenza, i mercati dei capitali la imporranno. “Possiamo ancora agire volontariamente”, ha avvertito il governo, “ma domani i mercati potrebbero imporre misure di austerità”.


Per ora regna la calma nei mercati obbligazionari

Una volta che le tessere del domino iniziano a cadere, la situazione precipita: gli investitori si liberano in massa dei titoli di stato francesi, i rendimenti aumentano, i prezzi crollano e rifinanziare l'enorme debito pubblico del Paese diventa ancora più costoso. Già oggi il pagamento degli interessi assorbe il 10,6% del bilancio statale francese, all'incirca la stessa cifra destinata all'istruzione. Con l'aumento del debito, il margine di manovra fiscale si riduce.

Con un debito sovrano al 114% del PIL, la trappola potrebbe scattare inaspettatamente. Per ora i funzionari europei continuano a puntare il dito contro gli Stati Uniti, i cui indici di indebitamento sono simili, ma nessuno può dire per quanto tempo questa tattica di sviamento funzionerà. Il rischio di credito si materializza all'improvviso, di solito senza preavviso.


Punto di non ritorno

Ciò che sappiamo è questo: un rapporto debito/PIL superiore al 100% è già considerato critico. A quel punto anche ambiziosi sforzi di riforma raramente bastano a uscire dalla situazione critica e a meno che il Paese indebitato non emetta la valuta di riserva mondiale, saranno i mercati dei capitali a emettere il loro verdetto, come abbiamo visto durante la crisi del debito dell'Eurozona quindici anni fa.

Ciò che segue è familiare: l'intervento della banca centrale per mantenere liquide le finanze pubbliche, azionando la stampante monetaria e trasferendo il conto ai cittadini attraverso l'inflazione.

La Francia non è mai stata nota per il suo conservatorismo fiscale. Anni di stallo politico, maggioranze mutevoli e coalizioni instabili hanno spinto i deficit annuali ben oltre la soglia del 3% di Maastricht. Nel 2024 il deficit ha raggiunto il 5,8% del PIL. Anche con le prime misure di risanamento, si prevede che quest'anno rimarrà al 5,5%, ben al di sopra dell'obiettivo.


Nessuna ripresa economica in vista

Se i policymaker francesi contano su una ripresa della crescita economica, potrebbero rimanere delusi. A maggio l'indice dei direttori degli acquisti (indice PMI) per il settore manifatturiero si è attestato a 48,1 e per i servizi a 49,6, entrambi in territorio di contrazione. I PMI riflettono il sentiment delle imprese, valori superiori a 50 indicano crescita e inferiori, invece, una contrazione. Sono considerati indicatori precoci delle tendenze economiche e industriali.

In altre parole: nonostante – o forse proprio a causa – dell’ingente spesa pubblica, l’economia francese è bloccata in recessione.


Rischio di contagio

La crisi fiscale che si sta profilando in Francia è più di una semplice tragedia nazionale. Insieme a Germania e Italia, la Francia è sottoposta a un attento esame da parte di analisti e investitori di tutto il mondo. Parigi riuscirà a portare a termine il consolidamento fiscale? La fiducia nell'affidabilità creditizia della Francia è instabile da anni. Nel 2023 Moody's è stata l'ultima grande agenzia di rating a declassare la Francia dal rating AAA, assegnandole un outlook negativo.

Se i mercati dei capitali dovessero ulteriormente declassare il debito francese, le conseguenze si estenderebbero all'intera Eurozona. Qui vale la vecchia regola: o si resta uniti, o si muore divisi. I mercati obbligazionari tendono a passare da un anello debole all'altro, rivalutando rigorosamente l'affidabilità creditizia in situazioni di crisi. Chi vacilla paga interessi più alti, o perde del tutto l'accesso al mercato. Moscovici lo sa bene.

La pressione sui governi nazionali sta aumentando: o si vara una riforma di bilancio drastica, o si aumenta il carico fiscale sui cittadini.


L'eccezione francese

La Francia è un caso speciale. Con un rapporto spesa pubblica/PIL pari al 57,3%, il suo Stato sociale si colloca tra quelli più pesanti al mondo. Di conseguenza la pressione fiscale complessiva è salita al 45,6%, ben al di sopra della media UE di circa il 40%. I cittadini stanno già rinunciando a quasi metà del loro reddito per mantenere le illusioni assistenziali di Parigi.

La pace sociale viene comprata con denaro che non esiste più, finanziata dal debito e sostenuta dall'illusione della sovranità fiscale. Quando persino il massimo revisore dei conti del Paese chiede un consolidamento, una cosa è chiara: la situazione sta per farsi seria. L'equilibrio sociale stesso, fondamento del patto politico ombra che tiene a bada i disordini nelle banlieue, è in gioco.

La storia ce lo insegna: quando i governi tagliano i programmi sociali in Francia, la pace sociale crolla e le periferie – da Parigi a Marsiglia a Lione – vanno a fuoco.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una mancia in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.